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RICCARDO NOBILE

Spunti critici sul controllo eventuale sulle deliberazioni degli  enti locali nel D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 attivato a richiesta dei consiglieri e sulle funzioni consulenziali dei comitati regionali di controllo.

1. Introduzione.

La disciplina del controllo sui provvedimenti deliberativi degli enti locali è rimasta pressoché immutata fino all’emanazione della prima legge di riforma organica del loro ordinamento, ossia fino alla promulgazione della legge 8/6/1990 n. 142 [1].

Eliminato con la legge 8/6/1990 n. 142 il controllo di merito già previsto con la legge 10/2/1953 n. 62 [2], il riscontro tutorio era limitato alla verifica dei vizi di legittimità noti alla tradizione, ossia alla violazione di legge, all’incompetenza ed all’eccesso di potere, quest’ultimo declinato  tramite delle figure di esso sintomatiche enucleate dalla giurisprudenza e dalla dottrina [3].

All’ordinamento antecedente la legge 8/6/1990 n. 142, in particolare, era completamente estranea qualsivoglia problematica che fosse connessa alla possibilità di controlli eventuali sui provvedimenti deliberativi della giunta e del consiglio, per l’ovvia ragione che tutti gli atti de quibus erano assoggettati a controllo necessario, senza eccezioni di sorta [4].

Di controllo eventuale sulle deliberazioni delle giunte comunali e provinciali si è cominciato a parlare solo dopo che la legge 8/6/1990 n. 142 [5] ha limitato il controllo necessario alle sole deliberazioni consiliari, peraltro definite in termini di fondamentalità dal suo art. 32, circoscrivendo, nella sostanza, il controllo necessario sulle deliberazioni delle giunte alle sole ipotesi di variazioni di bilancio adottate in via surrogatoria ai sensi dell’art. 32, comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142 [6].

Per tutte le restanti deliberazioni della giunta, la problematica dei controlli era posta in termini di sostanziale indifferenza, posto che essa poteva decidere di richiedere la sottoposizione a controllo dei propri provvedimenti sempre e comunque, ovvero in modo episodico, in conformità all’art. 45, comma 1 della legge 8/6/1990 n. 142. Per contro, argomentando a contrario, era preclusa la possibilità per il consiglio dell’ente di richiedere l’assoggettamento delle proprie deliberazioni al riscontro di legittimità, così come analoga preclusione operava per le deliberazioni dell’organo esecutivo,  con l’evidente fine di non confondere il controllo politico sull’attività della giunta con il controllo sulla sua attività amministrativa.

L’ordinamento complessivamente enucleato dalla legge 8/6/1990 n. 142 contemplava nel proprio ordito una nuova fattispecie di controllo, ossia il controllo eventuale esercitabile da un numero qualificato di consiglieri [7], limitato in modo non semplice ma almeno triplice in una delle sue varianti [8]. Dal punto di vista oggettivo, perché circoscritto a determinate categorie di deliberazioni [9]. Dal punto di vista  temporale, in quanto assoggettato a termini di decadenza [10]. Dal punto di vista dei limiti al riscontro, perché assoggettato, sostanzialmente alla regola dell’immanenza del petitum, in quanto circoscritto ai soli vizi di legittimità denunciati [11]. In una sua seconda variante, il controllo eventuale era esteso a tutte le deliberazioni della giunta, indipendentemente dall’allegazione di specifici vizi, quando ritenute illegittime per incompetenza, ovvero assunte in contrasto con atti fondamentali del consiglio [12].

 

2.  I precedenti legislativi più recenti.

La problematica dei controlli eventuali sulle deliberazioni delle giunte comunali si è complicata con l’abrogazione dell’art. 45 della legge 8/6/1990 n. 142 operata dall’art. 17, comma 31 della legge 15/5/1997 n. 127, legge che ha ridisegnato la trama dei controlli sia dal punto di vista procedurale, sia da quello oggettivo.

Per quanto attiene all’oggetto del presente lavoro, la fattispecie del controllo eventuale è stata rimodulata dai commi 38 e 39 dell’art. 17 della legge 15/5/1997 n. 127, la quale ha limitato l’estensione delle deliberazioni ad esso assoggettabili, chiarendo che la presentazione della richiesta di controllo de qua determinava effetti sospensivi sull’esecutività del provvedimento [13].

La novità sostanziale della normativa risiedeva nel modo di superare i vizi che l’organo di controllo avesse evidenziato. La procedura delineata dal legislatore [14], infatti, non poteva comunque avere effetti demolitori del provvedimento giuntale o consiliare gravato a domanda, ma poteva solo e soltanto giungere ad un invito indirizzato all’ente a che o fosse modificato il contenuto delle deliberazioni, rispettivamente dell’uno o dell’altro organo, ovvero a che il suo contenuto fosse confermato dal consiglio dell’ente locale a maggioranza assoluta dei membri assegnati al collegio[15] [16].

La disposizione introduceva, inoltre, il principio della non necessarietà del comitato regionale di controllo quale parte della procedura. La complessa fase del controllo eventuale a richiesta dei consiglieri sulle deliberazioni della giunta o del consiglio dell’ente locale coinvolgeva il difensore civico e non l’organo tradizionale del riscontro di legittimità nel caso in cui l’ente locale lo avesse istituito.

Dall’ordinamento veniva poi espunta la fattispecie del controllo eventuale sugli atti della giunta ritenuti viziati da incompetenza  od assunti in violazione di atti fondamentali del consiglio, sul presupposto che quasi tutti gli atti prima ascritti alla sua competenza venivano trasferiti in blocco ai dirigenti od ai responsabili dei servizi, lasciando alla giunta solo la competenza, in quelle materie, all’assegnazione dei fondi mediante l’approvazione del piani esecutivi di gestione, ovvero di altri strumenti di assegnazione di budget ed obiettivi comunque denominati.

 

3.   La disciplina attuale.

La disciplina attuale in subiecta materia ha sostanzialmente mutuato i contenuti delle disposizioni succintamente evidenziate nella precedente partizione del lavoro, mantenendo nell’ordinamento tutti gli elementi di problematicità di ordine logico-giuridico evidenziati dalla dottrina più avveduta nella vigenza dell’art. 17, commi 38 e 39 della legge 15/5/1997 n. 127 [17].

Essi sono relativi sia alla complessa procedura delineata dall’ordinamento, nella quale è coinvolto solo in via eventuale un organo chiaramente individuato come organo di controllo, sia dalla normativa di settore, sia dall’art. 130 Cost., essendo i restanti soggetti che in essa compaiono o organi di amministrazione attiva, o organi, come il difensore civico, la cui natura sfugge ad una connotazione in termini dogmaticamente chiari allo stato della riflessione sulla materia.

Rispetto alla normativa previgente, l’unica differenza riscontrabile si rinviene nella formulazione delle disposizioni rilevanti, senza che i contenuti da esse enucleabili abbiano subito modificazioni di apprezzabili, se non in ordine alle materie per le quali la presente forma di controllo è attivabile [18]. Le disposizioni normative di cui è caso sono quelle degli artt. 127, commi 1 e 2 e 134, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 [19].

Gli elementi di problematicità in subiecta materia mettono capo alla necessità di sviluppare considerazioni in modo non semplice, ma almeno eptuplice. A ciascuno degli elementi coinvolti sarà dedicata una delle partizioni nel prosieguo del lavoro [20].

Per ragioni di completezza, sarà poi affrontata la materia dei controlli eventuali a richiesta degli organi di amministrazione attiva, cercando di individuare quali sono gli elementi differenziatori fra le due tipologie di riscontro.

Durante il prosieguo del lavoro si continuerà a fare uso della locuzione traslaticia “controllo eventuale” in relazione alla procedura attivabile a richiesta di un numero qualificato di consiglieri. Quanto appena evidenziato può apparire una puntualizzazione del tutto ultronea, ma tale non è; quello definito dal legislatore in tali termini, infatti, non è affatto un procedimento di controllo. Esso altro non è, giacché propriamente, è altro.

 

4. L’attivazione del controllo eventuale di legittimità ad opera dei consiglieri dell’ente locale.

Le deliberazioni del consiglio e della giunta comunale possono essere assoggettate al riscontro di legittimità, sempre al di fuori delle ipotesi di controllo necessario, nelle ipotesi previste dall’art. 127, 1 comma del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

E’ questa l’ipotesi del cosiddetto controllo a domanda il quale è circoscritto a precise ipotesi.

Dal punto di vista soggettivo, il controllo a domanda può essere attivato solo in presenza di una richiesta che provenga da un quarto di consiglieri, provinciali, o comunali per le province e per i comuni con popolazione eccedente i 15.000 abitanti, ovvero da un quinto dei consiglieri comunali, per comuni con popolazione al di sotto dei 15.000 abitanti.

La disposizione riproduce il contenuto dell’art. 17, commi 37 e 38 della legge 15/5/1997 n. 127, e non pone particolari problemi se non quello del calcolo del numero in concreto dei consiglieri necessari per rendere ammissibile l’istanza di sottoposizione a riscontro della deliberazione [21].

Quanto al computo del numero minimo dei consiglieri, occorre tenere presente che la ratio dell’istituto de quo è di favorire l’iniziativa delle minoranze consiliari. Per queste ragioni, qualora il computo di un quarto o di un quinto dei consiglieri conduca ad un numero decimale, l’arrotondamento non può che essere fatto per difetto [22].

 

5. I termini entro cui può essere presentata l’istanza.

Dal punto di vista della procedibilità, il controllo a richiesta è assoggettato al limite della contestuale prospettazione dei vizi di legittimità denunciati entro dieci giorni dall’affissione della deliberazione all’albo pretorio dell’ente, che coincide con il termine previsto per la formazione dell’esecutività ai sensi dell’art. 134, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

La ragione della fissazione di un termine a pena di improcedibilità, e quindi di decadenza dalla relativa potestà, è strettamente connessa alla previsione di cui all’art. 134, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, secondo il quale  la presentazione della richiesta di riscontro eventuale, di qualunque natura o tipologia essa sia, esplica effetti sospensivi sull’esecutività della deliberazione fino ad ultimazione della procedura di controllo.

Il termine, evidentemente, non è nella disponibilità delle parti, ed il momento del suo decorso iniziale coincide con la pura e semplice pubblicazione all’albo pretorio della deliberazione, ossia, per parafrasare il dato normativo, col giorno successivo a quello in cui è stata effettuata materialmente l’affissione all’albo pretorio del provvedimento collegiale dell’ente.

Entro dieci giorni da tale momento, deve essere prodotta l’istanza di sottoposizione a controllo eventuale. Nulla è desumibile in termini espliciti al fine di individuare il soggetto al quale tale richiesta deve essere indirizzata. Nel silenzio del dato legislativo, potrebbe essere sostenute la tesi dell’indifferenza dell’inqualificato, secondo la quale la richiesta può essere presentata alternativamente o cumulativamente tanto all’ente locale, quanto all’organo del riscontro [23].

La sostanza del problema non muta in termini dogmatici, in quanto se presentata all’ente locale, l’ufficio competente deve procedere all’immediata trasmissione del provvedimento al protocollo dell’organo tutorio, comunicando al servizio cui il provvedimento di riferisce che la sua esecutività è sospesa. Per contro, se la richiesta è indirizzata direttamente all’organo tutorio, questi dovrà prontamente dar di ciò comunicazione all’ente locale, affinché esso inibisca qualunque atto esecutivo che della deliberazione costituisca attuazione.

