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CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – Sentenza 5 gennaio 2001 n. 25.
La generalizzazione dell'utilizzo dello strumento dell'accordo di programma tra diverse amministrazioni, al fine del coordinamento dei diversi pubblici interessi di cui le medesime sono portatrici, appare in linea con la più generale tendenza del legislatore a favorire l'esercizio consensuale della potestà amministrativa.
L'art. 27, comma 5, della legge n. 142/90 introduce una disciplina specifica per il caso di variazione degli strumenti urbanistici, senza peraltro limitare a tale ambito l'utilizzo dello strumento dell'accordo. Non esula dunque dall'ambito oggettivo di operatività di un accordo di programma, individuato dal legislatore in modo ampio e generico, la realizzazione di opere ed interventi che comportino la modifica di un piano territoriale paesistico.
Il piano paesistico è finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesitico-ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell'episodicità, inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori.
L'effetto giuridico di un accordo di programma è quello di obbligare le parti stipulanti ad ottemperare agli impegni assunti con l'accordo, nel rispetto, e non in deroga, delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione. Laddove la competenza sia attribuita ad un organo collegiale, la partecipazione all'accordo di diverso organo dello stesso ente non può sostituire decisioni riservate al primo, a meno che lo stesso non si sia espresso in via preventiva o salvo espressa disposizione legislativa in tal senso. In caso contrario, detta partecipazione comporta l'impegno da parte dell'organo non competente a sottoporre la questione all'organo cui la competenza è attribuita (1).
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(1) La sentenza in rassegna è stata pubblicata in questa rivista, pag. http://www.giust.ipzs.it/private/cds/cds6_2001-25.htm La massima della sentenza viene ripubblicata perché ad essa segue la nota di commento di Carmen Mucio.
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Modificabilità di un piano territoriale paesistico mediante accordi di programma (*)
Con la sentenza n. 25/2001 il Consiglio di Stato si pronuncia sulla questione dell'idoneità dello strumento dell'accordo di programma ad introdurre modifiche al contenuto di un piano territoriale paesistico.
La decisione offre significativi spunti di riflessione, sui quali ci si soffermerà dopo una breve analisi del contesto normativo, volta ad approfondire le due seguenti questioni:
1) la portata e l'ambito di applicazione dello strumento dell'accordo di programma concluso tra diverse pubbliche amministrazioni, anche in relazione alla complessa ed articolata procedura prevista dall'articolo 27 della legge n. 142/1990, come modificato dall'articolo 17 della legge n. 127/1997 (1);
2) la natura e le caratteristiche di un piano territoriale paesistico ed i rapporti tra pianificazione paesistica e territoriale.
L'associazione Italia Nostra propone ricorso al TAR per l'annullamento del decreto con cui il Presidente della regione Campania ha approvato e reso esecutivo l'accordo di programma stipulato nel luglio 1996 tra la Regione, il Comitato di coordinamento per l'occupazione, il Ministero del tesoro, il Ministero dei beni culturali ed ambientali, l'amministrazione provinciale di Napoli, il Comune di Torre Annunziata, il Consorzio ASI di Napoli, con l'adesione dell'Ilva in liquidazione e della SPI s.p.a., il quale prevedeva la realizzazione di un programma per la reindustrializzazione, il riassetto territoriale e lo sviluppo economico dell'area Torrese-Stabiese.
Il TAR accoglie il ricorso ritenendo lo strumento dell'accordo di programma non idoneo alla modifica delle previsioni di un piano territoriale paesistico.
Ricorre in appello la Regione, chiedendo l'annullamento della decisione per errata applicazione dell'articolo 27 della legge n. 142/90 e per non avere il TAR tenuto conto del fatto che il piano paesistico è stato approvato con atto del Ministro. Anche la IRITECNA s.p.a. chiede l'annullamento della sentenza per violazione e falsa applicazione del citato articolo 27. Si costituiscono in giudizio la SPI, il Ministero del tesoro e il Ministero per i beni e le attività culturali chiedendo l'accoglimento dell'appello.
Il Consiglio di Stato dispone la riunione dei due ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Dopo un'analisi del contenuto delle modifiche apportate dall'accordo di programma al piano territoriale paesistico, anche in relazione al fatto che l'accordo prevedeva che la variante al piano fosse approvata con decreto del Presidente della Giunta regionale, i giudici dichiarano di condividere la tesi accolta dal tribunale amministrativo della natura paesistica e non solo urbanistica del piano territoriale paesistico, ma, a differenza del giudice di prime cure, ritengono che la modifica di detto piano può costituire il contenuto di un accordo di programma, strumento di portata generale in relazione all'ambito oggettivo che lo stesso può interessare. Quanto agli effetti dell'accordo, ed in particolare alla sua eventuale efficacia sostitutiva di provvedimenti amministrativi, i giudici di Palazzo Spada affermano che esso non può derogare agli ordinari criteri di competenza fissati dal legislatore per l'approvazione di una variante ad un piano territoriale paesistico. Irrilevante in proposito risulta poi il fatto che il piano in questione sia stato approvato dal Ministro nell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'articolo 1-bis della legge n. 431/1985.
Per quanto sopra esposto, i ricorsi proposti in appello vengono giudicati parzialmente fondati. Viene dunque disposto l'annullamento della parte degli atti impugnati che prevede l'approvazione della variante al piano paesistico con decreto del Presidente della Regione, ferma restando la validità del contenuto dell'accordo di programma in quanto determinante l'impegno degli organi regionali intervenuti a sottoporre la variante medesima al competente Consiglio per l'approvazione.
L'accordo di programma
La produzione normativa degli ultimi anni si caratterizza per lo sforzo di recupero della funzionalità, dell'efficienza e dell'efficacia degli apparati amministrativi, anche tramite il ricorso a strumenti e moduli mutuati dal diritto privato. In tale ottica può essere inquadrata la diffusa tendenza del legislatore a favorire l'esercizio consensuale e negoziale della potestà amministrativa (2).
Tra i più importanti modelli convenzionali propri del c.d. nuovo contrattualismo amministrativo, ormai alquanto diffusi sia nella legislazione che nella prassi, rientrano gli accordi stipulati tra pubbliche amministrazioni e privati nonché quelli conclusi tra diversi soggetti pubblici (3).
La funzione degli accordi tra amministrazioni consiste in primo luogo nell'attuare un coordinamento dell'azione dei diversi apparati amministrativi, in quanto portatori, ciascuno in un determinato ambito, di uno specifico e ben delimitato interesse pubblico, riducendo così i possibili conflitti di competenza e le divergenze di indirizzi operativi (4). Ancora, lo strumento consente di accelerare l'iter di formazione dei provvedimenti mediante l'azione concertata tra le amministrazioni interessate, evitando, nell'ottica di una sempre maggiore flessibilità e semplificazione dei procedimenti, inutili duplicazioni (5).
