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n. 9/2009 - © copyright

LAURA MARZANO
(Referendario TAR Lombardia - Milano)

Tecniche di rilevazione della questione di giurisdizione nelle controversie sportive:
neutralità degli effetti mediati e indiretti del provvedimento sanzionatorio.

(nota a Cons. Stato, Sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2333)

Con una recentissima decisione [1] il Consiglio di Stato, confermando l’interpretazione ormai consolidata del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito in L. 17 ottobre 2003, n. 280, ha affermato il principio per cui l’impugnazione, da parte di un arbitro, del provvedimento disciplinare di collocamento nel ruolo degli arbitri fuori quadro, a seguito di un giudizio basato esclusivamente su qualità tecniche, rientra nella giurisdizione del giudice sportivo in quanto con essa il ricorrente non aziona posizioni aventi rilevanza esterna all'ordinamento sportivo.

Il Supremo Consesso amministrativo ribadisce [2] il principio per cui la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre la giurisdizione statale è chiamata a risolvere le controversie che presentino una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.

E’ interessante osservare come, in tema di tecniche di rilevazione della questione di giurisdizione nelle controversie lato sensu sportive, assurga al ruolo di elemento dirimente l’accertamento di una possibile ricaduta su situazioni di diritto soggettivo o interesse legittimo protette dall’ordinamento: ciò indipendentemente dalla portata oggettivamente afflittiva del provvedimento.

Va tracciata, in proposito, una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

La disciplina è contenuta nel d.l. n. 220 del 19 agosto 2003, recante “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”, convertito dalla l. n. 280 del 2003, in cui si definisce il rapporto tra giustizia sportiva e giurisdizione ordinaria, civile ed amministrativa.

In particolare, l’art. 1, comma 1, enuncia il principio per cui la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato olimpico internazionale.

Gli artt. 1 e 2 chiariscono che i rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo [3].

Sono devolute alla giustizia sportiva, fatta eccezione per i profili di rilevanza per l'ordinamento giuridico generale, le controversie afferenti:

a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.

L’art. 3 aggiunge che, esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni ulteriore controversia avente ad oggetto atti del comitato olimpico nazionale italiano o delle federazioni sportive, non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo, sia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo e, all'interno di tale giurisdizione, alla competenza funzionale del Tar Lazio.

E’, inoltre, fatta salva l'eventuale previsione di clausole compromissorie.

In riferimento alla suddetta classificazione il Consiglio di Stato ha enunciato la regola che la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre quella statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.

La Corte di cassazione [4] aveva, in precedenza, enucleato come segue quattro tipologie di controversie devolute esclusivamente alla giustizia sportiva.

Nella prima si collocano le questioni che hanno per oggetto l'osservanza di norme regolamentari, organizzative e statutarie da parte di associazioni che, ai sensi dell'art. 15 del decreto legislativo n. 242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo ambito sono espressione dell'autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell'ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un'area di non rilevanza per l'ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche e, quindi, alla stregua di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l'ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce all'assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato [5].

Nella seconda situazione si collocano le questioni che nascono da comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch'esse interne all'ordinamento sportivo. Anche per queste situazioni vi è la stessa condizione di non rilevanza per l'ordinamento statale. Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all'interno del sistema dell'ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione statale.

La terza situazione comprende l'attività che le federazioni sportive nazionali debbono svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni e del Cio, come dispone la prima parte del già citato art. 15.

Nel testo del decreto legge n. 220 del 2003 anteriore alla legge di conversione, in essa figuravano l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati e l'organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma limitato e l'ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti.

Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l'indicazione vale ancora come esemplificazione delle corrispondenti controversie, l'oggetto delle quali è costituito dall'attività provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l'obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, è sottoposta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Infine, nella quarta situazione risiedono le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti.

Esaurito, anche in questo caso, l'obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Com’è noto la suddivisione delle controversie in rapporto alle diverse giurisdizioni, effettuata dal d.l. n. 220 del 2003, ha originato a dubbi sulla compatibilità con i principi costituzionali ricavabili dal combinato disposto degli artt. 24, comma 1, 103, comma 1 e 113, commi 1 e 2, Cost. [6].

