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Articoli e note

 

Michele Marcucci
(Funzionario Settore personale del Comune di Verona)

La gestione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego privatizzato

(Dal procedimento amministrativo alle misure assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro)

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Premessa

In un ottica esclusivamente privatistica, nella quale i rapporti giuridici tra i soggetti sorgono per libere manifestazioni di volontà e con il contenuto da loro stessi stabilito, il rapporto di lavoro è una delle forme possibili di espressione dell’autonomia dei soggetti, alla stregua di qualsiasi altro negozio giuridico rivolto alla costituzione, modificazione o estinzione delle situazioni giuridiche soggettive dei contraenti. Entrambi gli aspetti obbligatori (del datore e del prestatore) rappresenterebbero due facce della stessa medaglia (il rapporto di lavoro), paritariamente considerate, senza che nessuna di esse possa ritenersi maggiormente degna di attenzione rispetto all’altra, perché il rapporto nascerebbe su un piano di assoluta parità, in una dimensione che potremmo definire "orizzontale" del rapporto. In questo ambito l’ordinamento giuridico interverrebbe soltanto per limitare gli interessi dei singoli ai valori universalmente e storicamente riconosciuti, così come dispongono le regole del diritto civile sui negozi giuridici in generale.

Nella realtà dell’ordinamento giuridico, oltre che su un piano prettamente giurisprudenziale, il rapporto di lavoro rappresenta invece una fattispecie regolata in maniera del tutto diversa dal tradizionale negozio. Riconosciuta la posizione di inferiorità, almeno sul piano economico, del lavoratore, è stata posta una netta restrizione all’autonomia dei contraenti prevedendo notevoli limitazioni alla libertà di forme e di contenuti del negozio.

L’intervento normativo si giustifica sia per la centralità del fattore lavoro in un sistema economico di produzione capitalistica, sia per il riconoscimento di esso quale elemento fondante della repubblica democratica (1).

Su queste basi si è sviluppato un percorso nel quale si intersecano norme di diritto pubblico e norme di diritto privato, in una dimensione trasversale rispetto alle tradizionali partizioni dell’ordinamento giuridico esistente.

Anche il complesso di norme che costituisce il diritto del lavoro fatica ad operare una netta distinzione tra gli aspetti privatistici e quelli pubblicistici del fenomeno.

In genere, si è soliti distinguere in dottrina tra il diritto del lavoro in senso stretto (che comprende la materia oggetto del contratto, ossia la fase più propriamente privatistica) e il diritto pubblico del lavoro (comprendente l’insieme delle norme relative ai rapporti tra lo Stato e le parti del rapporto di lavoro, ossia la fase pubblicistica).

Chi intende approfondire il fenomeno lavoro dal punto di vista giuridico deve dunque affrontare difficili problemi di approccio metodologico: un’ottica esclusivamente privatistica, o esclusivamente pubblicistica, non spiegherebbero alcunché del fenomeno e renderebbero inspiegabili o contraddittorie molte delle sue peculiarità. Si osserva inoltre che la fase riconosciuta come più propriamente privatistica del rapporto (fase negoziale comprendente la materia oggetto del contratto) è anch’essa solo limitatamente lasciata alla libera iniziativa dei singoli, e ciò per il riconoscimento della sostanziale posizione di inferiorità, almeno sul piano economico, del lavoratore. Contenuto, forme e regolamentazione sono per buona parte sottratte alla libera determinazione delle parti e trovano la loro fonte in norme giuridiche statuali o in regolamentazioni collettive nazionali e aziendali (2).

 

La gestione del rapporto di lavoro.

Posto che il rapporto di lavoro, aldilà dei rilevantissimi contenuti pubblicistici, individua comunque una relazione negoziale tra due soggetti che si identificano nel datore e nel prestatore di lavoro, è possibile distinguere i diversi interessi che danno origine allo stesso. Da una parte vi è l’imprenditore, interessato ad una prestazione caratterizzata dall’espletamento di mansioni in maniera continuativa, dall’altra vi è il lavoratore, che ha interesse a ricevere, anche lui in via continuativa per garantire il sostentamento suo e della sua famiglia, una controprestazione sotto forma di retribuzione.

Nell’ambito degli interessi dell’imprenditore si colloca il concetto di gestione del rapporto di lavoro. Esso comprende l’insieme delle azioni poste in essere dal datore di lavoro per dare esecuzione ed efficacia agli obblighi precedentemente assunti e per cercare di far coincidere il più possibile gli effetti del contratto con le esigenze dell'azienda.

Questa definizione mette in evidenza che il complesso delle scelte che caratterizzano l’azione dell’imprenditore all’interno dell’unità produttiva (organizzazione della produzione, livelli salariali, scelte di mercato) sono fortemente influenzate dall’aspetto gestionale del rapporto di lavoro.

In questo contesto la controparte (lavoratore) è visto come un centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive che, per la maggior parte, tendono ad impedire una libera determinazione dell’azione imprenditoriale nella direzione coincidente con gli interessi economici dell’azienda. La gestione, in questo senso, appare particolarmente complessa perché, come già sottolineato nella premessa, gli ambiti di azione libera della parte economicamente più forte (datore) sono fortemente limitati dalla legge e dalla giurisprudenza anche nella fase di esplicazione degli effetti del contratto (3).

 

La gestione del rapporto di pubblico impiego prima della privatizzazione.