Particolare rilievo in tale contesto assume l'istituto dell'accordo di programma, figura organizzatoria che, concepita in un primo momento nel quadro di una legislazione speciale (6), approda, con le leggi sul procedimento amministrativo e di riforma dell'ordinamento delle amministrazioni locali, ad una normativa di principio, divenendo un istituto di generale applicazione (7).
L'oggetto dell'accordo di programma si può definire con riferimento alle competenze di più soggetti pubblici nella realizzazione di "opere, interventi ovvero programmi di intervento" (8): si tratta evidentemente di un ambito alquanto ampio ed elastico, che comprende in sostanza tutte le opere, gli interventi ed i programmi di competenza regionale, provinciale o comunale. La legge n. 127/1997, come è noto, con i commi 8-10 dell'articolo 17, ha integrato e modificato la norma in esame (9), estendendo in particolare l'istituto in argomento all'approvazione di opere pubbliche comprese nei programmi dell'amministrazione e per la cui realizzazione siano immediatamente utilizzabili i relativi finanziamenti.
Possono partecipare quali soggetti dell'accordo tutti i soggetti pubblici che devono necessariamente essere coinvolti nel procedimento preliminare rispetto alla decisione (10).
L'iniziativa compete al titolare delle attribuzioni "primarie o prevalenti", il quale convoca una preventiva conferenza di carattere istruttorio (11), che costituisce un segmento endoprocedimentale sostitutivo della c.d. fase preparatoria del procedimento e la cui funzione consiste nel verificare la volontà di ciascun partecipante rispetto alla stipula dell'accordo. Tale conferenza si conclude con l'espressione del consenso unanime di tutti i rappresentanti delle amministrazioni coinvolte (12), in mancanza del quale il procedimento si arresta (13).
L'accordo raggiunto viene formalizzato con la sottoscrizione di un documento, al quale segue l'approvazione con atto formale dell'autorità che lo ha promosso (14).
Con riferimento alle varie fasi del procedimento descritte, sorge il problema del momento in cui si determinano gli effetti giuridici dell'accordo di programma. In altri termini, ci si chiede se essi nascano dall'accordo o dall'atto di approvazione. La tesi prevalente in dottrina è quella secondo cui tale effetti sono prodotti dalla convenzione, mentre all'approvazione si demanda il momento della esternazione, di verifica della regolarità formale delle decisioni, contro il quale devono essere indirizzate le eventuali contestazioni di terzi. La norma, si osserva, prevede espressamente taluni precisi effetti giuridici: se l'accordo viene adottato con decreto del Presidente della Regione, produce gli effetti dell'intesa di cui all'articolo 81 del D.P.R. n. 616/1977, determinando le eventuali variazioni degli strumenti urbanistici vigenti, con valore di concessioni edilizie. Inoltre, ove esso comporti variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del Sindaco deve essere ratificata dal Consiglio comunale entro 30 giorni a pena di decadenza (15).
Ancora, ci si chiede se dall'accordo di programma nascano vere e proprie obbligazioni, in modo da consentire la qualificazione dello stesso come contratto, oppure se esso sia riconducibile all'area del diritto pubblico, risolvendosi la c.d. contrattualizzazione della procedura in una mera adozione di metodo (16). Dalle due impostazioni derivano conseguenze rilevanti sotto il profilo della disciplina: se infatti secondo gli autori che propendono per la natura contrattuale dall'accordo nasce un vero e proprio obbligo di esercitare la funzione amministrativa nel senso concordato, per quanti invece sposano la tesi dell'accordo come preliminare ai provvedimenti concordati l'effetto sarebbe solo quello di vincolare l'amministrazione nel senso che l'esercizio del potere in violazione dell'accordo si pone come illegittimo se non sorretto da specifiche motivazioni in punto di interesse pubblico.
Tutto ciò premesso sull'istituto accordo di programma, si cercherà qui di seguito di approfondire la questione del ruolo che lo stesso può assumere nell'ambito della pianificazione territoriale ed urbanistica.
Piano paesistico e pianificazione territoriale
I piani paesistici sono stati previsti e regolati per la prima volta dal legislatore con l'articolo 5 della legge n. 1497/1939 e con gli articoli 23 e 24 del relativo regolamento, approvato con il R.D. n. 1357/1940 (17). Tale normativa, rivolta alla protezione non di insiemi aventi rilievo paesaggistico, ma di specifiche bellezze naturali, prescriveva un complesso procedimento di individuazione di specifiche zone da sottoporre a vincolo in quanto di particolare pregio ambientale ed introduceva il piano territoriale paesistico quale strumento avente ad oggetto le cosiddette bellezze di insieme (18). I decenni successivi sono stati caratterizzati, anche in relazione alle innumerevoli pressioni ed aggressioni sul contesto ambientale, da una accresciuta sensibilità per il tema della tutela del paesaggio. In tale contesto, sulla scorta della convinzione che gli aspetti fisico, naturalistico, estetico, antropico, socio-economico e giuridico, tutti meritevoli di tutela, devono trovare la giusta sede di composizione proprio nella pianificazione territoriale, si è notevolmente ampliata la nozione di ambiente (19).
Con il D.P.R. n. 8/1972 sono state trasferite alle Regioni le funzioni amministrative in materia urbanistica, nonché la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici (20). Con il D.M. 21 settembre 1984 si è proceduto, in un ormai diverso contesto di rapporti tra Stato e Regioni, all'integrazione delle bellezze naturali contemplate negli elenchi previsti dalla legge n. 1497/1939, considerate non più singolarmente, ma come insiemi organici.
E' peraltro con la successiva legge n. 431/1985 (21) che il tema della salvaguardia paesistica affrontato dalla legge del 1939 viene dilatato: la tutela ambientale viene infatti intesa non più in senso puntuale, ma globale e pianificatorio (22). Oltre ad integrare ex lege, mediante modifiche dell'articolo 82 del D.P.R. n. 616/1977, gli elenchi delle bellezze naturali, sottoponendo dunque una serie di immobili a vincolo paesaggistico e dichiarando di interesse paesistico vaste parti del territorio nazionale, tale normativa ha previsto, all'articolo 1-bis, la redazione obbligatoria da parte delle Regioni di "piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali", recanti la "normativa d'uso e di valorizzazione ambientale" dei rispettivi territori con riferimento ai beni ed alle aree di cui al comma 5 del citato articolo 82, come integrato dalla legge Galasso (23).
