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n. 3/2008 - © copyright

GIUSEPPE NAIMO
(Avvocato Regione Calabria)

La pregiudiziale ed il risarcimento del danno
(aspetti sostanziali e procedurali)

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PARTE I - La ricostruzione dell’istituto.

1. La pregiudiziale amministrativa. 2. La pregiudiziale nella legislazione: l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142. 3. Il superamento della pregiudiziale amministrativa: l’art. 2043 c.c. 4. L’art. 7 della l. 2000, n. 205 e l’art. 246 del "Codice contratti". La riproposizione della pregiudiziale 5. L’ulteriore intervento delle SS.UU. Lo spostamento della questione della pregiudiziale amministrativa nell’ambito della giurisdizione.. 6. Il risarcimento del danno ingiusto.

PARTE II - Le questioni aperte.

1. La pregiudiziale amministrativa esiste ancora?. 1.1. Le due tesi a confronto. 2. Quanto opera la pregiudiziale amministrativa?. 2.1 Pregiudiziale ed autotutela. 2.2 Pregiudiziale e modalità di esecuzione dell’atto amministrativo. 2.4 Pregiudiziale e ricorso straordinario al Capo dello Stato 2.4 Pregiudiziale e responsabilità precontrattuale. 2.5 Pregiudiziale e danno da ritardo. 2.5.1 Danno da ritardo per lesione di interessi pretensivi 2.5.1.2 danno da ritardo per mancata ripianificazione delle zone bianche 2.5.2 danno da ritardo e responsabilità contrattuale 2.6 Pregiudiziale e giudizio di ottemperanza. 2.7 Pregiudiziale e responsabilità da "contatto sociale" 3. L’indagine da svolgere ex art. 2043 c.c. 3.1 L’antigiuridicità 3.2 L’effettiva lesione del bene della vita 3.3 Il nesso di causalità tra la condotta della pubblica amministrazione e il danno.  3.4 L’elemento soggettivo (dolo o colpa). 4. Le tipologie di risarcimento. Risarcimento mediante reintegrazione in forma specifica e reintegrazione per equivalente. 4.1 Risarcimento mediante reintegrazione in forma specifica 4.2 I limiti di ammissibilità di tale forma risarcitoria. La realizzazione di un’opera pubblica.  4.3 Reintegrazione in forma specifica e principio della domanda. 4.4 La stipula del contratto incide sulla possibile reintegrazione in forma specifica? 5. La reintegrazione per equivalente pecuniario. 6. L’art. 35 d. lgs. 80/98. I criteri dettati dal Giudice Amministrativo. 7. La domanda risarcitoria può essere proposta separatamente dalla domanda caducatoria? 8. Come si individua il Giudice competente a pronunciare sulla domanda risarcitoria? 9.L’art. 23 bis si applica anche alle domande risarcitorie? 9.1 Le due tesi a confronto 9.2 L’intervento risolutore dell’Adunanza Plenaria 10. Quale è il termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione risarcitoria e da quando decorre?

PARTE I

La ricostruzione.

1. La pregiudiziale amministrativa.

Il principio in commento ha trovato una definizione icasticamente efficace: si tratta infatti di questione (l’annullamento dell’atto amministrativo) che si deve risolvere prima di discuterne un’altra (il risarcimento del danno derivante da tale atto).

2. La pregiudiziale nella legislazione: l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142.

La regola, di creazione squisitamente giurisprudenziale, ha trovato una prima (e, se vogliamo, unica) codificazione normativa con l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142: tale disposizione, inserita nella legge comunitaria per l’anno 1991, prevedeva che, in materia di appalti di lavori o di forniture, chi avesse subìto una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario o delle relative norme interne di recepimento, potesse chiedere il risarcimento del danno avanti il Giudice Ordinario dopo aver ottenuto l'annullamento dell'atto lesivo con sentenza del Giudice Amministrativo.

Con l’art. 11, c. 1, della l. 19 dicembre1992, n. 489 è stata poi prevista l’applicazione dal 1993 dell’art. 13 anche agli appalti esclusi; con l’art. 11, comma 1, lett. i), della legge comunitaria per il 1993(l. 22 febbraio 1994, n. 146) si è altresì disposto di "prevedere l'estensione delle disposizioni di cui agli articoli 12 e 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, anche agli appalti di servizi", delega attuata con l’art. 30 del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157.

Gli articoli 11 delle leggi 19 dicembre1992, n. 489 e 19 dicembre1992, n. 489 e l’art. 30 del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157 sono stati formalmente abrogati dall’art. 256, comma 1, del d. lgs. 163/06; in realtà, in pars qua dovevano ritenersi già abrogati, unitamente all’art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, dall’art. 35, comma, 5, d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che ha disposto che " Sono abrogati l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142 ed ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi".

La natura di norma speciale del più volte citato articolo 13, e delle norme che ne estendevano l’applicazione ad altri settori degli appalti, aveva spinto parte della dottrina (confortata sul punto anche dalla giurisprudenza, v. Cass., sez. un., 20 aprile 1994 n. 3732; id., 16 dicembre 1994, n. 10800)a sostenere la tesi che la pregiudiziale amministrativa avesse cessato di operare nelle materie diverse da quelle disciplinate da tale norma: come vedremo nel prosieguo, la giurisprudenza maggioritaria, sino al 1999, ha ritenuto invece che la pregiudiziale continuasse ad operare.

3. Il superamento della pregiudiziale: l’art. 2043 c.c.

Nel 1999, con la sentenza della Cass. civ., sez. Unite 22 luglio 1999, n. 500, viene per la prima volta affermata la risarcibilità della lesione di interessi legittimi, e la relativa domanda viene considerata proponibile (all’epoca, avanti il G.O.) indipendentemente dall’annullamento in sede giurisdizionale dell’atto assunto come generatore della responsabilità.

La Corte(v. anche Cass. civ., Sez. lavoro, 23 aprile 2004, n. 7733), inoltre, individua lo strumento di tutela nell’art. 2043 c.c., quale norma in relazione alla quale parametrare il danno ingiusto, inteso anche come lesione di un interesse legittimo, causato da una responsabilità definita di tipo extracontrattuale.

Detta, infine, i paradigmi ai quali rapportare l’analisi dell’azione amministrativa al fine di addivenire all’affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione.

Quanto al titolo giuridico entro il quale inscrivere la responsabilità dell’amministrazione per lesione degli interessi legittimi pretensivi in relazione alle procedure ad evidenza pubblica, deve comunque rilevarsi come all’interno del Consiglio di Stato vi sia un orientamento che ritiene poco utile il modello risarcitorio riconducibile agli artt. 2043 e ss. c.c., e più appropriato il modello dettato dagli artt. 1337 e 1338 c.c., ed un ulteriore orientamento che qualifica la responsabilità come di tipo contrattuale

Sull’indagine da compiere e sui parametri da applicare si rinvia alla parte II paragrafi 3 ss.

4. L’art. 7 delle l. 21 luglio 2000, n. 205 e l’art. 246 del "Codice contratti". La riproposizione della pregiudiziale.

Con l’art. 7 della l. 205/00, il legislatore ha modificato sia l’art. 35 del d. lgs. 80/98, sia l’art. 7 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, attribuendo al G.A. in sede di giurisdizione, anche di legittimità, tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.

Con l’art. 246 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, (c.d. Codice contratti), sia pur con norma speciale applicabile solo alle controversie relative a infrastrutture e insediamenti produttivi, nonché – in forza di rinvio all’art. 140 del medesimo decreto - alle procedure di affidamento in caso di fallimento dell’esecutore o risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’esecutore, ha poi ribadito la mera eventualità del risarcimento del danno.

Anche in forza della formulazione di tali norme, nonchè della circostanza che al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari, il Consiglio di Stato ha riaffermato, anche di recente(Cons. Stato, A.P., 22 ottobre 2007, n. 12; id., 26 marzo 2003, n. 4; V, 12 luglio 2007, n. 3922), la necessità del preventivo o contestuale annullamento dell’atto.

Per una disamina più approfondita della questioni accennate, anche raffrontate alla diversa posizione della giurisprudenza della Cassazione, si rinvia alla parte II par. 1.1

5. L’ulteriore intervento delle SS.UU. Lo spostamento della questione della pregiudiziale amministrativa nell’ambito della giurisdizione.

Con le ordinanze gemelle del 13. giugno 2006 nn° 13659 e 13660 le SS.UU., nel pronunciarsi ancora una volta sulla questione, spostano l’oggetto del contendere: infatti si legge nelle ordinanze sopra richiamate che, ove il Giudice amministrativo ritenga operante la pregiudiziale amministrativa, e quindi dichiari inammissibile la domanda risarcitoria non preceduta dall’annullamento dell’atto amministrativo presupposto, in tal caso il Giudice Amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione, e la sua decisione, a norma dell'art. 362, primo comma, c.p.c., si presta a cassazione da parte delle Sezioni Unite quale giudice del riparto della giurisdizione.

Sulle implicazioni di tale prospettiva, nonché sugli argomenti utilizzati per superare il principio della pregiudiziale, si rinvia alla parte II par. 1.1.

6. Il risarcimento del danno ingiusto.

La responsabilità patrimoniale della Pubblica Amministrazione conseguente all'adozione di provvedimenti illegittimi, sia che si aderisca alla tesi della persistente operatività della pregiudiziale amministrativa, sia che invece si opti per la proponibilità della relativa domanda indipendentemente dall’annullamento dell’atto, deve essere generalmente inserita ( e sul punto concordano sia la Suprema Corte che l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato) nel sistema delineato dagli artt. 2043 e seguenti del c.c., in base al quale l'imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell'illegittimità del provvedimento, ma si deve invece verificare che la predetta adozione, e l'esecuzione dell'atto impugnato, sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità ,di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi.

Il diverso orientamento, che ritiene più appropriato, in relazione alle procedure ad evidenza pubblica, il modello di cui agli artt. 1337 ss. c.c.(pur sempre riconducibile, in termine di species a genus, alla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), riconduce l’eventuale diniego di stipula del contratto o l’annullamento in via di autotutela dell’aggiudicazione ad un comportamento "amministrativo" (con ciò delineando la giurisdizione del G.A. sulla relativa domanda risarcitoria), e profila, sotto il profilo pratico, la limitazione dell’area del pregiudizio risarcibile al solo interesse negativo, composto dalle spese sostenute per partecipare al procedimento ed alla perdita di occasioni di guadagno alternative, con esclusione, quindi, del mancato conseguimento dell’utile ricavato dall’esecuzione dell’appalto.

Deve infine darsi conto di un orientamento "intermedio": quello che qualifica la responsabilità come responsabilità da "contatto sociale", con ciò intendendo una figura introdotta dalla giurisprudenza (Cassazione civile, sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589), caratterizzata dal fatto che la fattispecie può essere sottoposta alle regole proprie dell'obbligazione contrattuale, pur se il fatto generatore non è il contratto. E ciò nei casi in cui, pur non preesistendo un vincolo negoziale taluni soggetti entrano in contatto non casuale ma qualificato dall'esistenza di obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso.

In disparte la qualificazione che può astrattamente essere attribuita alla responsabilità dell’Amministrazione, estremamente rilevante sul punto è stata l’attività del Legislatore.

Infatti, con l’art. 7, comma 3, della l. n. 1034 del 1971, nella formulazione impressagli, in combinato disposto con l’art. 35, comma 4, del d. lgs. n. 80 del 1998, dall’art. 7 della l. n. 205 del 2000, è stato demandato al Giudice amministrativo di pronunciare anche sulle domande risarcitorie del danno ingiusto correlate alle materie nelle quali il G.A. ha competenza di legittimità oppure esclusiva.

All’interno della giurisdizione come delineata dalla normativa da ultimo richiamata, si è poi chiarita, grazie al fondamentale apporto della Corte Costituzionale (Corte cost. 6 luglio 2004, n.204; id., 11 maggio 2006, n. 196; id., 27 aprile 2007, n. 140), la sostanziale irrilevanza della situazione giuridica (diritto soggettivo o interesse legittimo) tutelata nell’individuazione del Giudice avente giurisdizione sulla domanda risarcitoria.

Ai fini anche complementari della pronuncia risarcitoria, deve quindi ritenersi sussistere la Giurisdizione del G.A. in relazione alla complessiva condotta in esecuzione del provvedimento impugnato, in applicazione dei principi elaborati dal Giudice delle leggi nelle pronunce sopra richiamate ed afferenti alle esigenze di concentrazione innanzi a un unico Giudice dell’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica.

