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n. 2/2005 - ©
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GIUSEPPE NICOLETTI
L’evoluzione della giurisdizione Corte
dei Conti:
dalla Contabilità alla Finanza pubblica (*).
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SOMMARIO: Premessa. 1.- Le origini della responsabilità amministrativo-contabile. 2.- Elementi costitutivi della responsabilità amministrativo-contabile. 3.- Le Riforme degli anni ‘90. 4.- Il completamento del quadro riformatore. 5.- Natura giuridica della responsabilità amministrativa. 6.- Rapporti col processo penale e col processo civile. 7.- La nuova responsabilità sanzionatoria degli Amministratori degli Enti Locali. 8.- Riflessioni conclusive.
PREMESSA.
Un Convegno per la celebrazione del decennale del decentramento delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti costituisce una preziosa occasione per svolgere una riflessione sul cammino compiuto e un dialogo con le istituzioni nazionali e regionali.
Non è casuale che nella assegnazione delle relazioni siano stati privilegiati Amministratori e Magistrati. Il lavoro compiuto dalle Procure e dalle Sezioni giurisdizionali decentrate coincide con le più incisive innovazioni legislative che sono state ponderate e applicate da una giurisprudenza in via di progressiva evoluzione, affiancata da una interessante produzione dottrinale che denota un notevole fermento culturale e un diffuso interesse per l’attività della Magistratura contabile, come attestato dalla pubblicazione del recentissimo volume del collega Vito Tenore, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, ed Giuffrè, che viene non casualmente presentato in occasione di questa giornata di studio, a rimarcare la valenza scientifica, oltre che sociale, delle funzioni della Corte.
Oggi siamo chiamati a riflettere sul cammino compiuto ad individuare le nuove prospettive della funzione di garanzia giurisdizionale assegnata alla Corte dei Conti a tutela della finanza pubblica.
Mi limiterò a tracciare il quadro normativo e giurisprudenziale generale della materia oggetto della giurisdizione amministrativo-contabile per individuare le linee di tendenza. I relatori designati affronteranno i singoli argomenti consentendo così un proficuo approfondimento del dibattito.
La mia relazione non intende affrontare nessun particolare problema, bensì fare una ricognizione del cammino svolto nell’ultimo decennio per individuare le linee della evoluzione delle funzioni della Corte dei Conti ed, in particolare del percorso ad oggi svolto e una prefigurazione del cammino che ci attende.
Chi siamo; donde veniamo; dove andremo. Gli interrogativi che si ponevano i filosofi oggi si impongono alla Magistratura della Corte dei Conti per riflettere sul nuovo ruolo che è chiamata a svolgere nell’interesse della Comunità Nazionale Repubblicana nelle sue diverse articolazioni territoriali.
La Corte dei Conti, magistratura indipendente, preposta oltre che a giudicare i comportamenti dannosi per l’Erario, a verificare gli equilibri della finanza pubblica nella gestione delle risorse della comunità amministrata, è chiamata ad adeguare i moduli organizzatori e procedimentali nello svolgimento delle funzioni di garanzia che le sono affidate sinergicamente dalla Costituzione a tutela della finanza pubblica: giurisdizione e controllo.
La funzione di controllo risulta caratterizzata da una evoluzione in senso estensivo per effetto del decentramento e la sottoposizione allo stesso modulo di controllo di tutti gli enti locali. Nella tipologia dei controlli le modificazioni intervenute sono più incisive. Fino agli anni 90 il controllo esercitato dalla Corte dei conti sull’Amministrazione statale risultava basato su una tipologia di controllo preventivo di legittimità su singoli atti idoneo ad incidere sull’efficacia dell’atto.
Ma con il maturare della nuova cultura dell’Amministrazione di derivazione anglo-sassone sono emersi nuovi valori che in parte sostituiscono e in parte si aggiungono a quelli della legalità: economicità, efficienza ed efficacia.
Le sinergiche funzioni di garanzia della magistratura finanziaria si sono parallelamente evolute per assicurare la legalità dei comportamenti degli operatori pubblici e l’efficienza dell’azione amministrativa che si traduce nella legalità sostanziale.
Nella seconda sessione del Convegno saranno esaminate le tematiche del controllo interno, dei controlli di gestione e del controllo sulla gestione o controllo Referto oramai previsto in modo generalizzato per tutti gli enti esponenziali.
Nella prima sessione saranno affrontati i temi della evoluzione della responsabilità.
La veloce panoramica storica e attuale mi impone un richiamo alle origini, alla struttura della responsabilità, alla sua evoluzione legislativa e giurisprudenziale e, da ultimo, un accenno alla vera rivoluzione culturale che viene operata dalle recentissime scelte sanzionatorie a tutela della Finanza Pubblica.
1) Le origini della responsabilità amministrativo-contabile.
La preminente funzione istituzionale assegnata alla Corte dei Conti è da individuare nella garanzia della corretta gestione delle pubbliche risorse e nella esigenza del buon funzionamento delle Amministrazioni per la realizzazione degli interessi pubblici generali e quindi della Comunità amministrata.
Il supporto costituzionale delle richiamate garanzie va individuato rispettivamente negli Artt.97, 100 e 103, 2° comma della Costituzione vigente.
La Corte dei Conti viene da lontano, ben prima dello Stato unitario nazionale. Il suo nascere coincide con l’espandersi dell’investimento di risorse pubbliche per il soddisfacimento di bisogni collettivi.
Prescindiamo dalla funzione di controllo che sarà oggetto di altre relazioni. Ora occorre fare un quadro panoramico della giurisdizione della Corte dei Conti, della evoluzione maturata ad oggi e delle ulteriori prospettive che si è in grado di presagire. La giurisdizione amministrativo-contabile nasce dal giudizio di conto cui erano sottoposti gli agenti contabili dello stato e degli enti pubblici sin dalla legge istitutiva della Corte dei Conti n.800/1862.
Da siffatto giudizio con caratteri peculiari si è enucleato il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile che ha acquisito una valenza più generale.
Il criterio di riparto della giurisdizione per quel che riguarda la materia in argomento è puntualizzato dall’art.103, 2° comma della Costituzione che recita "la Corte dei Conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge".
L’identificazione della nozione di contabilità pubblica per il profilo che ci interessa non risulta agevole.
La Corte Costituzionale ha affermato con pronuncia ormai consolidata, che la giurisdizione della Corte dei Conti nella materia, è tendenzialmente generale.
Affermazione che non consente di desumere la natura esclusiva della giurisdizione nella materia, ma già con il riconoscimento della tendenziale esclusivita’ indica un criterio di assegnazione della giurisdizione.
Non va trascurato al riguardo l’orientamento della cultura giuspubblicistica che, con una interpretazione evolutiva ed espansiva della norma costituzionale, ritiene che il contenzioso pensionistico rientri nell’ambito della giurisdizione contabile in quanto il sistema previdenziale pubblico costituisce una componente essenziale e non certo trascurabile della finanza pubblica.
La tesi esposta in un Convegno dal Cons. Oricchio non può essere trascurata, ancorché la natura del giudizio pensionistico caratterizzato dal ricorso come atto introduttivo, lo rende assolutamente diverso dal giudizio di conto ma anche dal giudizio di responsabilità azionato dal Pubblico Ministero Contabile.
Ove si prescinda dalla nozione ragioneristica della Contabilità Pubblica elevata a valore costituzionale si può riflettere che anche l’interpretazione retrospettiva depone per l’assegnazione di un ruolo di garanzia a sostegno della finanza pubblica. La materia delle pensioni era assegnata alla Corte dei Conti anche nella fase amministrativa in considerazione della natura degli oneri finanziari a carico della Comunità nazionale ancora di natura eccezionale. A ben riflettere tutte le materie assegnate alla giurisdizione contabile rientrano nella più moderna nozione di finanza pubblica. L’espressione usata dal Costituente "….. e nelle altre previste dalla legge" va interpretata nel senso di una valenza generale della materia della Contabilità pubblica, nella nozione al tempo diffusa, e con la riconosciuta potestà del legislatore ordinario di realizzarne la naturale espansione.