I sospetti di incostituzionalità sono stati tuttavia superati sulla considerazione che Il fondamento dell'autonomia dell'ordinamento sportivo è da rinvenire nella norma costituzionale di cui all'art. 18 cost., concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell'art. 2 cost., relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo. Il cosiddetto vincolo di giustizia, di natura negoziale, costituisce un momento fondamentale dell'ordinamento sportivo, essendo ontologicamente finalizzato a garantirne l'autonomia, quanto alla gestione degli interessi settoriali, da quello statuale, autonomia generalmente ritenuta necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi sia, in correlazione con lo svolgimento dei campionati sportivi, la rapidità della soluzione delle controversie agli stessi sottoposte. La natura prevalentemente privatistica delle Federazioni sportive depone nel senso della dimensione privatistica della giustizia sportiva e, quindi, della origine contrattuale e non autoritativa dell'accettazione dei regolamenti federali, quale portato di un atto di adesione spontanea alla comunità sportiva. La rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale si fonda sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia.

Con il d.l. n. 220 del 2003, il vincolo sportivo, già operante in forza di clausole inserite negli statuti federali, cui l'affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse federazioni comportava volontaria adesione, viene a ripetere la propria legittimità da una fonte legislativa [7].

Anche sotto il profilo della ragionevolezza dunque, la legittimità della scelta legislativa risiederebbe nel fatto che l'ordinamento sportivo è in grado di assicurare forme di tutela caratterizzate dalla tempestività e dalla competenza tecnica.

Si tratta, allora, di verificare, in relazione alle singole fattispecie, quale delle indicate situazioni si delinei al fine di individuare il giudice fornito di giurisdizione.

Per quanto riguarda, nello specifico, l'impugnazione dei provvedimenti disciplinari, ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. b), d.l. n. 220 del 2003, in applicazione del principio di autonomia dell'ordinamento sportivo da quello statale, le controversie disciplinari sono riservate all'ordinamento sportivo salva l’ipotesi in cui la sanzione non esaurisca i suoi effetti nell'ambito strettamente sportivo, ma comporti ricadute nell'ordinamento generale dello Stato [8].

La regola, in ogni caso, è che la sanzione disciplinare, perché abbia valenza ultrasportiva, non deve necessariamente determinare una irreversibile modificazione o una stabile alterazione dello status di sportivo tesserato della federazione, come nel caso di sanzioni espulsive, ma è sufficiente la sua idoneità a modificare in modo sostanziale, ancorché non irreversibile, lo status del tesserato tanto da incidere su diritti o interessi protetti dall’ordinamento statale.

Nella recente sentenza del Consiglio di Stato che si annota, la fattispecie concreta riguarda l'impugnazione, da parte di un arbitro, dei provvedimenti con cui era stato disposto il suo transito nel ruolo degli arbitri fuori quadro, a seguito di un giudizio tecnico negativo espresso dalla commissione arbitri nazionali, ovvero era stato retrocesso da arbitro di calcio di serie A ad arbitro di calcio del settore giovanile e scolastico della FIGC.

Il Tar del Lazio, adito in prime cure [9], ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione e tale decisum è stato confermato in appello.

In motivazione il Consiglio di Stato richiama l'interpretazione, innanzi tratteggiata, del sistema di riparto della giurisdizione, come delineato dal d.l. n. 220 del 2003.

In forza di tale disciplina i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia, con conseguente sottrazione al controllo giurisdizionale degli atti a contenuto tecnico sportivo.

Tale criterio è passibile di deroga solo nel caso di rilevanza per l'ordinamento statale di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo: in tale ipotesi le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario ove abbiano per oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, mentre ogni altra controversia avente per oggetto atti del Coni o delle federazioni sportive nazionali è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La considerazione svolta dai giudici amministrativi nella fattispecie in commento, in entrambi i gradi di giudizio, è che il provvedimento impugnato dall'arbitro ricorrente si fonda esclusivamente su valutazioni di natura tecnica mancando, nella specie, il connotato della rilevanza esterna all'ordinamento sportivo degli effetti dell'atto.

Il giudizio di scarsa capacità tecnica resa nei confronti dell'arbitro, infatti, secondo il Consiglio di Stato non ha alcuna ricaduta, né diretta né indiretta, sull'ordinamento statale pur non escludendosi l’indubbia natura afflittiva dello stesso.