Agli strumenti urbanistici, come è noto, è attribuita la funzione di indicare le specifiche destinazioni d'uso delle aree e degli edifici. I piani paesistici, viceversa, non possono imporre determinate scelte tra gli usi compatibili con la bellezza panoramica o per la stessa non pregiudizievoli, né stabilire prescrizioni generali da specificare ed attuare mediante uno strumento urbanistico comunale: ciò sarebbe infatti in contrasto sia con il contenuto dello strumento stesso, sia con le norme legislative sul rapporto tra i vari livelli di pianificazione urbanistica. Nonostante tale differenza di fondo, non è comunque escluso che un piano meramente urbanistico, anche sovracomunale, preordinato alla definizione urbanistica del territorio, ponga norme a tutela dell'ambiente, senza per questo doversi definire piano di settore ambientale, né che un piano paesistico, piano di settore preordinato alla tutela di interessi pubblici diversi da quelli puramente urbanistici, possa assumere, quanto al suo contenuto, rilevanza urbanistica (24).
Andando oltre, ed accogliendo la prospettiva secondo cui ogni trasformazione del territorio, comunque finalizzata, dovrebbe essere compatibile con la salvaguardia dell'ambiente, non può non rilevarsi da un lato che ogni piano territoriale regionale dovrà assumere anche una "valenza paesistica", che ne è una delle condizioni essenziali ed una delle materie d'obbligo, dall'altro che ogni piano paesistico, che pure presuppone la sussistenza di vincoli (25), riguarderà sia beni soggetti a vincolo paesaggistico che beni non vincolati, nell’ottica dell’individuazione di ambiti che siano significativi a fini pianificatori. In tal senso il piano paesistico si configura come strumento finalizzato non solo ad impedire interventi pregiudizievoli alla bellezza panoramica ed al valore paesistico riconosciuto alle vaste località assoggettate a vincolo, ma anche a tracciare i lineamenti dell'assetto territoriale ed a perseguire la tutela del territorio promuovendone, per ampie aree, il recupero ed il restauro ambientale (26).
Proprio la previsione, contenuta nell'articolo 1-bis della legge n. 431/1985, dell'uso alternativo di due strumenti operativi - il piano territoriale paesistico, a contenuto attuativo diretto, o il piano territoriale regionale, piano territoriale urbanistico con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali - determina singolari sviluppi dei rapporti tra pianificazione territoriale e pianificazione paesistica (27). La disposizione, che si configura come norma assolutamente generica in materia di tutela ambientale (28), da un lato sembra consentire un generale ampliamento del contenuto del piano paesistico, eliminando la necessaria e sostanziale distinzione del medesimo rispetto al contenuto dei piani urbanistici (29). D’altro canto, la legge n. 431, non prevedendo espressamente una sottordinazione dei piani urbanistici rispetto ai piani paesistici - come ad esempio è prescritto per i piani regolatori rispetto ai piani territoriali di coordinamento -, delinea tra le due tipologie di strumenti un rapporto di sostanziale separazione giuridica ed autonomia, potenziale causa in concreto di molteplici inconvenienti (30).
In relazione a tale assetto normativo, ed in considerazione del fatto che la pianificazione paesistica non può configurarsi come un processo autonomo od autarchico, dovendosi la stessa integrare nella pianificazione territoriale - che a sua volta non può trascurare la salvaguardia e la valorizzazione del territorio nel momento in cui ne postula un'utilizzazione più razionale e/o una migliore fruizione -, da tempo si auspicava dunque una riforma della legislazione sui beni culturali che prevedesse, accanto alle funzioni di protezione e di conservazione dei beni culturali, anche una tutela attiva degli stessi, tramite un impegno comune in tal senso di tutte le istituzioni pubbliche volto al coordinamento delle relative competenze. Il tutto nell'ottica di "un principio di unità negli strumenti di pianificazione", da attuarsi grazie alla compartecipazione delle amministrazioni competenti in materia urbanistica e di quelle preposte alla tutela dei beni culturali. In particolare veniva da più parti prospettata come soluzione quella di ricorrere alle sempre più diffuse forme di intesa tra diverse pubbliche amministrazioni statali, regionali o locali (31).
La citata disciplina di tutela del paesaggio è stata di recente trasfusa nel testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, il D.Lgs. n. 490/1999 (32], il cui titolo II è dedicato ai "beni paesaggistici e ambientali" e che, all'articolo 138, definisce beni ambientali, sottoposti a tutela, sia quelli già previsti dalla legge del 1939, e individuati mediante gli elenchi, sia quelli specificamente indicati all'articolo 146 del medesimo testo unico, i quali coincidono con i beni e le aree di cui al comma 5 dell'articolo 82 del D.P.R. n. 616/1977, come integrato dal legislatore del 1985 (33).
Quanto al piano paesistico, il comma 1 dell'articolo 149, parafrasando il citato articolo 1-bis del D.L. n. 312/1985, dispone che "le Regioni sottopongono a specifica normativa d'uso e di valorizzazione il territorio includente i beni ambientali indicati all'articolo 146 mediante la redazione di piani territoriali paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali". La norma, oltre a sancire l'obbligo per le Regioni di provvedere a regolamentare adeguatamente, con strumenti di piano, le trasformazioni e gli usi dei luoghi e dei beni vincolati ope legis, prevede la facoltà di procedere analogamente con riferimento ad ogni altro elemento territoriale riconosciuto meritevole di tutela per ragioni di interesse culturale e ambientale (34), attribuendo dunque alle Regioni ampia potestà rispetto all'individuazione ed alla scelta dei modi e delle forme con cui procedere nel perseguimento delle finalità per cui detto obbligo è posto.
Un breve cenno in questa sede merita anche l'articolo 150, che, in tema di coordinamento della disciplina urbanistica, dispone espressamente che i piani regolatori generali e gli altri strumenti urbanistici si devono conformare, secondo l'articolo 5 della legge n. 1150/1942 e le norme regionali (35), alle previsioni dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali di cui all'articolo 149 del testo unico. Laddove poi non vi siano i piani paesistici o i piani urbanistico-territoriali, i beni paesistici ed ambientali devono essere adeguatamente disciplinati dagli strumenti di pianificazione generale comunali, i quali devono tra l'altro indicare "i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico".
A proposito di recenti normative, occorre qui richiamare ancora da un lato la legge n. 142/1990, che assegna al livello intermedio - province ed aree metropolitane - l'elaborazione di piani territoriali (36), e dall'altro l'articolo 57 del D.Lgs. n. 112/1998, il quale prevede una nuova forma di coordinamento tra pianificazione territoriale e pianificazioni di settore, assegnando alla Regione il potere di prevedere, con legge regionale, che il piano territoriale di coordinamento di cui all'articolo 15 della legge n. 142/1990 assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, dell'ambiente e delle acque nonché della difesa del suolo e delle bellezze naturali, purché la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese tra la Provincia e le Amministrazioni competenti. Con legge regionale si potrà cioè fare assumere al piano territoriale di coordinamento provinciale il valore e gli effetti dei piani - statali, regionali o di altri enti - di tutela nei settori indicati, e quindi anche, per quanto qui interessa, del piano territoriale paesistico e del piano urbanistico-territoriali (37).