Tutta l’evoluzione legislativa cui si fa cenno depone per l’interpretazione della nozione costituzionale di contabilità pubblica nella valenza moderna di Finanza Pubblica quale è venuta a configurarsi nello stato moderno caratterizzato dalla crescente espansione di interessi pubblici e collettivi e conseguente dilatarsi delle risorse tributarie prelevate dai cittadini.
Secondo la moderna nozione di contabilità o meglio Finanza, le garanzie non si limitano alla procedimentalizzazione della spesa pubblica, ma per la complessiva gestione delle risorse prelevate nell’interesse della comunità amministrata. Con tale interpretazione sono coerenti le recentissime innovazioni legislative di natura sanzionatoria da cui si evince che il valore recepito dalla Costituzione è quello della Finanza Pubblica come valore immanente e permanente che le pubbliche amministrazioni sono chiamate a rispettare.
Il potere del legislatore ordinario di assegnare altre materie va, quindi, identificato quale potestà di specificazione della materia finanziaria pubblica più che di integrazione.
2) Responsabilità amministrativo-contabile - Elementi costitutivi.
Prima di esaminare gli interventi legislativi che hanno segnato l’evoluzione di questa peculiare responsabilità è bene richiamare gli elementi essenziali che concorrono a costituire la responsabilità amministrativa nel contesto del diritto pubblico.
Questa responsabilità sorge dal danno causato alla pubblica amministrazione dal comportamento (azione od omissione) di amministratori e dipendenti pubblici nell’esercizio delle proprie funzioni.
Il fondamento normativo va trovato nell’art. 52 del R.D. n.1214/1934 (T.U. della Corte dei Conti) negli art.18,19 e 20 del DPR 1957 n. 3 sugli impiegati civili della P.A. , nonché nell’art. 83, ultimo comma della legge di Contabilità Generale del R.D. 18.11.1923.
Gli elementi costitutivi sono:
a) Soggetti legati alla P. A .da un rapporto di impiego o di servizio.
Possono essere sottoposti alla giurisdizione della Corte i soggetti nei cui confronti sussistono specificati elementi:
natura pubblica dell’Ente di appartenenza;
correlazione con i fini istituzionali;
condotta posta in essere dall’agente cui sia riconducibile casualmente un evento dannoso;
- natura pubblica delle risorse finanziarie gestite;
continuità del rapporto funzionale.
b) Danno erariale
La nozione di danno è quella civilistica, data dalla lesione di un interesse di natura patrimoniale nella tradizionale articolazione di danno emergente o lucro cessante.
Il danno è erariale in quanto la lesione economica incide sul bilancio dello Stato di un Ente pubblico. Con l’evoluzione della giurisprudenza e della recente legislazione si è affermato il concetto di Erario pubblico allargato che si identifica con la finanza pubblica.
La nozione di danno ha subito una evoluzione progressiva con il maturare della nuova dottrina e gli interventi sempre più incisivi della giurisprudenza. Dalla concezione strettamente finanziaria siamo progressivamente arrivati all’affermazione del danno esistenziale o danno all’immagine. Si è affermata una nozione di danno giuridicamente rilevante cioè di un danno per il cui accertamento non è essenziale il criterio naturalistico materiale, ma essenzialmente criteri e valutazioni di ordine giuridico funzionali al regime risarcitorio degli interessi dell’ente.
Il risarcimento del danno è andato estendendosi in direzione della prevenzione di danni che si sottraggono all’alternativa danno patrimoniale-danno morale, venendo alla ribalta un tertium genus di danno valutabile ex sé in quanto arrecato al valore della persona in se stessa considerata e cioè nel complesso degli interessi di cui è titolare. Questa forma di danno è suscettibile di risarcimento in termini compensativi ed è ritenuto di pertinenza della generale nozione di danno pubblico assoggettato alla giurisdizione della Corte dei Conti ai sensi dell’art. 103 , 2° comma Costituzione.
Secondo giurisprudenza recente concretizza danno risarcibile la lesione dell’immagine dell’Amministrazione quale bene immateriale giuridicamente protetto, lesione dovuta al comportamento di un agente pubblico idoneo a cagionare un grave (disdoro) nell’ambiente sociale per lo stridente contrasto tra la sua riprorevolezza e le garanzie di imparzialità e legalità che dovrebbero sempre contraddistinguere l’azione della pubblica Amministrazione. La quantificazione del danno all’immagine dell’amministrazione viene operato con il ricorso al criterio della valutazione equitativa, nell’ambito della quale trovano spazio le spese per il ripristino dell’immagine. Costituiscono parametri per la valutazione equitativa del danno all’immagine la gravità e reiterazione dell’illecito, gli effetti sull’azione amministrativa di scostamento dal buon andamento, l’esponenzialità istituzionale del soggetto agente, il livello di propagazione negativa dell’immagine.
In materia di danno all’immagine è stato affermato che il danno all’immagine dell’Amministrazione può essere oggetto di autonoma responsabilità amministrativa, vale a dire che è azionabile autonomamente a prescindere dal verificarsi di un danno a beni materiali dell’amministrazione.
c) Condotta antigiuridica.
Essa consiste in ogni azione od omissione posta in essere da un soggetto o da più soggetti legati all’ente pubblico da un rapporto di servizio.
La condotta può consistere sia in attività materiale che attività amministrativa di atti unipersonali o collegiali.
La nozione generale penalistica di condotta che si configura come azione od omissione non è applicabile alla responsabilità amministrativa nella quale soccorrono criteri normativi che integrano gli elementi naturalistici. In particolare per identificare l’omissione non è sufficiente qualificare il non facere, poiché risulta necessario identificare il non facere quod debeatur. Trattandosi di attività amministrativa che si sostanzia nello svolgimento di funzioni che consistono nella esplicazione della competenza, l’identificazione della condotta non può essere operata se non alla stregua dei criteri normativi. In particolare il non facere si sostanzia nell’omissione di atto dovuto in quanto rientrante nella competenza del soggetto indagato e in relazione alla situazione naturale, amministrativa e fattuale in cui il provvedimento si sarebbe reso necessario. L’omissione si risolve in un giudizio formulato in base ad una norma ed avente ad oggetto un comportamento che può essere di azione o di inazione.
La condotta attiva od omissiva deve risultare posta in essere contra jus-. Posto che nel comportamento si individuano la condotta e l’evento, solo ove risulti che la condotta è posta in essere in violazione di norme giuridiche, l’evento conseguente alla condotta viene a concretare il danno che è contra jus.
d) Elemento psicologico.
L’evento dannoso conseguente alla condotta attiva od omissiva deve essere attribuibile al soggetto agente sotto il profilo del dolo o almeno della colpa.
Se nel caso di dolo si assume la piena consapevolezza della possibilità dell’evento, si ha l’elemento della colpa allorché al soggetto agente sia rimproverabile un comportamento di negligenza responsabile non conforme alla diligenza media. La nozione civilistica di diligenza del buon padre di famiglia trasferita nel contesto operativo della P.A. risulta inquadrabile come comportamento medio del buon funzionario amministratore. All’agente deve potersi rimproverare un comportamento caratterizzato dallo scostamento da quello che si sarebbe potuto attendere secondo le comuni previsioni. Il giudizio sulla prevedibilità dell’evento può essere operato dal giudice sulla base di una valutazione prognostica a posteriori. E’ solo sulla base di un giudizio di prevedibilità così inteso che la condotta può essere qualificata colposa. In prosieguo, come vedremo, la responsabilità sarà limitata ai casi di colpa grave
e) Nesso di causalità tra evento dannoso e condotta antigiuridica.
Si tratta del nesso eziologico che consente di valutare l’evento dannoso come conseguenza immediata e diretta dell’azione od omissione.