L'inserimento del ricorrente nel ruolo degli arbitri fuori quadro, in dipendenza del giudizio di demerito tecnico e senza perdita dello status di tesserato, rimane, infatti, questione del tutto interna alla giustizia sportiva e va risolta con gli strumenti propri del relativo ordinamento.

La riserva a tale giurisdizione, nel ragionamento del Supremo Consesso, non significa che il provvedimento di cui si discute, in forza del quale l'arbitro, già competente per le partite di serie A, è stato applicato a dirigere il settore giovanile e scolastico, non abbia efficacia affittiva: è chiara, invece, la portata negativa della retrocessione, sia se qualificata come sanzione, sia se venga definita come effetto della riscontrata inidoneità tecnica.

Un tale effetto negativo per gli interessi personali di chi lo patisce, intrinseco a tutti i provvedimenti contemplati nell'art. 2 del d.l. citato non vale, peraltro, a renderli, per ciò solo, rilevanti per l'ordinamento della Repubblica e, quindi, a fondare la giurisdizione statuale: secondo il Consiglio di Stato occorre, invece, indagare, come ha fatto il Giudice di prime cure, se, al di là dell'afflizione connessa allo specifico status di membro della Federazione, sussistano conseguenze incidenti su situazioni giuridiche soggettive protette dall'ordinamento generale in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo.

Tale conclusione è argomentata in considerazione del fatto che gli arbitri non sono dipendenti del Coni e della Figc e non percepiscono, quindi, una retribuzione, ma una mera indennità, che l'inserimento nei ruoli degli arbitri fuori quadro non ha comportato la cancellazione del tesseramento e che nessun’altra conseguenza giuridicamente apprezzabile avente ricaduta all'esterno dell'ordinamento sportivo viene in evidenza come effetto dei provvedimenti impugnati.

In forza di siffatte argomentazioni l’arresto in discorso conclude confermando la sentenza di primo grado che ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di giurisdizione.

La pronuncia in rassegna si colloca nel solco innovativo di quella recente giurisprudenza che attribuisce carattere di neutralità, ai fini del riparto di giurisdizione, agli effetti mediati e indiretti del provvedimento sanzionatorio sportivo.

L'orientamento tradizionale individuava indici di rilevanza del provvedimento per l'ordinamento giuridico statale, così riassumibili: 1) non deve necessariamente determinare una alterazione stabile dello status di tesserato della federazione ma è sufficiente che la sanzione sia idonea a modificare in modo sostanziale, ancorché non totalmente irreversibile, la condizione del soggetto: si tratta, in altri termini, di riflessi di tipo economico o di onorabilità; 2) è possibile che esponga il soggetto sanzionato a pretese risarcitorie da parte della società sportiva; 3) deve essere suscettibile di generare un giudizio di disvalore sulla personalità del soggetto sanzionato, che possa incidere nei rapporti sociali.

In altri termini, la giurisprudenza tradizionale dava risalto agli effetti economici o sullo status soggettivo del ricorrente, anche se prodotti in via solo indiretta o mediata, al fine di enucleare indici di rilevanza esterna degli effetti di un provvedimento sportivo.

Nell’arresto in rassegna, invece, il Consiglio di Stato, pur dando atto della natura sostanzialmente afflittiva del provvedimento e, quindi, implicitamente, della presenza di tali aspetti, li ritiene neutrali.

L’indicato revirement comporta ricadute in punto di riparto di giurisdizione.

Mentre per la giurisprudenza tradizionale lo scivoloso confine tra giurisdizione statale e sportiva si collocava a vantaggio della prima dando risalto anche agli effetti indiretti del provvedimento sportivo per l'ordinamento giuridico statale, la visione prospettica del più recente indirizzo giurisprudenziale tende a restringere l'ambito della giurisdizione statale, considerando ininfluenti, ai fini del riparto, gli effetti indiretti e riflessi del provvedimento sportivo [10].

Conclusivamente va osservato che, secondo l’orientamento giurisprudenziale in commento, l'unica indagine necessaria in punto di rilevazione della giurisdizione, involge la sussistenza di rapporti per i quali l'art. 2 escluda la rilevanza per l'ordinamento statuale, poiché riservati a quello sportivo.