Particolarmente rilevante – in punto di giurisdizione in materia risarcitoria - è la posizione assunta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza del 30 luglio 2007, n.10, con la quale ha ritenuto che la domanda risarcitoria correlata all’impugnazione di un provvedimento di requisizione in uso di immobile da destinare al temporaneo soddisfacimento di una situazione di emergenza abitativa esuli dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista dall’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, per rientrare nella giurisdizione generale di legittimità del Giudice Amministrativo, senza che ciò riduca l’ampiezza della giurisdizione garantita a tale Giudice in relazione ad unica domanda risarcitoria, "fondata su medesimi presupposti e conseguente a fattispecie unitaria di illecito".

Deve invece ritenersi esulare dalla giurisdizione del G.A. la domanda risarcitoria, in quanto non si verifica il collegamento con l’esercizio del potere, "quando l'amministrazione agisca in posizione di parità con i soggetti privati, ovvero quando l'operare del soggetto pubblico sia ascrivibile a mera attività materiale, con la consapevolezza che si verte in questo ambito ogni volta che l'esercizio del potere non sia riconoscibile neppure come indiretto ascendente della vicenda"(Cons. Stato, A.P., 10/07, cit.; Cass. civ., SS.UU.., 28 dicembre 2007, n. 27187; id, 15 giugno 2006, n. 13911).

Molto ci si è interrogati (e ci si interroga tutt’ora) sull’aggettivo "eventuale" che, nella nuova formulazione dell’art. 7 l. 1034/71, qualifica come tale il risarcimento del danno.

In questa operazione ermeneutica non aiutano in alcun modo i lavori preparatori della legge n. 205/00: non vi è infatti traccia alcuna di quale fosse l’intenzione del Legislatore nell’inserire l’aggettivo qualificativo in commento.

Di tale aggettivo, e della sua collocazione, si può dare una lettura minimale: il Legislatore avrebbe, in sostanza, semplicemente preso atto del fatto che non si può essere certi a priori che l’interessato agisca in sede risarcitoria; ove "eventualmente" agisca, dovrà adire – entro i limiti di giurisdizione sopra segnalati – il Giudice Amministrativo.

Può invece darsene una lettura "sostanziale": l’uso dell’aggettivo "eventuale" come qualificativo del danno risarcibile dimostrerebbe l’intenzione del Legislatore di ritenerlo idoneo a giustificare la pretesa al relativo risarcimento solo a seguito dell’annullamento dell’atto ad esso casualmente collegato, e quindi di indicarlo come imprescindibilmente correlato alla rimozione del provvedimento illegittimo; si tratterebbe, quindi, della definitiva "consacrazione normativa" della pregiudiziale amministrativa.

Può, infine, offrirsene una terza: l’aggettivo "eventuale" tenderebbe esclusivamente ad esplicitare che dall’eventuale accoglimento della domanda caducatoria non discende automaticamente alcuna pretesa risarcitoria, ma che la stessa dovrà – in applicazione dell’indagine sopra sinteticamente esposta supra, sub par. 3 (per un’analisi più dettagliata, si rinvia alla parte II, par. 3 ss.) e del principio sancito dall’art. 2697 c.c. – essere adeguatamente introdotta e dimostrata in sede giudiziaria.

Anche senza voler prendere posizione sulle opzioni ermeneutiche segnalate, deve certamente riconoscersi come la prima banalizzi eccessivamente il dato testuale, riducendolo a mero pleonasmo: non è infatti mai stato in dubbio (v. Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 1988, n. 664) che "I diritti a restituzioni o risarcimento dei danni, ancorché traggano origine da un illecito penale, rientrano nella disponibilità delle parti" e che quindi solo a seguito di espressa e specifica domanda il Giudice potrà pronunciarsi su tale pretesa.

Il risarcimento, infine, può essere pronunciato non solo per equivalente, ma, ex art. 35 d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, anche mediante la reintegrazione in forma specifica; inoltre, il Giudice Amministrativo può anche non condannare l’amministrazione al pagamento di una somma precisa, ma stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma (o anche, come vedremo più in dettaglio, nella parte II, par. 6, criteri relativi ad ogni forma consentita di adempimento per equivalente di un’obbligazione della stessa natura) entro un congruo termine.

Caso diverso è quello disciplinato dall’art. 21 quinquies della L. 7 agosto 1990, n. 241, che pure riguarda una fattispecie di autotutela: in tale ipotesi infatti il Legislatore ha preferito inquadrare la responsabilità nella tipologia indennitaria.

Come noto, il legislatore ricorre alla previsione di una indennità, o di un indennizzo, in luogo di un risarcimento, allorché la fonte causativa del danno debba essere ricondotta alla categoria dell’atto lecito dannoso, il che induce, sul piano disciplinare, ad optare per la scelta tecnica di escludere il risarcimento in forma specifica.

Sulle problematiche connesse alla domanda risarcitoria si rinvia alla parte II paragrafi 3 ss.

PARTE II

Le questioni aperte.

1. La pregiudiziale amministrativa esiste ancora?

1.1. Le due tesi a confronto.

Nell’ambito della ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale dell’istituto della pregiudiziale, come accennato nella parte I, ha assunto un ruolo centrale la questione della esistenza ( rectius: della persistenza) della stessa

I TESI: la pregiudiziale amministrativa non opera.

Tale tesi è stata espressa, anche molto di recente, dalle SS.UU. della Cassazione(Cass. civ., sez. Unite, 7 gennaio 2008, n. 35; id., 15 giugno 2006, n. 13911; id, 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660) e ripresa dalle Sezioni semplici (Cass., Sez. I - sentenza 17 ottobre 2007 n. 21850) nonché accolta da qualche isolata pronuncia del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, V, 31 maggio 2007 n. 2822).

Dopo aver passato in rassegna le tesi presenti in giurisprudenza(definite, rispettivamente, "tutta amministrativistica" e "tutta civilistica"), la S.C. ha rilevato che, applicate integralmente, entrambe conducono ad una possibile diminuzione dell'effettività della tutela del cittadino, in violazione dei principi derivanti dall'art. 24 Cost.: la prima in quanto assicura all'interesse legittimo una protezione che comprime l'ambito della tutela risarcitoria riducendone sotto diversi aspetti la portata, e finendo con l'estendere l'area della giurisdizione amministrativa al di la della connessione con l'esercizio in concreto del potere pubblico; la seconda, in quanto tesa a frammentare o moltiplicare le sedi e i tempi della tutela giurisdizionale, secondo una direttrice che si allontana dalla regola del riparto.

Gli Argomenti.

1) Le materie

Nelle pronunce sopra richiamate, la S.C. ha rilevato che ogni qual volta ci si trovi in presenza di atti riferibili ad una pubblica amministrazione o a soggetti ad essa equiparati ai fini della tutela giudiziaria del destinatario del provvedimento, e l'atto sia capace di esplicare i propri effetti perchè il potere non incontra ostacolo in diritti incomprimibili della persona, la tutela giudiziaria deve dunque essere chiesta al giudice amministrativo, al quale potrà essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria, ma potrà anche essere richiesta solo la tutela risarcitoria, senza dover osservare allora il termine di decadenza pertinente all'azione di annullamento.

Prima di procedere oltre, è necessario dare conto di un recentissimo arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite (Cass. civ., SS. UU, n. 27187/07, cit.): si legge infatti in tale pronuncia che rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo la domanda risarcitoria, anche ove il provvedimento della P.A. assunto come illegittimo incida su diritti fondamentali come il diritto alla salute, purchè la domanda afferisca a materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei Giudici Amministrativi.

Pare quindi evidente sul punto il parziale superamento degli arresti sopra riportati, perlomeno in punto di giurisdizione sulla domanda risarcitoria, valorizzando adeguatamente l’art. 21 co. 8 della L. 1034/71, come integrato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205.

2) L’assenza di norme che prevedano termini decadenziali

Riprendendo l’esame della tesi esposta dalle SS.UU., punto fondante della stessa è l’assenza nell’ordinamento di una norma che, a differenza della tutela demolitoria derivante dall’annullamento dell’atto, assoggetti a termine di decadenza la domanda di solo risarcimento del danno davanti al giudice amministrativo.

3) La pregiudiziale ricondotta a questione sulla giurisdizione

La parte oggettivamente più controversa di tali pronunce è certamente quella ove si afferma che il Giudice Amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell'art. 362 c.p.c., comma 1, si presta a cassazione da parte delle Sezioni Unite quale giudice del riparto della giurisdizione, se l'esame del merito della domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l'annullamento dell'atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti.

Come già rilevato da altri commentatori, pare che con tale schema le Sezioni Unite abbiano istituito un controllo di merito sulle sentenze del Consiglio di Stato, ed in effetti pare francamente difficile ammettere che dichiarando inammissibile la domanda risarcitoria, in applicazione della regola della pregiudiziale, il Consiglio di Stato "rifiuti di esercitare la giurisdizione": in realtà, la pronuncia di inammissibilità presuppone proprio la ritenuta sussistenza della giurisdizione in capo al Giudicante.

Sono le stesse Sezioni Unite ad indicare tale percorso argomentativo: infatti, in pronunce anche successive a quelle sopra richiamate, esse affermano che il Consiglio di Stato non nega la propria giurisdizione quando" all'esito dell'interpretazione di norme sostanziali o processuali, ritenga l'operatività di una preclusione all'esame di merito della pretesa azionata" (v. Cass., SS. UU., 4 gennaio 2007, n. 13; id, 14211/2005; id., 8882/2005).

L’argomento sopra riportato, infine, pare confliggere con i più recenti arresti del Giudice delle Leggi: infatti, la Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), ha rilevato come la Corte di cassazione, nel regolare la giurisdizione, "con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte di Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione ".

4) Il carattere rimediale della tutela risarcitoria

Particolarmente interessante, da ultimo, è il tentativo attuato dalla sentenza del Consiglio di Stato n° 2822/07 sopra citata: in essa il Collegio si fa carico del tentativo di "armonizzare" la giurisprudenza delle due Magistrature superiori, rilevando, in relazione alle pronunce delle SS.UU. nn° 13659/06 e 13660/06 sopra richiamate, che "le stesse, a ben vedere, non si pongono in aperta contraddizione con il noto arresto rappresentato da Adunanza Plenaria n. 4/03, atteso che tracciano un possibile sbocco della successiva evoluzione ordinamentale recata dall’interpretazione che la Corte Costituzionale (con le note sent. n. 204/04 e n. 191/06) ha fornito alla tutela risarcitoria da lesione di interessi legittimi.".

Partendo dal carattere "rimediale" della tutela risarcitoria, il Collegio rileva che la Corte Costituzionale, nelle pronunce sopra richiamate, ha evidenziato come "l’esigenza avvertita dal legislatore sia stata quella di allineare, quanto alle modalità e agli strumenti di tutela, le posizioni giuridiche soggettive qualificabili come interessi legittimi, alle posizioni giuridiche di diritto soggettivo (diverse, ma non per questo meritevoli di maggiore attenzione quanto agli strumenti di tutela)".

5) L’irrilevanza della natura della situazione soggettiva dedotta in giudizio

L'evoluzione dell'ordinamento ha condotto ad omologare gli interessi legittimi ai diritti quanto al bagaglio delle tutele: com'era stato per le situazioni di diritto soggettivo, di norma dotate, oltre che di tutela risarcitoria, anche di una tutela ripristinatoria, completata dal diritto al risarcimento del danno, così per gli interessi legittimi una tutela risarcitoria autonoma è stata affiancata alla tutela reale di annullamento, la sola di cui le situazioni di interesse legittimo erano prima dotate, e la tutela di annullamento è stata inoltre conformata in modo da comprendervi il risarcimento del danno, che con l'annullamento non si può elidere.

6) Non è necessario disapplicare l’atto

La parte più coraggiosa della pronuncia (che si pone in evidente contrasto con l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato) è quella che prende posizione in ordine alla lamentata impossibilità di disapplicare atti non regolamentari come circostanza preclusiva all’esame della domanda risarcitoria: secondo il Collegio, " a ben vedere, disporre il rimedio risarcitorio per gli effetti prodotti dal provvedimento vuol dire proprio postulare la sua efficacia e non già quindi la sua disapplicazione. Né contraddice il dovere della PA e degli attori dell’ordinamento, di agire nel rispetto di atti amministrativi efficaci, una volta che la responsabilità risarcitoria trova ragione proprio nell’atto amministrativo in ipotesi illegittimo e quindi si intesta alla PA che lo ha emesso e che non lo ha ritirato, ponendo quindi in essere l’esclusivo presupposto della sua efficacia".

