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Riccardo Nobile

 

Cenni essenziali sul conferimento delle funzioni di cui al D.Lgs. 31/3/1998 n. 112 alle regioni ed agli enti locali e realizzazione dell’effettività del loro esercizio, anche in relazione alla riforma del titolo V della II parte della Costituzione.

 

 

1. Introduzione.

Al mosaico in cui si articola la problematica del conferimento di funzioni alle regioni ed ai soggetti del circuito degli enti locali nelle materie di cui al D.Lgs. 31/3/1998 n. 112 [1] è stata di recente aggiunta di un’importante tessera costituita dalla pubblicazione del DPCM 14/12/2000 n. 446, con il quale il legislatore subprimario ha finalmente posto le regole mediante le quali assicurare l’effettività dei principi del conferimento istituzionale.

L’adozione del suddetto DPCM costituisce uno dei punti di arrivo dell’attuazione del complesso disegno di riforma della pubblica amministrazione delineato con la legge 15/3/1997 n. 59, ed enuclea un momento di attuazione dei principi desumibili dai suoi artt. 3, comma 1, lett. e) e 7, comma 1. Tali disposizioni, infatti, prevedono espressamente il trasferimento di personale senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, demandando alla decretazione della presidenza del consiglio dei ministri l’individuazione delle risorse personali da interessare al trasferimento.

Il presente DPCM, per essere più precisi, si colloca in medio rispetto ai due momenti delineati, in quanto enuclea le norme da seguire proprio per assicurare trasparenza alle procedure di trasferimento del personale delle amministrazioni dello stato, al fine di rendere effettiva la realizzazione dei principi immanenti alla legge 15/3/1997 n. 59.

All’analisi della normativa in questione è bene premettere alcunché in ordine alla rilevanza che l’esatta connotazione delle funzioni amministrative ha per gli enti locali e per gli enti pubblici in generale.

 

2. Le ragioni della rilevanza delle funzioni amministrative per gli enti pubblici in generale.

Le ragioni della rilevanza della problematica che ha ad oggetto le funzioni delle regioni e degli enti locali in generale sono molteplici [2].

In prima approssimazione si può dire che la tematica delle funzioni amministrative di spettanza degli enti de quibus è di sicura rilevanza in quanto evidenziando cosa l’ente fa, l’ordinamento giuridico denota e connota che cosa l’ente stesso è, di modo che il complesso delle funzioni amministrative di spettanza dell’ente finisce con l’essere condizione eidetica della sua soggettività, e quindi condizione per la sua pensabilità ordinamentale [3].

All’assetto delle funzioni dell’ente, poi, è strettamente connessa tutta la problematica della sua organizzazione in termini strutturali, che a sua volta presenta relazioni innegabili con la programmazione delle attività, con il dimensionamento delle risorse necessarie per conseguire le finalità che l’ordinamento individua come rilevanti, e quindi, più in generale, con la realizzazione dei risultati in termini di efficacia ed efficienza nell’ambito, beninteso, di un’azione amministrativa lecita e legittima.

 

3. La riforma della pubblica amministrazione a costituzione invariata.

Punto di maggior qualificazione della normativa de qua è stato e continua ad essere la scissione dell’enunciazione dei principi normativi che presiedono alla riforma dagli strumenti operativi che ne consentono la concreta attuazione, nel senso che l’intero ordito della legge 15/3/1997 n. 59 [4] da un lato enuclea i paradigmi che consentono al legislatore delegato di modulare in concreto lo spostamento della titolarità e/o dell’esercizio delle funzioni amministrative fra i vari enti del circuito del decentramento funzionale, mentre, dall’altro, subordina il concreto verificarsi del passaggio delle funzioni conferite all’attribuzione dei mezzi e delle risorse necessarie per garantire l’attuazione degli effetti dell’avvenuto conferimento istituzionale.

Come è noto, la riallocazione delle funzioni amministrative nell’ambito del circuito degli enti locali è stato effettuato a costituzione invariata, all’interno dei confini tacciati dal combinato disposto degli artt. 5, 117, 118 e 128 Cost. Senza voler, né poter, in questa sede affrontare la problematica dell’esatta sovrapponibilità in termini formali dell’assetto delineato dalla legge 15/3/1997 n. 59 al dettato costituzionale, giova rammentare che di funzioni amministrative, la Costituzione discetta con riferimento allo stato, alle regioni, ai comuni ed alle province e solo episodicamente agli enti locali in genere, mentre sono estranei alle previsione costituzionali i riferimenti ad altri enti locali territoriali introdotti nell’ordinamento da leggi ordinarie (es. comunità montane, comunità isolane, unioni di comuni, ecc…) [5].