Il rapporto di causalità tra condotta ed evento viene accertato con i criteri di diritto penale ed in particolare dell’art. 40 c.p. secondo cui l’evento dannoso non può essere attribuito al soggetto agente se esso non è conseguenza immediata e diretta dell’azione od omissione. Il rapporto di causalità tra condotta ed evento è la condizione imprescindibile per l’attribuibilità dell’evento. Calata nell’ambito del diritto amministrativo, la nozione di causalità adeguata consente agevolmente di identificare e quantificare l’entità della lesione patrimoniale subita dall’Amministrazione.
Nella giurisprudenza si trovano criteri e parametri che consentono all’operatore del diritto di individuare una attendibile linea di demarcazione della causalità adeguata. E’ stato affermato che nella ricerca del nesso causale vanno ritenuti conseguenza della condotta illecita quei danni che non si sarebbero verificati senza quella specifica condotta umana e sempre che non siano concorsi fattori eccezionali, di per sé idonei a determinare l’evento dannoso.
3) Il processo riformatore degli anni '90.
Il quadro legislativo richiamato ha subito incisive modifiche a seguito di successivi interventi del legislatore che ha introdotto innovazioni funzionali incisive.
Un primo intervento di rilievo si ha con legge n. 142/1990 che ha esteso la giurisdizione della Corte dei Conti anche ai dipendenti degli enti locali ed ha ampliato quella sugli amministratori introducendo le sotto richiamate modifiche:
a) Prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità.
L’introduzione del termine quinquennale per l’esercizio dell’azione di responsabilità in argomento è coerente alla estensione ai dipendenti degli Enti Locali della Giurisdizione della Corte dei Conti, in precedenza sottoposti alla giurisdizione ordinaria. Con la nuova legge Comunale e Provinciale che sostituisce il T.U. n. 383/34, gli operatori degli enti locali vengono sottoposti ad un nuovo trattamento con fattispecie di responsabilità non tipiche ma generali e devolute ad un unico giudice e perseguite dal Procuratore Contabile in un termine più breve.
In realtà, con le richiamate norme inserite nell’ordinamento degli enti locali vengono introdotte le riforme di più largo respiro di tutto l’ordinamento della Corte dei Conti, completate con le leggi n. 19 e 20 del 1994 e dai decreti-leggi emanati successivamente fino alla definitiva conversione nella legge n. 639/1996.
b) Carattere personale della responsabilità che non si estende agli eredi.
Il principio della personalità della responsabilità contabile viene affermato per la prima volta dall’art. 58 Legge n. 142/1990 limitatamente agli enti locali. La norma stabilisce che la responsabilità amministrativa cui incorrono amministratori e dipendenti di comuni e province è personale e non si estende agli eredi.
Con le leggi n.19 e 20 del 1994, nonché con una serie di decreti-legge successivamente emanati e definitivamente convertiti nella Legge n. 639/1996 sono state apportate ulteriori modifiche.
L’art. 1, comma I della legge n. 639/96 di definitiva conversione dei decreti-legge ha puntualizzato che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti è personale, ma si estende agli eredi nel caso di illecito arricchimento del dante causa o indebito arricchimento degli eredi stessi.
La giurisprudenza ha puntualizzato (Sez. II n. 83/98) che i criteri della personalità della responsabilità amministrativa e della intrasmissibilità agli eredi dell’operatore pubblico con l’avvento dell’art. 1, 1° comma della Legge n. 20/94, sono diventati regole generali per cui con riferimento all’intrasmissibiltà non può parlarsi di deroga al criterio civilistico ma di criterio generale della responsabilità amministrativa e contabile. Gli eredi sono per contro legittimati passivi e quindi rispondono in luogo del de cuius ritenuto autore del danno erariale solo in caso di illecito arricchimento del dante causa ed indebito arricchimento degli eredi stessi.
Quanto alla prova dell’indebito arricchimento è stato ribadito che in tema di responsabilità contabile non è configurabile nessuna presunzione di arricchimento in quanto non può escludersi che i proventi dell’illecita condotta del de cuius siano stati interamente consumati in vita dal medesimo e che nessun beneficio sia stato trasmesso agli eredi.
L’applicazione del principio fatto dalla giurisprudenza depone per un cambiamento radicale del sistema pregresso. Prima si partiva dal danno e si sottolineava il sorgere del debito che comunque doveva essere estinto.
Con le modifiche introdotte negli anni novanta si verifica una vera rivoluzione culturale. Le novelle del 1994/96 hanno avuto il merito di delineare una responsabilità sui generis che non si inquadra sic et simpliciter nelle opposte concezioni civilistico-risarcitoria, nè pubblicistico-sanzionatoria.
E’ stato osservato che questa responsabilità costituisce un genus nella quale si coniugano elementi risarcitori del danno con elementi afflittivi facendo così riemergere la originaria natura definita afflittiva come castigo.
Riemerge in buona sostanza, una natura afflittiva pecuniaria di una responsabilità i cui effetti non possono essere trasferiti agli eredi, ove la stessa azione dannosa non abbia comportato l’acquisizione di vantaggi di natura patrimoniale.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 383/1992, ha potuto asserire che la legge n. 142/1990 non ha modificato in radice la responsabilità amministrativa ma ha solo introdotto una deroga al principio di successione degli eredi nei debiti del defunto.
Secondo la valutazione della giurisprudenza che ne è conseguita (Sezioni Riunite n. 123/2001) il principio della personalità della responsabilità non ha impresso un nuovo carattere configurandola come responsabilità pubblicistica sanzionatoria, ma ha inciso unicamente sulla trasmissibilità agli eredi del debito del de cuius.
4) Il completamento del quadro riformatore.
Le innovazioni legislative in questa materia sono rimarcate dalla portata delle norme contenute nell’art. 3 della legge n. 639/96 che oltre a quanto ribadito in materia di prescrizione e personalita’ della responsabilita’, dispone quanto segue:
a) la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti è limitata ai fatti commessi con dolo o colpa grave.
Deve osservarsi al riguardo che la limitazione della valenza dell’elemento psicologico solo ai casi che si pongono al di sopra della colpa media per raggiungere il livello della gravità, distacca maggiormente questa forma di responsabilità da quella civile requisito della quale è la colpa lieve.
L’innovazione trova il suo fondamento nell’esigenza funzionale, di non frenare l’azione amministrativa evitando che lo stato d’animo di timore influenzi negativamente lo svolgimento della funzione amministrativa. E’ naturale, peraltro, che una parte dei rischi del comportamento rimanga a carico dell’Amministrazione se il funzionario agisce secondo la attenzione o diligenza media amministrativa che non può essere ricondotta a quella del buon padre di famiglia, bensì al normale andamento dell’amministrazione che comporta l’assunzione di responsabilità per la realizzazione degli interessi pubblici.
L’elemento psicologico del soggetto che opera nell’ambito della P.A. non va, peraltro, parametrato con criteri civilistici. L’agire amministrativo deve svolgersi nel pieno rispetto dei moduli stabiliti con atto normativo e deve tendere al perseguimento degli scopi fissati dalla legge. Con l’instaurazione del rapporto di servizio il pubblico dipendente assume l’obbligo non solo di raggiungere gli obbiettivi assegnategli, ma anche quello di rispettare le norme procedurali e deontologiche per il conseguimento degli interessi pubblici. La violazione di tali regole costituisce violazione degli obblighi di servizio configurando una devianza dai normali procedimenti.
La violazione di regole vizia l’atto rendendolo inidoneo allo scopo prefissato e comporta comunque un disservizio.
E’ significativo, però, che avendo il legislatore elevato la soglia della rilevanza dell’elemento psicologico, la natura e dimensione della devianza deve concretare un distacco dalle regole amministrative per essere perseguibile. Secondo giurisprudenza consolidata ( ved. Sez. Toscana 1765/ 410.2000) la sussistenza della colpa grave non può desumersi con un giudizio ex post dalla entità delle conseguenze derivate dalla condotta del convenuto, dovendo al contrario procedersi ad una valutazione rapportata al momento in cui il soggetto ha posto in essere la condotta contestata.
b) Insindacabilità delle scelte discrezionali.