II TESI: la pregiudiziale amministrativa continua ad operare.

Anche molto di recente – e ciò rende attuale la questione – il Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, A.P., 22 ottobre 2007, n. 12; V, 12 luglio 2007 n. 3922; id., 30 agosto 2006, n. 5063; IV, 8 maggio 2007 n. 2136; VI, 22 maggio 2007 n. 2590) è tornato ad affermare, richiamando (ed anche ampliando) la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 26 marzo 2003, n. 4, la persistenza della pregiudiziale amministrativa.

Per amore di verità, deve preliminarmente rilevarsi come non appaia del tutto veritiera la definizione di "tesi tutta amministrativistica" elaborata sul punto dalle SS.UU.

Infatti, le stesse SS.UU. avevano in precedenza statuito che "salva restando l'attribuzione al Giudice ordinario della cognizione incidentale sull'atto amministrativo e del potere di disapplicarlo ne dell'atto illegittimo nei casi in cui esso venga in rilievo non già come causa della lesione del diritto soggettivo dedotto in giudizio, ma solo come mero antecedente sicchè la questione della sua legittimità venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico (Cass. 22 febbraio 2002, n. 2588; SS.UU. 10 settembre 2004, n. 18263), resta esclusa dalla sua giurisdizione l'azione risarcitoria avente a oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo per difetto di tempestiva impugnazione, essendogli precluso il sindacato in via principale sull'atto o sul provvedimento amministrativo"( Cass. civ., sez. Unite, 23 gennaio 2006, n. 1207); inoltre, si leggeva in pronuncia di Sezione semplice della S.C. che " Proposta, dal socio escluso da una cooperativa edilizia operante con il contributo dello Stato, azione di risarcimento del danno "ex" art. 2043 cod. civ. dinanzi al giudice ordinario deducendosi, quale unico fondamento del richiesto risarcimento, l'illegittimità della delibera di esclusione, ove l'accertamento in via principale della non conformità della situazione giuridica al diritto oggettivo (c.d. antigiuridicità in senso obiettivo), quale elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto al risarcimento del danno, sia precluso in quanto l'interessato non abbia sperimentato, o non possa più sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, transazione, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la detta antigiuridicità in senso oggettivo non può essere accertata in via incidentale e senza efficacia di giudicato dal giudice ordinario e, conseguentemente, la domanda risarcitoria deve essere rigettata perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito." (Cass. civ., sez. II 27-03-2003, n. 4538).

Tale tesi, inoltre, sembrerebbe trovare conforto nei limiti tracciati in materia dalla Corte Costituzionale, e non espressamente superati da successive pronunce del Giudice delle Leggi: già infatti con la sentenza n° 35 del 1980 la Corte, in ordine al problema della responsabilità civile delle PP.AA. per il risarcimento del danni derivati a soggetti privati dalla emanazione di atti e provvedimenti amministrativi illegittimi, rilevava come il problema richiedesse "prudenti soluzioni normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel regolamento delle competenze giurisdizionali", rilevando l’inapplicabilità dell’art. 2043 c.c., nella sua formulazione identica all’attuale, alle fattispecie in esame; ma ancor più esplicita sul punto che qui interessa è l’ordinanza n° 165 del 1998:la stessa infatti definisce "presupposto in ogni caso necessario alla configurazione di una responsabilità dell’amministrazione in conseguenza di un atto amministrativo" l’accertamento dell’illegittimità dell’atto e/o del comportamento, costituendo "la previa definizione della controversia" sulla legittimità dell’atto devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A. "un indispensabile antecedente logico – giuridico dal quale dipende la definizione della causa".

Gli Argomenti.

La tesi che propugna la persistenza della regola della pregiudiziale amministrativa si fonda, secondo gli arresti più recenti sopra richiamati, sui seguenti argomenti:

1) L’impossibilità di accertare incidentalmente l’illegittimità dell’atto

Una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio.

2) L’impugnazione tempestiva è condizione di ammissibilità della domanda

Conseguentemente, l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, ma è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento assunto come illegittimo, e venga coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è consentito disapplicare atti amministrativi di natura diversa da quelli regolamentari.

Nessun richiamo, quindi, all’esigenza che la parte interessata manifesti, entro un termine decadenziale, la propria volontà di contestare il provvedimento, allo scopo, ancorché meramente eventuale e futuro, di chiedere il risarcimento del danno consequenziale, ma esclusivo riferimento ai termini di prescrizione dell’azione risarcitoria secondo le prescrizioni del codice civile, nonché alla inconfigurabilità, in presenza di un provvedimento inoppugnabile così come in presenza di un provvedimento inutilmente impugnato, "di una sua condizione che la contraddizione legittimità-illeceità rende essenziale, la formale inesistenza, cioè, della ingiustizia del danno che è nucleo essenziale, anche se non sufficiente, della illiceità.".

E’ evidente che tale argomento toglie qualunque valenza all’argomento speso sul punto dalle SS.UU. in ordine all’assenza di termini decadenziali per l’esercizio dell’azione risarcitoria.

3) La natura della situazione giuridica tutelata e la natura "ulteriore" del rimedio risarcitorio

Inoltre, la circostanza che la situazione tutelata non sia un ‘diritto’ tutelato dal codice civile al risarcimento del danno arrecato con l’atto autoritativo all’interesse legittimo, ma un interesse legittimo, tutelato dalle leggi amministrative non soltanto con l’annullamento dell’atto lesivo, ma anche con il risarcimento, unitamente alla "scelta del legislatore di disporre un organico sistema, nel quale la tutela risarcitoria costituisce un rimedio di tutela ulteriore per chi abbia tempestivamente e fondatamente impugnato l’atto lesivo"(Cons. Stato, IV, 2136/07, cit.), consente di ritenere tutt’ora operante la regola in commento, anche perché la mancanza di impugnazione rende inoppugnabile il provvedimento e comporta che la lesione vada considerata secundum ius.

4) Il carattere "consequenziale" ed "eventuale" della tutela risarcitoria

Con la recentissima pronuncia n. 12/07, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è tornata a pronunciarsi, sia pur incidentalmente, sulla questione della pregiudizialità.

Si legge in tale pronuncia che "Il carattere "conseguenziale" ed "ulteriore" della tutela risarcitoria, espressamente ed inequivocamente posto, in armonia con gli artt. 103 e 113 co. 3 Cost., dall’art. 35. co. 1 e 4 del D.Lg.vo 31 marzo 1988, n. 80 e confermato dal successivo co. 5 che comunque abroga "ogni disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario della controversie sul risarcimento del danno" ancora una volta visto come "conseguente all’annullamento di atti amministrativi", sembra invero incontestabile.

Ed è confermato dalla ritenuta riferibilità della pronuncia di condanna all’insieme dei poteri strumentali attribuiti al giudice per rimediare compiutamente alla lesione della situazione soggettiva concettualmente, prima ancora che positivamente, unica e ciò sia che l’esercizio dei poteri del giudice sia chiesto contestualmente sia che, giudizialmente accertatasi la illegittimità, sia richiesto, per vero con condivisa interpretazione estensiva non del tutto allineata, tuttavia, con le convenienze della "contestualità", l’esercizio di ulteriori poteri prima non sollecitati.

Non c’è traccia, nella pronunce della Corte Costituzionale, di alcun sospetto di illegittimità costituzionale di siffatto disegno ed, anzi, sembra agevole inferirne il contrario.".

Quanto, sopra, correlato alla natura essenzialmente impugnatoria dell’azione avanti il Giudice Amministrativo, ed alla natura eventuale del risarcimento in sede di giurisdizione di legittimità, conferma l’esistenza e la persistenza nell’ordinamento dell’istituto.

5) L’applicazione dell’art. 1227 c.c.

Con la pronuncia del Cons. Stato, sez. IV 22-03-2001, n. 1684, anche in applicazione dell’art. 1227 c.c., si è statuito che " poiché l'illegittimità del provvedimento è uno degli elementi costitutivi dell'illecito causativo del danno, deve ritenersi precluso all'interessato di far valere la pretesa al risarcimento allorché, come nella specie, egli non abbia esercitato i mezzi di tutela offerti dall'ordinamento che gli avrebbero consentito di ottenere la reintegrazione in forma specifica". Contemperando tale pronuncia col fermo giurisprudenziale della S.C., secondo il quale " L'eccezione di cui all'art. 1227, comma 2, cod. civ., non è rilevabile d'ufficio, e dev'essere puntualmente sollevata da chi vi abbia interesse in modo analitico e circostanziato"( ex plurimis, Cass. civ., sez. III 27-06-2007, n. 14853), ed applicandola, ad esempio, ai soli casi nei quali venga avanzata autonoma domanda risarcitoria di reintegrazione in forma specifica, tale orientamento potrebbe anche oggi essere particolarmente attuale.

2. Quando opera la pregiudiziale amministrativa?

Come reso evidente dal paragrafo 1.1. della presente parte del lavoro, la questione della c.d. pregiudiziale amministrativa è ancora molto lontana dal raggiungimento di certezze e dal consolidamento degli orientamento giurisprudenziali.

E’ quindi indispensabile circoscrivere l’ambito di operatività di tale principio, soprattutto in negativo.

Sul punto gli approdi giurisprudenziali del Giudice Amministrativo sono sufficientemente consolidati da consentire una disamina delle singole ipotesi.

2.1. Pregiudiziale ed autotutela.

Tale fattispecie attiene ai rapporti fra le diverse fattispecie di autotutela (annullamento e convalida ex art. 21-nonies e revoca ex art. 21-quinquies, L. 241/1990, come novellata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 e dalla l. 2 aprile 2007, n. 40) e l'eventuale annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo.

E’ pacifico nella giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, A.P., 30 luglio 2007, n° 9, cit.; V, 6 dicembre 2006, n. 7194;IV, 28 luglio 2005, n. 4008) che il principio secondo il quale l’ammissibilità della domanda risarcitoria presuppone la previa demolizione in sede giurisdizionale del provvedimento lesivo non opera quando l’atto sia stato rimosso in sede amministrativa in via di autotutela.

Ciò in quanto l’esercizio dell’autotutela, con conseguente annullamento, risolve in radice il problema della presunzione di legittimità dell’atto stesso, ed elimina ogni ostacolo all’esame della (eventuale) ingiustizia del danno da parte del giudice.

Inoltre, a tali fini, non assume alcun rilievo il fatto che tale ritiro giunga dopo la scadenza del termine per proporre l’impugnazione, quando l’atto, cioè, è ormai divenuto inoppugnabile.

Non vi è dubbio, infine, che anche l’atto di annullamento (per vizi di legittimità) sia soggetto a possibile scrutinio giudiziario, anche mediante lo strumento dei motivi aggiunti, con conseguente profilo risarcitorio derivante dalla caducazione in sede giudiziale dello stesso: ad esempio, in materia di appalti, " l'annullamento di una gara pubblica, specie se in stato avanzato di espletamento o addirittura culminata in una pur provvisoria aggiudicazione, implica la frustrazione dell'affidamento ingenerato in capo ai partecipanti e, segnatamente, all'aggiudicatario. Di qui la necessità, consacrata dal disposto dell'art. 21 nonies della legge 241/1990, di una ragione di interesse pubblico tale da giustificare comparativamente l'incisione delle posizioni in rilievo"( Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2006, n. 7102).

Va segnalata una recente pronuncia del TAR Catania, 9 gennaio 2008, n. 89: tale pronuncia, pur respingendo la domanda di risarcimento danni avanzata in quella sede per essere stato legittimamente ritirato un atto mediante annullamento e senza provocare danni al ricorrente, ha però ritenuto applicabile in via analogica anche a tale fattispecie l’art. 21 quinquies L. 241/90, ed ha condannato l’Amministrazione resistente al 50% delle spese vive che l’A.T.I. ha dichiarato di aver sostenuto ed il cui importo non è stato contestato dall’Amministrazione resistente.

Parzialmente diverso, invece, il discorso per la revoca ex art. 21 quinquies L. 241/90.