La tesi della fungibilità, peraltro, non è completamente soddisfacente, proprio perché non consente all’ente locale di governare i processi attuativi della deliberazione gravata da richiesta di controllo eventuale. Nel silenzio della norma, allora, pare decisamente preferibile considerare utile la presentazione della richiesta di riscontro solo all’ente locale, il quale dovrà procedere con la massima sollecitudine a trasmettere la deliberazione gravata all’organo tutorio, sospendendo, correlativamente, le procedure attuative subordinate all’esecutività della deliberazione, posto che il perfezionamento della procedura è chiaramente ricostruito quale onere a carico dell’ente locale il cui solo soddisfacimento consente la rimozione del peso rappresentato dagli effetti sospensivi dell’esecutività [24].

Quanto al soggetto destinatario degli obblighi di trasmissione del provvedimento all’organo tutorio, esso non può essere individuato nel segretario dell’ente locale  come si poteva ipotizzare nella vigenza dell’art. 52, comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142. Nell’attuale ordinamento, infatti, al segretario non competono più compiti comunque connessi all’esecuzione del contenuto delle deliberazioni, ma solo più sfumati poteri di coordinamento e sovrintendenza. L’istanza di assoggettamento a controllo eventuale, pertanto, non può che essere indirizzata al presidente dell’organo che ha adottato la deliberazione gravata, ossia al sindaco o al presidente della provincia per le deliberazioni della giunta, ed al sindaco o al presidente del consiglio, in funzione della consistenza demografica, dell’assetto organizzativo,  ovvero  della natura dell’ente [25].

 

6.   Le materie oggetto di possibile controllo eventuale su istanza dei consiglieri comunali.

Dal punto di vista oggettivo non tutte le deliberazioni della giunta e del consiglio sono assoggettabili a controllo di legittimità a richiesta. Dispone, infatti, l’art. 127, comma  1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 che siano riscontrabili in tale senso sono le deliberazioni che riguardino appalti d’opera pubblica, di pubblica fornitura o di pubblico servizio sempre che di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria (lett. a), dotazioni organiche e relative variazioni (lett. b), ovvero assunzioni di personale (lett. c).

Nei confronti della categoria del controllo a richiesta di un numero qualificato di consiglieri debbono essere avanzate precise puntualizzazioni, in quanto i casi in cui in pratica esso è attivabile sono in realtà assai meno di quanto possa sembrare di primo acchito, anche tenuto conto del fatto che buona parte delle materie de quibus sfuggono completamente alla competenza degli organi di governo, ed in particolare modo al consiglio dell’ente locale.

Così, in primo luogo, il consiglio è sicuramente incompetente in materia di personale, posto che l’ordinamento ascrive ad altri organi dell’ente la competenza all’adozione delle dotazioni organiche e delle loro variazioni, nonché a disporre le assunzioni. Ed infatti, la normativa si limita ad attribuire al consiglio comunale e provinciale la sola competenza all’adozione dei criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. a) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, mentre l’adozione delle deliberazioni che hanno ad oggetto le dotazioni organiche e le relative variazioni è demandata alla competenza delle giunta ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, comma 2, lett. a),  48, comma 3, e 89, comma 2, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Al consiglio comunale e provinciale, peraltro, sono ascritte ordinamentalmente competenze in materia di contratti quando la relativa materia non sia stata previamente disciplinata in precedenti atti fondamentali. In questo senso dispone l’art. 42, comma 2, lett. l) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che manda all’organo consiliare la competenza ad assumere deliberazioni in materia di acquisti, alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni, con le limitazioni sopra evidenziate. Il referente della disposizione è più ampio di quello dell’art. 127, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, posto che questo ha ad oggetto i soli contratti di appalto d’opera pubblica, di pubblico servizio e di pubblica fornitura il cui valore sia al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria, definita nei valori desumibili, rispettivamente, dall’art. 1 del D.Lgs. 19/12/1991 n. 406, dall’art. 1 del D.Lgs. 17/3/1995 n. 157 o dall’art. 1 del D.Lgs. 24/7/1992 n. 358, nel teso modificato dal D.Lgs. 20/10/1998 n. 402. Nell’ambito delle materie de quibus, poi, rientrano solo e soltanto gli atti consiliari fondamentali, e quindi solo quelli che hanno ad oggetto l’individuazione delle finalità cui le procedure attuative devono essere indirizzate e gli eventuali elementi vincolanti per l’azione amministrativa di esecuzione, posto che al consiglio sono comunque sottratte le competenze gestionali, quali i provvedimenti a contrattare, l’approvazione delle proposte di contratto e quant’altro condivida una tale natura. Nelle materie che qui interessano, l’organo consiliare deve limitarsi all’approvazione degli elementi essenziali del rapporto, eventualmente circoscrivendo l’ambito della discrezionalità tecnica ed amministrativa degli organi di gestione, senza poter peraltro scendere nei dettagli tecnici immanenti alle procedure ed agli atti esecutivi [26], che sono ascritti alla competenza funzionale dell’apparato burocratico dell’ente.

Quanto alla giunta dell’ente locale, valgono considerazioni sostanzialmente analoghe, poiché anche in questo caso, molte delle materie indicate dall’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 sono estranee all’ambito della sua competenza.

Così, in primo luogo, non rientra nella competenza della giunta l’avvio delle procedure ad evidenza pubblica nel molteplice modo in cui essa può essere attualizzata, in quanto all’ordinamento degli enti locali è ormai divenuta estranea la deliberazione a contrattare di cui all’art. 56, comma 1 del testo originario della legge  8/6/1990 n. 142. Tale disposizione, infatti, è stata modificata traslando le competenze de quibus in capo al responsabile del procedimento con l’art. 14, comma 1 della legge 3/8/1999 n. 265, disposizione ripresa dall’art. 192, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. E poiché al responsabile del servizio è ascritta anche la competenza all’approvazione degli atti di gara in tutte le circostanze in cui il relativo verbale non tiene luogo del contratto, ne segue che la previsione dell’art. 127, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è quasi completamente svuotata del proprio contenuto applicativo.

In secondo luogo, parimenti, è ultroneo il riferimento alle assunzioni di personale di cui alla lett. c) dell’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n.267, poiché esse non sono  disposte con provvedimento amministrativo, ma si perfezionano a seguito della stipulazione del contratto individuale di lavoro. E quand’anche così non fosse, l’eventuale atto amministrativo da adottare sarebbe pur sempre una determinazione dirigenziale e non una deliberazione, assunta in mera attuazione delle risultanze delle prove concorsuali o selettive avviate, sempre con provvedimenti gestionali sottratti alla competenza degli organi di governo.

In definitiva, l’unica materia nella quale il controllo eventuale a richiesta di un numero qualificato di consiglieri è di fatto ammissibile è quella connessa all’approvazione della consistenza della dotazione organica ed alle sue eventuali variazioni, atti che costituiscono una parte significativa del regolamento generale dell’ordinamento degli uffici e dei servizi, approvato dalla giunta dell’ente locale ai sensi e per gli effetti dell’art. 48, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

In conclusione, dal punto di vista oggettivo, il controllo eventuale de quo, nonostante sia previsto da una disposizione ampia nei suoi contorni, sfuma nei fatti fino a restringersi sostanzialmente ad uno solo dei tre ambiti delineati dall’ordinamento.

L’estensione della materia, relativamente alla quale la deliberazione è assoggettabile a controllo non è fine a sé stessa, perché si riflette su una molteplicità di istituti, quali ad esempio, la sindacabilità dell’amministrazione in ordine alla doverosità dell’invio all’organo di riscontro, e la sussistenza o meno dell’obbligo di comunicare le deliberazioni de quibus ai capigruppo consiliari non solo in elenco, ma anche nel loro testo completo, contestualmente alla loro affissione all’albo pretorio.

Con riferimento al primo ordine di problemi, non pare sia possibile dare corpo a soluzioni precostituite. A questo proposito, deve essere però evidenziato che la richiesta di attivazione di riscontro nei confronti di una deliberazione che non rientra nella casistica normativamente individuata configura un inammissibile aggravio procedimentale, posto che la richiesta di controllo sospende l’esecutività del provvedimento deliberativo, inibendo de iure la possibilità di  adozione degli atti gestionali che fossero eventualmente previsti dall’ordinamento [27], situazione, questa, inammissibile, che si presta ad atteggiamenti tuzioristici e speciosi che nulla hanno a che fare con la preservazione della correttezza nella gestione dei rapporti dialettici fra maggioranza di governo e minoranza consiliare [28]. Detto ciò, pare francamente inammissibile l’orientamento che, nel silenzio della normativa, esclude la possibilità di una delibazione prodromica in capo all’ente locale. L’intera vicenda deve essere ricostruita guardando al complesso dei valori immanenti all’ordinamento giuridico, i quali, ispirati al precetto fondamentale del buon andamento (art. 97 Cost.), non possono non contemperare il diritto all’espletamento della procedura di riscontro con la posizione giuridicamente apprezzabile dell’ente locale a non subire aggravi procedimentali speciosi e, come tali, del tutto ingiustificati sul piano del bilanciamento degli interessi [29]

In definitiva, la richiesta di assoggettamento a controllo di una deliberazione che non rientra nell’elencazione tassativa di cui all’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 dovrebbe essere dichiarata puramente e semplicemente inammissibile dall’amministrazione che la riceve, e non trasmessa all’organo del riscontro, perché priva di un presupposto essenziale che ha valore di vera e propria condizione di ammissibilità [30]

Con riferimento al secondo ordine di problemi, peraltro strettamente connesso al primo, e di attualità solo in quanto si sia in presenza di un provvedimento giuntale, è di tutta evidenza che confondere le deliberazioni assoggettabili a riscontro eventuale con le restanti deliberazioni, comunicate per elenco e non nel loro testo ai capigruppo secondo quanto previsto dall’art. 125 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 costituisce una flagrante menomazione dei diritti dei consiglieri, i quali devono poter fare assegnamento sull’intero termine di dieci giorni per esaminare i contenuti dei provvedimenti ed enucleare i relativi motivi di lagnanza con cui supportare la richiesta di riscontro. Per le deliberazioni soggette a controllo eventuale, pertanto, sembra doveroso che di esse siano trasmesse, contestualmente all’affissione all’albo pretorio nel loro testo integrale. La materia può trovare disciplina nello statuto e nei regolamenti dell’ente locale, come, del resto, è previsto dalla stessa disposizione da ultimo citata [31].

 

7.  Il circoscrivimento delle ragioni dell’illegittimità.

A differenza di quanto accade per i controlli a domanda esperiti dalla giunta ai sensi dell’art. 127, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, le richieste di assoggettamento a riscontro ai sensi del primo comma incontrano il limite della previa allegazione dei motivi di lagnanza, enucleando per la procedura in esame il divieto di ultrapetizione che presiede alla conduzione dei processi civili, ispirati al potere dispositivo delle parti, in base al quale iudex iudicare debet secundum allegata et probata partium [32].

Detto in altri termini, la richiesta di riscontro da parte dei consiglieri deve essere supportata dall’evidenziazione e dalla rappresentazione di motivi di illegittimità, dando corpo ad un’istanza scritta e motivata con indicazione delle norme violate.

Da ciò discende pianamente che è del tutto inammissibile una richiesta che sia affatto priva dell’indicazione dei motivi e delle ragioni dell’illegittimità lamentate.  Del tutto inammissibile, poi, è il mero richiamo a ragioni di illegittimità senza rappresentazione dei relativi motivi, in quanto la pura e semplice enunciazione della non conformità alle norme resa con formule di stile non vale a circoscrivere il sindacato dell’organo tutorio in modo alcuno.