La recente normativa, con riferimento ai numerosi interessi pubblici che incidono sull'uso e sulla trasformazione del territorio, si caratterizza in sostanza per il tanto auspicato sforzo di coordinamento delle politiche pubbliche in materia dei beni culturali tra Stato, Regioni ed Enti locali, che non potrà che interessare in primis proprio i piani di tutela sovracomunale. Appare sostanzialmente acquisita dunque la consapevolezza che un'efficace tutela dei valori culturali, paesaggistici e ambientali non può prescindere da una pianificata definizione dei modi d'uso e delle trasformazioni in essi ammissibili, sottratta alla casuale successione nel tempo di progetti di intervento parziali nonché di altrettanto parziali e frammentarie loro autorizzazioni.
Nel complesso intreccio di rapporti tra piani di settore e pianificazione territoriale l'utilizzo di intese deve essere allora inteso come mezzo volto ad assicurare, tramite una equilibrata ed adeguata considerazione delle varie esigenze pubbliche coinvolte, non solo certezza e speditezza maggiori nella gestione dei piani, evitando l'attuale diffuso contrasto tra i provvedimenti di autorizzazione adottati dall'autorità regionale e dagli uffici del Ministero per i beni culturali e ambientali, ma anche ad evitare la contestuale vigenza di più autonomi strumenti di disciplina dell'uso del medesimo territorio e paradossali sovrapposizioni dei diversi piani. In tale contesto l'accordo di programma, predisposto come strumento flessibile, di vasta applicazione ed in grado di adeguarsi alle esigenze peculiari delle singole situazioni, non può che costituire un valido strumento, idoneo ad introdurre importanti modifiche alla pianificazione territoriale.
La decisione n. 25/2001.
Con la decisione in commento il Consiglio di Stato vaglia il contenuto di un accordo di programma che comporta alcune modifiche ad un piano territoriale paesistico, da approvarsi con decreto del Presidente della Giunta regionale, ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 142/1990.
I giudici di Palazzo Spada rilevano innanzitutto la natura paesistica e non (solo) urbanistica del piano in argomento (38), precisando che in generale tale strumento è finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più precisamente alla pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, nell'ottica della programmazione della salvaguardia dei valori paesistico-ambientali (39). Esso si configura quindi come mezzo idoneo ad assicurare il superamento dell'episodicità, inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori (40). Ancora, il piano paesistico costituisce uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico (41), mediante l'individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri e parametri di valutazione delle incompatibilità relative, che condiziona, prevalentemente in negativo (42), la successiva attività di pianificazione del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico (43). Il piano urbanistico territoriale, viceversa, pur avendo anche valenza paesistico-ambientale, non presuppone necessariamente l'esistenza di vincoli e può anche riguardare ambiti non vincolati (44).
Con riferimento a tale distinzione - che può dar luogo a problemi interpretativi in quanto "le due tipologie si presentano a volte variamente combinate ed intrecciate" - la Corte Costituzionale (45) ha considerato indici di riconoscimento della categoria dei piani urbanistici territoriali l'estensione della loro efficacia all'intero territorio regionale, con l'assenza di un limite territoriale riferito alle sole zone vincolate, l'utilizzo di tecniche ed effetti propri degli strumenti di pianificazione urbanistica, ancorché orientati alla protezione di valori estetico-culturali, e la formulazione di generali criteri di orientamento per la successiva attività di pianificazione ovvero di vincoli per l'attività di utilizzazione e trasformazione del suolo.
Applicando tali criteri al caso in esame, i giudici ricavano la natura paesistica del piano che con l'accordo di programma viene modificato, in quanto attinente alla fase attuativa della tutela di una particolare zona sottoposta a vincolo, potendo assumere l'attuazione del vincolo anche una funzione di valorizzazione e recupero dei beni ambientali e non solo di mero contenimento e conservazione degli stessi.
Ciò premesso, il C.d.S. rileva che appare comunque del tutto irrilevante appurare la natura - prevalentemente urbanistica o meno - delle prescrizioni contenute nella variante, poiché nulla vieta che il contenuto di un accordo di programma consista in una modifica di un piano paesistico (46). La circostanza che i commi 4 e 5 dell'articolo 27 contengano una disciplina specifica per la variazione degli strumenti urbanistici di competenza comunale non implica infatti automaticamente una limitazione in tal senso dell'utilizzo dello strumento dell'accordo, istituto che, già previsto nel nostro ordinamento da alcune leggi speciali, è stato reso di generale applicazione dall'articolo 15 della legge n. 241/1990 e dal citato articolo 27.
La norma introduce infatti uno strumento duttile di azione amministrativa preordinato, senza rigidi caratteri di specialità, alla rapida conclusione di una molteplicità di procedimenti tutte le volte in cui il loro ordinario svolgimento richiederebbe l'espletamento di più subprocedimenti indispensabili per la ponderazione di interessi pubblici concorrenti. Ciò in considerazione sia dell'ampia previsione della disposizione stessa, sia del fatto che un'interpretazione limitativa vanificherebbe l'obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore e non apparirebbe giustificata in un contesto ordinamentale che si rivolge sempre più all'efficienza ed all'economicità dell'attività dei soggetti pubblici, qualunque sia la direzione verso la quale detta attività viene esplicata (47).
I limiti oggettivi dell’accordo di programma devono essere in sostanza individuati con il solo riferimento all'ampia definizione contenuta nel primo comma dell'articolo 27. Tale ambito oggettivo, individuato in modo alquanto generico dal legislatore del 1990, consente di escludere in particolare sia limiti temporali che di materia. Ciò trova conferma, rilevano i giudici, nel riferimento, contenuto nel comma 1 della norma, alla competenza a promuovere la conclusione dell'accordo, dal quale si evince che allo stesso si può fare ricorso anche nell'ipotesi di opere ed interventi di ambito provinciale e regionale. Non rileva pertanto la natura ultra comunale del piano modificato, prospettata dagli appellanti come ostacolo all'utilizzo dello strumento in esame.
In particolare, posto che l'articolo 27 implica la possibilità di utilizzo dell'accordo non solo per qualsiasi tipo di opera pubblica, ma anche per la programmazione di attività ulteriori e complementari rispetto alla realizzazione delle opere, il progetto per la reindustrializzazione ed il riassetto territoriale dell'area costiera di Torre Annunziata oggetto della controversia, configurandosi come un programma di intervento che richiede l'azione integrata di diversi soggetti pubblici, può essere ricondotto nella categoria degli "interventi o programmi di intervento" di cui al comma 1 della disposizione.