Innanzi tutto, la norma prevede in entrambi i commi che la compongono un "indennizzo" – il quale, come noto, integra una forma di contributo ai danni subiti ma non un risarcimento degli stessi - che, in ipotesi di incidenza dell’atto di revoca su rapporti negoziali, deve essere rapportato esclusivamente al danno emergente, nonchè ulteriormente parametrato sia in relazione all'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia all'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico; nelle altre ipotesi di "pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati", invece, i criteri cui rapportare l’indennizzo non sono predeterminati, per cui deve ritenersi estensibile anche al lucro cessante.

Rimane sicuramente esclusa - alla luce della natura indennitaria della tecnica risarcitoria adottata – la possibilità del risarcimento in forma specifica.

In relazione alla possibile coesistenza della domanda indennitaria disciplinata dall’art. 21 quinquies e di altra domanda avente carattere risarcitorio(la differenza tra le due si ravvisa nella circostanza che mentre la seconda discende da un atto illecito, la prima è la conseguenza del c.d. atto lecito dannoso, v. T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, 23 agosto 2006, n. 300), la giurisprudenza (TAR Palermo, 9 luglio 2007, n. 1775) ha ritenuto astrattamente prospettabili ambedue i profili, respingendo però la domanda risarcitoria – in adesione al principio della pregiudiziale amministrativa - per omessa "previa rimozione del titolo giuridico in forza del quale l’amministrazione stessa ha agito, senza di che la sua condotta non potrebbe mai, come accennato, essere considerata non iure ".

Quanto al regime di prova del diritto all’indennizzo, deve convenirsi con il più rigoroso indirizzo giurisprudenziale (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 7 giugno 2007, n. 744) secondo il quale l’indennizzo "è sottoposto allo stesso onere della prova del risarcimento del danno".

Deve comunque rilevarsi, in conclusione, come anche in questa specifica ipotesi da ultimo esaminata non operi il principio della pregiudiziale amministrativa.

2.2. Pregiudiziale e modalità di esecuzione dell’atto amministrativo.

L’azione risarcitoria può anche non trovare fondamento nell’illegittimità di un atto, bensì – tenuta ferma la legittimità dello stesso – in illegittimità che si estrinsechino nella fase esecutiva dell’azione amministrativa: in tal caso il principio della pregiudiziale amministrativa non opera.

Come chiarito dall’Adunanza Plenaria con già richiamata pronuncia n° 9/07 " un danno giuridicamente rilevante ben può coesistere con la inoppugnabilità o acclarata legittimità del provvedimento (solo malamente eseguito) il quale effettivamente rileverà nel giudizio risarcitorio come mero presupposto".

Seppur dettato in relazione alla materia dell’espropriazione per pubblica utilità, il principio sopra richiamato pare chiaramente riferibile a tutte le ipotesi in cui la domanda si articoli proprio in relazione a problematiche risarcitorie afferenti alle modalità di esecuzione di un provvedimento amministrativo.

2.3. Pregiudiziale e ricorso straordinario al capo dello Stato.

Ai limitati fini necessari alla presente indagine, deve richiamarsi il pacifico orientamento del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, IV, 11 maggio 2007, n. 2322; VI, 27 luglio 2007, n. 4156; V, 29 agosto 2006, n. 5036) secondo il quale la decisione del ricorso straordinario consiste in un provvedimento amministrativo.

Da ciò discende come corollario il principio giurisprudenziale secondo il quale l’ammissibilità della domanda risarcitoria presuppone la previa demolizione in sede giurisdizionale del provvedimento lesivo non opera quando l’atto sia stato caducato a seguito dell’accoglimento di un ricorso straordinario.

2.4. Pregiudiziale e responsabilità precontrattuale.

Preliminare alla presente disamina è il richiamo alla giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale non è configurabile una responsabilità precontrattuale della P..A, per violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 1337 c.c., avendo riguardo allo svolgimento del procedimento amministrativo finalizzato alla scelta del contraente, nell’ambito del quale chi aspira alla stipulazione del contratto è titolare esclusivamente di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta, onde difettano in radice le condizioni per la configurabilità di «trattative» fra due soggetti, e quindi di un diritto soggettivo dell’uno verso l’altro all’osservanza delle regole della buona fede, come stabilito dalla citata norma( ex plurimis, Cass., SS. UU., 6.10.1993, n. 9892).

Passando all’esame concreto della fattispecie oggetto di commento, come già sopra rilevato (Sez. I, par. 3), numerose pronunce del Consiglio di Stato (Cons. Stato, A.P., 5 settembre 2005, n. 6; V, 7194/06, cit.; IV, 19 marzo 2003, n. 1457; VI, 18 novembre 2003, n. 7473; V, 12 settembre 2001, n. 4776), ritengono, in relazione alle procedure ad evidenza pubblica, che la responsabilità per gli eventuali danni scaturiti da attività della Pubblica Amministrazione nella fase antecedente alla stipula del contratto rientri nella Giurisdizione del Giudice Amministrativo ex art. 6 l. 21 luglio 2000, n. 205, e debba poi essere sussunta all’interno del modello di responsabilità precontrattuale mutuato dalla disposizioni di cui agli artt. 1337 e 1338 del codice civile.

Per quel che qui rileva, anche in relazione alla domanda risarcitoria connessa a responsabilità precontrattuale deve ritenersi non operare il principio della pregiudizialità amministrativa.

Pertanto, ove le Pubbliche Amministrazioni abbiano compiuto azioni (ad esempio, revoca dell’aggiudicazione per mancanza di copertura finanziaria) o siano incorse in omissioni contrastanti con il principio espresso dalla norma predetta, secondo il quale la pubblica amministrazione, al pari dei soggetti privati, è tenuta a comportarsi con correttezza nelle relazioni con i terzi nella fase prenegoziale, la domanda risarcitoria non troverà ostacolo non solo nell’eventuale omessa impugnazione dell’atto, ma neanche nella reiezione del ricorso avverso il provvedimento di annullamento dell’atto di aggiudicazione (Cons. Stato, A.P. 6/05, cit; IV, 1457/03, cit.).

2.5. Pregiudiziale e danno da ritardo.

2.5.1. Danno da ritardo per lesione di interessi pretensivi

Necessaria premessa al presente paragrafo è la qualificazione del ritardo, risultando evidente che in tale ipotesi non viene in evidenza l’annullamento di un atto amministrativo.

Per ritardo, quindi, si intende non un comportamento, ma il differimento dell’azione amministrativa rispetto ai termini fissati per il compimento della stessa.

Deve, a questo, punto, effettuarsi, una distinzione all’interno del concetto di ritardo: si deve distinguere il caso del tardivo conseguimento del bene della vita sotteso alla fondata pretesa avanzata dal cittadino, dall’ipotesi della tardiva pronuncia su istanza infondata.

Nel primo caso, ovviamente, l’azione risarcitoria non sconta alcuna pregiudizialità: si tratterà di un normale giudizio nel quale, in applicazione del riparto dell’onere della prova fissato dall’art. 2697 c.c., il ricorrente dovrà dimostrare solo il superamento del termine fissato (normativamente o tramite provvedimenti che determinano un autovincolo per l’amministrazione) per il compimento dell’attività ed il concreto danno che tale ritardo gli ha fatto subire (ad esempio, una tardiva erogazione di finanziamenti può essere fonte di danno ove, ad esempio, il percettore abbia dovuto contrarre prestiti per ovviare al ritardo nella disponibilità delle somme dovutegli; la tardiva assunzione da parte della P.A. può generare danni, individuabili nelle spese effettuate in vista dell’assunzione o per intraprendere altre attività lavorative transitorie, o nel patema derivante dall’ingiustificasto protrarsi della situazione di disoccupazione – v. Cass. Civ., sez. Lavoro, 14 dicembre 2007, n. 26282).

Più problematica, invece, è l’ipotesi di danno da mero ritardo: l’ipotesi, cioè, in cui il ricorrente alleghi come fonte del danno il solo superamento del termine fissato all’Amministrazione per il compimento di una determinata attività, anche nell’ipotesi in cui la sua pretesa sia stata giustamente respinta.

I TESI: la pregiudiziale amministrativa si applica.

Con la pronuncia del 15 settembre 2005, n. 7, l’Adunanza Plenaria ha chiarito come il ritardo non integri un comportamento (il che avrebbe potuto incidere sulla giurisdizione del G.A.): in realtà, si tratta "del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo della autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative.".

Ciò detto, per la parte che qui interessa, la medesima pronuncia sembra ritenere operante nel caso di preteso danno da mero ritardo la pregiudiziale amministrativa.

Ha infatti confermato la reiezione della domanda risarcitoria avanzata con al seguente motivazione: "..può affermarsi che il sistema di tutela degli interessi pretensivi – nelle ipotesi in cui si fa affidamento (come nella specie) sulle statuizioni del giudice per la loro realizzazione – consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l’interesse pretensivo, incapace di trovare realizzazione con l’atto, in congiunzione con l’interesse pubblico, assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l’interessato (suscettibile di appagare un "bene della vita").

Tale situazione non è assolutamente configurabile nella specie, posto che - a prescindere da qualunque ulteriore profilo in ordine ai requisiti richiesti per potersi considerare realizzata l’inadempienza - risulta incontroverso che i provvedimenti adottati in ritardo risultano di carattere negativo per la società e che le loro statuizioni sono divenute intangibili per la omessa proposizione di qualunque impugnativa.".

II TESI: la pregiudiziale amministrativa non si applica.

Con una recentissima sentenza (Cons. Stato, IV, 11 dicembre 2007, n. 6346; ma vedi anche Cons. Stato, VI, 18 giugno 2002, n. 3338) il massimo organo della giustizia amministrativa è tornato a pronunciarsi in ordine alla questione: in tale pronuncia viene espressamente escluso che su tale domanda possa incidere la questione della pregiudizialità amministrativa, trattandosi invece di ordinaria azione di risarcimento danni per asserita lesione di interessi legittimi, in relazione alla quale dovrà solo essere verificata la ricorrenza dei quattro presupposti del danno risarcibile. (per una più compiuta valutazione dei presupposti, si veda il paragrafo 3 di questa Sezione).

2.5.1.2 Danno da ritardo per mancata ripianificazione delle zone bianche

Ipotesi di particolare rilievo all’interno del danno da ritardo per lesione di interessi legittimi è quella che afferisce alla ripianificazione delle c.d. zone bianche.

La disciplina oggi vigente è dettata dagli articoli 9 del DPR 8 giugno 2001, n. 327, e 9 DPR 6 giungo 2001, n. 380, in termini sostanzialmente analoghi alla disciplina previgente: i vincoli preordinati all'espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativi, decadono dopo cinque anni, e, in ipotesi di omessa ripianificazione, si applica la disciplina dettata per le ipotesi di assenza di pianificazione urbanistica; resta però in facoltà del proprietario di richiedere l’esercizio del potere pianificatorio.

Tale ultima ipotesi è quella che qui verrà valutata.

In relazione a tale fattispecie, anche la Corte di cassazione sembra in qualche misura ritenere operante una forma di pregiudiziale amministrativa, seppur non in termini di pregiudiziale annullamento di atti amministrativi.

Infatti, con le sentenze della Corte di Cassazione, sez. I, 26 settembre 2003, n. 14333 e 26 gennaio 2007, n. 1754, è stato affermato che, dopo l’attivazione della procedura della messa in mora, di cui al D.P.R. 25 gennaio 1957, n. 3, art. 25 e l'accertamento, innanzi al giudice amministrativo dell'illegittimità del silenzio del Comune e dell'obbligo di ripianificazione dell'area bianca di proprietà del ricorrente, "l'eventuale profilo di danno che il protrarsi dello stato d'incertezza può arrecare alla sfera soggettiva del proprietario, al di là della mera attribuzione di poteri di reazione procedimentale all'inerzia amministrativa, scaturisce solo all'esito di un accertamento giudiziale dell'inadempimento all'obbligo della ripianificazione, cui il proprietario dell'area dimostri di avere specifico interesse, attivando la procedura di "annullamento del silenzio". In virtù della pronuncia si crea nel ricorrente un'aspettativa qualificata ad ottenere una disciplina dell'area, quale che sia, ma comunque idonea a porre fine allo stato di incertezza urbanistica. Solo in caso di persistente inerzia successiva alla tipizzazione del silenzio, potrebbe verificarsi un fatto lesivo commisurabile agli obblighi di correttezza e buona fede che i nuovi principi in tema di responsabilità amministrativa esigono nel momento in cui si instaura tra cittadino e pubblica amministrazione un contatto qualificato".