Guardando alla Costituzione, quindi, si possono didascalicamente individuare tre classi di ipotesi, che congiuntamente esauriscono l’estensione della pensabilità in termini di funzioni ai presenti fini.

Un primo sottoinsieme ha ad oggetto le funzioni amministrative di spettanza statale, in ordine alle quali lo stato può operare modificandone la titolarità, e quindi attribuendole, trasferendole o delegandone l’esercizio per principio generale.

Un secondo sottoinsieme riguarda propriamente, le funzioni ad attribuzione costituzionale necessaria alle regioni, ed esse sono quelle indicate nell’art. 117 Cost. cui rinvia l’art. 118, comma 1 Cost.

Un terzo sottoinsieme inerisce alle funzioni ascritte dalla legge ordinaria alle province ed ai comuni nel rispetto di principi posti da leggi generali ordinarie secondo quanto previsto dall’art. 128 Cost.

Nell’assetto costituzionale così individuato, lo stato può ulteriormente intervenire erodendo le funzioni ad attribuzione necessaria regionale di cui agli artt. 118, comma 1 e 117 Cost. per ascriverle alle province, ai comuni ed agli altri enti locali, quando di interesse esclusivamente locale. Ma il legislatore può operare anche delegando alle regioni funzioni ulteriori con legge ordinaria (la delega riguarda non la titolarità, ma l’esercizio delle funzioni) così come previsto dall’art. 118, comma 2 Cost.

Quanto all’esercizio delle funzioni, la regione le esercita delegandole alle province, ai comuni ed agli altri enti locali territoriali ovvero avvalendosi dei loro uffici (art. 118, comma 3 Cost.), fermo restando che, come precedentemente accennato, lo stato può sempre delegare l’esercizio delle proprie funzioni per principio generale.

 

4. Le caratteristiche peculiari della legge 15/3/1997 n. 59.

Nell’assetto delineato dalla costituzione, si è inserita la legge 15/3/1997 n. 59, che, come noto, fa riferimento allo stato, alle regioni, ed all’intero circuito degli enti locali territoriali in termini di funzioni amministrative, con riferimento alle quali è pensabile enucleare una ripartizione, del tutto simile a quella primamente delineata, articolata in una pluralità di termini, tutti fra di loro connessi e legati dal medesimo elemento unificante: il conferimento, stipulativamente definito dall’art. 1, comma 1 della legge 15/3/1997 n. 59 in termini di attribuzione e trasferimento, i quali propriamente riguardano la titolarità delle funzioni, e di delegazione di funzioni, ipotesi in cui non si verifica la spoliazione della loro titolarità, ma solo il mero trasferimento del relativo ambito di esercizio [6].

Un primo sottoinsieme è quello che afferisce allo stato, per il quale è precluso il conferimento, e riguarda materie connesse alla sua soggettività nell’ambito del diritto internazionale pubblico ed il nucleo essenziale delle funzioni amministrative attinenti al modo di essere dello stato stesso (difesa, esteri, giustizia, ecc…), come previsto dall’art. 1, commi 3, 4 e 5 della legge 15/3/1997 n. 59.

Un secondo sottoinsieme riguarda le funzioni di necessaria pertinenza regionale, ossia quelle indicate nell’elencazione dell’art. 117 Cost., richiamato dall’art. 118, comma 1 Cost., per le quali la regione deve provvedere con propria legge ad individuare quali funzioni conferire al circuito degli enti locali subregionali, e quali trattenere perché il loro esercizio presuppone la necessarietà di unitarietà di indirizzo regionale in attuazione dall’art. 4, comma 1 della legge 15/3/1997 n. 59.

Un terzo sottoinsieme riguarda le restanti funzioni statali per le quali opera il principio del necessario conferimento alle regioni ed agli enti locali territoriali in attuazione dei principi di sussidiarietà, adeguatezza, efficacia ed efficienza, concentrazione, tutti enunciati e definiti dall’art. 4, commi 2 e 3 della legge 15/3/1997 n. 59, fermo restando che tutti i conferimenti devono essere disposti con decreti legislativi delegati del governo e che, entro sei mesi dalla loro emanazione, le regioni devono provvedere con legge regionale all’individuazione delle funzioni trattenute ed all’elencazione delle funzioni conferite ai sensi dell’art. 4, comma 5 della stessa legge.