Con riferimento poi agli effetti dell'accordo, ed in particolare alla loro eventuale efficacia sostitutiva in relazione ai provvedimenti amministrativi da adottare, il Massimo Organo di giustizia amministrativa si sofferma sulla questione della possibilità che l'accordo di programma deroghi agli ordinari criteri di competenza fissati dal legislatore per l'approvazione di una variante al piano territoriale paesistico. Tale eventualità non può che essere categoricamente esclusa. La semplificazione realizzata dall'articolo 27 con l'introduzione dell'accordo di programma consente infatti l'acquisizione, in un unico contesto procedurale, delle manifestazioni di volontà, di conoscenza, di giudizio dei soggetti il cui intervento coordinato sia richiesto in vista del fine specifico da raggiungere, senza peraltro determinare alcuna alterazione delle competenze attribuite dalla legge agli organi deputati ad esprimere in via istituzionale, in relazione all'oggetto specifico degli atti da porre in essere, la volontà delle singole amministrazioni, i quali organi sono i soli legittimati, in via diretta o tramite il soggetto che li rappresenta, ad esprimere quel "consenso unanime" nel quale si sostanzia l'accordo medesimo. In altri termini, ciascuna amministrazione deve comunque adottare le proprie scelte nel rispetto della normativa, della competenza e delle procedure prescritte e l'accordo di programma deve rispettare in ogni caso i vincoli procedimentali a carattere garantistico vigenti.
Vero è che la modifica apportata dalla legge n. 127/1997 al comma 4 dell'articolo 27, sul consenso unanime del Presidente della Regione, della Provincia, dei Sindaci e delle altre amministrazioni interessate, sembrerebbe finalizzata a concentrare sugli organi di vertice della Regione e degli Enti locali la manifestazione di volontà necessaria alla conclusione ed all'approvazione dell'accordo, evitando il coinvolgimento dei rispettivi organi consiliari. Peraltro, nonostante la formulazione letterale, la norma non può essere certo interpretata in contrasto con il dettato costituzionale, come avverrebbe se si accettasse l'espropriazione di competenza degli organi rappresentativi - nonché l'attribuzione di competenze agli organi regionali con legge dello Stato (48).
Gli effetti giuridici dell'accordo, che obbligano le parti stipulanti ad ottemperare agli impegni con lo stesso assunti, discendono, precisano i giudici, direttamente dall'accordo, e dal fatto che lo stesso venga approvato dal Presidente della Regione non può certo derivare che con l'atto di approvazione, avente funzione di mera esternazione, si determinino modifiche agli ordinari criteri di competenza (49). Se dunque gli impegni assunti in sede di conclusione dell'accordo possono riguardare soltanto ciò che rientra nella disponibilità dei soggetti che ad esso partecipano, appare evidente che la partecipazione di un organo non competente, anche se appartenente allo stesso ente (50), può sostituire decisioni riservate ad altri solo ove questi si sia già espresso in via preventiva o vi sia un'espressa previsione normativa in tal senso (51). In caso contrario, detta partecipazione comporta semplicemente l'impegno a sottoporre la questione all'organo competente, la cui decisione dovrà essere istruita e motivata anche con specifico riferimento all'accordo di programma (nel senso che un'eventuale decisione difforme rispetto a quanto previsto nell'accordo dovrà essere supportata da adeguata istruttoria e motivazione).
Nella fattispecie allora, non essendosi pronunciato né preventivamente né successivamente il Consiglio regionale competente in via ordinaria ad approvare una variante al piano territoriale paesistico, sussiste, concludono i giudici, l'interesse al ricorso da parte dell'Associazione ricorrente in primo grado in relazione alla disposizione dell'accordo con cui le parti stipulanti hanno espressamente convenuto l'approvazione della variante con decreto del Presidente della Giunta Regionale ai sensi dell'articolo 27, poiché con essa si è voluto espressamente modificare un ordinario criterio di competenza ([52]). Conseguentemente, dall'accordo di programma, che pure per il resto rimane valido, deriva l'impegno dell'organo regionale intervenuto a sottoporre le varianti concordate al competente organo consiliare per l'approvazione.
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(1) Vedasi ora l'articolo 34 del TU n. 267/2000.
(2) Sullo svolgimento della rinnovata azione amministrativa secondo moduli convenzionali - accordi integrativi o sostitutivi di un provvedimento - e moduli organizzatori - accordi tra pubbliche amministrazioni, accordi di programma e conferenze di servizi - cfr. G. Palma, Itinerari di diritto amministrativo, Padova, 1996, 341 ss.. Cfr. S. Cimini, La concertazione amministrativa: note sugli accordi di programma, in questa Rivista; R. Ferrara, Gli accordi di programma. Potere, poteri pubblici e modelli dell'amministrazione concertata, Padova, 1993, 188 ss.; A. Travi, Le forme associative tra gli enti locali verso i modelli di diritto comune, in Le Regioni, 1991, 308 ss.. Sulla distinzione tra strumenti di accelerazione della fase istruttoria e della fase decisoria, cfr. F. Genghi, Gli accordi di programma, in Nuova rass., 1998, 1171 ss.. Sull'accordo di programma come strumento oltre che di efficienza anche di carattere "politico" A. Franchini, L'accordo di programma. Uno strumento nuovo di democrazia ed efficienza, in Rass. lavori pubblici, 1989, 255 ss..
(3) E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992, 6 ss.; G. Manfredi, Modelli contrattuali dell'azione amministrativa: gli accordi di programma, in Le Regioni, 1992, 349 ss.. Nel caso di accordi tra pubblica amministrazione e privati - c.d. accordi procedimentali e sostitutivi tra pubblica amministrazione e privati - l'esigenza è quella di garantire il contemperamento tra interesse generale ed interessi privati nel rispetto del principio di proporzionalità, che impone di perseguire il primo con il minore sacrificio possibile dei secondi.
(4) G. Falcon, Il coordinamento regionale degli Enti locali. Gli strumenti consensuali, in Regione e Governo locale, 1990, 207 ss.. Secondo F. Zeviani Pallotta, La pianificazione ambientale come funzione di coordinamento nello Stato policentrico, in Foro amm., 1998, 2235 ss., le diverse amministrazioni sono centri di potere che tendono a comportarsi, rinunciando alla massimizzazione dell'interesse collettivo, come se fossero titolari, e quindi potessero disporre, dell'interesse pubblico specifico la cui tutela è loro assegnata dalla legge e l'accordo fra amministrazioni sembra appunto sancire questa situazione patologica.
(5) F. Castiello, Il nuovo modello di amministrazione, Rimini, 1998; Id., Gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimenti, in Dir. proc. amm., 1993, 124; A. Quaranta, Il principio di contrattualità nell'azione amministrativa, in Ragiusan, n. 36, I, 1987, 6 ss.; F. Genghi, Gli accordi di programma, cit., 1175; V. Pedaci, Metodologie di coordinamento amministrativo: accordi tra amministrazioni e accordi di programma, in Amm. it., 1999, 1638 ss.; F. Staderini, Diritto degli Enti locali, Padova, 1997, 263.
(6) Cfr. ad esempio la legge n. 210/1985 sull'Ente ferrovie, la legge n. 64/1986 per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, la legge n. 168/1989 sull'istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica.