Detto questo, e fermo restando che le norme violate sono quelle genericamente indicate dall’art. 133 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, le ragioni della lagnanza possono essere rappresentate in vario modo, e quindi attraverso l’autonoma loro ricostruzione in punto di diritto, ovvero mediante il richiamo a pareri di irregolarità tecnica o tecnico-contabile che fossero stati resi dai responsabili dei servizi ai sensi dell’art. 49, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 [33], ovvero ancora in altro modo, purché idoneo a soddisfare la necessità a che una rappresentazione del contenuto contra ius della deliberazione sia effettivamente fornita.

Anche in questo caso, dovrebbe essere possibile da parte dell’ente locale, cui la richiesta di riscontro è indirizzata, poter procedere all’autonoma dichiarazione di inammissibilità nel caso in cui manchino completamente i motivi e le ragioni dell’asserita illegittimità: valgono, però, anche qui le considerazioni già espresse nel punto 6 del lavoro.

 

8.   Il soggetto che esercita il controllo. Problemi concreti.

Quanto al soggetto che esercita il riscontro di legittimità, va osservato che esso è effettuato dal comitato regionale di controllo solo nell’ipotesi in cui l’ente locale non abbia istituito il difensore civico [34], nel qual caso l’intera procedura è di competenza di quest’ultimo.

Con riferimento alla presente partizione del lavoro non vi è nulla di particolare da osservare se non con riferimento a due  ordini di problemi. Essi riguardano, in primo luogo l’opportunità di affidare la titolarità di parte della procedura de qua ad un organo di nomina politica, posto che il difensore civico è organo eletto (rectius: nominato) seguendo le procedure indicate dallo statuto dell’ente locale [35] [36], mediante le quali, sostanzialmente, l’ente locale individua e retribuisce il proprio controllore.

Essi afferiscano, in secondo luogo, alla natura dei termini entro i quali l’organo del riscontro deve invitare l’ente locale alla rimozione dei vizi di illegittimità riscontrati.

A questo proposito non pare che possa essere utilmente seguita la tesi secondo la quale il termine di quindici giorni previsto dalla norma ha mera funzione indicativa ed ordinatoria, posto che in tal caso l’organo tutorio sarebbe arbitro del consolidamento dell’esecutività della deliberazione gravata. Il termine di quindici giorni indicato dall’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è, pertanto, termine perentorio, il cui vano decorso non può non determinare la consumazione del potere di provvedere, e quindi il consolidamento dell’esecutività della deliberazione avviata al riscontro [37].

 

9.  L’iter procedurale in concreto. La natura giuridica della deliberazione di conferma e della deliberazione della rimozione dei vizi riscontrati

A differenza del controllo necessario e del controllo eventuale a richiesta del prefetto attivabile ai sensi dell’art. 135, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, in cui il controllo del comitato regionale ha efficacia inibente e demolitiva, nella richiesta di riscontro eventuale l’organo tutorio interviene nella procedura con meri fini ausiliativi, dovendosi limitare solo e soltanto ad indicare presunte illegittimità della deliberazione dell’ente locale sub iudice.

La logica sottesa alla procedura avviata a seguito della richiesta di controllo eventuale non è semplice, ma duplice, posto che l’ente locale, ricevuto il referto da parte dell’organo del riscontro, può o eliminare i vizi di legittimità della deliberazione, ovvero confermare il contenuto dispositivo del provvedimento.

Proprio le modalità di raccordo fra l’intervento dell’organo tutorio e gli organi dell’ente locale gravato configurano evidenti elementi di frizione e di problematicità che circondano l’intera materia dei controlli de quibus, e che contribuiscono a renderne fortemente dubbia la natura giuridica in tali termini.

In primo luogo, non è chiara la natura giuridica della procedura, nella quale un organo di controllo interviene non con effetti inibenti, ma con una mera proposta di rettifica del contenuto dispositivo di una deliberazione, indicando correlativamente i vizi da eliminare, individuati, peraltro, fra quelli indicati nella richiesta di assoggettamento a riscontro [38].

L’analisi della complessa vicenda consente, in astratto, di configurare non una, ma due tesi alternative.

Secondo una prima tesi, la procedura individuata dall’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha natura di procedimento di controllo [39], sia pure a formazione complessa. La tesi trae conclusioni francamente inammissibili argomentando a partire dalla mera rubrica dell’art. 127, senza tenere in alcun conto della natura dell’istituto dal punto di vista dogmatico e della connessione dei passaggi in cui esso si articola. Il riferimento alla rubrica, per contro, è indice della confusione che circonda l’istituto sul piano ordinamentale, che altro non è di controllo giacché, propriamente, è altro, come si cercherà di argomentare nel prosieguo del lavoro.

Per mere ragioni di completezza, peraltro, deve essere rimarcato che se il procedimento de quo avesse realmente natura di procedimento di controllo, i provvedimenti di eliminazione dei vizi riscontrati o di conferma della deliberazione gravata sarebbero efficaci a partire dal momento della loro stessa adozione, condividendo la natura di atti tutori, e realizzando gli effetti della recetizietà ipso iure. Ciò, inoltre, determinerebbe l’inutilità della votazione di immediata eseguibilità della  deliberazione di perfezionamento della relativa procedura, nonché la non sottoponibilità a riscontro dei provvedimenti dell’ente locale. Non la deliberazione consiliare di conferma, in quanto esclusa dal novero delle deliberazioni di cui all’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. Non la deliberazione di giunta con cui viene accolta l’osservazione dell’organo tutorio, in quanto a tale provvedimento sarebbe estranea  la natura giuridica provvedimento di amministrazione attiva.

Per una seconda tesi, che qui si vuole accreditare, la procedura complessa enucleata dall’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 presenta tutte le caratteristiche di complesso procedimento in via di autotutela amministrativa, articolato in modo non semplice ma triplice, e quindi in tre momenti di cui il primo di richiesta, che opera come atto di impulso, il secondo di natura paraconsultiva, il terzo propriamente di amministrazione attiva.

Secondo la tesi che si propone, il complesso procedimento de quo ha la propria scaturigine in un atto di impulso, la richiesta di assoggettamento a riscontro, debitamente predisposta dal punto di vista formale, il cui contenuto vale a circoscrivere i poteri sostanzialmente consulenziali dell’organo tutorio, ossia del comitato regionale di controllo o del difensore civico ove costituito. Questi ultimi, qualora ravvisino fondati i motivi di illegittimità denunciati, invitano l’ente locale ad  intervenire sul provvedimento originario mediante atti a contenuto variabile, ma tipici per natura, sostanzialmente riconducibili  a provvedimenti di convalescenza o di annullamento di ufficio, entrambi adottati in via di autotutela amministrativa, fermo restando che l’ente può comunque mantenere il provvedimento originario con un atto di conservazione: la conferma consiliare [40].

Com’è facilmente intuibile, il modo dell’esercizio dell’autotutela è una variabile dipendente del contenuto dell’invito rivolto all’ente locale da parte dell’organo del riscontro, pur movendosi nell’ambito di procedimenti amministrativi di secondo grado [41]

Così, in primo luogo, se quest’ultimo evidenzia una completa illegittimità del provvedimento, l’ente locale, salvo il caso della conferma di cui si dirà nel prosieguo, può solo procedere all’annullamento d’ufficio della deliberazione, atto che deve essere adottato dallo stesso organo che ha assunto il provvedimento originario. Nell’ambito della presente procedura, infatti, non vi è spazio per ipotesi di annullamento d’ufficio eteronome, le quali, come è noto,  sono limitate ai casi di annullamento gerarchico od annullamento governativo, situazioni escluse nel caso di specie [42].

In secondo luogo, se l’organo del riscontro individua vizi di legittimità che possono essere rimossi, l’ente locale, salvo sempre il caso della conferma, può procedere all’adozione di un atto di convalescenza della deliberazione originariamente gravata, eliminando i vizi riscontrati, mantenendone il dispositivo nella parte in cui esso è logicamente supportato dal preambolo della deliberazione così come modificata.

Il provvedimento di autotutela in questione è sostanzialmente riconducibile all’istituto della convalida, la quale, come è noto,  nell’ambito di un procedimento di riforma-riesame [43] comporta “l’emanazione di un provvedimento nuovo ed autonomo, di carattere costitutivo, il quale però si ricollega all’atto convalidato, al fine di mantenerne gli effetti, fin dal momento in cui esso venne emanato” [44]. A questo proposito, non deve essere dimenticato che il provvedimento de quo aderisce all’atto convalidato, consolidandolo, e conservandone gli effetti intermedi anche per il periodo di pendenza della procedura, che decorre dalla data di emanazione dell’atto invalido, e si conclude con quello della sua convalida. Tutto ciò, beninteso, sempre che il vizio che affligge il provvedimento originario non sia di natura sostanziale e come tale ineliminabile [45]. Per poter procedere a convalida, devono evidentemente, ricorrere tutti i requisiti previsti in via generale per l’attivazione dell’istituto, ossia che la deliberazione sia annullabile e non radicalmente nulla [46], che l’atto non sia già stato colpito da precedente annullamento, e che l’organo che ha adottato l’atto da convalidare sia ancora titolare del potere di procedere e provvedere, situazioni, queste, tutte presenti nel caso di specie [47].

Più complesso è il caso della conferma della deliberazione della giunta o del consiglio dell’ente locale nei cui confronti sia stata attivata la procedura di cui è caso.

Alla conferma della deliberazione gravata l’ente locale può giungere, semplificando con ciò l’alternativa ordinamentalmente prevista dall’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, qualora non intenda procedere all’eliminazione dei vizi indicati dall’organo tutorio, ponendo in essere un provvedimento di vera e propria conservazione [48].

Con la conferma [49] l’ente locale mantiene il provvedimento asserito illegittimo, non modificandone il contenuto dispositivo, perché riconosciuto conforme alle norme. Nella deliberazione di conferma, pertanto, è presupposto un giudizio positivo in ordine al contenuto del provvedimento originario, con l’ulteriore conseguenza che, confermandolo, l’ente locale implicitamente statuisce sulla non necessità di modificarne il contenuto [50].

Nel caso di specie, la conferma della deliberazione originariamente gravata presenta elementi di problematicità poiché l’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha mandato indiscriminatamente alla competenza del consiglio dell’ente locale l’adozione del provvedimento de quo, senza tenere in debito conto che fra i presupposti del presente atto di conservazione figura proprio la medesimezza della competenza a procedere ed a provvedere [51].

Prevedendo la competenza all’adozione della deliberazione di conferma in capo al consiglio dell’ente locale anche nel caso in cui il provvedimento originario era di competenza giuntale, il legislatore ha forse inteso sollecitare una presa di posizione particolarmente autorevole da parte dell’ente locale, finendo, però, con l’impingere gravemente nel principio di incomunicabilità ed insovrapponibilità delle competenze deliberative, che ispira tutte le relazioni istituzionali fra organi.

Resta il fatto che in forza dell’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, il consiglio interviene nell’ambito di una procedura complessa, nell’esplicazione di poteri di autotutela amministrativa, adottando in via generalizzata un provvedimento che non implica il riesame del provvedimento gravato se non per ribadire che i supposti vizi di legittimità evidenziati dall’organo di riscontro non hanno pregio. La conferma, in questo modo, non può, né deve presupporre una nuova istruttoria ed un nuovo apprezzamento dei fatti, perché in caso contrario l’ente locale adotterebbe un provvedimento nell’ambito di un procedimento differente per natura e struttura. La conferma, proprio in quanto atto che esclude differenti apprezzamenti discrezionali e differenti ponderazione dei fatti coinvolti nel procedimento, aderisce al provvedimento confermato, consolidandone gli effetti ex tunc, questo essendo l’effetto costitutivo tipico del presente procedimento di riesame [52].