Ora, precisato che alla luce delle modifiche apportate all’art. 2 L. 7 agosto 1990, n. 241 deve ritenersi non più necessaria la previa diffida, e che il medesimo articolo prevede che "il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza della pretesa", la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, IV, 10 ottobre 2007, n. 5311) ha interpretato la norma nel senso che "nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c'è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni (cfr. sul punto, dopo la l. n. 80 del 2005, Cons. Stato, sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318), e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all'amministrazione (in altri termini si potrà condannare l'amministrazione ad adottare un provvedimento favorevole dopo aver valutato positivamente l'an della pretesa ma nulla di più); b) nell'ipotesi in cui l'istanza è manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare la p.a. a provvedere laddove l'atto espresso non potrà che essere di rigetto".

Alla luce di tali rilievi, e richiamando quanto già sopra esposto (parte II, par. 1.1., I tesi) in ordine alle considerazioni contenute nelle pronunce delle SS.UU., sarebbe stato consentito al Giudice di accertare incidentalmente la violazione dell’obbligo di provvedere sull’istanza di ripianificazione presentata dall’interessato anche in mancanza di una pronuncia che accertasse come formalmente illegittimo il silenzio dell’Amministrazione, considerando l’impossibilità di accertare la fondatezza della pretesa alla luce della natura largamente discrezionale dell’attività richiesta all’Amministrazione in materia.

Deve quindi ritenersi che, nella pronunce sopra indicate (cui adde Cons. Stato, V, 22 febbraio 2007, n. 954), la Corte di Cassazione abbia pronunciato in senso favorevole alla vigenza di una forma di pregiudiziale amministrativa.

2.5.2. Danno da ritardo e responsabilità contrattuale

Costituisce responsabilità contrattuale quella che consegue all’inadempimento di un preesistente obbligo, qualsiasi sia la sua fonte(contratto, legge, atto unilaterale).

Esempio di tale responsabilità, nel caso di specie, può individuarsi nel ritardo nell’affidamento dell’oggetto dell’aggiudicazione (lavori, servizi, forniture) rispetto ai tempi previsti, o nel danno riportato da un alunno durante l’orario scolastico(Cass. civ., sez. III 11 maggio 2007, n. 10830).

I TESI: la pregiudiziale amministrativa si applica.

Ove l’affidamento (ancora possibile per mancata esecuzione dell’oggetto dell’aggiudicazione) consegua all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione ad altra Ditta, deve ritenersi che la pregiudiziale amministrativa operi (Cons. Stato, V, 28 settembre 2007, n. 5004).

II TESI: la pregiudiziale amministrativa non si applica.

Con pronuncia recentissima il Giudice Amministrativo è tornato a pronunciarsi sulla responsabilità contrattuale (TAR CAMPANIA – Sez. Staccata Salerno, Sezione II, sentenza 15 gennaio 2008 n. 34): in disparte la soluzione data all’accoglibilità della domanda, il Tribunale ha escluso, previa riqualificazione della domanda, l’operatività della pregiudiziale nel caso di specie, che afferiva a domanda risarcitoria avanzata nei confronti del Comune, del Sindaco in carica all’epoca dei fatti, dei funzionari tecnici del Comune, dei componenti della commissione edilizia comunale, nonché contro il costruttore/venditore.

Gli Argomenti.

La tesi che propugna l’inapplicabilità della regola della pregiudiziale amministrativa si fonda, secondo l’arresto giurisprudenziale sopra richiamato, sui seguenti argomenti:

1) Il previo esperimento del giudizio caducatorio non è condotta esigibile

Nella vicenda esaminata (immobile edificato in forza di concessione edilizia accertata come illecita in sede penale ed acquistato dai ricorrenti con preliminare di vendita) l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto concessorio non integra gli estremi di una condotta esigibile, per non essere configurabile in capo ai ricorrenti un interesse all’impugnazione dell’atto concessorio ritenuto illegittimo dal giudice penale.

2) L’atto amministrativo da annullare è naturale presupposto della domanda risarcitoria, da ricondurre a responsabilità extracontrattuale.

Manca nel caso di specie un rapporto contrattuale tra l’Amministrazione ed i ricorrenti, e l’esistenza dell’atto amministrativo da aggredire è naturale presupposto della domanda, riqualificata come risarcitoria ex art. 2043 c.c.; nel caso di specie, quindi, il danno asseritamente derivato ai ricorrenti non origina immediatamente e direttamente dall’atto amministrativo, così come richiesto dal paradigma dell’art. 2043 c.c. e dalla giurisprudenza sul risarcimento del danno, bensì solo mediatamente ed occasionalmente dall’atto stesso, che, dunque, non si pone in rapporto di causalità diretta ed immediata con l’inadempimento contrattuale.

2.6. Pregiudiziale e giudizio di ottemperanza.

La questione è stata affrontata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia del 9 febbraio 2006, n. 2.

In particolare, si poneva all’attenzione dell’Adunanza Plenaria la questione del dies a quo dal quale fare decorrere la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento da occupazione illegittima.

Con tale pronuncia, premesso che " condizione necessaria per la domanda di risarcimento è la pronuncia che riconosce l’illegittimità di provvedimenti dalla cui esecuzione sorgono i danni lamentati e che, in caso di atti autoritativi, è pronuncia che spetta al giudice amministrativo", si afferma che "sia in sede di ottemperanza, sia in sede di esame della domanda risarcitoria-reintegrativa, può sorgere l’esigenza di verificare – in implicazioni ulteriori riguardanti la responsabilità, il nesso causale o la misura del danno derivatone – lo stesso provvedimento ed il procedimento dal quale è scaturito. Questa verifica spetta al giudice che già ne ha riconosciuto, o che è chiamato a conoscere, l’illegittimità dell’azione amministrativa.".

Peraltro, l’Adunanza Plenaria aveva già incidentalmente pronunciato sulla questione: sia pur solo in relazione alla possibilità per il proprietario espropriato di conseguire, tramite il giudizio di ottemperanza, la restituzione del bene nel caso di annullamento in sede giurisdizionale degli atti inerenti alla procedura di espropriazione per pubblica utilità, con la sentenza del 29 aprile 2005, n. 2 aveva statuito che tramite il giudizio di ottemperanza l’interessato poteva ottenere a sua scelta, ed in alternativa alla restituzione del bene derivante dall’annullamento degli atti della procedura espropriativa, il risarcimento del danno per equivalente.

Deve quindi ritenersi che l’Adunanza Plenaria propenda per l’operatività della pregiudiziale anche in sede di ottemperanza.

Tale posizione appare assolutamente conforme a quanto statuito in una delle pronunce delle SS.UU. sopra richiamate (Sez.II, par. 1.1., II Tesi): in tale pronuncia (Cass. civ., sez. Unite, n. 1207/06, cit.) sono proprio le SS.UU. ad ammettere che l’azione risarcitoria possa essere proposta dopo l’annullamento dell’atto innanzi allo stesso giudice amministrativo mediante un ricorso per ottemperanza.

In ordine alla proponibilità dell'istanza risarcitoria nel giudizio di ottemperanza ed ai limiti che la proponibilità di tale domanda incontra in quella sede, deve – sia pur sinteticamente – rilevarsi quanto appresso.

La giurisprudenza ( ex plurimis, Cons. Stato, IV, 5 marzo 2008, n. 923; id., 1 febbraio 2001 n. 396) è ferma nel ritenere improponibile per la prima volta in sede di ottemperanza la domanda risarcitoria, in quanto trattasi di domanda nuova, e " il giudice dell’ottemperanza, anche ai sensi della citata norma recentemente introdotta nell’ordinamento italiano, è chiamato ad un intervento primieramente esecutivo del contenuto del giudicato formatosi nel corso del giudizio di cognizione; solo entro limitati ambiti il giudizio di ottemperanza è idoneo ad aggiungere un ulteriore contenuto cognitivo (cioè sostanziale) al giudicato già formatosi".

Quanto ai limiti che incontra l’esecuzione della domanda risarcitoria già accolta, particolarmente interessante è la recentissima pronuncia del Consiglio di Stato, VI, 3 marzo 2008, n. 796.

Tale pronuncia, infatti, sviluppa il concetto di "giudicato a formazione progressiva", competendo al Giudice dell’ottemperanza – ove la regola dettata nel provvedimento giurisdizionale del quale si chiede l’esecuzione sia "implicita o incompleta" – di " esplicitare e completare tale regola": ciò in quanto il giudizio di ottemperanza è "prosecuzione del giudizio di merito, diretto ad arricchire, pur rimanendone condizionato, il contenuto vincolante della sentenza amministrativa".

Pertanto, ad avviso della Sezione, " Il giudice amministrativo, cioè, in sede di giudizio di ottemperanza, può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera «esecuzione», ma «attuazione» in senso stretto, dando luogo al cosiddetto giudicato a formazione progressiva…. in definitiva, il giudice amministrativo può adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che comunque sarebbero devoluti alla sua giurisdizione.".

2.7. Pregiudiziale e responsabilità da "contatto sociale".

Come anticipato sopra (parte I, par. 6), vi è un orientamento giurisprudenziale, sicuramente minoritario, ma anche di recente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa (v. Cons. Stato, V, 2 settembre 2005, n. 4461; id., 6 agosto 2001, n. 4239), secondo il quale "la ricostruzione del rapporto tra pubblica amministrazione procedente e privato come contatto sociale qualificato permette di delineare l'effettiva dimensione dell'eventuale danno ingiusto, in quanto i comportamenti positivi e negativi della pubblica amministrazione, parametrati sulle regole (generali e speciali) che governano il procedimento amministrativo, possono tradursi nella lesione patrimoniale dell'interesse del privato al bene della vita realizzabile mercé l'intermediazione del procedimento stesso, di talché il diritto al risarcimento dell'eventuale danno derivante da atti illegittimi presenta una fisionomia sui generis, non riducibile al mero modello aquiliano ex art. 2043 c.c., essendo caratterizzata dal rilievo di alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento di obbligazioni, da cui discendono importanti corollari in ordine alla disciplina concretamente applicabile con particolare riguardo al termine di prescrizione, all'area del danno risarcibile ed all'onere della prova dell'imputazione soggettiva", corollari tra i quali va considera quello secondo il quale "l'accertata illegittimità dell'atto ritenuto lesivo dell'interesse del cittadino rappresenta, nella generalità dei casi, indice presuntivo della colpa della pubblica amministrazione, alla quale incombe l'onere di provare la sussistenza di un errore scusabile.".

Anche in relazione a tale orientamento, deve rilevarsi come le sentenze sopra richiamate del Consiglio di Stato ritengano operare il principio della pregiudiziale amministrativa.

3. L’indagine da svolgere ex art. 2043 c.c.

Secondo il "tetralogo" dettato dalla S.C.( ed accolto anche dal Consiglio di Stato nelle pronunce che pure ritengono tutt’ora operante il principio della pregiudiziale), l’affermazione giudiziale della responsabilità dell’Amministrazione soggiace alle seguenti condizioni: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se il danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poichè è la lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela ma)giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c) accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile a una condotta (positiva o omissiva)della P.A.; d) stabilire se il predetto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.A.

3.1 L’antigiuridicità

Il ricorrente dovrà dimostrare l’illiceità dell’attività posta in essere dalla pubblica amministrazione, ed in particolare che l’atto amministrativo fosse illegittimo, ossia adottato in violazione di norme di legge o afflitto dagli altri vizi tipici (eccesso di potere, incompetenza).

Nel caso di previo annullamento dell’atto amministrativo, il dato si potrà dare per acquisito o, perlomeno, il relativo regime probatorio potrà ritenersi attenuato, invocando eventualmente tale dato come presunzione semplice della colpa; deve però richiamarsi in contrario l’orientamento della Cassazione (Cass. civ., sez. III 4 luglio 2006, n. 15259) secondo il quale "Stante la diversità di ambito del giudizio dinanzi al giudice ordinario sulla domanda risarcitoria rispetto a quello - che si svolge dinanzi al giudice amministrativo - rivolto all'accertamento della illegittimità del provvedimento impugnato e al suo conseguente annullamento, deve escludersi che la pronuncia del giudice amministrativo di annullamento del provvedimento impugnato determini una preclusione da giudicato nel giudizio civile e impedisca all'autorità giudiziaria ordinaria l'esercizio del potere-dovere di procedere ad autonomo esame di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata.".