(7) Se nei confronti della disciplina di settore precedente l'accordo di cui all'articolo 27 della legge n. 142/1990 si configura come un genus, rispetto al modello generale di cui all'articolo 15 della legge n. 241/1990 esso costituisce una figura speciale. Sulla riconducidilità dell'accordo di programma di cui all'articolo 27 legge n. 142/1990 ai moduli di intese e di accordo a struttura "endoprovvedimentale" anziché "endoprocedimentale" cfr. S. Cimini, La concertazione amministrativa, cit.. Cfr. anche M. Pallottino, Strumenti giuridici di concertazione amministrativa: l'accordo di programma, in Riv. amm. Rep. it., 1983, 847 ss.; R. Gracili, L. Mele, Gli accordi amministrativi e gli accordi di programmazione negoziata per lo sviluppo sostenibile del territorio, Bergamo, 2000, 18. Sull'accordo come strumento utile nel contesto della storicizzazione dell'interesse pubblico cfr. G. Palma, Itinerari di diritto amministrativo, cit., 1996, 209.
(8) Costituiscono oggetto dell'accordo di programma la "definizione ed attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici".
(9) Cfr. A. Dapas, A. Giadrossi, L. Viola, Snellimento dell'attività amministrativa e riforma dell'ente locale. Commento alla legge n. 127 del 1997, Torino, 1998, 125 ss.; AA.VV., Lo snellimento dell'attività amministrativa, Milano, 1997, 258.
(10) Secondo V. Pedaci, Metodologie di coordinamento amministrativo, cit., 1642, la partecipazione di privati non è prevista, ma in talune ipotesi può essere necessaria in relazione agli obiettivi da raggiungere. Contra Cass. Sez. un. 4 gennaio 1995, n. 91, in Cons. Stato, 1995, II, 2085. Cfr. anche F. Genghi, Gli accordi di programma, cit., 1177.
(11) La conferenza c.d. istruttoria, luogo di confronto tra interessi pubblici rilevanti nonché strumento di collaborazione ed accelerazione del procedimento, non ha effetti vincolanti per l'autorità procedente: cfr. Tar Campania sez. I, 20 ottobre 2000, n. 3864, in questa Rivista. Viceversa, nella conferenza decisoria l'attività di interesse comune non è riferita ad azioni future di cui l'accordo determina tempi e modalità, ma si identifica con l'accordo stesso: Tar Liguria sez. I, 8 luglio 1997, n. 292, in Foro amm., 1998, 1176; Tar Veneto 22 aprile 1996, n. 630, in I TAR, 1996, I, 2477.
(12) In quanto priva di natura decisoria, la conferenza non si conclude con l'adozione formale dell'accordo: Tar Lombardia sez. Milano, 30 marzo 1996, n. 417, in I TAR, 1996, I, 1841.
(13) Sull'eventuale successivo dissenso rispetto alla conclusione dell'accordo cfr. V. Pedaci, Metodologie di coordinamento amministrativo, cit., 1642. In mancanza di unanimità il procedimento non può proseguire, dovendosi ritenere inefficace l'accordo intervenuto senza l'assenso di tutte le amministrazioni interessate.
(14) Cons. Stato sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182, in Riv. giur. ambiente, 1996, 694.
(15) G. Di Gaspare, L'accordo di programma: struttura, efficacia giuridica e problemi di gestione, in Le Regioni, 1988, 278 ss..
(16) Sulla natura giuridica degli accordi tra e con amministrazioni pubbliche cfr. R. Gracili, L. Mele, Gli accordi amministrativi, cit., 13 ss.; E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, cit., 239; G. Manfredi, Modelli contrattuali dell'azione amministrativa, cit., 375; R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 137. Sulla natura negoziale dell'accordo o piuttosto sullo stesso quale figura autonoma, nuova e diversa sia dal contratto che dal provvedimento amministrativo, mediante la quale si realizza il modello della gestione consensuale del potere, cfr. F. Genghi, Gli accordi di programma, cit., 1179 - 1181. L'obbligatorietà dell'accordo sarebbe confermata dall'articolo 27, nella parte in cui prevede la possibilità, per le amministrazioni stipulanti, di istituire forme di arbitrato, commissioni di vigilanza ed interventi surrogatori. Effetto dell'accordo sarebbe dunque la possibilità di ottenere in modo diretto l'adempimento in via immediata degli obblighi da parte delle amministrazioni interessate. In caso di inadempimento, vi è chi ritiene ammissibile anche l'esecuzione in forma specifica e chi invece considera possibile ottenere solo il risarcimento dei danni: V. Pedaci, Metodologie di coordinamento amministrativo, cit., 1643. Secondo S. Cimini, La concertazione amministrativa, cit., il carattere di atto amministrativo rivestito dal provvedimento finale di approvazione che condiziona la conseguente attività amministrativa dei soggetti che sono stati parte dell'intesa e l'iter di formazione e costituzione dell'accordo riconducibili all'idealtipo del procedimento amministrativo - pur se speciale e fortemente tipizzato - inducono a considerare gli accordi di programma come fattispecie procedimentale "sicuramente ed incontestabilmente" di matrice pubblica.
(17) In particolare l'articolo 1 prevedeva alcune categorie di immobili da sottoporre alla disciplina della legge medesima a causa del loro notevole interesse pubblico. L'individuazione puntuale di tali bellezze era rimessa a due elenchi, la cui compilazione veniva affidata a speciali commissioni provinciali.
(18) Trattasi in particolare delle bellezze di cui ai numeri 3) e 4) dell'articolo 1 - ora dalle lett. c) e d) dell'articolo 139 del D.Lgs. n. 490/1999 -, ossia i "complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale" e le "bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze".
(19) Sulla differenza tra nozione di paesaggio e di ambiente cfr. G. Colombo - F. Pagano - M. Rossetti, Manuale di urbanistica, Milano, 1996, 24 e 70. Cfr. Cons. Stato sez. IV, 10 novembre 1999, n. 1685, in Foro amm., 1999, 2397.
(20) Con il comma 4 dell'articolo 1, secondo cui il trasferimento concerneva "altresì" la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici, sembra quasi che il legislatore abbia voluto esplicitare che la finalità cui è preordinata l'approvazione di tali piani non rientra nell'urbanistica, ma che piuttosto il trasferimento di tali funzioni viene disposto "a causa dell'inscindibilità esistente tra l'attività urbanistica e la tutela delle bellezze naturali". Corte Cost. 7 novembre 1994, n. 379, in Riv. giur. ed., 1995, I, 79.
(21) Trattasi della c.d. " legge Galasso", che ha convertito il D.L. n. 312/1985. Sulla ratio della legge 431/1985, che sarebbe volta alla riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce ed in attuazione del valore estetico-culturale, cfr. Corte Cost. 26 giugno 1986, n. 151, in Giur. cost., 1986, 1010.