Questa considerazione è particolarmente importante per dare senso alla locuzione in cui si sostanzia l’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, secondo cui la deliberazione acquista efficacia se viene confermata dal consiglio comunale con la maggioranza dei membri assegnati al collegio. La disposizione fa riferimento all’acquisizione dell’efficacia, subordinandola all’adozione del provvedimento di conferma, ma non dice alcunché in ordine al termine a partire dal quale decorrono gli effetti giuridici dell’efficacia conseguita.

Allo scopo, tenendo conto della natura giuridica dell’atto di conferma, che, come è stato evidenziato, è provvedimento adottato nell’esplicazione di poteri di autotutela, occorre distinguere fra due ipotesi. Così, se la deliberazione gravata non era munita di clausola di immediata eseguibilità, l’efficacia del provvedimento retroagisce al momento dello scadere dei dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio, termine generale per la formazione dell’esecutività delle deliberazioni in generale [53]. Per contro, se la deliberazione originariamente gravata era munita di clausola di immediata eseguibilità, l’atto confermativo consolida gli effetti medio tempore prodotti, contribuendo a  renderli intangibili se non previo annullamento in sede giurisdizionale, posto che essa non produce effetti innovativi quanto a contenuto, ma mira a  conservare gli effetti di un precedente provvedimento, i quali ad esso ed ad esso soltanto si ricollegano [54].

Quanto alla deliberazioni consiliare di conferma deve essere ancora detto alcunché in relazione a due specifici ordini di problemi. Il primo riguarda la sua esecutività, la quale viene conseguita in applicazione delle usuali regole che ne disciplinano la formazione, ossia decorso il decimo giorno dall’avvenuta affissione all’albo pretorio, salvo sempre il caso della dichiarazione dell’immediata eseguibilità. Tutto ciò, beninteso, non impinge minimamente sulla retroazione degli effetti della deliberazione consiliare di conferma al momento dell’adozione della deliberazione originariamente gravata [55]. Il secondo riguarda la possibilità di richiedere l’assoggettamento a riscontro della deliberazione di conferma. La possibilità è esclusa a contrario, osservando semplicemente che un tale provvedimento non rientra nell’elencazione di cui all’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

La deliberazione di conferma, però, è assoggettabile a controllo vero e proprio a richiesta della giunta dell’ente locale, ai sensi dell’art. 127, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, anche se è difficile ipotizzare che una tale situazione si verifichi in concreto. 

 

10.  Gli effetti sospensivi dell’esecutività della deliberazione gravata.

Quella della sospensione dell’esecutività delle deliberazioni gravate da controllo eventuale è una delle problematiche più serie dell’intera materia comunque connessa al controllo eventuale tout court, e come tale deve essere attentamente valutata dal punto di vista sia dogmatico, sia, forse e soprattutto, logico-giuridico.

La disposizione rilevante in subiecta materia è l’art. 134, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, secondo il quale “nel caso di deliberazioni soggette a controllo eventuale la richiesta di controllo sospende l’esecutività delle stesse fino all’avvenuto esito del controllo”.

La disposizione, nella sua pura e semplice formulazione letterale, è paradossale, soprattutto se si tiene presente che da più parti si sostiene che dinnanzi a richieste di controllo eventuale intempestive o comunque afferenti a materie estranee all’elencazione tassativa di cui all’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 all’ente locale non residua alcun potere di delibazione preventiva in ordine alla sua ammissibilità [56] .

La disposizione deve essere saggiata in ordine alle relazioni che sussistono dal punto di vista ordinamentale fra dichiarazione di immediata eseguibilità e richiesta di assoggettamento a riscontro.

Analizzato dal mero punto di vista letterale, il combinato disposto degli artt. 134, comma 2 e 127, commi 1 e 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 appalesa appieno la propria assoluta distanza dai canoni del buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 cost.) e dal principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), che, come è noto, sono valori costituzionali che, se in predicato di violazione, devono imporre interpretazioni ortopediche  e nomofilattiche delle disposizioni legislative, proprio per preservarne la conformità al dettato costituzionale.

L’argomento della necessaria sospensione dell’esecutività della deliberazione gravata da controllo eventuale incontra un primo ordine di limiti di ordine puramente logico, il quale non può non condizionare l’intera problematica dei controlli eventuali [57].

Ciò cui si intende fare riferimento è un curioso caso di autoreferenzialità distruttiva ed assolutamente inibente che si verifica quando sia la giunta dell’ente locale a richiedere la sottoposizione a controllo della propria deliberazione. In questo caso, a ben vedere, la deliberazione è assolutamente inesitabile, in quanto se davvero la sospensione dell’esecutività discende dalla pura e semplice richiesta di controllo, allora la deliberazione nel cui dispositivo è contenuta la richiesta di riscontro eventuale non può in alcun modo essere eseguita, proprio in ragione degli effetti del controllo richiesto. Infatti, poiché l’invio al riscontro è parte dell’esecuzione proprio della deliberazione autogravata, ne segue che essa non può comunque essere avviata all’organo tutorio, proprio perché inibita nella possibilità di esecuzione. Per poter essere attuata, sia pure in parte qua, la deliberazione non può che essere dichiarata immediatamente eseguibile ai sensi dell’art. 134, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, ma ciò è contestato dalla dottrina che si è formata sul punto [58].

Ciò consente di concludere che fra immediata eseguibilità ed esecutività della deliberazione assoggettata a controllo eventuale non sussiste una relazione di mutua esclusività, ma di mera complementarietà, almeno dal punto di vista logico-formale. Da quanto appena elucidato discende de plano che non può sussistere alcuna efficacia inibente dell’immediata esecutività a seguito dell’attivazione della richiesta di controllo eventuale, neppure nel caso in cui esso sia attivato ai sensi dell’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, talché la relativa contrapposizione deve essere abbandonata modo tollendo tollens.

Dal punto di vista dogmatico, resta da vedere se davvero la richiesta di controllo eventuale esplichi sempre e comunque effetti inibenti sulla possibilità di portare ad esecuzione la deliberazione gravata anche in presenza di una distinta e separata dichiarazione di immediata eseguibilità da parte dell’organo che l' ha adottata.

In questa sede non giova rammentare che l’esecutività è cosa diversa dall’eseguibilità [59]; per contro deve essere rimarcato che la previsione della clausole di immediata eseguibilità consente comunque di portare ad esecuzione la deliberazione, in quanto quella è condizione di per sé sufficiente di questa, indipendentemente dall’operatività di una procedura di controllo purchessia, trasformando, in tal caso, il controllo da preventivo a successivo in attuazione dei ben noti principi consolidati dalla tradizione in materia di controllo.

D’altro canto, anche a volere ricostruire la presente fattispecie in termini di controllo, in presenza di deliberazioni assoggettate a controllo necessario, nessuno ha mai revocato in dubbio che l’apposizione della clausola di immediata eseguibilità sia in qualche modo toccata dal procedimento di riscontro in corso, essendo palese che la piena esecutività della deliberazione si consegue per effetto del superamento del controllo comunque da effettuarsi, potendo peraltro l’atto essere portato ad esecuzione medio tempore [60], fermo restando che, in caso di esito avverso, incombe sull’ente locale l’obbligo di eliminare gli effetti che a seguito dell’adozione cionondimeno dell’atto si fossero concretizzati [61].

In definitiva, dall’esame della normativa di riferimento, e più in particolare dell’art. 134, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, si può concludere che la locuzione “sospende l’esecutività” riferita alla richiesta di controllo eventuale è usata in senso metonimico ed ellittico, ed equivale semanticamente alla più comprensibile locuzione “sospende i termini di esecutività”, identica nelle conseguenze a quella che si suole riferire al modo di operare del procedimento di controllo sulle deliberazioni assoggettate a controllo necessario. Qui, infatti, lo svolgersi del controllo ha proprio quale effetto tipico quello sospendere il perfezionamento dell’esecutività, così come lo dilata la richiesta di ulteriori chiarimenti o elementi di giudizio ai sensi dell’art. 133, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

I termini del discorso non mutano, ma si semplificano se, come si è proposto, la natura giuridica della complessa procedura in argomento viene ricostruita in termini di esercizio di attività di autotutela amministrativa, nella quale interviene con finalità meramente prodromiche e comunque consulenziali un soggetto terzo che solo casualmente opera nell’ordinamento in qualità di organo di controllo.

Gli effetti della richiesta di assoggettamento a riscontro da parte dei consiglieri, in definitiva, sospendono il termine di dieci giorni dalla pubblicazione della deliberazione all’albo pretorio, decorso il quale il provvedimento diviene esecutivo, ma non valgono ad impingere negli effetti della eventuale dichiarazione di immediata esecutività di cui all’art. 134, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, proprio perché questa è una condizione normativamente prevista dall’ordinamento per anticipare non l’esecutività, ma proprio l’efficacia del provvedimento.

Detto ciò, non sembra affatto logico né ragionevole prevedere effetti deteriori o preclusioni nei confronti di provvedimenti il cui oggetto è costituito da atti di minore importanza, quali sono quelli dell’elencazione di cui all’art. 127, comma 1, che oltre a tutto deve essere depurata da elementi inconferenti, ponendo le basi per la configurazione di relazioni patologiche e paralizzanti per la vita degli enti locali nel senso indicato in precedenza nel corso del presente lavoro.

In conclusione, dall’analisi della normativa de qua non emergono elementi che possano indurre a ritenere che la richiesta di controllo eventuale, in una delle sue forme possibili, abbia effetti inibenti anche nei confronti della clausola di immediata eseguibilità che fosse stata apposta alla deliberazione con distinta e separata votazione ai sensi dell’art. 134, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, clausola, per giunta, prevista in via generale per rendere più spedita l’azione della pubblica amministrazione, con ciò attualizzando i noti principi di efficacia ed efficienza indicati come ulteriori elementi costitutivi di un’azione amministrativa legittima di diretta derivazione del combinato disposto degli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Resta il fatto che secondo il dato letterale dell’art. 127, comma 2 del D Lgs. 18/8/2000 n. 267 l’adozione della deliberazione di conferma consiliare pare essere l’unica condizione prevista dall’ordinamento per l’acquisto dell’efficacia della deliberazione originariamente gravata. La relativa disposizione non può essere letta isolatamente, ma deve essere inserita in un contesto sistematico più ampio al quale è propria l’intera tematica dell’efficacia delle deliberazioni degli enti locali, elemento portante della quale è anche la possibilità di munire tali provvedimenti di immediata esecutività per norma generale.

L’acquisto dell’efficacia della deliberazione originariamente gravata, in altri termini, non può essere deciso guardando solo all’art. 127,comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, ma  deve essere compiutamente analizzato  guardando alla complessa trama dell’ordinamento. In questo modo, quindi, la conferma consiliare perfeziona dal punto di vista degli effetti un procedimento amministrativo complesso, conferendo efficacia ad un precedente provvedimento se ed in quanto ad esso non fosse propria per altre ragioni ed ad altro titolo.

Del resto, dall’analisi letterale dell’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 non è possibile trarre affatto argomenti decisivi di sorta, poiché se effettivamente il legislatore avesse inteso configurare la deliberazione consiliare di conferma quale unica condizione necessaria per il conferimento dell’efficacia della deliberazione originariamente gravata avrebbe formulato altrimenti la relativa disposizione, prevedendo non già che la deliberazione originariamente gravata “acquista efficacia se viene confermata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il consiglio”, ma che l’efficacia del primo provvedimento è conseguibile “solo” a seguito della conferma consiliare.