 

5. L’attuazione in via subprimaria della riforma della pubblica amministrazione.

Quanto oggetto di precedente esposizione, com’è facilmente intuibile, non è fine a sé stesso, giacché consente di comprendere meglio come i principi appena illustrati non siano suscettibili di attualizzazione ordinamentale ispirata a reale effettività, se non previa enucleazione degli strumenti operativi concreti che garantiscano l’efficace ed efficiente realizzazione della complessa riforma della pubblica amministrazione.

Proprio per garantire l’operatività della riforma, l’art. 7 della legge 15/3/1997 n. 59, ha espressamente previsto che sia demandata alla decretazione della presidenza del consiglio dei ministri la puntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire, nonché la loro ripartizione tra le regioni e tra regioni ed enti locali, con ciò intendendo fissare il principio secondo cui il momento dello spostamento della titolarità o dell’esercizio delle funzioni conferite coincide con l’adozione dell’apposito DPCM che dispone la loro assegnazione nell’ambito delle materie indicate dai vari decreti legislativi delegati di attuazione settoriale della legge 15/3/1997 n. 59, momento a partire dal quale l’ente destinatario del conferimento assume su di sé tutte le relative responsabilità connesse, fermo restando che l’esercizio delle relative funzioni è possibile solo a partire dal momento in cui l’attribuzione delle risorse alle regioni ed agli enti locali è avvenuta.

Il problema dello iato fra il momento dell’individuazione delle risorse e quello dell’effettiva realizzazione dei contenuti dei relativi DPCM, ossia il loro esercizio connesso all’effettiva assegnazione delle risorse al “patrimonio aziendale” degli enti riceventi, è stato di recente risolto con l’art. 52, comma 1 della legge 28/12/2000 n. 388, con il quale è stato espressamente previsto che nelle more del perfezionamento delle procedure di cui all’art. 7 della legge 15/3/1997 n. 59 le regioni e gli enti locali cui siano state conferite funzioni ai sensi dell’art. 1, comma 1 possono avvalersi [7], senza oneri aggiuntivi per i rispettivi bilanci, delle strutture amministrative degli enti competenti prima del conferimento per un periodo non superiore ad un anno, onde poter dare corso alle istruttorie procedimentali di competenza, ferma l’adozione del provvedimento finale da parte dell’ente ricevente.

Il DPCM 14/12/2000 n. 446 è appieno inserito nella fitta trama delle procedure appena delineate, precisate, ratione materiae dal D.Lgs. 31/3/1998 n. 112, secondo il cui art. 7, i provvedimenti di cui all'art. 7 della legge 15/3/1997 n. 59, determinano la decorrenza dell'esercizio da parte delle regioni e degli enti locali delle funzioni conferite, contestualmente all'effettivo trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative, fermo restando che con la medesima decorrenza si verificano gli effetti abrogativi previsti dalle varie disposizioni di settore del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112.

Tutto ciò è vero al punto tale che il legislatore ha espressamente disciplinato le ipotesi in cui si verifichino casi di inerzia a vario livello.

Così, in primo luogo, secondo quanto dispone l’art. 7, comma 10 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112, nei casi in cui lo Stato non provveda ad adottare gli atti e i provvedimenti di attuazione entro le scadenze previste dalla legge 15/3/1997 n. 59 e dallo stesso decreto legislativo delegato, la Conferenza unificata Stato-regioni-città-autonomie locali può predisporre gli schemi degli atti o dei provvedimenti omessi dai vari ministeri o enti interessati dal conferimento istituzionale e trasmetterli direttamente alla presidenza del consiglio dei ministri affinché siano comunque attivati gli adempimenti di cui all’art. 7 della legge 15/3/1997 n. 59, applicando quanto disposto in subiecta materia dall’art. 2, comma 2 del D.Lgs. 28/8/1997 n. 281.

Inoltre, in secondo luogo, ove non si provveda con i prescritti DPCM al trasferimento delle risorse ai sensi dell'art. 7 della legge 15/3/1997 n. 59 entro i termini previsti, l’art. 7, comma 11 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112 prevede che la regione e gli enti locali interessati possano chiedere alla Conferenza unificata Stato-regioni-città-autonomie locali di segnalare il ritardo o l'inerzia alla presidenza del consiglio dei ministri, che indica il termine per provvedere, decorso inutilmente il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri nomina un commissario ad acta per l’adozione in via sostitutiva dell’atto omesso.

Proprio in quest’ambito si inserisce il DPCM 14/12/2000 n. 446, il quale tratta propriamente della sola risorsa personale in rapporto alle materie per le quali dispone il D.Lgs. 31/3/1998 n. 112, prevedendo una disciplina generale che trova applicazione per tutti i trasferimenti delle risorse umane nel comparto contrattuale dei ministeri.