La richiamata norma stabilisce la insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.
La ratio della norma va individuata nel criterio che il giudice non può sostituirsi all’Amministratore nel valutare l’opportunità della scelta già introdotta con D.L. n. 29/1993 che distingue tra funzione generale di indirizzo e attività di gestione.
Applicando questa distinzione all’area della responsabilità ne discende che l’atto generale di indirizzo non può comportare responsabilità.
E’ normale, però che l’atto di gestione in quanto strumento dell’amministrazione attiva è quello che può dar luogo a comportamenti illeciti.
Con ciò non si vuol dire che la classe politica sia immune da responsabilità e che la classe burocratica debba sempre essere essa sola passibile dell’accertamento degli elementi della responsabilità.
E’ il caso di richiamare che prima della novella del 1996 la Corte aveva elaborato una ottima giurisprudenza sulla discrezionalità delle scelte identificando un criterio giurisprudenziale di scelte censurabili per la irrazionalità che faceva venir meno la stessa discrezionalità.
Non vi è dubbio che la nuova norma impone un diverso approccio alla materia del giudizio sulla discrezionalità amministrativa nonché su quella tecnica.
La giurisprudenza formatasi dopo l’entrata in vigore della nuova norma ha individuato aggiornati criteri di interpretazione. La Sezione Centrale di Appello ha affermato che il legislatore ha inteso recepire l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui i fatti di gestione che conseguono a scelte discrezionali sono valutabili dal giudice contabile secondo i principi di razionalità e giustificabilità delle scelte. L’espressione, ferma restando l’insindacabilità delle scelte discrezionali, non può che far riferimento a principi elaborati dalla giurisprudenza, non esistendo anteriormente disposizioni che disciplinassero la materia. La stessa Sezione ha affermato che la precisazione normativa non è un precetto nuovo, quasi che in precedenza fosse consentito al giudice sindacare le scelte discrezionali. A ciò ostavano i principi generali ed il rispetto delle autonomie degli enti specie quando trattasi di autonomia costituzionalmente garantita.
Siffatti principi risultano così enunciati nella sentenza n. 85/94 della stessa Sezione :
-compatibilità dell’iniziativa con gli interessi generali dell’Ente;
-congruità del mezzo prescelto con il fine dichiarato;
-il contenimento della spesa nei limiti di capienza del relativo capitolo di bilancio.
La giurisprudenza ,peraltro, ha dato utili apporti per l’individuazione del confine dell’insindacabilità. La Sezione III C ha affermato che nel giudizio contabile sono sindacabili anche le scelte discrezionali che, eccedendo i limiti della ragionevolezza, sconfinino nell’arbitrio e siano, perciò,viziate dell’illegittimità per eccesso di potere.
La Sez. I C ha ribadito l’orientamento alla stregua del quale non è invocabile la preclusione di valutazione sindacatoria per atti contra legem ed in particolare per atti recanti ordinazione irregolare di spesa ovvero aventi finalità diverse da quelle istituzionali dell’ente ( Sez. I C A n. 217/98).
In materia di discrezionalità tecnica la giurisprudenza ( Sez. I A n110/2004) ha avuto modo di puntualizzare che l’espressione usata dall’art. 3, primo comma L 639/96 secondo cui non sono sindacabili le scelte va intesa nel senso che il giudice contabile non può sindacare e valutare l’opportunità e la convenienza amministrativa delle scelte effettuate e,quindi, delle ragioni per le quali la pubblica autorità abbia proceduto, in base a norme giuridiche di buona amministrazione, ad una opzione piuttosto che ad un’altra e/o abbia adottatati una soluzione piuttosto che un’altra per il perseguimento delle proprie finalità. La stessa Sezione ha precisato che una volta operata la scelta non può essere disconosciuta la possibilità del giudice contabile di penetrare ex post il momento volitivo e di procedere ad una valutazione dell’operato dell’amministrazione in punto di legittimità alla stregua delle regole cosiddette interne dell’azione amministrativa, al fine di verificare la corrispondenza di quell’operato con gli interessi demandati all’amministrazione per appurare il rispetto dei principi di congruità, logicità,ragionevolezza… che debbono presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa
c) Vantaggi conseguiti dall’Amministrazione.
Secondo l’art. 3 su citato nei giudizi di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione dell’addebito, la Corte deve tener conto dei vantaggi conseguiti dall’Amministrazione e dalle Comunità amministrate.
Occorre precisare che nella determinazione del quantum del danno risarcibile la valutazione dei vantaggi comunque conseguiti dall’Amministrazione si aggiunge ma non si compensa con il potere riduttivo.
Quest’ultimo che da sempre ha connotato la responsabilità amministrativa ha sempre caratterizzato la potestas judicandi della Corte dei Conti che può porre a carico del responsabile tutto o parte del danno accertato.
I vantaggi conseguiti dall’Amministrazione o dalla Comunità amministrata sono invece a priori esclusi dal quantum di danno ingiusto.
La seconda Sezione centrale di Appello nell’affrontare un caso di valutazione di vantaggi ha precisato che il vantaggio è concetto antitetico che esclude di per sé la possibilità di configurazione del danno nella sua ontologica esistenza, per cui non si tratta di compensatio lucri cum damno, ma di autonoma valutazione. In tale ottica concettuale viene richiamato l’art. 5 del d.l. n. 342/1997 il quale ammette che i Comuni possono riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio contratti per l’acquisizione di beni e servizi in violazione di norme finanziarie, nei limiti di accertata utilità e arricchimento dell’ente.
Nello stesso orientamento la Sezione giurisdizionale per la Calabria sent. n. 744/02 secondo cui la sussistenza della utilità conseguita dalla pubblica Amministrazione o dalla Comunità amministrata è condizionata non al mero acquisto del bene e/o del servizio, quale conseguenza della condotta illecita, ma alla fruizione dei vantaggi economici corrispondenti agli interessi istituzionali dell’ente. Il giudice contabile può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini istituzionali, ma deve restare estraneo alla concreta e minuta attuazione dell’iniziativa intrapresa.
La Sezione Emilia con sentenza n. 291/98 ha affermato che la scriminante del vantaggio conseguito dalla Comunità amministrata non può operare che in riferimento a fattispecie di responsabilità amministrativo-contabili con danni subiti da Enti esponenziali di collettività, mentre la stessa scriminante non è configurabile quando si tratti di Enti che,essendo titolari di poteri con fini pubblici normativamente predeterminati, non hanno per fine il perseguimento degli interessi generali di una collettività.
d) Delibere collegiali.
Per le delibere collegiali la responsabilità si limita esclusivamente ai componenti del collegio che hanno espresso voto favorevole.
L’innovazione è relativa nel senso che i componenti di organi collegiali prima rispondevano anche se astenuti ove non avessero espresso motivato dissenso, mentre oggi sono responsabili solo quelli che hanno votato a favore dell’atto adottato concorrendo alla formazione della volontà collegiale.
La Sezione Prima A. con Sent. n.105/98 ha affermato la natura solidale dell’obbligazione dei soggetti responsabili trattandosi di deliberazione resa da organi collegiali. Il principio della responsabilità solidale dei componenti degli organi collegiali è stata espressamente prevista per lo Stato dall’art. 24 DPR n. 3 1957, la cui portata normativa è stata estesa a tutti gli organi collegiali. La solidarietà tra più soggetti che hanno concorso a determinare l’evento trova giustificazione nella indifferenza delle cause che hanno concorso a determinare l’evento stesso. Nell’ipotesi di atto collegiale, infatti, esiste un unico atto in rapporto di causalità col danno.
In buona sostanza rimangono fermi i criteri tradizionali della attribuzione della responsabilità ai componenti dei collegi, salvo quanto precisato innovativamente dalla norma in punto di componenti astenuti.
e) Esclusione della solidarietà.