 

11.  Il controllo di legittimità a richiesta della giunta dell’ente locale.

L’analisi del controllo eventuale a richiesta degli organi di amministrazione attiva non presenta particolari problemi logico-giuridici di sorta, in quanto improntato a sufficiente chiarezza sia procedurale, sia connessa al sua ambito di operatività.

Quanto alla procedura, l’art. 127, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha espressamente previsto che l’iter da seguire per perfezionare la fase integrativa dell’efficacia del provvedimento deliberativo sia solo e soltanto quella delineata dall’art. 133. Il controllo sul contenuto del provvedimento deliberativo è quindi indefettibilmente affidato al comitato regionale di controllo, secondo le regole delineate per il riscontro di legittimità necessario [62].

Nulla è detto circa il termine entro cui devono essere trasmesse all’organo di controllo le deliberazioni dell’ente nei cui confronti la giunta ha esperito la richiesta di assoggettamento a riscontro. Nel silenzio della norma, l’unico riferimento ammissibile è costituito dall’art. 134, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, secondo cui la richiesta di controllo esperita nei confronti delle deliberazioni soggette a controllo eventuale sospende i termini della loro esecutività fino all’ultimazione della relativa procedura. Seguendo quest’orientamento, pertanto, ed anche al fine di evitare aggravamenti procedimentali inutili, la deliberazione dell’ente nei cui confronti la giunta abbia richiesto il controllo deve essere trasmessa all’organo tutorio nel più breve tempo possibile.

Quanto alle materie, deve essere segnalato che l’art. 127, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha notevolmente ampliato il dominio delle deliberazioni che possono essere assoggettate a controllo eventuale da parte degli organi di amministrazione attiva, peraltro mantenendo la legittimazione all’avvio della procedura solo e soltanto in capo alla giunta dell’ente locale.

Al consiglio, per contro, è preclusa la possibilità di richiedere l’assoggettamento a controllo sia delle deliberazioni della giunta, sia delle proprie deliberazioni.

La ragione del divieto è di natura logico-giuridica, o più propriamente di tipo sistematico, e deve essere ricercata nel progressivo restringimento dell’ambito del controllo sui provvedimenti del consiglio dell’ente locale, i cui atti sono soggetti a riscontro solo e soltanto nei termini indicati dall’art. 126, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, senza possibilità di estensione, salvi i casi di cui all’art. 127, comma 1.

Quanto alla ragione del divieto di richiedere l’assoggettamento a controllo delle deliberazioni della giunta, essa deve essere ricercata nella necessità di preservare gli equilibri istituzionali fra i due organi e nella tendenziale inassoggattabilità a  riscontro tutorio delle deliberazioni della giunta in genere [63].

Con riferimento alla giunta, essa, a differenza di quanto accadeva nella vigenza dell’art. 17, comma 34 della legge 15/5/1997 n. 127, può richiedere il riscontro di legittimità non solo nei confronti delle proprie deliberazioni, ma anche di quelle del consiglio comunale, al di fuori delle ipotesi di controllo necessario, come si ricava agevolmente dal confronto delle due disposizione e dalla loro analisi attraverso i comuni canoni di ermeneutica giuridica.

Nella formulazione del testo dell’art. 127, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, infatti, compare il riferimento generico alle deliberazioni dell’ente, e non più alle deliberazioni che le giunte intendono di propria iniziativa sottoporre all’organo tutorio [64]. La conclusione cui si perviene in via sistematica stride con il più volte evidenziato principio dell’assottigliamento delle deliberazioni del consiglio soggette a controllo necessario, e può condurre a risultati aberranti nella gestione di una corretta relazione fra organi istituzionali [65]. Proprio per questa ragione, il Consiglio di Stato in adunanza generale ha espresso forti dubbi e perplessità sull’estensione della legittimazione a richiedere il controllo sulle deliberazioni consiliari da parte della giunta [66]. Il legislatore delegato, peraltro, non ha affatto tenuto conto del parere del massimo organo consultivo nella sua formazione più autorevole, ed è andato di contrario avviso, consentendo, di fatto, il configurarsi di situazioni di conflitto i cui effetti sono facili da preconizzare.

Il controllo eventuale così attivato viene condotto nell’ambito delle usuali coordinate del controllo di legittimità tradizionalmente inteso, potendo sfociare o nella negazione del visto al provvedimento collegiale, ovvero nel perfezionamento della sua esecutività.

Per l’attivazione del controllo eventuale a richiesta della giunta dell’ente locale non è prevista la denuncia dei supposti vizi di legittimità. Ciò si ricava agevolmente dal confronto fra la disposizione in esame e quella che, per contro, enuclea la differente fattispecie del riscontro eventuale a richiesta dei consiglieri.

Tutto ciò, unitamente al fatto che l’intero procedimento è comunque gestito da un organo tutorio, salvi i soli chiarimenti ed ulteriori elementi di giudizio, lascia chiaramente intendere che la procedura de qua mette capo ad un vero e proprio procedimento di controllo, situazione dimostrata dal fatto che il comitato regionale agisce con i poteri e le prerogative di cui all’art. 133 dal D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, senza limitazioni di sorta in ordine alla completa esplicazione delle proprie potestà.

 

12. La funzione consulenziale dei comitato regionale di controllo.

Se le problematiche connesse al controllo eventuale da esercitare sulle deliberazioni degli enti locali territoriali presentano elementi di iato tali da renderne consigliabile la totale espunzione dall’ordinamento giuridico, neppure il servizio di consulenza offerto dai comitati regionali di controllo è esente da mende.

La fattispecie è prevista dall’art. 129 del D.Lgs.18/8/2000 n. 267, il quale la prevede in forma ottativa e non necessaria, con una formulazione la cui innocenza tradisce nei fatti la pericolosità dell’istituto se non correttamente inquadrato dal punto di vista dogmatico e delle conseguenze che esprime.

La disposizione non è una filiazione naturale della tradizione, ma la pura e semplice riproduzione di un’analoga previsione contenuta in una normativa recente, e precisamente l’art. 17, comma 35 della legge 15/5/1997 n. 127.

Secondo l’art. 129 del D.Lgs. 18/8/2000  n. 267 “possono essere attivati nell'ambito dei comitati regionali di controllo servizi di consulenza ai quali gli enti locali possono rivolgersi al fine di ottenere preventivi elementi valutativi in ordine all'adozione di atti o provvedimenti di particolare complessità o che attengano ad aspetti nuovi dell'attività deliberativa. La regione disciplina con propria normativa le modalità organizzative e di espletamento dei servizi di consulenza”.

La disposizione deve essere attentamente analizzata dal punto di vista letterale, circoscrivendone la portata e tenendo conto che il comitato regionale di controllo che opera in veste consulenziale è lo stesso organo che agisce, di volta in volta  nell’ambito di procedimenti di controllo necessario o di controllo o riscontro eventuale attivabili il primo su istanza della giunta e del prefetto, ed il secondo a richiesta dei un numero qualificato di consiglieri comunali, quasi sempre ascritti ai ruoli della minoranza.

Detto ciò, l’attivazione delle funzioni consulenziali dei comitati regionali di controllo presuppone, in primo luogo, che la regione attualizzi la possibilità di attivazione di  tale servizio, compiendo un atto avente natura organizzatoria. Con tale atto, che non può che essere un atto avente forza di legge che operi nell’ambito della cornice delineata dalla norma in esame, la regione non può limitarsi a prevedere l’attivazione del servizio consulenziale, ma deve normare il procedimento nell’ambito del quale esso viene reso.

Ciò può essere argomentato osservando che la regione, ai sensi proprio dell’art. 129 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 deve disciplinare con propria normativa le modalità organizzative e di espletamento dei servizi di consulenza, fattispecie che ricomprende l’individuazione dei soggetti legittimati ad attivare le funzioni consulenziali, i tempi nei quali devono essere rilasciati i relativi referti nonché le relazioni procedimentali che intercedono fra l’ente locale richiedente ed il comitato regionale di controllo.

I servizi di consulenza ai quali gli enti locali possono rivolgersi, una volta previsti dalla legge regionale, non possono afferire alla generalità delle problematiche possibili, ma devono necessariamente essere circoscritti ratione materiae ad ambiti dello scibile giuridico positivamente connotati o dalla particolare complessità, ovvero dalla novità degli argomenti in cui si compendia l’attività deliberativa dell’ente locale. Il fine dell’attivazione dei poteri di consulenza del comitato regionale di controllo, poi, non è indefinito, ma si sostanzia nel fornire preventivi elementi di giudizio in ordine all’esercizio dell’attività degli enti stessi.

La formulazione della disposizione presenta evidenti elementi di disomogeneità e caratteri di ridondanza, i quali tutti consento di enucleare elementi di problematicità dell’istituto.

Così, in primo luogo, è del tutto pletorico ancorare l’attivazione di un servizio di consulenza alla finalità di fornire elementi di giudizio, giacché la funzione di rischiaramento dell’attività di amministrazione attiva è, per usare una metafora elettrotecnica, immanente alla funzione di cui si discute: l’eccesso di illuminazione che traspare dalla formulazione della disposizione in esame è, pertanto, del tutto inutile, e finisce con gettare ombre in nuce sulla portata dell’istituto in esame.

Dalla formulazione della disposizione appare evidente che differente è oggetto del rischiaramento cui l’esercizio delle funzioni  consulenziali è finalizzato, giacché esso può essere relativo tanto all’adozione di atti o provvedimenti di particolare complessità, quanto ad ambiti deliberativi che siano connotati dall’elemento della novità.

Dalla disposizione traspaiono sia evidenti elementi di sopravalutazione della  portata dell’istituto, sia incongruenze sul piano ordinamentale.

Gli elementi che baricentrano la norma sono senza dubbio di sicura presa emotiva, anche perché dalla loro attualizzazione gli enti locali possono facilmente trarre conseguenze in termini di economicità, e quindi di risparmio di spesa.

Da essi, peraltro, gli enti locali possono trarre conseguenze non del tutto ortodosse, specie se riferite alla loro dialettica con l’ufficio del segretario comunale o provinciale, che, secondo quanto disposto dall’art. 97 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è titolare proprio di un’ampia funzione consulenziale nei confronti di tutti gli organi che nella struttura dell’ente stesso sono immedesimati, e quindi non solo del capo dell’amministrazione, della giunta e del consiglio, ma anche dei dirigenti e/o dei responsabili dei servizi ove i primi siano assenti.

Attraverso l’attivazione delle funzioni di consulenza del comitato regionale di controllo l’ente locale dovrebbe trarre elementi di giudizio per la miglior formalizzazione di atti o provvedimenti di particolare complessità. La funzione consulenziale, in questo modo, può avere come obiettivo la miglior comprensione tanto dell’attività provvedimentale dell’ente locale, quanto quella cui sono relativi altri atti.

L’attivazione della funzione da qua, peraltro, può afferire anche ad aspetti di novità connessi all’attività deliberativa dell’ente locale.

La mancanza di sovrapposizione delle due aree semantiche è francamente incomprensibile, giacché non pare sensato escludere dal presupposto della novità gli aspetti che siano connessi all’esercizio di funzioni alle quali l’attività deliberativa è estranea, quali, ad esempio, tutti gli ambiti nei quali l’ente locale agisce attualizzando la propria capacità di diritto privato. In particolare non si comprende per quale ragione siano esclusi dall’area di significatività della disposizione i settori in cui l’ente locale agisce mediante lo strumento dell’accordo accessivo al, o sostitutivo del provvedimento, ovvero tutto il settore in cui gli organi di gestione dell’ente locale a ciò legittimati amministrano e gestiscono il personale attraverso l’esplicazione dei poteri del privato datore di lavoro come previsto dagli artt. 4 del D.Lgs. 3/2/1993 n. 29 e dall’art. 89, comma 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, o, più genericamente, adottano determinazioni dirigenziali nelle materie di competenza funzionale.