(22) Cass. Pen. sez. un. 25 marzo 1993, in Riv. giur. ed., 1993, I, 973.
(23) Secondo G. Colombo - F. Pagano - M. Rossetti, Manuale di urbanistica, cit., 26, l'alternativa prevista dalla legge Galasso più che agli strumenti sembra essere riferita ai tempi di intervento, nel senso di usare il piano territoriale regionale se è disponibile oppure di anticiparne i contenuti ambientali attraverso l'adozione di un piano settoriale paesistico - o pre-piano - se il piano territoriale regionale è ancora remoto.
(24) In tal caso, le relative prescrizioni concorrono ad integrare i parametri della conformità urbanistica. Cfr. P. Falcone, Pianificazione territoriale di coordinamento e pianificazione di settore, in Urbanistica e appalti, 2000, 5. Sui contenuti del piano paesistico cfr. Cons. Stato sez. II, parere 20 maggio 1998, n. 549, in Urbanistica e appalti, 1999, 534, con nota di G. Manfredi, Il piano paesistico tra vincolo e autorizzazione. Cfr. anche G. D'Angelo, Piani paesistici e legge Galasso: l'osservanza della legge è un optional?, in Riv. giur. ed., 1998, 145 ss..
(25) Corte Cost. 7 novembre 1994, n. 379, cit.. I contenuti del piano costituiscono in sostanza altrettanti strumenti per gestire il vincolo per mezzo dell'autorizzazione in modo organico ed omogeneo: G. Manfredi, Il piano paesistico tra vincolo e autorizzazione, in Urbanistica e appalti, 1999, 534. Cfr. infra, nota 41.
(26) Secondo Cons. Stato sez. II, 20 maggio 1998, n. 548, in Riv. giur. ambiente, 1999, 338, "il piano paesistico è sovraordinato alla pianificazione urbanistica, la condiziona e la vincola". E’ illegittima la modifica della disciplina urbanistica che risulti non conforme alle esigenze di tutela paesistico-ambientale, tutela riservata alla competenza della Regione attraverso lo strumento del piano territoriale paesistico: Tar Lazio sez. I, 29 novembre 1994, n. 1852, in Foro amm., 1995, 426.
(27) Configurandosi la formazione del piano territoriale regionale come un'operazione lunga e complessa, che non può affrontare contemporaneamente ed in modo approfondito tutti i problemi, si potrà procedere aggregando tra loro più piani settoriali, componendo in un piano gli obiettivi individuati, oppure individuare subito gli obiettivi essenziali creando uno schema di piano che deleghi gli approfondimenti a successivi specifici interventi settoriali o di area subregionale. Ancora, si potrà partire dagli indirizzi contenuti nel piano territoriale regionale per redigere un piano paesistico o viceversa approfondire gli indirizzi di tutela e di valorizzazione ambientale elaborando un piano paesistico quale "pre-piano": G. Colombo - F. Pagano - M. Rossetti, Manuale di urbanistica, cit., 26; F. Pagano, Piani paesistici e relazione tra urbanistica e tutela dell'ambiente, in Riv. giur. ed., 1996, 144.
(28) G. D'Angelo, Piano paesistico e piano urbanistico: contenuti, funzioni e loro attualità, in Riv. giur. ed., 1996, 163 ss., rileva che la normativa in argomento non è stata in grado di realizzare, neppure indirettamente, una sostanziale riforma della legge paesaggistica del 1939 né della legge urbanistica del 1942.
(29) Corte Cost. 13 febbraio 1990, n. 327, in Giur. cost., 1990, 2069; Cons. Stato sez. IV, 4 gennaio 1993, n. 29, in Foro amm., 1993, 148.
(30) G. D'Angelo, Piano paesistico e piano urbanistico, cit., 169.
(31) Cfr. Corte Cost. 25 ottobre 2000, n. 437, in questa Rivista; Id. 8 maggio 1998, n. 157, in Foro it., 1999, I, 2796; Id. 4 giugno 1997, n. 170, in Cons. Stato, 1997, II, 854; Id. 28 ottobre 1996, n. 341, ibid., 1996, II, 1657: nonostante la distinzione tra urbanistica e tutela del paesaggio, in materia i rapporti tra Stato e Regioni devono essere definiti sulla base della reciproca collaborazione.
(32) Il T.U. all'articolo 166 abroga la citata legge n. 1497 ed il decreto legge n. 312/1985, convertito con legge n. 431/1985, ad eccezione degli articoli 1-ter e 1-quinquies.
(33) Non sembra in sostanza di ravvisare differenze sostanziali rispetto al disposto dell'articolo 1-bis.
(34) Il che può ritenersi principio fondamentale della legislazione dello Stato, anche in riferimento al dettato dell'articolo 9, comma 2, della Costituzione.
(35) Il richiamo alle norme regionali induce ad escludere che l'efficacia dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali sia quella che viene riconosciuta ai piani territoriali di coordinamento di cui all'articolo 5 della legge n. 1150/1942, consistente nell'obbligatorio adeguamento a tali piani degli strumenti di pianificazione generali comunali.
(36) Vedasi ora l'articolo 20 del TU n. 267/2000. Con riferimento a tale strumento come mezzo di tutela dei valori paesaggistici ed ambientali, che concernono talvolta ambiti territoriali interprovinciali, per cui potrebbe risultare inadeguata l'azione svolta da ciascuna provincia interessata autonomamente o in forma coordinata, cfr. G. Colombo - F. Pagano - M. Rossetti, Manuale di urbanistica, cit., 51 ss..
(37) Si ricorda che le Regioni, oltre ad essere competenti in materia di formazione ed approvazione del piano paesistico, hanno anche il potere-dovere di approvare i piani territoriali di coordinamento, che già dovrebbero disporre anche in tema di tutela paesistica ed ambientale ed ai quali la legge regionale può attribuire particolare valenza in materia. Cfr. P. Falcone, Pianificazione territoriale di coordinamento e pianificazione di settore, cit..
(38) Secondo Cons. Stato sez. V, 23 giugno 1997, n. 700, in Giust. civ., 1998, I, 583, il piano paesistico non è uno strumento urbanistico. Contra Cass. Sez. un. 1 luglio 1997, n. 5900, in Corriere giur., 1998, 97. Secondo Corte Cost. 26 giugno 1986, n. 151, cit., non può fondatamente negarsi la natura urbanistica del piano paesistico, che si configura come "esercizio qualificato e teleologicamente orientato in senso estetico-culturale di competenza regionale in tema di urbanistica". A favore della natura urbanistica del piano paesistico anche F. Zeviani Pallotta, Natura giuridica dei vincoli temporanei di inedificabilità nella legge n. 431/1985, in Riv. giur. ed., 1986, 185 ss.; Morbidelli, Legge Galasso: durata e forma di imposizione dei vincoli di inedificabilità nei piani urbanistico-paesistici, in Giur. urban., 1986, 336 ss.; Id., Tutela dell'ambiente e normativa urbanistica. Riflessi sul diritto di proprietà, in Riv. giur. ed., 1988, 129; M. Pallottini, La pianificazione dell'ambiente nella legge 8 agosto 1985, n. 431, in Riv. giur. ambiente, 1988, III, 651.