3.2 L’effettiva lesione del bene della vita

Il concetto di effettività della lesione lamentata vale, in sostanza, ad escludere che il danno (da considerarsi, quindi, come danno – conseguenza) possa considerarsi in re ipsa e, quindi, coincidente con l’evento, che invece è solo elemento del fatto produttivo del danno.

Particolarmente interessanti, in relazione a tale questione(che, ovviamente, dovrà essere accertata in giudizio caso per caso), ed in particolare in ordine al riparto dell’onere probatorio ed al concreto assolvimento dello stesso in sede processuale, sono le pronunce del TAR Palermo del 5 giugno 2003, n° 853, e la correlata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, già sopra richiamata, n° 10/07 .

Si legge nelle pronunce (ed in particolare in quella dell’Adunanza Plenaria) da ultimo richiamate che "in sede di riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da illegittimo esercizio del potere, la prova del danno deve essere rigorosa, il ricorso alle presunzioni può essere ammesso solo quando derivi da fatti accertati univoci e concordanti, e la valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 del c.c. è ammissibile per la determinazione dell’entità del danno e non per la prova della sua esistenza (Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2006, n. 6734)".

In ordine all’effettività della lesione, si legge nella pronuncia del TAR che l’accertata illegittimità del provvedimento di requisizione, e quindi l’indisponibilità degli immobili requisiti ed il degrado degli stessi verificatosi nel periodo di indisponibilità "ha comportato la lesione del diritto all’integrità del patrimonio, in altri termini la perdita di un vantaggio economico; il che integra gli estremi del danno ingiusto"; quanto alla dimostrazione dei danni subiti, l’Adunanza plenaria ha ritenuto - in relazione ai danni conseguenti "allo stato di degrado e di incuria in cui si trovano gli alloggi di cui trattasi e ai danneggiamenti dagli stessi subiti", e considerato connesso il mancato godimento degli immobili da parte della società proprietaria alla perdita di eventuali diverse occasioni di loro sfruttamento economico - adempiuto l’onere probatorio da parte del ricorrente "depositando, tra l’altro, anche una relazione tecnica, con allegata documentazione fotografica, illustrativa dello stato degli immobili".

In ordine ai criteri di quantificazione del danno, si veda oltre, par. 6.

3.3 Il nesso di causalità tra la condotta della pubblica amministrazione e il danno.

Innanzi tutto, deve rilevarsi come, in materia di responsabilità extracontrattuale, il nesso di causalità debba essere fondato sul criterio della probabilità, e non già della mera possibilità, di verificazione dell'evento, "dovendo la relazione causale intercorrente tra condotta e fatto dannoso attingere ed allocarsi entro la più intensa dimensione della probabilità causale (e ciò a prescindere dal grado e dai criteri da adottarsi per la valutazione di tale dimensione probabilistica del nesso medesimo)"( Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2007, n. 9226), ed inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della cd. regolarità causale(Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15274), con l’ulteriore conseguenza che, ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l'evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiono del tutto inverosimili, combinando la teoria della "condicio sine qua non" con la teria della "causalità adeguata".

Necessaria ad integrare il nesso di causalità è la riferibilità all'amministrazione del comportamento stesso secondo il concetto della c.d. "occasionalità necessaria"( Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2006, n. 24744), la quale presuppone che l'attività posta in essere dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente pubblico, e cioè tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto. Tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all'amministrazione - o addirittura contrario ai fini che essa persegue - ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l'attività del dipendente e la P.A.

Di particolare rilievo è inoltre il principio – pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte (ex plurimis, Cass. civ., sez. Lavoro, 8 giugno 2007, n. 13400 ) – secondo il quale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen.(applicabili alla responsabilità extracontrattuale), qualora la condotta del convenuto abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell'evento, e ne costituisca un antecedente causale, l'agente deve rispondere per l'intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato; non sussiste, invece, nessuna responsabilità dell'agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non ne costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, né per quelli preesistenti.

Anche in queste ultime ipotesi, peraltro, debbono essere addebitati all'agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell'agente stesso per l'intero danno differenziale.

Il riferimento all’art. 41 c.p. opera anche in relazione al problema della causalità omissiva che consiste nell'accertare se l'evento sia effettivamente ricollegabile in tutto od in parte ad una omissione, nel senso che esso non si sarebbe verificato se l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli (e, dunque, anche escludendo il rilievo di concause che abbiano potuto rendere irrilevante l'omissione), con l'ulteriore avvertenza che l'evento dannoso dev'essere anche riconducibile alla tipologia di eventi che l'obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa intendeva evitare: essa , più in dettaglio, si sostanzia, come noto(v. Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609), nella possibilità di considerare l’omissione di un comportamento rilevante, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica), purché la condotta omissiva non sia essa stessa considerata fonte di danno dall'ordinamento (come, sul piano penale, per i reati omissivi propri) ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l'omissione, siccome implicante l'esistenza a suo carico di particolari obblighi di generica prevenzione dell'evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell'impedimento di quell'evento, è di tutta evidenza che, a differenza di quando si consideri come parte di una serie causale un fatto positivo, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula a monte la preventiva individuazione dell'obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto. L'individuazione di tale obbligo si connota come preliminare per l'apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che lo imponeva non è possibile apprezzare l'omissione del comportamento sul piano causale; il rilievo causale dell'omissione, dunque, a differenza di quello del fatto commissivo, non può avvenire soltanto su base naturalistica, cioè della constatazione che una condotta è mancata, ma suppone necessariamente un giudizio normativo, che, appunto, deve seguire quello naturalistico ed evidenziare che la condotta non verificatasi (il fatto mancante) era dovuta specificamente o genericamente dal soggetto cui viene addebitata la responsabilità.

Tale giudizio, peraltro, non ha niente a che vedere con quello sull'attribuibilità della condotta omissiva sul piano soggettivo a colui che era tenuto alla condotta positiva e, quindi, con il giudizio sull'elemento soggettivo dell'illecito, che postula la tenuta del comportamento omissivo con dolo o colpa e, dunque, il relativo concreto accertamento, e che si colloca, pertanto, su un piano successivo a quello dell'accertamento del nesso di causalità e presuppone quest' ultimo.

Infine, in quanto particolarmente rilevante sotto il profilo processuale, deve richiamarsi la pronuncia (Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2004, n. 14121) secondo la quale "In tema di nesso di causalità nell'illecito extracontrattuale, il trascorrere un considerevole lasso di tempo tra l'opera che si assume essere fonte di danno (nel caso di specie, distruzione del muretto di contenimento di una scarpata), e il pregiudizio che da essa sarebbe derivato (nella specie, un fenomeno fessurativo su un'attigua costruzione), se, di per sè non esclude il nesso causale tra fatto ed evento dannoso, lo rende però poco probabile e richiede una motivazione particolarmente accurata e convincente sul punto. ".

3.4 L’elemento soggettivo (dolo o colpa).

Necessaria premessa al presente paragrafo è il rilievo relativo all’avvenuto superamento del principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica dovrebbe considerarsi sussistente "in re ipsa" in caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo: l’elemento soggettivo (dolo o qualsiasi tipo rilevante di colpa, sia grave che lieve) andrà in ogni caso dimostrato come sussistente in concreto, anche in relazione alle regole di imparzialità , correttezza e buona amministrazione cui deve ispirarsi l'esercizio della funzione amministrativa.

Quanto all’individuazione dei relativi concetti, ai limitati fini della presente trattazione si può rilevare come il dolo generico sia considerato come rappresentazione e volontà di tutti gli elementi oggettivi della fattispecie presa in esame (artt. 5, 42, 43, 44, 47, 59 c.p.); la colpa(art. 43 c.p.), invece, come composta dall’elemento negativo della mancanza di volontà del fatto materiale, dall’elemento oggettivo dell’inosservanza delle regole di condotta dirette a prevenire danni a beni giuridicamente protetti e, infine, dall’elemento soggettivo della attribuibilità della lamentata inosservanza al soggetto agente, rinviando per una più compiuta e dettagliata descrizione, oltre che alla dottrina, alla giurisprudenza della cassazione Penale (ex plurimis, Cass. pen., sez. IV, 6 settembre 2007 (13 giugno 2007), n. 34115; id., 20 luglio 2007 (20giugno 2007), n. 29206; V, 19 aprile 2007 (14 marzo 2007), n. 15791; I, 29 marzo 1996(29 gennaio 1996), n. 3277).

Appare interessante, in conclusione, richiamare sul punto una non recentissima sentenza della Cassazione penale(Cass. pen., sez. V, 26 aprile 1993 (15-01-1993), n. 3899), che però detta principi tutt’ora attuali e particolarmente rilevanti sotto il profilo processuale: "L'art. 2043 cod. civ. delinea una fattispecie a struttura complessa, qualificata dall'atipicità dell'illecito civile ed indifferente all'individuazione del criterio soggettivo di imputazione della responsabilità, poiché tutta la normativa civilistica sui fatti illeciti è ispirata al principio di equivalenza tra dolo e colpa in ordine alle conseguenze del fatto dannoso. Pertanto, è irrilevante stabilire, in relazione all'obbligazione risarcitoria, se un illecito, fonte di responsabilità civile oltre che penale, sia imputabile a titolo di dolo ovvero di colpa, poiché in entrambi i casi sussiste l'obbligo di risarcire il danno".

4. Le tipologie di risarcimento. Risarcimento mediante reintegrazione in forma specifica e reintegrazione per equivalente.

Chiariti i presupposti da individuare per poter ritenere provata la responsabilità risarcitoria della PA, si devono ora individuare le tipologie di risarcimento che il privato può utilmente invocare.

Le due figure di risarcimento danni sono il risarcimento mediante reintegrazione specifica ed il risarcimento per equivalente.

4.1 Il risarcimento mediante reintegrazione in forma specifica.

Tale figura trova il proprio fondamento normativo negli articoli 2058 del codice civile, 35, comma 1, d. lgs. 31 marzo 1998 e 7, comma 3, l. 6 dicembre 1971.

Secondo la conforme giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, A.P., n. 2/05, cit.; VI, 18 dicembre 2001, n. 6281), la reintegrazione in forma specifica, rappresenta, in linea generale, un corollario dell'effetto caducatorio-ripristinatorio della pronuncia di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo.

Esso può consistere sia nella prestazione di una cosa uguale a quella distrutta, sia nella riparazione materiale delle eventuali avarie cagionate alla cosa, sia nell’eseguire, a spese dell’obbligato, autore del danno, le opere necessarie a ricondurre la cosa nello stato primitivo, eliminando ciò che è stato realizzato in violazione del diritto del proprietario.

4.2 I limiti di ammissibilità di tale forma risarcitoria. La realizzazione di un’opera pubblica.

Problema di particolare rilevanza pone la concreta valutazione di alcuni dei limiti di ammissibilità a tale forma di risarcimento fissati dall’art. 2058 c.c., soprattutto nel caso in cui si controverta della restituzione di un terreno illegittimamente espropriato e sul quale medio tempore sia stata realizzata un’opera pubblica: infatti tale norma prevede che il risarcimento in forma specifica possa essere pronunciato dal Giudice solo ove si ancora in tutto o in parte possibile e se tale forma risarcitoria non sia troppo onerosa per il debitore.

I TESI: la reintegrazione non trova ostacoli nell’esecuzione dell’opera.

Gli Argomenti.

La tesi che propugna la sostanziale inesistenza di limiti alla restituzione del terreno espropriato si fonda sui seguenti argomenti:

1) L’adeguamento dello stato di fatto allo stato di diritto non trova limiti se non quelli legali

Nell’accogliere la domanda della ricorrente, l’Adunanza Plenaria ha chiarito che "All’adeguamento dello stato di fatto allo stato di diritto, come definito in sentenza, può pervenirsi, a seconda della concreta situazione, mediante restituzione di beni, accompagnata o meno dalla riduzione in pristino, o mediante analoghe forme di esecuzione in forma specifica secondo modalità individuate dal giudice dell’ottemperanza nell’esercizio della giurisdizione di merito.".

2) La giurisprudenza della Corte Europea. L’art. 43 DPR 327/01

Rifacendosi inoltre alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, inoltre, la pronuncia sopra richiamata ha precisato come non costituisca impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata il fatto della realizzazione dell’opera pubblica e che l’unica legittima preclusione alla restituzione possa derivare dalla corretta applicazione dell’art. 43 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il quale prevede la possibilità dell’acquisto della proprietà da parte dell’amministrazione, con un formale provvedimento amministrativo, "valutati gli interessi in conflitto".