In secondo luogo, sia nel primo, sia nel secondo caso, la funzione consulenziale può essere attivata solo in via preventiva all’adozione degli atti che l’ente locale intende adottare. Ciò discende dalla funzione che il referto consulenziale ha per propria natura, il che vale ad escludere che la funzione in argomento possa essere esercitata in modo postumo. L’osservazione può apparire peregrina, ma tale non è, se solo si tiene presente quali possono essere le conseguenze sul piano della corretta gestione delle relazioni fra i vari centri istituzionali che all’interno dell’ente locale si agitano [67].

Le maggiori perplessità nei confronti dell’istituto de quo, peraltro, non sono connesse all’aspetto semiologico della sua formulazione, ma alle conseguenze ordinamentali concrete che possono configurarsi nell’ambito dell’organizzazione dell’ente locale.

A questo proposito è bene rammentare che con l’art. 129 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 il legislatore nazionale e regionale, il primo in via primaria, il secondo attualizzandone gli orientamenti, hanno inevitabilmente finito col procedimentalizzare l’esercizio di una funzione, con tutte le conseguenze che da ciò derivano, complicate dal fatto che l’organo che presta attività consulenziale è anche organo di controllo in procedure talvolta necessarie, talaltre eventuali nel senso reso esplicito nella prima parte del lavoro.

Ed a questo proposito non una, ma molteplici sono le considerazioni che devono essere evidenziate.

Così, deve essere ben chiaro che la natura propedeutica della funzione consulenziale deve escludere la possibilità che essa sia attivata per configurare surrettizie forme di controllo di fatto da parte di soggetti che sono estranei alle potestà di adozione di atti e provvedimenti di amministrazione attiva.

Il riferimento, neppure tanto velato, è ai gruppi consiliari di minoranza, ai quali deve essere preclusa in radice l’attivabilità di riscontri sulla correttezza degli atti e dei provvedimenti degli organi di amministrazione attiva dell’ente locale. E ciò deve essere escluso sia in forma diretta, sia in forma indiretta. In particolare il travisamento dell’istituto de quo da parte dei gruppi di minoranza deve essere sanzionato nei fatti con decise pronunce di inammissibilità per ragioni logico-giuridiche da parte del comitato regionale di controllo cui le relative istanze fossero comunque indirizzate. Parimenti, il comitato regionale di controllo deve evitare di trattare in forma non assertiva, ma ispirata a generici intenti collaborativi le richieste di parere su atti già adottati, e di fornire comunque referti a coloro che ad essi si rivolgono, in quanto l’istituzionalizzazione della loro funzione consulenziale finirebbe inevitabilmente col porre, peraltro in modo scorretto, il problema dell’eventuale attivazione di poteri di autotutela su sollecitazione di soggetti  istituzionalmente antagonisti.

Gli aspetti di maggiore problematicità, però, sono connessi al fatto che il comitato regionale di controllo eventualmente adito in funzione consulenziale può poi essere parte necessaria di un vero e proprio procedimento di controllo, con tutte le implicazione che l’agire in duplice veste involge. Non si comprende, infatti, come l’ente locale possa sperare di veder completato l’iter di perfezionamento dell’esecutività del provvedimento assoggettato a controllo necessario quando nel corso dell’istruttoria del procedimento che ha condotto alla sua adozione sia stato acquisito un parere al comitato regionale di controllo , poi disatteso.

Di ben altra portata sono poi le conseguenze che derivano dall’attivazione dell’esercizio delle funzioni consulenziali del comitato regionale di controllo in una materia, i provvedimenti collegiali afferenti alla quale sono assoggettabili a riscontro eventuale da parte di un gruppo numericamente qualificato di consiglieri. Il disattendimento dell’apporto consulenziale del comitato regionale di controllo determinerà con matematica prevedibilità l’invito alla modificazione del contenuto del provvedimento da parte dell’organo collegiale che lo ha adottato, con la conseguenza della sospensione della sua esecutività e della necessità di procedere od a modifica, od a conferma del suo contenuto nei termini illustrati nella prima parte del presente lavoro.

La situazione appena illustrata è, con tutta evidenza, aberrante, e contraria ai più elementari canoni di ragionevolezza e logicità, lasciando residuare il dubbio che la norma sui servizi consulenziali dei comitati regionali di controllo sia contraria al combinato disposto degli artt. 3 e 97 Cost. almeno nella parte in cui consente l’attivazione degli apporti consulenziali nelle materie in cui provvedimenti deliberativi sono assoggettati a controllo necessario od assoggettabili a riscontro eventuale.


[1] Sul  controllo sugli atti degli enti locali, o, più precisamente, sulle deliberazioni della giunta e del consiglio,  si può utilmente consultare, per la disciplina antecedente la legge 8/6/1990 n. 142, Virga, Diritto Amministrativo. Amministrazione Locale 3, Giuffrè, Milano, 1994, 245 e ss; Zucchetti, in Italia e Romano (ed.), Testo unico degli enti locali II, Giuffrè, Milano, 2000, 1328. Dal punto di vista manualistico, da ultimo Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1999, 434.

Più in generale, sul controllo sugli atti degli enti locali si possono vedere i fondamentali lavori di Sandulli, I controlli sugli enti locali nella costituzione, “Riv. Trim. Dir. Pubbl.”, 1972, 575; Giannini, Controllo: nozione e problemi,  “Riv. Trim. Dir. Pubbl.”, 1974, 1264. Sui controlli in genere, si può utilmente consultare anche Berti e Tumiati, Controlli amministrativi, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1972, X, 298.

[2] Sull’abolizione del controllo di merito, si possono vedere Santucci, Commento all’art. 46, in AA.VV. (ed.), Commento alla legge 8/6/1990 n. 142 – Prime note, 1990, 193; Vandelli, La riforma dei controllo sugli enti locali, in  “Amministrare”, 1978, 266; De Roberto, Il controllo sugli atti dei comuni e delle province nella disciplina della  l.n. 142del 1990, in “Comuni d’Italia”, 1990, 1626. 

[3] Deve essere rimarcato che dopo la promulgazione della legge 8/6/1990 n. 142, è stato revocato in dubbio che il sindacato del comitato regionale di controllo potesse estendersi all’eccesso di potere. Il puntello normativo era rinvenuto nella lettera dell’art. 46, comma 1 della legge 8/6/1990 n. 142, secondo cui il controllo comportava la sola verifica dell’atto alla legge ed alle norme statutarie, con esclusione di ogni altra valutazione dell’interesse pubblico perseguito. La tesi  non reggeva al vaglio dell’interpretazione sistematica, soprattutto osservando che la valutazione dell’interesse perseguito non attiene alla legittimità dell’atto, ma alla valutazione della funzione esercitata, e che l’art. 46, comma 5 legittimava la negazione del visto genericamente per vizi di legittimità, senza ulteriormente distinguere.

[4] Più in dettaglio, secondo l’art. 59 della legge 10/2/1957 n. 62, erano assoggettate a controllo di legittimità tutte le deliberazioni che la normativa precedente ad essa a tale riscontro sottoponeva in termini di necessarietà, ossia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 ed 8 della legge 9/6/1947 n. 530, tutte le deliberazioni della giunta e del consiglio, senza possibilità di eccezione alcuna.

Dopo la loro istituzione, peraltro, alcune regioni hanno escluso de  iure condito dal controllo talune categorie di atti deliberativi, quali ad esempio i provvedimenti meramente esecutivi e gli atti di organizzazione interna dell’ente. Le deliberazioni meramente esecutive di altre deliberazioni sono state definitivamente sottratte al controllo necessario con la legge 8/6/1990 n. 142. 

[5] Sulle procedure di controllo sugli atti degli enti locali nella vigenza della legge 8/6/1990 n. 142, si veda, per esempio, Papiano (ed.), L’autonomia locale. Commento alla legge 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali coordinata con la legge 7/8/1990 n. 241 sul procedimento amministrativo, Pragma. Bologna, 1991, 432; Italia-Bassani (ed.), Le autonomie locali. Legge 8 giugno 1990 n. 142, Giuffrè, Milano, 1991, 712; Virga, L’amministrazione locale, Giuffrè, Milano, 1991, 229,

Per un’analisi dello sviluppo diacronico dell’intera normativa, l’insostituibile Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali 1990 – 2000. Dieci anni di riforme, Maggioli, Forlì, 2000,1080 e ss.

[6] Per la verità, non mancava chi sosteneva che le deliberazioni dichiarate immediatamente eseguibili ai sensi dell’art. 47, comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142 dovessero essere sempre assoggettate a controllo necessario, ancorché adottate dalla giunta. La tesi è stata sostenuta solo da una giurisprudenza esigua e minoritaria, e si fondava sull’interpretazione letterale e non sistematica dell’art. 46, comma 6 della legge 8/6/1990 n. 142. Per tutte, TAR Lombardia – Brescia, 14/12/1995 n. 1336, in “T.A.R.”, 1996, I, 499, nonché TAR Piemonte II 21/11/1991 n. 396, in “T.A.R.”, 1992, I, 145 e TAR Piemonte II 19/9/1991 n. 308, in “T.A.R.”, 1991, I, 3852.

[7] Questa fattispecie di controllo è stata considerata conforme al dettato costituzionale da C.Cost. 30/12/1991 n. 512, in “Giur.Cost.”, 1991, 4074.

[8] Su questa tipologia di controllo, Fossati, Il controllo sulle deliberazioni della giunta, in “Comuni d’Italia”, 1992, 405; Puli, Sulla facoltà del consigliere di provocare il controllo del CO.RE.CO. sulle deliberazioni della giunta, ivi, 943; Pietrobon, Notazioni sulla richiesta di controllo per iniziativa di un numero qualificato di consiglieri, ivi, 1993, 645. 

[9] Secondo l’art. 45, comma 2 della legge  8/6/1990 n. 142, nella sua formulazione originaria, le deliberazioni per le quali era attivabile il controllo a domanda erano solo e soltanto quelle afferenti agli acquisti, alienazioni appalti e contratti, nonché quelle inerenti a contributi, indennità, compensi rimborsi ed esenzioni ad  amministratori, dipendenti o terzi nonché all’assunzione ed allo stato giuridico ed al trattamento economico del personale.

[10] La richiesta di assoggettamento a controllo eventuale doveva essere esperita entro dieci giorni dall’affissione della deliberazione all’albo pretorio, a pena di improcedibilità perché sopravvenuto un fatto estintivo della relativa potestà.

[11] Com’è noto, l’organo di controllo poteva sindacare la legittimità dei provvedimenti de quibus solo con riferimento alle illegittimità espressamente denunciate, non potendo andare ultra petita. Di qui l’inammissibilità di richieste di assoggettamento a controllo supportate da mere enunciazioni di stile, ovvero completamente prive di supporto giuridico

[12] In questo modo, il controllo eventuale garantiva, evidentemente, il rispetto dell’impermeabilità fra competenza del consiglio e della giunta, nonché la centralità del consiglio quale unico organo competente ad adottare i provvedimenti fondamentali dell’ente locale.

[13] L’art. 17, commi 37 e 38 della legge 15/5/1997 n. 127, in buona sostanza, fermo il numero minimo dei sottoscrittori della richiesta di assoggettamento a controllo eventuale delle deliberazioni della giunta e del consiglio, ne limitava l’estensione a quelle afferenti agli appalti, ai servizi o alle forniture di importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria tale individuata, rispettivamente, dall’art. 1 del D.Lgs. 19/12/1991 n. 406, dall’art. 1 del D.Lgs. 17/3/1995 n. 157 o dall’art. 1 del D.Lgs. 24/7/1992 n. 358, nel testo modificato dal D.Lgs 20/10/1998 n. 402, alle dotazioni organiche ed alle relative variazioni, nonché alle assunzioni di personale..