La nuova norma dispone che se il fatto è causato da più persone, solo i concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente.
Ne consegue che salvo il caso di dolo, ognuno risponde della propria quota parte di debito risarcitorio. L’innovazione legislativa ha in buona sostanza scisso la posizione dei soggetti che hanno concorso casualmente alla determinazione dell’evento dannoso laddove l’elemento psicologico pur superando la soglia di rilevanza della colpa grave, oramai requisito essenziale della stessa sussistenza della responsabilità, non abbia raggiunto la natura dolosa. Ciascuno risponde per la parte che vi ha preso con perfetta corrispondenza tra apporto causale ed evento dannoso. Tra più condannati a titolo di dolo e quindi in solido, il giudice non è tenuto a ripartire il debito nei rapporti interni, atteso che, in assenza di statuizioni al riguardo, l’obbligazione in questione deve ritenersi ripartita per quote eguali in applicazione dell’art. 1298, C.C.
f) Elemento psicologico.
La condotta cui è riconducibile l’evento dannoso per l’erario deve potersi qualificare come gravemente colposa. La nozione di colpa è quella civilistica, ma nel contesto amministrativo viene ad assumere una connotazione particolare in relazione ai diversi parametri di valutazione di comportamenti amministrativi. Fino alle recenti riforme l’elemento della colpa grave quale requisito della responsabilità amministrativa era limitato a categorie di operatori esposti a rischio particolare. Secondo l’orientamento dottrinario civilistico l’elevazione della soglia di rilevanza dell’elemento psicologico trova la sua giustificazione nel criterio di ripartizione del rischio tra P.A. ed operatori pubblici. Il riferimento ha una indubbia giustificazione. Tuttavia nell’ambito del diritto pubblico occorre individuare la ratio del nuovo orientamento legislativo nell’esigenza primaria del buon andamento della pubblica amministrazione e del valore etico e non meramente patrimoniale nella valutazione dei comportamenti di amministratori e funzionari pubblici. Secondo la concezione psicologica l’accertamento dell’elemento psicologico, la colpevolezza, tende ad accertare il nesso tra l’agente e fatto dannoso e non ammette graduazione. Secondo la concezione normativa è da accertare l’antidoverosità in relazione alla violazione di doveri funzionali e di ufficio. Mentre la colpa civile viene valutata in relazione ad un modello astratto del buon padre di famiglia, la responsabilità amministrativa deve valutarsi in relazione agli obblighi di servizio e funzionali di settore.
La Sez. Calabria con Sent.n.64 2004 ha affermato che " la disciplina della responsabilità amministrativa uniformandosi alla concezione normativa comporta una graduazione della colpa che viene a svolgere un ruolo dominante rispetto agli altri elementi. La stessa Corte Costituzionale ha disancorato la colpa dal nesso psichico tra soggetto agente e fatto dannoso affermando che rilevante in sede di accertamento della colpa è un giudizio di rimproverabilità del comportamento dannoso rispetto alla previsione normativa, con la conseguenza che non si deve far più riferimento al modello tradizionale del buon padre di famiglia, bensì al comportameto che sarebbe stato necessario nel caso concreto nel rispetto delle prescrizioni normative. Il giudice nell’individuazione in concreto del livello di rilevanza della colpa deve tener conto di due criteri di valutazione: l’uno oggettivo relativo al grado di diligenza richiesto,e l’altro soggettivo relativo alla valutazione delle cause che hanno indotto l’agente a discostarsi dalle regole di opportunità e adeguatezza. La necessità del ricorso alla concezione normativa e non a quella psicologica è reso necessario anche dalla recente limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave. Ne consegue che l’accertamento della gravità della colpa deve essere operato alla stregua dell’antidoverosità. Secondo la stessa pronuncia viene esclusa la colpa grave nelle situazioni in cui l’errore è riconducibile alla complessità della materia o a difficoltà di interpretazione di nuove norme.
g) Potere riduttivo.
Il potere riduttivo è stato da sempre l’elemento caratterizzante della responsabilità amministrativa. La base normativa va individuata nel art. 83 c p v della Legge di Contabilità di Stato R.D. 18.11.1923 n. 2440 che così dispone "I funzionari……sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, la quale valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del valore danno accertato o del valore perduto". Questo potere ha assunto la connotazione di potere determinativo del quantum di danno risarcibile che viene esercitato dal giudice in considerazione del contesto in cui il funzionario ha operato, nonché del grado di colpa attribuibile. Si tratta dell’elemento caratterizzante della responsabilità nella P.A. che sin dalle origini ha differenziato la responsabilità amministrativa da quella civile risarcitoria dalla quale si è distaccata progressivamente sempre di più, nonché dalla pura responsabilità disciplinare con la quale il comportamento del dipendente pubblico viene valutato per la inosservanza di norme di servizio indipendentemente dal lavoro.
La giurisprudenza tradizionale ha utilizzato il potere riduttivo sia per graduare la condanna in funzione della entità della colpa, sia per proporzionare l’addebito all’efficienza causale in funzione dell’entità della colpa, sia per proporzionare l’addebito all’efficienza causale del comportamento del responsabile. Pronunce più recenti fondano il potere riduttivo su ulteriori elementi svincolati dall’elemento soggettivo e dall’efficienza causale. Risulta che per l’accertamento della gravità è quindi difficile individuare un criterio sull’esercizio del potere in argomento che segna il contatto tra funzione risarcitoria dell’azione di responsabilità e la sua connotazione sanzionatoria che va sempre più accentuandosi a seguito dei recenti interventi legislativi che impongono una riconsiderazione dei criteri cui uniformarsi nell’esercizio del potere di riduzione dell’addebito.
Se prima delle recenti riforme il potere riduttivo è stato utilizzato per proporzionare l’addebito al grado di colpa dell’agente ed al suo apporto causale, più recentemente le Sezioni di merito hanno fatto ricorso a detto potere per la valutazione equitativa dell’addebito sganciata dai consueti parametri. Si ritiene che il tradizionale potere di riduzione dell’addebito debba essere inquadrato nel nuovo contesto normativo totalmente mutato.
Le nuove norme sono fortemente incisive nella disciplina della responsabilità. Pur in presenza della limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave risulta confermato il potere di riduzione dell’addebito. Ciò elimina ogni dubbio sulla compatibilità del potere riduttivo con la colpa grave.
Ne deriva semplicemente che anche al di sopra della soglia di rilevanza dell’elemento psicologico da qualificarsi come grave, permane la graduabilità della colpa. Il potere di accertamento del giudice in ordine alla colpa non si limita a verificare la sussistenza della gravità o meno, bensì a stabilire quale sia il livello di gravità nel caso concreto. La conservazione del potere in parola non avrebbe senso se non fosse esercitabile in presenza di colpa grave, atteso che ormai il collegamento del danno all’agente contabile è costituito dal dolo o dalla colpa grave ( vedi Sezione Terza A. n. 132/98).
Il potere riduttivo che prima spaziava dalla colpa alla valutazione dell’apporto causale del comportamento, trova più ristretti spazi. La valutazione dell’apporto causale deve trovare preliminare esplicazione ai fini della più esatta determinazione del danno addebitabile.
Il giudice può addivenire alla riduzione dell’addebito che non essendo solo ancorata alla entità della colpa o dell’apporto causale, dovrà trovare le sue giustificazioni in tutti quegli elementi ulteriori che secondo il suo apprezzamento consentono di contenere l’addebito in misura inferiore al danno.
5) Natura giuridica della responsabilità amministrativa.
Il fugace richiamo agli elementi essenziali costitutivi della responsabilità amministrativa impone un rinvio alle correnti dottrinarie che ne hanno ricostruito la natura giuridica.
Secondo un primo orientamento dottrinale tradizionale che fa perno sul danno erariale, la responsabilità ha una natura essenzialmente civilistica di tipo risarcitorio. Posto che il danno erariale è di natura patrimoniale in quanto si traduce nella lesione di un interesse che deve essere risarcito non si può non concludere per la natura civilistica.