Ciò in quanto tale procedura rispetta i parametri fissati in materia dalla Corte di Strasburgo, ed anche perchè la motivazione di tale atto deve essere particolarmente esaustiva in ordine alla valutazione degli interessi in conflitto, proprio per consentire un penetrante sindacato giurisdizionale sull’utilizzazione di tale strumento.

II TESI: la reintegrazione può trovare ostacoli nell’esecuzione dell’opera.

Qualche giorno dopo la pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria appena richiamata, una Sezione del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 3 maggio 2005, n. 2140)ha statuito in difformità da tale orientamento.

Gli Argomenti.

1) La reintegrazione è istituto speciale del diritto processuale amministrativo.

Il Collegio precisa di aderire all’orientamento che ritiene che la reintegrazione in forma specifica debba essere intesa come istituto speciale del diritto processuale amministrativo e che i suoi limiti di applicazione coincidano con quelli di speciale rilevanza dell'interesse pubblico.

2) La demolizione dell’opera sarebbe eccessivamente onerosa.

La riduzione in pristino, mediante la demolizione dell’opera, che dovrebbe necessariamente integrare la restituzione del bene, sarebbe eccessivamente onerosa per il pubblico interesse e di pregiudizio per l'economia nazionale, in contrasto coi principi affermati nell'ordinamento civile dagli artt. 2058 e 2933 Cod. civ.

3) L’eccessiva onerosità per il debitore va intesa come onerosità per la collettività.

Nell’operazione di adattamento delle prescrizioni codicistiche, secondo il Collegio l'eccessiva onerosità per il debitore deve essere sostituita dall'eccessiva onerosità per il pubblico interesse e per la collettività, su cui gravano gli oneri dell'azione amministrativa.

Le implicazioni.

Pare di tutta evidenza che tale orientamento si ponga in insanabile contrasto non solo con la pronuncia dell’Adunanza Plenaria, ma – circostanza ben più grave – con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che nel corso degli anni, ed anche di recente, ha statuito in senso diametralmente opposto.

Non vi è dubbio, inoltre, che, dovendosi rilevare l’avvenuta "comunitarizzazione" delle norme CEDU (Convenzione Europea Diritti Uomo) ad opera del nuovo articolo 6 del Trattato, per come sostituito dal Trattato di Lisbona(" L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattatiI diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.".), il Giudice potrebbe ora disapplicare l’art. 2933 c.c. per contrasto con la normativa comunitaria, o rinviare ai sensi dell’art. 234 del Trattato alla Corte di Giustizia CEE la questione pregiudiziale per verificare se l’ordinamento comunitario osti ad una normativa nazionale di tale portata.

4.3 Reintegrazione in forma specifica e principio della domanda.

Si è posto il problema dell’ammissibilità da parte del Giudice di una pronuncia tesa a consentire la reintegrazione in forma specifica anche in assenza di espressa domanda in tal senso.

La risposta deve essere fermamente negativa.

Premesso che è principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale "In tema di danni, il risarcimento per equivalente costituisce un "minus" rispetto al risarcimento in forma specifica."( Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2006, n. 4925; Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2005, n. 2095), e che la richiesta di reintegrazione in forma specifica effettuata in sede di precisazione delle conclusioni, nell’ipotesi in cui nell’atto introduttivo sia stato richiesto il risarcimento per equivalente, integra mutatio libelli(Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1988, n. 2300), l’inequivoco tenore testuale dell’art. 2058 c.c. ("Il danneggiato può chiedere..") ed il principio della domanda fissato dall’art. 99 c.p.c. (applicabile anche davanti al Giudice Amministrativo) conducono all’evidenza della necessità che sia il ricorrente a formulare espressamente tale richiesta in sede giudiziale.

4.4 La stipula del contratto incide sulla possibile reintegrazione in forma specifica?

Altra problematica di grande rilievo è posta all’interprete, in relazione alle vertenze relative alle procedure ad evidenza pubblica, dalla eventuale stipula del contratto in pendenza del giudizio avverso l’atto di aggiudicazione.

Questa questione è stata affrontata in una recentissima sentenza del Giudice Amministrativo (Cons. Stato, VI, 25 gennaio 2008 n. 213).

La tesi esposta in tale pronuncia, che propugna la sostanziale irrilevanza della stipula del contratto alla reintegrazione in forma specifica, ove il contratto non sia stato integralmente seguito, si fonda sugli argomenti che di seguito saranno esposti.

Nell’accogliere la domanda della ricorrente, il Consiglio di Stato ha ritenuto irrilevante "approfondire la questione del tipo di vizio da cui è affetto il contratto, né quella di giurisdizione connessa " ed ha demandato alla Società aggiudicataria di " scegliere se procedere al subentro nel contratto, qualora questo non sia stato ancora interamente eseguito, o se optare per il risarcimento del danno anche in relazione alla parte del contratto non eseguita", richiamando a sostegno di tale tesi le sentenze del Consiglio di Stato, VI 4 aprile 2007 n. 1523 e della Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2007, n. 7481.

Tale ultima pronuncia, in particolare, attribuisce al contratto valore di mero atto formale e riproduttivo dell’aggiudicazione, ed è quindi destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è inscindibilmente collegato, venendo automaticamente caducato a seguito dell’annullamento dell’atto di aggiudicazione.

La possibilità di garantire la reintegrazione in forma specifica anche a fronte di parziale esecuzione del contratto troverebbe sostegno anche nell’art. 1181 c.c., in forza del quale il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche la prestazione è divisibile.

In questa sede non si intende prendere posizione sul meccanismo della caducazione, peraltro recentemente avallato anche dalle SS.UU. (28.11.2007, n. 24658); deve però rilevarsi come il meccanismo caducatorio abbozzato in sentenza, tramite rinvio ad altre pronunce, collida insanabilmente con la soluzione adottata di offrire alla parte l’opzione di subentrare nel contratto.

Tale opzione, infatti, presuppone un contratto valido ed efficace, e cioè l’esatto opposto del risultato cui conduce il meccanismo della caducazione richiamato dalle pronunce sopra indicate.

Peraltro, alla luce della soluzione adottata in sentenza, la questione di giurisdizione deve, a differenza di quanto asserito dal Consiglio di Stato, necessariamente essere esaminata, alla luce del più recente arresto delle Sezioni Unite in materia.

Infatti, in realtà, la surrichiamata pronuncia n. 213/08 non conduce alla caducazione del contratto, ma alla (possibile) sostituzione – quale strumento di attuazione della reintegrazione in forma specifica, ritenuta ancora ammissibile a seguito della non integrale esecuzione del contratto - del soggetto individuato come aggiudicatario ad una della parti del contratto di appalto, con un meccanismo di coazione in parte riconducibile, in assenza di istituti che regolino la fattispecie, ed in via analogica, alla cessione del contratto di cui agli artt. 1406 ss. c.c.

Ciò determina un evidente difetto di giurisdizione in relazione al meccanismo individuato in sentenza come satisfattivo della disposta reintegrazione in forma specifica.

Le Sezioni Unite, poco dopo il deposito della pronuncia n. 24658/07 sopra richiamata, sono tornate a pronunciarsi sulla questione della giurisdizione nella fase di esecuzione dei contratti derivanti da procedure ad evidenza pubblica.

In particolare, con la sentenza 28.12.2007, n. 27169, hanno ritenuto che rientrino nella giurisdizione dell’A.G.O. le controversie afferenti la fase di esecuzione del contratto, e che quindi " valutare l’incidenza dell’annullamento dell’atto amministrativo di aggiudicazione rispetto al rapporto privatistico che ad esso consegue costituisce una questione di merito relativa alla verifica della validità e della perdurante efficacia del contratto di appalto; e significa pronunziare intorno alla ricorrenza o meno delle condiciones juris, incidenti sulla sua giuridica esistenza e validità iniziale, nonché sul perdurare degli effetti legati al sinallagma funzionale".

Con la sentenza n. 213/08, in concreto, il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla vicenda contrattuale, sia pur al dichiarato fine di consentire il risarcimento in forma specifica: pertanto, se è vero che la giurisdizione del G.A. sussiste in linea generale in ordine alla domande risarcitorie, il decisum emanato nel caso di specie pare evocare un evidente difetto di giurisdizione del G.A.

Altra pronuncia, particolarmente rilevante, è la già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 796/08: ad avviso della Sezione infatti, in sede di ottemperanza " ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sulla sorte del contratto, l’eventuale nullità o inefficacia del contratto stipulato può comunque essere valutata incidenter tantum dall’Amministrazione chiamata a dare esecuzione al giudicato e, di conseguenza, può essere incidentalmente valutata dal Giudice Amministrativo in sede di ottemperanza, in quanto in tale sede egli si sostituisce all’Amministrazione rimasta inerte ed esercita una giurisdizione di merito".

Con estremo rispetto per la pronuncia, pare evidente che il dichiarato rispetto della giurisdizione ordinaria sia mera enunciazione di principio, smentito dall’effettivo contenuto della pronuncia.

5. La reintegrazione per equivalente pecuniario.

Molto più agevole la definizione di tale residuale forma risarcitoria: in tal caso il risarcimento, che rappresenta un sostitutivo legale della reintegrazione in forma specifica, consisterà in una somma di denaro, e la somma dovuta al creditore andrà rapportata alla differenza tra il bene integro, e cioè nel suo stato originario, ed il bene leso o danneggiato.

Con particolare riferimento al processo amministrativo, deve richiamarsi l’orientamento del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2004, n. 950;id., 29 aprile 2002, n. 2280) secondo il quale tale modalità risarcitoria " ha carattere sussidiario rispetto alla prima, che più puntualmente risponde al principio della effettività della tutela del cittadino nei confronti dell'attività, provvedimentale o materiale, della P.A., sancito a livello costituzionale dagli articoli 24 e 113".

6. L’art. 35 d. lgs. 80/98. I criteri dettati dal Giudice Amministrativo.

Con l’art. 35 del d. lgs.31 marzo 1998, n. 80 (per come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. c), l. 21 luglio 200, n. 205, il Legislatore, oltre ad aver attribuito al Giudice Amministrativo la possibilità di pronunciare il rimedio risarcitorio nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ha anche previsto, al comma 2 del medesimo articolo, la facoltà per il medesimo Giudice di stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.

Ovviamente la casistica dei criteri stabiliti da Giudici è troppo vasta per essere qui riportata.

In via meramente esemplificativa, ed in quanto di presumibile maggior interesse, si richiameranno qui alcuni dei criteri dettati in materia di risarcimento danni correlati alle procedure ad evidenza pubblica.

Nelle ipotesi in cui la responsabilità venga ricondotta al paradigma dell’art. 2043 c.c., la giurisprudenza ha ritenuto che i criteri, previa individuazione delle voci liquidabili nel danno emergente, lucro cessante ed interessi e rivalutazione, possano essere i seguenti:

a) quanto al danno emergente, dovrà tenersi conto, come stabilito dalla direttiva del Consiglio delle Comunità europee 92/13/CEE del 25 febbraio 1992, delle spese e dei costi sostenuti per la preparazione dell'offerta e per la partecipazione alla procedura di aggiudicazione(Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1377); b) quanto al lucro cessante, nell’ipotesi in cui la ricorrente avrebbe vinto la gara lo stesso può essere liquidato – in applicazione analogica dell'art. 345 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato F, dell'art. 122 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, ed oggi degli articoli 134 e 158 del d. lgs 163/06 – in una percentuale variabile, oscillante tra il 2,5 % ed il 10% dell’importo offerto dalla ricorrente medesima(Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059; VI 03 maggio 2007, n. 1949); c) sempre in reazione al medesimo profilo, ma in riferimento alla perdita di chance (intesa come impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico collegato alla esecuzione dei lavori,), previa prova rigorosa del danno, potrà essere quantificato in una percentuale variabile rapportata all’importo di una delle gare alle quali la ricorrente ha partecipato senza poter far valere il requisito non acquisito (Cons. Stato, sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194); d) quanto alla rivalutazione, trattandosi di debito di valore, la stessa viene riconosciuta (Cons. Stato, sez. IV 28 aprile 2006, n. 2408), mentre gli interessi vengono riconosciuti solo sulla somma totale riconosciuta secondo i criteri indicati in sentenza e con decorrenza dal deposito della sentenza stessa(Cons. Stato, IV, 2408/06, cit.).