Nessuna portata dirimente, viceversa, può essere attribuita alle conseguenze ulteriori, anche di tipo patrimoniale, che possano indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell'ordinamento sportivo: ciò in quanto il legislatore ha radicato la giurisdizione statale esclusivamente nei casi diversi da quelli specificamente esclusi dall'art. 2 comma 1, del decreto legge.

In altri termini si è osservato che l’uso del “grimaldello esegetico” [11] delle, inevitabili quanto indirette, conseguenze patrimoniali, derivanti dall'applicazione dei regolamenti sportivi o dalle relative sanzioni disciplinari, per affermare la giurisdizione statale, altro non fa che travalicare il limite della mera interpretazione estensiva del combinato disposto dell'art. 1 comma 2, e dell'art. 2 comma 1 lett. b), per rappresentarne una aperta violazione.

La scelta normativa in discorso rientra nell'esercizio della discrezionalità del legislatore, che pur dovendo assicurare piena tutela ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi, ha facoltà di individuare quali, tra le diverse situazioni di interesse di fatto, meritino di essere qualificate posizioni giuridiche tutelabili.

Di conseguenza la rilevazione della questione di giurisdizione resta del tutto insensibile agli effetti mediati e indiretti dei provvedimenti sportivi; diversamente opinando, il limite esterno tra giurisdizione statale e giustizia sportiva scivolerebbe inevitabilmente a favore della prima comprimendo del tutto lo spazio vitale della seconda essendo pacifica la derivazione, da quasi tutti i provvedimenti sportivi, oltre che di effetti immediati all'interno dell'ordinamento di settore, anche di effetti indiretti e mediati nell'ordinamento generale.


 

[1] Cons. Stato, Sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2333, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/91/cds6_2009-04-17.htm

[2] Precedente specifico è costituito da Cons. Stato 25 novembre 2008, n. 5782, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/82/cds6_2008-11-10.htm

[3] In dottrina interessante in proposito G. Alpa, Il problema dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, in Il caso Genoa. Alla ricerca di un giudice, a cura di A.M. Benedetti, Giappichelli, 2005.

[4] Cass. S.U. 23 marzo 2004, n. 5775.

[5] Principio già affermato da Cass. S.U. 26 ottobre 1989, n. 4399.

[6] I dubbi riguardavano sia l’aver subordinato la giurisdizione al previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva sia la devoluzione di attribuzioni al giudice amministrativo senza tener conto dell'effettivo esercizio di un potere pubblicistico, bensì ricondotta unicamente alla presenza di un'autorità amministrativa, così delineando una ripartizione per blocchi di materie in contrasto con quanto espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004.

[7] In tal senso Cass., Sez. I, 28 settembre 2005, n. 18919.

[8] In punto di rilevanza esterna all'ordinamento sportivo di sanzioni disciplinari inflitte dagli organi di giustizia sportiva si segnalano pronunce nelle quali non sempre viene approfondita l'indagine della linea di demarcazione tra controversie meramente sportive e controversie con rilevanza per l'ordinamento generale: Tar Lazio, Roma, sez. III ter, ord. 22 agosto 2006, n. 4666; id. 22 agosto 2006, n. 7331, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/62/tarlazio3ter_2006-08-22.htm con nota di G. VIRGA; id. 18 aprile 2005, n. 2801.

[9] Tar Lazio, Sez. III, 5 novembre 2007, n. 10911, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/72/tarlazio3ter_2007-11-05-3.htm; sul tema si veda V. Cingano, Delimitazione della giurisdizione amministrativa nelle controversie sportive ai sensi del d.l. 19 agosto 2003 n. 220: l'impugnazione del provvedimento che colloca un arbitro di calcio nel ruolo dei fuori quadro, in Foro amm. TAR 2007, 10, 3095.

[10] Tale opzione ermeneutica la si può ritrovare anche in Cons. Giust. Amm. Sicilia, 8 novembre 2007, n. 1048, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/72/cga_2007-11-08.htm  che ha dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alle controversie aventi ad oggetto atti della Figc che applichino norme regolamentari sportive, nel caso di impugnazione, da parte dei tifosi-abbonati, della squalifica del campo e dell'ordine di giocare a “porte chiuse”.

[11] Così C.G.A.S. da ultimo cit.


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