Senonché i connotati della responsabilità civile depongono per una struttura della responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 C.C. Nella fattispecie che ne occupa uno dei presupposti è dato proprio dal rapporto di servizio o di impiego che deporrebbero per la natura contrattuale della responsabilità in argomento.
Prima delle recenti riforme la cultura giuridica tradizionale sottolineava la natura risarcitoria del danno arrecato dal soggetto agente pubblico ed evidenziava il termine di prescrizione decennale.
L’altra corrente dottrinaria faceva leva sul potere riduttivo che consente alla Corte di determinare il quantum del danno risarcibile in relazione al grado della colpa accertata, alle condizioni in cui l’agente ha operato per desumerne la natura sanzionatoria.
In buona sostanza la corrente più recente punta più sull’effetto di deterrenza della pronuncia di condanna che non sulla probabilità di risarcimento del danno arrecato all’amministrazione.
6) Rapporti tra processo contabile e processo civile o penale.
Premesso il fugace richiamo normativo e giurisprudenziale sulla natura della responsabilità, occorre svolgere qualche riflessione sui rapporti del giudizio di responsabilità amministrativa e contabile con i giudizi penale o civile in merito alla fattispecie.
Rapporti col processo penale.
E’ noto che con l’entrata in vigore nel 1989 del nuovo Codice di procedura penale è stato abrogato l’art. 3 del vecchio C.p.p. che prevedeva il principio della pregiudizialità penale. Conseguentemente oggi risulta pacificamente affermata l’autonomia dei giudizi: Ai sensi dell’art. 651 e seguenti del C.p.p. , le sentenze penali di condanna hanno efficacia di giudicato nei confronti dei condannati quanto alla sussistenza del fatto e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
Ne discende che la sospensione del processo contabile ai sensi dell’art. 295 C.p.c. si giustifica solo ove il Collegio ritenga che sussistano elementi di incertezza fattuale che trovano la naturale sede di accertamento nel processo penale.
Normalmente ciò non succede dove l’ipotesi di danno erariale sia inequivocamente desumibile dagli atti, per cui il giudice contabile può procedere con piena autonomia nella valutazione dei fatti.
Il processo penale si svolgerà su un piano ulteriore per accertare la rilevanza penale, l’identificazione del reato in cui il fatto è riconducibile e l’entità della condanna.
Agli inizi degli anni 90’ il giudice contabile risultava ancora portato a sospendere avvalendosi della facoltà di cui all’art. 295 C.p.c.;oggi può dirsi che il clima culturale è cambiato e non sono pochi i casi in cui nella contemporanea pendenza dei giudizi aventi per oggetto lo stesso fatto, sia giunto a conclusione prima il processo contabile. Deve escludersi ogni effetto vincolante della sentenza penale per quanto riguarda l’elemento soggettivo, l’imputabilità e le cause di giustificazione: il giudice contabile è libero di valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale ai fini della valutazione di competenza. La sentenza penale di assoluzione a seguito di dibattimento o di procedimenti abbreviati, con accettazione della parte civile, fa stato quanto agli elementi materiali e l’attribuibilità al convenuto. Per le relazioni intercorrenti tra processo penale e processo contabile va richiamata la norma di cui all’art. 129, 3° comma delle Disposizioni di attuazione Cod. p.p. secondo cui il P.M. penale quando agisce per un reato che ha cagionato danno all’Erario, informa il Procuratore Generale presso la Corte dei conti dando notizia dell’imputazione.
Va richiamata, altresì, la legge n.97 del 2001, la quale all’art. 6 prevede che le sentenze per delitti contro la P.A. commessi ai fini patrimoniali siano inviate al Procuratore generale presso la Corte dei Conti che procede ad accertamenti patrimoniali nei confronti del condanato. E’ altresì previsto che la stessa venga trasmessa al Procuratore regionale per l’avvio entro 30 giorni del processo di responsabilità amministrativo-contabile.
Le richiamate norme debbono considerarsi garanzie di chiusura del danno erariale.
Problemi notevoli si pongono in relazione al potere dell’Amministrazione di costituirsi parte civile nel processo penale, nonché nella relazione tra processo civile e processo contabile.
Secondo giurisprudenza e dottrina prevalenti l’Amministrazione dispone di ampia potestà(potere-dovere) di costituirsi parte civile nel processo penale a carico di propri dipendenti in cui si contestano fatti che, indipendentemente dalla ipotesi di reato configurata, risultino produttivi di danno per l’Amministrazione.
Non essendo mai stata affermata la natura esclusiva della giurisdizione della Corte dei conti si pone il problema della concomitanza dei giudizi o per costituzione di parte civile nel processo penale o dell’esercizio dell’azione civile di danno avanti al giudice ordinario. Quanto al giudicato civile nel contesto del processo penale , si pone solo il problema della eventuale preclusione per il Procuratore regionale contabile dell’esercizio dell’azione di competenza..
La corrente dottrinaria che afferma la natura esclusiva della giurisdizione contabile nella materia di contabilità pubblica esclude che la P.A. possa costituirsi parte civile nel processo penale. Secondo l’altra corrente di pensiero, stante a tutt’oggi la natura della giurisdizione contabile riconosciuta solo come tendenzialmente esclusiva, la P.A. è legittimata a costituirsi parte civile nel processo penale, ma ciò preclude l’esercizio dell’azione del Procuratore contabile, il quale solo nei confronti dei condannati dipendenti pubblici può verificare se permangano, nonostante la condanna in sede penale, spazi da verificare per il definitivo accertamento oltre che dell’an anche del quantum debeatur. Solo ove la pretesa del danno erariale risulti interamente soddisfatta si può parlare di improcedibilità dell’azione.
Pronunciando sulla legittimità dell’art. 26 del c.p.p., che precludeva la riproposizione dell’azione civile e contabile, la Corte Costituzionale dichiarava non fondata la sollevata questione di costituzionalità, rimettendo al legislatore la necessaria interpositio per colmare quel vuoto che trasformi la tendenziale esclusività ad effettiva giurisdizione esclusiva.
L’interazione o concomitanza di giurisdizione pone problemi ancora maggiori riguardo al rapporto tra giudizio civile e giudizio contabile.
La prevalente dottrina e giurisprudenza concorda per il parallelismo e l’autonomia dei giudizi.
La dottrina e la giurisprudenza hanno variamente risolto il conflitto per concorrenza tra Giudizio penale e contabile avviato dal Procuratore Regionale.
Secondo affermata giurisprudenza il rapporto tra le due azioni civile e contabile può essere di preclusione o improcedibilità dell’altra solo quando con l’una si sia ottenuto l’integrale ristoro del danno patito. Si è quindi affermato che ove anche il giudice ordinario abbia definito la liquidazione del danno, sarebbe utile una pronuncia del giudice contabile sul quantum se l’intero credito per il quale ha agito o ritiene di agire il P.R. non sia stato interamente soddisfatto in sede penale (Sezione Prima Appello n. 293/1994).
L’eventuale versamento effettuato dall’interessato non comporta effetti preclusivi ma al limite decurtanti dell’azione obbligatoria per il danno erariale avanti al Giudice contabile.
Un limite al doppio binario va individuato nel divieto di duplicazione di condanna (ne bis in idem) in sede ordinaria e contabile per lo stesso fatto.
In molti casi si afferma la diversità dell’azione risarcitoria civile da quella del Procuratore per danno erariale, salvo a rimettere al collegamento di due giudicati di sentenze esecutive per evitare duplicazione di condanna.
Senonché l’evoluzione legislativa innanzi richiamata ha inciso così profondamente sulla natura sostanziale e processuale della responsabilità amministrativa da non poter più ritenere accettabile il rapporto di concorrenza-coordinazione dei giudizi.