Nelle ipotesi in cui, invece, viene ravvisata una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., dei criteri sopra indicati non è applicabile quello relativo al mancato guadagno dell'utile d'impresa(Cons. Stato, V, 7194/06, cit.).

In relazione a fattispecie diverse da quelle derivanti da procedura ad evidenza pubblica, si rinvia alle più volte richiamate pronunce dell’Adunanza Plenaria nn. 2/06 e 10/07 per una indicazione di quali parametri possa utilizzare il Giudicante in tale delicata operazione.

Il dato però più significativo, in relazione all’art. 35, discende da una pronuncia dell’Adunanza Plenaria, la già citata sentenza n. 2/06.

Il dato normativo sopra riportato sembrerebbe inequivoco: i criteri possono essere dettati dal Giudice solo per determinare la somma da pagare al ricorrente.

L’Adunanza Plenaria, invece, compie un’operazione ermeneutica di non poco momento: partendo dall’analisi della ratio della norma, che appare ispirata a concedere all’Amministrazione un sia pur limitato margine di autonomia nel definire consensualmente con la controparte la prestazione satisfattiva del proprio obbligo, rimettendo però alla giurisdizione di merito del G.A. la risoluzione del problema derivante dal mancato accordo tra le parti, il Collegio giunge ad affermare che "l’oggetto del canone che può enunciarsi non sia soltanto quello del pagamento di una somma, come letteralmente è formulata la norma, ma ricomprenda ogni forma consentita di adempimento per equivalente di un’obbligazione della stessa natura.

7. La domanda risarcitoria può essere proposta separatamente dalla domanda caducatoria?

Sul punto si sono pronunciate più volte tutte le Sezioni semplici del Consiglio di Stato e l’Adunanza Plenaria (Cons. Stato, A.P., 18 ottobre 2004, n. 10; id. 4/03, cit; id, 2/06, cit.; id., 10/07, cit.; id., 12/07, cit.).

La conclusione è univoca: ferma la sussistenza della pregiudiziale amministrativa, resta in facoltà dell’interessato far sì che la domanda risarcitoria venga proposta congiuntamente a quella demolitoria, come proporla autonomamente, derivando anche in tal caso la risarcibilità del danno dalla ipotizzata illegittimità dell’attività amministrativa.

Argomento forte che sostiene la tesi secondo la quale la scelta di un momento successivo, per prospettare la domanda consequenziale, non trova ostacoli, si trae dalle norme applicabili – l’art. 7 novellato della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e l’art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 – nessuna delle quali introduce una prescrizione di contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale.

Secondo la sentenza del Consiglio di Stato, A.P., n. 10/07, inoltre " La domanda risarcitoria può essere proposta anche nel corso del giudizio per l'annullamento dell'atto che ha causato il danno, purché con atto notificato alla controparte (e non con semplice memoria depositata) nel rispetto dei principi di difesa e del contraddittorio. La questione risarcitoria, infatti, costituendo sviluppo della domanda originaria, può essere ricondotta allo schema dei motivi aggiunti (Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2006, n. 2556 e 26 marzo 2002, n. 1699; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 7 novembre 2002 , n. 606)".

Assolutamente condivisibile sotto un profilo eminentemente pratico, tale ultimo rilievo (la domanda risacitoria è uno sviluppo della domanda originaria, espressione questa mutuata dalla giurisprudenza civile formatasi in materia di individuazione di domanda nuova) va puntualizzato, vista la sua sinteticità: si tratta, infatti, di due distinte domande legate, oltre che dal vincolo della pregiudiziale amministrativa, da rapporto analogo a quello di accessorietà ex art. 31 c.p.c.( che, come noto, ricorre quando tra le domande esista un rapporto di conseguenzialità logico - giuridica tale che la pretesa oggetto della causa accessoria, pur essendo autonoma, trovi il suo titolo e la sua ragione giustificatrice nella pretesa oggetto dell'altra causa), conclusione questa rafforzata dai criteri dettati dall’Adunanza Plenaria per individuare il Giudice competente a pronunciare sulla domanda risarcitoria proposta autonomamente (v. oltre, par. 8 )

8. Come si individua il Giudice competente a pronunciare sulla domanda risarcitoria?

La questione è stata espressamente affrontata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la già richiamata pronuncia n. 10/04.

A seguito di regolamento di competenza, infatti, l’Adunanza Plenaria ha statuito che la competenza per territorio in relazione ad una domanda di risarcimento danni correlata all’annullamento in sede giurisdizionale di alcuni provvedimenti amministrativi, il Giudice competente a pronuncia su tale domanda " sia per il principio desumibile dalle norme della legge n. 1034 del 1971, sia per il criterio di attrazione per connessione nella competenza del T.A.R., cui spettava e cui spetta ancora di conoscere di profili di illegittimità dei provvedimenti inizialmente contestati, oramai annullati, ma i cui effetti sono da precisare nel separato giudizio promosso (e non necessariamente definiti nel giudizio precedente)" dovrà essere individuato nello stesso Giudice che ha pronunciato l’annullamento.

In sostanza, quindi, la competenza territoriale andrà individuata, in relazione alla domanda di annullamento, secondo gli ordinari criteri previsti dagli articoli 2 e 3 della L. 1034/71; l’individuazione del Giudice competente per la domanda risarcitoria, ove questa sia proposta autonomamente, sarà quindi vincolata dalla competenza relativa al giudizio pregiudiziale.

E’ il caso, comunque, di richiamare, ad ulteriore sostegno della conclusione raggiunta dall’Adunanza Plenaria, l’orientamento del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, 19agosto 2002, n. 4212), secondo il quale, pur in assenza all’interno del processo amministrativo di una regola espressa sulla competenza per connessione, "è unanimemente riconosciuta in dottrina e giurisprudenza la necessità del simultaneus processus, l'esigenza di trattazione congiunta della controversia, con la concentrazione presso un unico giudice".

9. L’art. 23 bis L. 7 dicembre 1971, n. 1034 si applica anche ai giudizi relativi alle domande risarcitorie?

9.1. Le due tesi a confronto.

Nell’ambito delle materie indicate dall’art. 23 della l. 7 dicembre 1971, n. 1034, si è posto il problema della dimidiazione dei termini processuali anche per i giudizi che, senza richiedere contestualmente la rimozione di alcun atto amministrativo, riguardino esclusivamente domande risarcitorie

I TESI: l’art. 23 bis si applica.

In senso favorevole all’applicabilità era orientata la giurisprudenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa, (v. dec. 9 maggio 2005, n. 323 e 13 febbraio 2006, n. 40).

Gli Argomenti.

1) Il potere di disporre il risarcimento non è una nuova materia.

Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, la dimidiazione dei termini processuali ex art. 23-bis della legge 7 dicembre 1971 n. 1034 trovava applicazione anche nei giudizi risarcitori in quanto il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre il risarcimento del danno ingiusto non costituiva sotto alcun profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale, solo uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio, da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della P.A..

II TESI: l’art. 23 non si applica.

Contrapposta a tale tesi era invece quella esposta a più riprese dal Consiglio di Stato: in numerose pronunce (Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 2005 n. 8660; id., 7194/06, cit.; IV, 21 maggio 2007, n. 2582) il Giudice di appello ha affermato l’inapplicabilità alle controversie risarcitorie (anche ove proposte congiuntamente alla domanda di annullamento) della speciale disciplina acceleratoria sopra indicata.

Gli Argomenti.

1) La tassatività dell’elencazione e la natura eccezionale della norma

Le ragioni della ritenuta inapplicabilità derivano dalla tassatività dell’elencazione delle controversie cui la norma è applicabile, norma che incidendo, in via di eccezione e restrittiva, su una disciplina giuridica che dà concreta attuazione a diritti fondamentali del cittadino (articolo 24 della Costituzione), non può che essere interpretata in senso stretto e, quindi, applicata solo ai casi tassativamente considerati dal legislatore.

2) L’inesistenza di esigenze acceleratorie

Ciò porta ad escludere l’inserimento in essa anche dei giudizi risarcitori, non soltanto non inseriti in tale norma, ma rispetto ai quali chiaramente neppure ricorre la ratio per la quale il legislatore ha ritenuto di favorire, in deroga ai termini processuali ordinari, una più rapida tutela degli interessi pubblici

9.2. L’intervento risolutore dell’Adunanza Plenaria.

Con la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 30 luglio 2007, n. 9, la questione è stata composta, sia pur con qualche forzatura.

Gli Argomenti.

1) Il tenore letterale della norma

Ad avviso dell’Adunanza Plenaria "secondo la lettera della legge il rito abbreviato si applica nei giudizi aventi ad oggetto " l’ impugnazione di provvedimenti..relativi ..alle procedure di espropriazione": da ciò si fa discendere l’inapplicabilità alle domande con le quali si lamenta il danno derivante dalla esecuzione dei provvedimenti adottati nell’ambito della procedura di esproprio.

Per amore di verità, il termine "impugnazione" non è rinvenibile nella norma richiamata, limitandosi la stessa in premessa ad indicare le disposizioni del medesimo articolo come applicabili ai giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa aventi ad oggetto la successiva elencazione di cui alle lettere da a) a g) del comma 1.

2) La mancata espressa indicazione delle controversie risarcitorie

Più convincente appare l’argomento secondo il quale la mancata espressa indicazione dei giudizi risarcitori all’interno di norma derogatoria rispetto all’ordinario regime processuale impone di non applicare la stessa estensivamente.

3) L’inesistenza di ragioni acceleratorie

Le controversie risarcitorie, proprio per il loro oggetto, non presentano alcuna delle caratteristiche che hanno fatto sì che il legislatore imponesse una pronta definizione delle controversie indicate nell’art. 23 bis.

Ad avviso di chi scrive, ulteriore conferma della tesi qui esposta si può trovare nella formulazione dell’art. 245 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

10. Quale è il termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione risarcitoria e da quando decorre?

Aderendo alla tesi maggioritaria, che qualifica la responsabilità dell’Amministrazione come extracontrattuale, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno è quinquennale, come previsto dall’art. 2947 c.c.; ove invece la responsabilità discendesse da titolo contrattuale, si applicherebbe l’ordinaria prescrizione decennale prevista dall’art. 2946 c.c. (Cass. civ., sez. Lavoro, 15 giugno 2007, n. 13997).

Ciò detto, va richiamata la giurisprudenza della S.C. che, implicitamente, ammette – anche in epoca successiva alla sentenza n. 500/99 delle SS.UU. – la sussistenza della pregiudiziale amministrativa.

Si legge infatti in alcune pronunce della Cassazione (Cass. civ., sez. I 25 novembre 2003, n. 17940; id., sez. III 28 marzo 2000, n. 3726) che "Rispetto al diritto al risarcimento del danno derivato dall'esecuzione di provvedimenti illegittimi della pubblica amministrazione, la domanda che il privato propone al giudice amministrativo per ottenere l'annullamento di tali provvedimenti determina, a norma degli artt. 2943, primo comma, e 2945, primo e secondo comma, cod. civ., l'interruzione della prescrizione, fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce quel giudizio", pronuncia cui si può conferire senso giuridico solo all’interno della ritenuta operatività del principio della pregiudiziale amministrativa.

Per vero, la stessa S.C., con la sentenza della Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13065, tenta di ridurre l’impatto di tali pronunce, escludendo l’applicabilità dell’art. 2935 c.c. ed attribuendo al giudizio amministrativo iniziato e proseguito dalla parte davanti al giudice amministrativo prima della proposizione della domanda di risarcimento del danno la funzione di "giudizio conservativo rispetto al risarcimento del danno", in quanto con tale giudizio la parte manifesta "la volontà di assicurarsi, sulla base della situazione di interesse protetto lesa dal provvedimento, utilità giuridiche rilevanti nella prospettiva e oltre che della specifica tutela in forma della sua situazione di interesse, di una futura condanna al risarcimento del danno per il pregiudizio non potuto evitare."; in realtà, salvo che nell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione non fosse stata esplicitata riserva in tal senso(e di tale circostanza in motivazione non si trova traccia), la pronuncia da ultimo citata pare utilizzare esclusivamente un artificio per non riconoscere l’effettiva portata del principio dettato.

L’art. 2935 c.c., che prevede che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, è stato invece coerentemente richiamato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella più volte citata pronuncia n. 2/06, proprio al fine di suffragare la persistente vigenza del principio della pregiudiziale amministrativa.


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