(39) Cons. Stato sez. IV, 24 gennaio 1995, n. 24, in Riv. giur. ed., 1995, I, 408.
(40) Cons. Stato sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29, cit..
(41) Il piano territoriale paesistico costituirà una base di vincolo per l'elaborazione dei piani inferiori; ad esso dunque la pianificazione generale comunale dovrà adeguare i propri contenuti urbanistici. La funzione del piano paesistico è stata spesso individuata nella specificazione e attuazione del vincolo preesistente, o coevo, ex articolo 5 legge n. 1497/1939, in relazione alle bellezze di insieme. Esso presupporrebbe infatti l'esistenza del vincolo paesaggistico, necessario e imprescindibile antecedente del piano in senso formale ma soprattutto in senso sostanziale e contenutistico. Sul piano paesistico in posizione di sottordinazione rispetto al vincolo e di sopraordinazione rispetto all'autorizzazione paesaggistica, cfr. Cons. Stato sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29, cit., 148; Id. 14 novembre 1992, n. 873, in Cons. Stato, 1992, 1660; Id. sez. II, parere 20 maggio 1998, n. 549, cit..
([42]) Sul piano paesistico come piano settoriale difensivo , condizionante in negativo, che non ha bisogno di strumenti attuativi, cfr. G. D'Angelo, Piano paesistico e piano urbanistico, cit., 165.
(43) Corte Cost. 28 luglio 1995, n. 417, in Riv. giur. ed., 1995, I, 1000; Cons. Stato sez. II, 20 maggio 1996, n. 548, cit..
(44) Sulla equivalenza del piano paesistico e del piano urbanistico-territoriale con speciale considerazione dei valori paesistici ed ambientali quali strumenti di attuazione dinamica del vincolo paesistico, di cui specificano e precisano i contenuti senza mai derogarvi, Cons. Stato sez. II, 20 maggio 1998, n. 548, cit.. Peraltro, secondo Cons. Stato sez. IV, 14 gennaio 1993, n. 29, cit., nonostante l'identica finalità, il piano urbanistico-territoriale con speciale considerazione dei valori paesistici ed ambientali ha carattere diverso rispetto al piano paesistico, perché si inquadra nella materia urbanistica, ha natura di strumento urbanistico e trae origine dai piani territoriali di coordinamento di cui all'articolo 5 della legge n. 1150/1942.
(45) Corte Cost. 13 luglio 1990, n. 327, cit.; Id. n. 378/2000.
(46) Il giudice di primo grado, ritenendo l'accordo di programma utilizzabile limitatamente alla modifica di strumenti urbanistici, ha dichiarato l'accordo in esame illegittimo sia per la natura pesistica del piano modificato che per l'ambito ultra comunale del piano stesso. Ove si accogliesse tale interpretazione dell'articolo 27, osservano correttamente i giudici di Palazzo Spada, le numerose leggi regionali che prevedono e disciplinano le modalità di utilizzo dell'accordo di programma in caso di variazione di atti di pianificazione territoriale, e dunque anche di piani paesistici, sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con l'articolo 117 della Costituzione.
(47) G. Greco, Accordi di programma e procedimento amministrativo, in Dir. ec., 1991, 335 ss. F. Genghi, Gli accordi di programma, cit., 1178, rileva che l'unico ambito oggettivo di attività escluso dagli accordi sembra essere quello dei servizi pubblici, che l'articolo 24 della stessa legge - ora articolo 30 T.U. n. 267/2000 - riserva allo strumento della convenzione tra enti locali.
(48) Cfr. F. Genghi, Gli accordi di programma, cit., 1176.
(49) Si veda Cons. Stato sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182, cit.: le funzioni di propulsione e di approvazione dell'accordo riconosciute al Sindaco non implicano, in carenza di espressa previsione normativa, il trasferimento di funzioni sostanziali che fanno capo al Consiglio comunale. Secondo Tar Lazio sez. I, 20 gennaio 1995, n. 62, in Foro amm., 1995, 1060, solo se l'accordo di programma comportante variazioni del p.r.g. è promosso dal Presidente della Regione è ammissibile la ratifica a posteriori del Consiglio comunale. Ove invece l'accordo sia promosso dal Sindaco, questi può procedere solo sulla base di preventivi indirizzi specifici dell'organo collegiale.
(50) Sull'atto adottato da un organo non competente dello steso ente come atto illegittimo per incompetenza relativa, e non nullo per incompetenza assoluta, cfr. Cass. Pen. sez. III, 13 marzo 1991, in Riv. pen. ec., 1991, 510; Cons. Stato sez. IV, 31 marzo 1989, n. 205, in Foro amm., 1989, 586. Cfr. R. Gracili, L. Mele, Gli accordi amministrativi, cit., 22 ss..
(51) Le numerose leggi regionali che prevedono e disciplinano le modalità di utilizzo dell'accordo di programma in caso di variazione di atti di pianificazione territoriale, e dunque anche di piani paesistici, non dispongono che l'accordo possa derogare agli ordinari criteri di competenza previsti per gli atti di programmazione e pianificazione territoriale, ma, viceversa, prevedono l'approvazione o la successiva ratifica del competente organo consiliare ove l'accordo di programma comporti modifiche a piani regionali aventi valenza territoriale.
(52) Del tutto irrilevante appare la partecipazione all'accordo del Ministro per i beni e le attività culturali in considerazione del fatto che il piano territoriale paesistico era stato approvato, in via sostitutiva, dallo stesso Ministro. L'approvazione del piano da parte del Ministro nell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui alla legge n. 431/1985 per inerzia della Regione ad approvare il piano nel termine previsto, ed in ragione della scadenza del termine stesso, non determina la decadenza dal potere di provvedere né l'esaurimento dei poteri regionali in materia. Cons. Stato sez. VI, 16 novembre 1998, n. 1560, in Foro amm., 1998, f. 11-12; Id., 6 aprile 1987, n. 242, in Giur. it., 1988, III, 1, 29. Non compete dunque all'amministrazione statale il potere di procedere alle varianti del piano. Il testo unico del 1999, si osserva, pur prevedendo anch'esso poteri sostitutivi statali, non stabilisce, a differenza della legge n. 431/1985, un termine per l'adempimento regionale dell'obbligo di provvedere, quasi ad indicare una sorta di obbligo "costante", essendo i beni in questione soggetti a variazioni dinamiche nel tempo, a cui la pianificazione si deve adeguare.