Basti ricordare che la responsabilità civile extracontrattuale cui sono sottoposti gli estranei alla P.A. comporta la condanna al risarcimento dell’intero danno secondo le regole comuni del Codice Civile, mentre responsabilità contabile cui sono sottoposti i pubblici dipendenti ha concreta valenza soltanto se l’elemento psicologico dell’agente pubblico si pone al di sopra della soglia di rilevanza, al che consegue che l’area di possibile risarcimento di danno nel giudizio di responsabilità amministrativa è di gran lunga più ristretta. Il che è confermato anche dalla esclusione della responsabilità per solidarietà salvo i casi di dolo accertati.
Vi è quanto basta per affermare che a prescindere dalle origini e del contesto in cui si collocano, le due forme di responsabilità si pongono su piani completamente diversi di valenza etica prima ancora che giuridica. Quella civile è, e rimane, di natura risarcitoria, in quanto il bene protetto è il bene economico di cui è titolare il soggetto privato. Quella amministrativa si colloca nell’ottica dell’accertamento di ipotesi di devianza amministrativa posta in essere da soggetti legati alla P.A. da un rapporto di servizio. Il principio fondamentale di questa responsabilità va individuato nel principio del buon andamento codificato nell’art. 97 della Costituzione.
Se ne desume che la natura sanzionatoria ha finito con il prevalere sul fine risarcitorio. Il ruolo di deterrente risulta più coerente al fine del buon andamento dell’Amministrazione.
Allo stesso fine è coerente la struttura della nuova forma di responsabilità, secondo cui una parte di rischi connessi al comportamento dei funzionari non può restare a carico dell’Amministrazione. Tuttavia il momento sanzionatorio non svuota la natura risarcitoria di una responsabilità che nasce dal danno patito dall’Amministrazione che va comunque nei limiti del possibile risarcito e comunque scongiurato.
7) Le nuove responsabilità sanzionatorie degli Amministratori degli enti locali.
Per completare l’iter evolutivo della giurisdizione della Corte dei Conti non si possono non rilevare i più recenti interventi legislativi che nel disciplinare la gestione delle risorse finanziarie nell’ambito degli enti locali hanno introdotto nuove sanzioni di tutt’altra natura dell’argomento "responsabilità amministrativa-risarcitoria".
-Temporanea ineleggibilità a ricoprire incarichi nell’Amministrazione pubblica.
L’art. 8 del Decreto legislativo 15 settembre 1997 sancisce per gli amministratori condannati per danni cagionati per dolo o colpa grave agli enti locali di appartenenza, il divieto di ricoprire incarichi di amministrazione attiva o di concetto. Si tratta di una sanzione ulteriore di natura accessoria a tutela del corretto funzionamento del sistema finanziario. La condizione dell’applicabilità della sanzione è il dissesto. Infatti dispone la richiamata norma che non può ricoprire l’incarico di assessore o revisore contabile per un periodo di cinque anni chi nel precedente quinquennio che ha portato al dissesto, ha subito una condanna per danno all’ente di appartenenza.
Si tratta di una sanzione del tutto nuova di elevato valore etico che punta sulla efficacia deterrente per evitare danni non rimediabili. La ratio della norma va individuata nell’esigenza del corretto funzionamento del sistema finanziario evitando gli sprechi e impegnando gli amministratori ad assolvere il mandato politico per soddisfare gli interessi pubblici in osservanza dei criteri di economicità ed efficacia evitando scelte ed obiettivi di natura demagogica.
La competenza all’accertamento della responsabilità per dissesto alla provincia per la sussistenza delle condizioni per il conferimento di un successivo mandato per un quinquennio compete alla Corte dei Conti. Questo giudice oltre che giudice dei singoli comportamenti dannosi si configura come garante della finanza pubblica che nella specie deve accertare il rapporto di causalità e il grado di colpa per il dissesto.
Nel quadro degli interventi legislativi in senso sanzionatorio va richiamata la norma contenuta nella legge finanziaria 2003, 27 dicembre 2002, n. 289, art. 30 comma 15, che così recita: "Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’art. 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le Sezioni Giurisdizionali Regionali della Corte dei Conti possono irrogare agli amministratori che hanno adottato la delibera, la condanna ad una sanzione pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento della commissione della violazione.
La norma tende all’obiettivo di prevenire e sanzionare i comportamenti degli amministratori degli enti locali non conformi ai principi di economicità e rispetto degli equilibri di bilancio.
Ne consegue che rimangono precluse agli amministratori scelte di spesa corrente finanziate con il ricorso all’indebitamento.
La nullità degli atti rientranti nella fattispecie disposta ope legis dovrebbe già precludere la realizzazione effettiva del danno.
La grave sanzione di natura pecuniaria da cinque a venti volte l’indennità di carica percepita che si aggiunge alla nullità degli atti di spesa illegittima sottolinea l’importanza che il legislatore ammette al rispetto degli equilibri finanziari ai diversi livelli istituzionali. Ne consegue che alle spese correnti si può provvedere con entrate correnti. Il rispetto della stabilità finanziaria è rivolto ad impedire l’indebitamento e prevenire squilibri finanziari fra generazione presente e generazioni future che, in difetto, si troverebbero ad ereditare un debito consolidato.
Il divieto di ricorrere a mutui per finanziare spese correnti risponde alla regola di buona amministrazione contabile volta ad assicurare l’equilibrio di bilancio.
Il rigore della norma tende a prevenire la devianza nell’adozione delle delibere di spesa
Attesa la disposizione della nullità degli atti di spesa, ove venisse data attuazione da parte degli uffici, risponderebbero in sede di responsabilità amministrativo-contabile i funzionari che vi abbiano provveduto nonostante la palese illegalità.
Stante la natura deviante ed esclusivamente sanzionatoria con funzione deterrente volta a prevenire comportamenti di non oculata gestione delle pubbliche risorse rigorosamente utilizzabili per il soddisfacimento dei bisogni pubblici con rigorosa osservanza delle norme di contabilità pubblica e segnatamente del principio generale dell’equilibrio di bilancio, si pone il problema della effettiva applicazione delle sanzioni per attendibile generale cognizione in concreto delle eventuali devianze.
Detti problemi investono la Corte dei Conti nelle sue tre articolazioni: Controllo, Procura e Giurisdizione.
La Sezione del Controllo è la struttura che nell’esercizio del controllo sugli Enti locali può accertare la fattispecie concreta di violazione delle norme dettate a tutela degli equilibri di bilancio.
Se ne desume che se, secondo la nota valutazione della Corte Costituzionale, il Controllo-Referto è collaborativo e non funzionale ad accertamenti che competono alle Procure Regionali, è altresì vero che qualora emergano in sede di controllo illeciti contabili e finanziari certi, i magistrati non potranno esimersi dall’obbligo di segnalare i fatti alla competente Procura Regionale.
Ancora più attendibile in termini di tempestività è la segnalazione di gravi fatti oggetto di questa riflessione per non ritenere che sussiste l’obbligo di denuncia agli organi di controllo.
Poiché non esistono più controlli esterni che quelli esercitati dalla Corte dei Conti , i Collegi dei Revisori, dovrebbero tempestivamente segnalare le gravi devianze.
Nella misura in cui le norme troveranno concreta attuazione, per cui nei rari casi delle gravissime deliberazioni adottate in violazione delle richiamate norme sul rispetto dell’equilibrio di bilancio, partirà l’iniziativa delle Procure Regionali consentendo alle Sezioni Giurisdizionali di pronunciarsi nel merito, con equilibrio e adeguatezza nell’applicazione del sanzioni previste dal legislatore, si sarà realizzato in concreto l’obiettivo dell’efficienza della Finanza Pubblica ai diversi livelli in cui si compendiano le funzioni di garanzia della magistratura finanziaria-contabile.
8) Considerazioni conclusive.
Ho tracciato per grandi linee l’identità organizzativa della giurisdizione amministrativo-contabile e le lunghe fasi di evoluzione della stessa ripercorrendo il cammino riformatore che corrisponde al decentramento della funzione giurisdizionale prima, e di controllo poi.