[14] Sulla procedura, sia pure commentata a caldo, Staderini, Diritto degli enti locali, CEDAM, Padova, 1998, 430.

[15] Il testo delle disposizione era estremamente chiaro in materia. “…..se ritiene che la deliberazione sia illegittima, ne dà comunicazione all’ente, entro quindici giorni dalla richiesta, e lo invita ad eliminare i vizi riscontrati. In tal caso, se l’ente non ritiene di modificare la delibera, essa acquista efficacia se viene confermata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il consiglio”.

[16] La procedura introdotta dal legislatore, curiosamente ricalcava, e continua a ricalcare quanto previsto per il controllo di merito su taluni provvedimenti deliberativi prima dell’entrata in vigore della legge 8/6/1990 n. 142, per i quali era prevista proprio la richiesta di riesame e di consolidamento dell’esecutività a seguito di conferma da parte della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati al consiglio. Anche per il procedimento di controllo di merito era prevista una procedura ben delineata. Essa operava per tutte le deliberazioni di cui agli articoli da 98 a 101 del T.U. 3/3/1934 n. 383, nel testo modificato dalla legge 9/6/1947 n. 530, e prevedeva che entro 20 giorni dalla ricezione dei provvedimenti gravati - 40 per i bilanci – l’organo di controllo invitasse l’ente locale territoriale a modificare la deliberazione alla luce dei rilievi svolti, fermo restando essa acquistava esecutività se ed in quanto confermata dalla maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati al collegio, come disposto dall’art. 60 della legge 10/2/1953 n. 62. L’intera vicenda è ben compendiata da Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1984, 517. 

[17] Sulla problematica dei controlli a richiesta dei consiglieri, si può vedere Graziosi, La legittimazione processuale di una minoranza dissenziente (a proposito del controllo eventuale delle delibere degli enti locali relative ad appalti comunitari e piante organiche), in “Dir. Proc. Amm.”, 1999, 904. Per un inquadramento storico del problema,  Bais, I controlli sugli atti di regioni ed enti locali dalle riforme dei primi anni novanta alla Bassanini bis, in “Il nuovo governo locale”, 1999, 73.

[18] Per la precisione, la novella legislativa ha agito in modo non semplice, ma duplice, restringendo l’area dei controlli eventuali con allegazione dei motivi di illegittimità, ed espungendo completamente dall’ordinamento la richiesta di controllo eventuale per motivi di incompetenza o violazione di atti fondamentali del consiglio.

[19]  Secondo l’art. 127 , commi 1 e 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267  “Le deliberazioni della giunta e del consiglio sono sottoposte al controllo, nei limiti delle illegittimità denunziate, quando un quarto dei consiglieri provinciali o un quarto dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ovvero un quinto dei consiglieri nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti ne facciano richiesta scritta e motivata con l'indicazione delle norme violate, entro dieci giorni dall'affissione all'albo pretorio, quando le deliberazioni stesse riguardino: a) appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario; b) dotazioni organiche e relative variazioni; c) assunzioni del personale. Nei casi previsti dal comma 1, il controllo è esercitato dal comitato regionale di controllo ovvero, se istituito, dal difensore civico comunale o provinciale. L'organo che procede al controllo, se ritiene che la deliberazione sia illegittima, ne da comunicazione all'ente, entro quindici giorni dalla richiesta, e lo invita ad eliminare i vizi riscontrati. In tal caso, se l'ente non ritiene di modificare la delibera, essa acquista efficacia se viene confermata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il consiglio”. Secondo l'art. 134, comma 2, poi, “nel caso delle deliberazioni soggette a controllo eventuale la richiesta di controllo sospende l'esecutività delle stesse fino all'avvenuto esito del controllo”.

[20] Sulla complessa problematica in esame, si possono vedere, AA.VV., Commento al testo unico in materia di ordinamento degli enti locali, Maggioli, Rimini, 2000, 635, nonché Zucchetti, in Italia e Romano (ed.), op cit., 1338.

[21] Rispetto alla normativa originaria, il numero minimo dei consiglieri necessari è stato ridotto, passando per le province e per i comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti da 1/3 ad 1/4 dei consiglieri assegnati, e per quelle con popolazioni inferiore, da 1/4 ad 1/5. A questo proposito si confronti il testo dell’art. 45, comma 2 della legge 8/6/1990 n. 142 nella sua formulazione originaria con l’art. 127, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

[22] Sul punto, Zucchetti, in Italia e Romano (ed.), op. cit., 1340; Giovenco-Romano, L’ordinamento comunale, Giuffrè, Milano, 1994, 869.

Sul punto è intervenuto a fini esplicativi il Ministero dell’interno con la circolare 10/3/1998 n. 3/98.

[23] Nell’ordinamento previgente era sufficientemente chiaro che la richiesta di assoggettamento a controllo eventuale doveva essere presentata all’ente locale, salvo poi discutere se il destinatario dell’istanza fosse il capo dell’amministrazione o il segretario. La prima tesi, nel silenzi della norma, era sostenuta dalla circolare del Ministero dell’interno 17102/127/1 del 7/6/1990. Nei suoi confronti, peraltro era agevole contrapporre la tesi che individuava nel segretario l’organo destinatario della richiesta di assoggettamento a controllo eventuale, in quanto genericamente responsabile dell’esecuzione delle deliberazioni  ai sensi dell’art. 52, comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142.

[24] Come sarà mostrato nel prosieguo, quanto appena evidenziato vale solo e soltanto per le deliberazioni che non sono state dichiarate immediatamente eseguibili, anche se la tesi è fortemente avversata dalla dottrina che si è formata sul punto.

[25] Zucchetti, in Italia e Romano (ed.), op cit., 1341.

[26] Così, ad esempio, nel  caso di un appalto di servizi che non sia stato previsto negli atti fondamentali del consiglio, è fuor di dubbio che il provvedimento di impianto del procedimento sia a rilevanza consiliare. Il consiglio, peraltro, non può approvare lo schema di convenzione, ma deve limitarsi ad individuare gli elementi essenziali tali definiti dalla normativa di diritto comune, nonché gli elementi comunque ritenuti qualificanti ai fini della corretta gestione del servizio. Sarà poi compito dell’ufficiale rogante dell’ente locale, ossia del segretario, procedere alla stesura di un contratto che li attualizzi in modo tecnicamente ineccepibile, ed idoneo al conseguimento dello scopo.

[27] Come già adombrato in una precedente nota, ciò non vale per le deliberazioni dichiarate immediatamente eseguibili, per le quali l’efficacia del provvedimento è immanente non all’esecutività, ma solo e soltanto alla clausola che la dispone con distinta e separata votazione ai sensi dell’art. 134, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

[28] E’ del tutto evidente che i gruppi consiliari potrebbero richiedere l’attivazione della procedura di cui all’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 per ogni provvedimento collegiale dell’ente locale, talché questo, in assenza della possibilità di delibare l’ammissibilità della richiesta, sarebbe esposto ad ingiustificabili ritardi nell’attività di esecuzione, e quindi nel raggiungimento degli obiettivi di governo. 

[29] E’ di tutta evidenza che l’organo adito in sede di richiesta di controllo eventuale è, in questo modo, il giudice dell’ammissibilità della richiesta di attivazione della relativa procedura.

[30] La tesi avversa, secondo cui è l’organo adito a dover sindacare l’ammissibilità della richiesta di controllo eventuale, si fonda su di un parallelismo del tutto ingiustificato, che trae il proprio momento di similitudine dalle regole immanenti al processo civile, dove il giudice adito deve, prima di giudicare sul merito della domanda dell’attore, verificare propedeuticamente che l’azione sia stata correttamente esercitata. La suggestione, peraltro, non regge, perché le posizioni vantate dall’attore nel processo civile sono di regola a lui disponibili, cosa che non è mai vera per la pubblica amministrazione. A questo proposito, non deve mai essere dimenticato che l’ente pubblico non è titolare dell’interesse che esercita, talché di esso non può disporre, e che la sua attività è genericamente funzionalizzata. Il giudice, poi, è terzo nel processo, e super partes rispetto all’attore ed al convenuto: nella procedura in esame, per contro, l’organo adito dai consiglieri è parte del procedimento.

[31] Secondo l’art. 125 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, “contestualmente all’affissione all’albo, le deliberazioni adottate dalla giunta sono trasmesse in elenco ai capigruppo consiliari; i relativi testi sono mesi a disposizione dei consiglieri nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento”.

[32] Quanto appena evidenziato consente di rimarcare che la procedura de qua è costruita in modo assai simile a quanto previsto per il processo civile, nel quale  opera il principio della domanda di cui al combinato disposto degli artt. 99 e 112 c.p.c., ed il correlato principio della  disponibilità dei mezzi di prova di ciò all’ultima parte dell’art. 115, comma 1 c.p.c., il che può essere altrimenti espresso osservando che il comitato regionale di controllo ed il difensore civico devono rispettare i termini delle prospettazione dei consiglieri, evitando l’ultrapetizione di giudizio, fermo restando che iura novit curia.

[33] Come è noto, su ogni proposta di deliberazione che non sia un mero atto di indirizzo deve essere espresso il parere in ordine alla regolarità tecnica da pare del responsabile del servizio, unitamente al parere di regolarità contabile da parte del responsabile del servizio di ragioneria quando l’atto comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata.

[34] Sulla figura del difensore civico, si possono vedere: Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali, Maggioli, Rimini, 2000, 256; Genghi, Il difensore civico nell’ordinamento degli enti locali, in “Nuova rass.”, 2000, 740; La Rocca, Note sulla difesa civica, in “Nuova rass.”, 2000, 747; Cavalieri, Questioni vecchie e nuove in materia di difensore civico, in “Le regioni”, 1999, III, 497; Trimarchi, Il difensore civico a livello locale, in “Le regioni”, 1998, II, 356; Virga, L’amministrazione locale, Giuffrè, Milano,  1991, 347.

[35] Sul punto, c.f.r. l’art. 11, comma 2  del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, secondo il quale “lo statuto disciplina l’elezione, le prerogative, ed i mezzi del difensore civico, nonché i suoi rapporti con il consiglio comunale o provinciale. Il difensore civico comunale e quello provinciale svolgono, altresì, la funzione di controllo nell’ipotesi prevista dall’art. 127”.

[36] Su punto, Zucchetti, in Italia e Romano (ed.), op cit., 1342.

[37] La tesi proposta è in linea con il divieto di aggravamento irragionevole, che si ricava direttamente dal principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

[38] Nei procedimenti di controllo veri e propri l’organo del riscontro compie un atto dovuto, assumendo come rilevanti tutti i motivi di illegittimità che dall’analisi formale del provvedimento emergono e determinando effetti travolgenti nei confronti dell’efficacia dell’atto. Proprio per queste ragioni è più che ragionevole dubitare che nel caso di specie si sia in presenza di una vera e propria procedura di controllo, sia pure a formazione complessa.

[39] Sostiene la natura di procedimento di controllo, sia pure complesso, Oliveri, La conferma degli atti degli enti locali sottoposti a controllo eventuale su iniziativa dei consiglieri alla luce del testo unico sull’ordinamento degli enti locali, in “diritto.it” (riv. telematica), 2001, secondo cui “Per dare un senso compiuto alla disposizione in argomento si potrebbe considerare il provvedimento consiliare come atto facente parte di un procedimento di controllo complesso, nel quale la verifica della legittimità dell'atto amministrativo è compiuta con la partecipazione obbligatoria di due soggetti: il comitato regionale di controllo o il difensore civico e, appunto, il consiglio comunale”

La natura di procedura di controllo è sostenuta dalla dottrina pressoché unanime, la quale, evidentemente, si riconduce ai precedenti legislativi, nonché alla lettera della legge.