In definitiva, il DPCM de quo dà corpo ed enuclea un atto a natura regolamentare che detta la disciplina procedimentale che le varie amministrazioni dello stato devono seguire per assicurare la correttezza delle procedure che presiedono ai trasferimenti di personale in presenza di conferimenti funzionali.

La natura giuridica regolamentare del DPCM 14/12/2000 n. 446 è confermata guardando, ad esempio, al suo analogon, che disciplina il trasferimento del personale dell’ANAS agli enti locali in attuazione dell’art. 7, comma 4 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112, definito in termini espliciti “regolamento” nell’oggetto del DPCM 22/12/2000 n. 448 che lo approva.

In quanto avente natura regolamentare, il presente DPCM 14/12/2000 n. 446 deve essere successivamente attuato nell’ambito delle varie amministrazioni dello stato in modo settoriale. Costituisce un tipico esempio di applicazione dei suoi contenuti il successivo DPCM 19/12/2000 che individua conseguenzialmente la consistenza delle risorse di personale da trasferire per l’esercizio delle funzioni conferite alle regioni ed agli enti locali afferenti al catasto, di cui all’art. 66 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112.

 

6. La riforma della pubblica amministrazione e la modificazione dell’assetto costituzionale.

L’impatto della legge 15/3/1997 n. 59 sull’assetto costituzionale è destinato a subire radicali modificazione per effetto della recente pubblicazione del Testo di legge di modifica del titolo V della II parte della Costituzione [8]. Il suo art. 4, infatti, modifica proprio l’art. 118 della legge fondamentale, mentre l’art. 9 ne abroga, fra l’altro, l’art. 128; il quadro complessivo è completato, poi, dalla costituzionalizzazione dei principi di sussidiarietà sia verticale, sia orizzontale, di differenziazione e di adeguatezza, prevedendo espressamente il riferimento alla figura complessa e per certi versi brachilogica del conferimento.

Il nuovo assetto costituzionale, invertendo il principio compendiato nel vecchio testo dell’art. 117 Cost., assegna allo stato la potestà legislativa esclusiva in una serie tassativamente determinata di materie, affiancando ad essa un settore di legislazione concorrente, ed un ulteriore settore nel quale le regioni sono sostanzialmente libere di legiferare, posto che ai sensi del comma 3 dell’art. 117 così come novellato dal testo di modifica del titolo V della II parte della costituzione “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”, ambito protetto dalla possibilità di adire la Corte costituzionale per conflitto di attribuzioni ex art. 127, comma 2 nel nuovo testo.

Senza la pretesa di esaurire una problematica la cui complessità sfugge alle ragioni del presente lavoro, sembra di poter dire che l’assetto della problematica della titolarità e dell’esercizio delle funzioni amministrative da parte dei soggetti istituzionali in cui si articola la Repubblica è stata ricondotta a sistema coerente proprio dal Testo di riforma del titolo V della II parte della Costituzione.

Il nuovo ordito normativo che sta prendendo corpo, infatti, consente di enucleare funzioni proprie dello Stato e funzioni proprie sia delle regioni, sia degli altri enti locali territoriali, fermo restando che, in linea di principio, la titolarità delle funzioni è attribuita ai comuni, ossia ai soggetti istituzionalmente più vicini ai bisogni che di volta in volta devono essere soddisfatti in concreto [9].

Tali funzioni, ontologicamente e naturaliter di spettanza dei comuni, possono essere ascritte ai soggetti di maggiori dimensioni territoriali solo e soltanto quando, ai rispettivi livelli, debba esserne assicurato l’esercizio unitario. Ancora una volta, lo strumento giuridico apprestato dal legislatore è quello del conferimento, il quale, però, opera, in una sua prima versione, per così dire, dal basso verso l’alto (art. 118, comma 1 Cost. nuovo testo).

Il principio del conferimento delle funzioni opera in una sua seconda versione, anche dall’alto verso il basso, come del resto dispone l’art. 118, comma 2 Cost. nuovo testo. Secondo tale norma, infatti, i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari, oltre che di funzioni proprie anche di funzioni conferite.

Ovviamente, gli enti di maggiori dimensioni territoriali possono sempre delegare l’esercizio delle funzioni di propria spettanza, per principio generale.

Ciò premesso, non può non essere evidenziato che l’assetto costituzionale così come delineato dalla recente legge di riforma si sovrappone tout court all’ordito normativo enucleato dalla legge 15/3/1997 n. 59, il che consente di evitare tutta una serie di incertezze logico-giuridiche ed applicative che era possibile adombrare in precedenza.