Trattandosi di relazione introduttiva non sono sceso in approfondimenti delle varie problematiche e mi sono limitato al quadro generale delle riforme.
Si impone, pertanto, in via conclusiva valutare l’effetto delle riforme per identificare in una nuova chiave attuale e futuribile il nuovo ruolo di garanzia assegnato alla Corte dei Conti.
-Rilettura dell’art. 103, 2° comma Cost.
Il complessivo quadro riformatore quale si è manifestato con la serie di interventi legislativi consente di affermare che la responsabilità amministrativa in cui incorrono amministratori e funzionari si è sempre più distaccata da quella civilistica-risarcitoria legata alla procedimentalizzazione della spesa per cui l’agente pubblico, se riconosciuto colpevole, dovrà provvedere al ristoro anche parziale. La natura personale della responsabilità, l’esclusione o limitazione della solidarietà, l’estensione al danno ad enti diversi sono tutti elementi che depongono per una nuova valenza etica di sanzione affittiva anche se non proprio di natura penalistica.
Le ultime scelte legislative di natura esclusivamente sanzionatoria tendono non a recuperi impossibili, bensì alla prevenzione degli illeciti finanziari.
Se ne desume che il legislatore con le richiamate norme ha già operato interventi decisivi per dare una diversa lettura della norma attributiva della giurisdizione alla Corte dei Conti.
Le nozioni di contabilità pubblica di cui all’art. 103, 2° comma, devono essere intese come Finanza Pubblica. Il valore tutelato non è tanto la garanzia procedurale nella erogazione della spesa, quanto il sistema della Finanza Pubblica che alla luce degli sviluppi intervenuti con le modifiche costituzionali e del diritto comunitario deve intendersi come valore fondante e primario della Repubblica (Stato-ordinamento) che è chiamata a rispettare le norme nella materia di derivazione comunitaria.
La valenza del criterio attributivo di giurisdizione è di particolare importanza anche alla stregua delle modifiche costituzionali introdotte dal nuovo titolo V sostitutivo dell’art.3 della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001.
Ai sensi dell’art. 117, 4° comma nella nuova formulazione le fonti normative primarie nei limiti del riparto di potestà legislativa tra Stato e Regione possono essere modificate dalle Regioni. Il criterio attributivo di giurisdizione consacrato nell’art. 103, 2° comma Costituzione, rimane consolidato. La norma in esso contenuta deve intendersi di portata generale per cui la Corte dei Conti risulta attributaria di tutte le funzioni di garanzia e in particolare della giurisdizione nella materia che è suscettibile di integrazione o meglio di specificazione da parte del legislatore ordinario.
Ne consegue che alla stregua della costituzione vigente la interpositio legislativa cui la Corte Costituzionale aveva fatto rinvio per subordinarne la natura esclusiva del criterio attributivo di giurisdizione si è già implicitamente espressa con gli interventi recenti fatti dal legislatore.
In ogni caso la Consulta potrà, ove investita della questione, pronunciarsi ancora per chiarire ogni dubbio, o in estremo limite, il legislatore ordinario potrà intervenire con apposito provvedimento legislativo.
- Autonomia del giudizio contabile.
Ove si aderisse alla prospettata tesi della attribuzione di giurisdizione in via esclusiva della materia discendono conseguenze notevoli sul piano processuale.
Una volta identificato meglio il confine tra interesse privato della P.A. avente per oggetto diritti privati disponibili e potestà pubblica (potere-dovere) funzionale alla realizzazione degli interessi pubblici generali in materia di finanza pubblica, l’autonomia dei relativi giudizi dovrà portare ad un sostanziale distacco evitando quella sovrapposizione, simultaneità e confusione di giudizi che è stata evidenziata.
Se l’unico protagonista a tutela della Finanza Pubblica è il Procuratore della Corte dei Conti, la costituzione di parte civile dell’amministrazione nel processo penale deve ritenersi da escludere allorché il fatto oggetto nel giudizio penale abbia riflessi sulle pubbliche finanze e non sia contenuta nella lesione di interessi disponibili. Da ciò conseguirà l’esclusione di atti interruttivi con la costituzione in mora affidata all’Amministrazione.
La Costituzione di parte civile dovrà essere rigorosamente limitata ai casi di lesione di diritti disponibili. Quando, viceversa, si controverte su un danno alla finanza pubblica, unico attore legittimato è il Pubblico Ministero che agisce nell’interesse della legge e degli interessi generali dell’ordinamento.
La più netta distinzione fra giudizio civile e contabile-finanziario comporterebbe che l’unico atto interruttivo dovrebbe essere considerato l’invito a dedurre entro i limiti segnati dalla giurisprudenza suscettibili di ulteriore specificazione.
A ciò conseguirebbe un effetto di grande vantaggio per il giusto processo e per evitare le lungaggini nel senso che la scelta del legislatore di abbreviare i termini prescrizionali non sarebbe più elusa ma rispettata.
In questa materia l’esigenza della certezza del diritto e l’effetto di deterrente della sanzione è coerente alla nuova impostazione del sistema della responsabilità in materia di finanza pubblica.
La funzione di questo giudice è il monitoraggio dell’attività amministrativa. Le nuove sanzioni hanno un senso se vengono applicate con immediata consequenzialità all’adozione di provvedimenti. Anche nella responsabilità amministrativa tradizionale l’intervento del giudice è tanto più efficace quanto è tempestivo. A maggior ragione l’azione del Procuratore Finanziario per l’applicazione delle nuove gravi sanzioni a tutela della Finanza Pubblica deve essere esercitata in un termine molto breve.
Ciò per la certezza del diritto e l’efficienza dell’Amministrazione pubblica ai diversi livelli.
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(*) Testo, rielaborato, della relazione tenuta a Milano il 4 ottobre 2004 in occasione della celebrazione del decennale dell’istituzione della sezione giurisdizionale Lombardia della Corte dei conti.
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Sulla natura della responsabilità amministrativa vedi:
SSRR N. 26/QM/1996
Sui vantaggi conseguiti:
Sez.I C/A 6/4/ 98 n.92
Sez II C/A 3/12798 n.29.
Sulla personalità della responsabilità che non si estende agli eredi:
Sez. II C/A n. 3/98.
Sez. I C/A n.127 del 12.5.98
Sez. II C/A n. 131/97
Le Sezioni Riunite sentenza n.74 del 11/12/96 hanno affermato che al principio della intrasmissibilità non si sottraggono le responsabilità accertate nel giudizio di conto a seguito del mancato discarico del contabile per inadempimento.
Sul danno erariale- Danno esistenziale -danno all’immagine:
Sez. Giur. Sicilia n. 995 2004
Sez. Giur. Lombardia n.143 del 12/2/04.
Sez. I C/A n.49/04
Sull’elemento psicologico: Dolo
Sez. III C/A n. 144 2/04
Le Sezioni Riunite n. 58 e 63 del 1996 hanno affermato che quando le responsabilità amministrativa sono di tipo contrattuale, costituisce dolo in adimplendo anche la mera coscienza di non adempiere agli obblighi di servizio.
Colpa grave :
Sezioni Riunite n.23 /9/99… la sanzione disciplinare irrogata non costituisce elemento sufficiente per la qualificazione di gravità del comportamento.
Sui rapporti con altri giudizi:
Rapporto col giudizio civile. Autonomia …" l’esito del giudizio civile rappresenta solo una delle premesse su cui è costituita la fattispecie di danno erariale indiretto"
Sezione Giurisdizionale Abruzzo n.310/04
" attesa l’autonomia dei giudizi un decreto dei archiviazione per intervenuta amnistia non prova né l’assenza di elementi per un pieno proscioglimento, né l’ assenza di addebiti..
Scelte discrezionali:
Sez. I C/A. n.217/98 è stato ribadito l’orientamento per cui non è da escludere il sindacato per atti contra legem ed in particolare atti di ordinazione irregolare di spesa.
Sui vincoli derivanti dal patto di stabilità vedi Corte Costituzionale n. 36/2004.