[40] Come si è avuto modi di precisare in una precedente nota, la procedura delineata e mantenuta dall’art. 127, commi 1 e 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ricalca nella forma quanto prima della legge 8/6/1990 n. 142 accadeva per la conduzione dei procedimenti di controllo di merito, ove tale forma di controllo era attuata, nel rispetto dell’art. 130 Cost., nella forma della richiesta di riesame. 

[41] La locuzione “procedimenti di secondo grado” compare nelle opere di Giannini M.S., Diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1988, 989, e Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1981, 304.

[42] Virga, Il provvedimento amministrativo, cit. 447.  Sul punto, anche Nobile, L’annullamento d’ufficio degli atti amministrativi regionali nel quadro dei poteri d’annullamento governativo, in “Amm. Italiana”, 1990,  235.

[43] L’espressione è di Giannini M.S., Diritto amministrativo, cit., 1002, il quale evidenzia che non vi è un procedimento di convalida, ma solo un provvedimento di tal fatta, adottato nell’ambito di procedimento di secondo grado, che ha natura di procedimento di riforma-riesame, per l’appunto.

[44] Su tutto ciò, Virga, ult.op. cit., 498

[45] La convalida quindi non è ammissibile quando l’invalidità sostanziale sia dovuta a carenze originarie di legittimazione dell’organo, a mancanze di requisiti previste dalla norma per l’esercizio del potere, quando siano ineliminabili la causa dello sviamento di potere o le ragioni di illogicità, imparzialità od irragionevolezza che hanno supportato l’adozione dell’atto originario.

[46] Poiché la nullità del provvedimento, in realtà, dà corpo all’inesistenza dell’atto, è del tutto evidente che non sia possibile convalidare un atto che è estraneo al mondo del diritto. Sul concetto di nullità dell’atto amministrativo,    Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1984, 648, e, prima ancora in Precisazioni in tema di mancanza di potere ed inesistenza dell'atto amministrativo, in "Foro Amm.", 1964, II, 200, nonché I limiti di esistenza dell'atto amministrativo, in "Rass. dir. Pubbl.”, 1949, 126; Giannini-Piras, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in E.d.D., Giuffrè, Milano, XIX, 1970, 288, nonché Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in "Riv.Trim.Dir.Proc.Civ.", 1963, 531; Nobile, Norme d'azione e norme di relazione: una dicotomia da abbandonare, in “Giust.it” (riv. telematica), 2000, XI.

[47] Le clausole affette da illegittimità, pertanto, non devono estendesi per propria natura all’intero contenuto dell’atto, in assenza di che non sarebbe possibile rimuovere alcunché, essendosi di fatto concretizzato l’effetto travolgente sull’intero contenuto del provvedimento; su ciò, Acquarone, Attività amministrativa e provvedimenti amministrativi, E.C.I.G., Genova, 1985, 188.

[48] Sugli atti di conservazione in generale, e sulla conferma in particolare, per tutti Virga, ult. op. cit. 514.

[49] Sulla conferma in generale, oltre all’usuale manualistica, si veda Cannada Bartoli, Conferma, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1965, VIII, 856.

Sulla conferma delle deliberazioni gravate da controllo eventuale, da ultimo, Oliveri, La conferma degli atti degli enti locali sottoposti a controllo eventuale su iniziativa dei consiglieri alla luce del testo unico sull’ordinamento degli enti locali, in “diritto.it” (riv. Telematica), 2001.

[50] Giannini M.S., Diritto amministrativo, op. cit., 99: “Il decidente del procedimento di secondo grado, condotto a termine il riesame e la revisione, (…) può ritenere che il provvedimento sottoposto al suo esame (…), sia valido (…), in una parola esente da difetti, e allora conchiude il procedimento con un atto che ha valore di conferma del precedente provvedimento”.

[51] In questo senso, Virga, Il provvedimento amministrativo, cit, 514, nonché Giannini M.S. Diritto amministrativo, op. cit., 993.

[52] La conferma del provvedimento di cui è caso deve essere distinta dall’atto confermativo, che è altra cosa. L’atto confermativo è infatti un provvedimento amministrativo sostanzialmente reiterativo del contenuto di una precedente manifestazione di volontà, che, rilevando esclusivamente in ambito processuale, non vale a riaprire i termini scaduti per un’impugnazione, in quanto atto non autonomamente lesivo.

[53] In questo senso, l’art. 134, comma 3del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

[54] Su tutto ciò, Virga, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi. 2, Giuffrè, Milano, 1987, 152. Su tutto ciò, dal punto di vista processualistico, Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1982, 241.

[55] Più in particolare, al momento della sua pura e semplice adozione, se dichiarata immediatamente eseguibile, ovvero al momento della sua esecutività formatasi decorsi i canonici dieci giorni dall’avvenuta affissione all’albo pretorio.

[56] In questo senso, Oliveri, in AA.VV. (ed.), Commento al testo unico in materia di ordinamento degli enti locali, cit., 665: “infatti, anche se la richiesta di controllo eventuale da parte dei consiglieri deve riguardare le materie sopra elencate dall’art. 127, comma 1, dal momento che l’art. 134, comma 2, non prevede un esame preliminare sull’ammissibilità o meno delle richiesta di controllo, in teoria ogni iniziativa da parte dei consiglieri per attivare i controlli eventuali sulle deliberazioni della giunta e del consiglio, anche se non relativa alle materie previste dall’art. 127, comma 1, potrebbe sospenderne l’esecutività fino all’esito del controllo”.

[57] L’argomento che si intende proporre è conferente perché delinea l’ambito cognitivo del problema dei rapporti fra esecutività interrotta ed operatività della clausola di immediata eseguibilità nonostante la richiesta di riscontro.

[58] Oliveri., cit., 661.

[59] I concetti sono ben compendiati nel magistrale ed insuperato Virga, Il provvedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1972, 337, ove si osserva che l’esecutività “designa la situazione dell’atto, per il quale si sono verificati i requisiti di efficacia previsti dalla legge (controllo, comunicazione), o dallo stesso atto amministrativo (termine, condizione sospensiva) e che quindi è astrattamente eseguibile”, mentre l’eseguibilità “designa la situazione dell’atto esecutivo, per il quale non esista alcun impedimento legale per la sua concreta attuazione (ad es. mancato perfezionamento del mutuo per il finanziamento, mancata ordinanza di sospensione della giurisdizione amministrativa)”.

[60] Sul punto, Virga, L’amministrazione locale,  Giuffrè, Milano, 1991, 246.

[61] Sul punto, De Roberto, Il controllo sugli atti dei comuni e delle province nella disciplina della legge l.n. 142 del 1990, in “Comuni d’Italia”, 1990, 1623.

[62] Secondo l’art. 133 commi 1 e 2, che sono i soli che qui interessano, “Il controllo di legittimità comporta la verifica della conformità dell'atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie specificamente indicate nel provvedimento di annullamento, per quanto riguarda la competenza, la forma e la procedura, e rimanendo esclusa ogni diversa valutazione dell'interesse pubblico perseguito. (……). Il comitato regionale di controllo, entro dieci giorni dalla ricezione degli atti di cui all'articolo 126, comma 1, può disporre l'audizione dei rappresentanti dell'ente deliberante o può richiedere, per una sola volta, chiarimenti o elementi integrativi di giudizio in forma scritta. In tal caso il termine per l'esercizio del controllo viene sospeso e riprende a decorrere dalla data della trasmissione dei chiarimenti o elementi integrativi o dell'audizione dei rappresentanti”.

[63] Quanto appena evidenziato è dimostrato dal fatto che le variazioni di bilancio adottate in via d’urgenza dalla giunta non sono autonomamente soggette a controllo, ma sono conosciute dal comitato regionale solo assieme alla deliberazione consiliare di ratifica.

[64] L’art. 17, comma 34 della legge 15/5/1997 n. 127 prevedeva che fossero assoggettate a controllo preventivo di legittimità “le deliberazioni che le giunte intendono di propria iniziativa sottoporre al comitato regionale di controllo”. L’art. 127, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, per contro, prevede che “la giunta può altresì sottoporre al controllo preventivo di legittimità dell'organo regionale di controllo ogni altra deliberazione dell'ente secondo le modalità di cui all'articolo 133.

[65] In questo senso, espressamente Oliveri, op. cit., 644

[66] C.f.r., in questo senso Cons. Stato ad gen. 8/6/2000,  del quale si riporta lo stralcio completo   “Terzo comma: Come specificato in sede di relazione di accompagnamento, l’attuale formulazione del comma 3, rapportata all’indicazione delle delibere consiliari sottoposte a controllo necessario alla stregua del primo e del secondo comma, risolve in senso positivo il problema della riferibilità del controllo su iniziativa della giunta anche alle deliberazioni consiliari.La presa di posizione non appare convincente in considerazione dei seguenti motivi:

a) la soluzione è in distonia con l’interpretazione dottrinale largamente maggioritaria, propensa a ravvisare nella disciplina in parola, tratta dall’art. 17, comma 34, della legge n. 127/1997, una forma di autocorrezione dell’operato giuntale, traducentesi nella previa sottoposizione a controllo da parte della giunta delle delibere   che la stessa abbia adottato e che si  presentino di dubbia legittimità;

b) il dato positivo oggetto di ricognizione “innovativa” (art. 17 comma 34 della legge 127 : “Sono altresì soggette a controllo preventivo di legittimità le deliberazioni che le giunte intendono di propria iniziativa sottoporre al comitato regionale di controllo”), pur suscettibile di interpretazione plurivoca, sembra deporre a favore dell’interpretazione restrittiva; sintomatico appare l’inciso “di propria iniziativa”, evocante l’identità tra organo che prende l’iniziativa del controllo ed organo da cui promana l’atto controllato (vedi, in conformità, la circolare del Ministero dell’ Interno 10 marzo 1998, n. 3);

c) anche nell’attuale assetto del rapporto tra organi appare estraneo alla vocazione istituzionale della giunta l’esercizio di un’attività di impulso diretta al sindacato ed al controllo sull’operato del consiglio;

d) l’ammissione di un sindacato di iniziativa giuntale su tutte le deliberazioni consiliari è in controtendenza rispetto al trend verso l’assottigliamento delle delibere consiliari sottoposte a controllo preventivo ed appare in contraddizione con la limitazione del perimetro delle  delibere consiliari sottoposte a controllo su iniziativa della minoranza ai sensi dell’art. 127;

e) la presa di posizione esorbita dai criteri autolimitativi enunciati nella relazione, ove si precisa la volontà di sciogliere i soli nodi ermeneutici caratterizzati da univocità di soluzioni dottrinali e pretorie.

In definitiva si suggerisce, di lasciare immutata la dizione dell’attuale art. 17, comma 34, della legge n. 127/1997, da inserire in apposito articolo, tra l’attuale art. 126 e l’attuale art. 127.

[67] Il riferimento va spontaneo all’eventualità che I gruppi di minoranza si rivolgano al comitato regionale di controllo al di fuori dei binari istituzionali e formali indicati dall’art. 127, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. In casi come questo, a stretto rigore, il comitato regionale di controllo non deve intervenire in modo alcuno, dichiarandosi completamente al di fuori della vicenda, non rilasciando, in particolare, alcun tipo di referto comunque connotato in termini di giudizio.


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