Il consolidamento della nuova copertura costituzionale della complessa riforma della pubblica amministrazione non è però definitivo ed in atto attualmente.

Non essendo stata raggiunta in seconda approvazione la prescritta maggioranza dei due terzi in ciascuno dei rami del parlamento, la definitiva promulgazione della legge di riforma del titolo V della parte II della costituzione è subordinata o al mancato assoggettamento a referendum popolare, ovvero, nel caso in cui esso sia stato indetto, al superamento positivo della relativa consultazione, come del resto prevede l’art. 138 Cost.


[1] Sul D.Lgs. 31/3/1998 n. 112, si veda, ad esempio, AA.VV. Le nuove funzioni degli Enti Locali. Commento al d.lgs. n. 112/1998, Maggioli, Rimini, 1998.

[2] Sulla problematica delle funzioni amministrative delle regioni e degli enti locali, si possono vedere: Virga, L’amministrazione locale, Giuffrè, Milano, 1998, 57; Nobile, Brevi note in tema di titolarità ed esercizio delle funzioni nella l. n. 142 del 1990, in Funzione amm., 1990, 831; Nobile, Le funzioni degli enti locali alla luce delle innovazioni della legge n. 142/1990, in Comuni d’Italia, 1994, 803; Camero, Le funzioni del comune della provincia nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in Comuni d’Italia, 1993, 679.

Sulle funzioni amministrative dei comuni, delle province e dei soggetti del circuito degli enti locali nella vigenza del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, si veda, per esempio, AA.VV. (ed.), Commento al Testo Unico in materia di ordinamento degli enti locali, Maggioli, Rimini, 2000, nonché Italia e Romano (ed.), Testo unico degli enti locali I, Giuffrè, Milano, 2000.

[3] In questo senso, si è espresso efficacemente Rotelli, Le regioni, Le province e i comuni, in Branca – Pizzorusso (ed.), Commentario alla Costituzione, Zanichelli, Bologna, 1990, 20, secondo il quale “il conferimento di specifiche funzioni costituisce per ciascun soggetto pubblico condizione di vita (…). Un ente che, ancorché dotato da ogni altro punto di vista, fosse privo di qualsiasi funzione sarebbe forzatamente inerte, e, in pratica, tamquam non esset”.

[4] Per un inquadramento della legge 15/3/1997 n. 59, fra gli altri, si possono vedere: Vespertini, I poteri locali II, Donzelli, Roma, 2000; AA.VV. Il decentramento amministrativo, Giorn. Dir. Amm., 1998, 812; Barbiero, Il nuovo sistema delle autonomie territoriali. La riforma del ruolo delle regioni e degli enti locali avviata dalle leggi 59/97 e 127/97, in AA.VV., Prime note, 1997, nn. 26 e 27, 306; Desideri-Meloni, Le autonomie locali alla prova delle riforme. Interpretazione e attuazione della legge 59/97, Giuffrè, Milano, 1998, 200.

[5] Gli ulteriori enti locali territoriali sono indicati dalle varie norme di settore del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, e precisamente: l’art. 23 per le Città metropolitane, l’art. 27 per le Comunità montane, l’art. 29 per le Comunità isolane o di arcipelago, l’art. 32 per le Unioni di comuni.

[6] Per la distinzione fra titolarità ed esercizio delle funzioni, Nobile, Brevi note in tema di titolarità ed esercizio delle funzioni nella l.n. 142 del 1990, in Funzione amm., 1990, 831.

[7] Sul modulo organizzatorio dell’avvalimento, Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1981, 193; Giuffrè, Diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1988, 299.

[8] Il testo definitivo della legge di riforma del titolo V della parte II della Costituzione è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 59 del 12/3/2001. Esso reca in apertura il riferimento alla assoggettabilità a referendum popolare nei modi e nei termini di cui all’art. 138 Cost., non essendo stato raggiunto in seconda votazione il quorum dei 2/3 dei voti favorevoli in ciascuno dei due rami del parlamento

[9] Di tutto ciò è estremamente sintomatico il confronto fra il vecchio ed il nuovo testo dell’art. 114 Cost. Nella vecchia formulazione, era evidenziato che “la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”. Nella nuova formulazione, peraltro ancora sub iudice, si legge che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Il riferimento, ovviamente, non va fatto alla maggiore o minore importanza dei vari enti territoriali, ma alla rilevanza che il principio di sussidiarietà ha nella distribuzione e nell’allocazione delle funzioni.


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