Si è visto come il rapporto di lavoro contenga in se due aspetti, privatistico l’uno e pubblicistico l’altro. Tale distinzione, che è stata fatta con riferimento alla dottrina sviluppatasi in materia di lavoro privato, non era di alcun aiuto metodologico in un qualsivoglia studio sul rapporto di pubblico impiego così come era delineato nel nostro ordinamento prima della privatizzazione ad opera del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, adottato in attuazione della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421.

Il fenomeno del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni era caratterizzato da una connotazione marcatamente pubblicistica (rapporto di diritto pubblico) nel quale l’elemento centrale era rappresentato dal primario interesse alla prestazione della funzione interessante la collettività (4). Ogni vicenda (costituzione, esecuzione, fase patologica, risoluzione) era quindi esplicata mediante atti di natura amministrativa, quasi a significare che il rapporto si rendeva efficace non per la volontà dei singoli, ma in forza di singoli atti autoritariamente dispositivi che originavano dal primario interesse pubblico (5).

Per chiarire maggiormente come risultava configurato il rapporto di pubblico impiego prima della riforma basta pensare al fatto che la nascita del rapporto era, essa stessa, statuita da un provvedimento amministrativo unilaterale (atto di nomina). In questo procedimento la supremazia dell’ente pubblico non si spingeva certo fino a statuire la obbligatorietà del rapporto (nel senso che il nominato poteva liberamente rifiutare la nomina) ma la determinazione eventualmente negativa del soggetto privato non inficiava la validità dell’atto, bensì la sua efficacia.

Si può dire che, in quello che solo nominalmente poteva essere definito un rapporto di lavoro, l’ordinamento giuridico del tempo riconosceva l’assoluta preminenza dell’interesse della parte datoriale sull’interesse della parte prestatrice di lavoro. Ma il primario interesse pubblico, che era all'origine del rapporto, si traduceva, quasi paradossalmente, nell'istituzione di una serie di regole a garanzia della stabilità di ciò che la norma aveva consacrato, e cioè il rapporto di pubblico impiego.

In un contesto di questo tipo la funzione della gestione del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni era riconducibile ad una funzione di semplice amministrazione del rapporto sulla base di quanto disposto dalle norme legislative e regolamentari, indirizzate alla progressiva riduzione dei margini di discrezionalità inerenti ai singoli provvedimenti; così che la gestione del rapporto di pubblico impiego è stata condotta con meccanismi di carattere largamente vincolato e automatismi non idonei ad assicurare un effettivo positivo rendimento del personale (6).

Quest’ultime considerazioni rendono efficacemente la sostanza della profonda differenza esistente tra il rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni prima della privatizzazione e il rapporto di lavoro nelle aziende private: mentre nelle prime l’interesse predominante era quello datoriale e quindi la gestione del rapporto di lavoro seguiva le esigenze dell’ente, normativamente fissate e coincidenti con la tutela della stabilità della funzione pubblica svolta, nel secondo veniva tutelata la posizione del contraente più debole con tutte le conseguenze limitative sulla possibilità di una gestione corrispondente agli interessi dell’azienda.

 

La gestione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego privatizzato.

Le condizioni per una sostanziale equiparazione della disciplina del lavoro pubblico con il lavoro privato sono maturate nel momento in cui la regolamentazione del lavoro pubblico è uscita dall’ambito dell’ordinamento dell’organizzazione amministrativa (7).

Fino a quando la funzione di gestione del rapporto di lavoro di pubblico impiego era riconducibile al più vasto complesso di attività amministrative cui l’ente è istituzionalmente preposto, fino a quando non esistevano forme differenti per esplicare un procedimento ablativo, come il procedimento di esproprio per pubblica utilità, e un procedimento relativo alla gestione del rapporto di lavoro (sanzione disciplinare, concessione di un periodo di aspettativa non retribuita ecc.), non era possibile alcun inquadramento del rapporto in questione nel più generale ordinamento del lavoro.

Un primo significativo avvio di questo processo si è avuto con il formale riconoscimento della valenza della fonte contrattuale per la disciplina del lavoro pubblico.

Pur in un processo che si è mosso con notevole lentezza, dalla contrattazione collettiva tra le parti che comunque doveva essere recepita a livello di singolo ente all’attuale situazione di vera e propria definizione contrattuale della regolamentazione, la direzione intrapresa è oramai sicuramente approdata ad una sostanziale equiparazione del lavoro pubblico al lavoro privato (8).

Le fonti del rapporto, tranne che per i limiti stabiliti per il perseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione amministrativa sono indirizzate (articolo 2, comma 2 del d.lgs.vo 29/93), sono oggi individuati nel Codice Civile (capo I, titolo II, libro V), nelle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nella contrattazione collettiva e in quella individuale (9).

Da ultimo, il d.lgs.vo n. 29/93, così come modificato dal d.lgs.vo n. 80/98, all'articolo 4, comma 2, ha specificato che "nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi (…) le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro".

In questo mutato quadro normativo è possibile operare una equiparazione anche della funzione gestionale nel rapporto di lavoro pubblico e privato.

Se prima della riforma la funzione in esame risultava estremamente limitata quanto alle forme e ai contenuti, oggi è ravvisabile una maggiore libertà di azione degli organi preposti al fine di determinare, pur con le restrizioni esistenti nel generale ordinamento sul lavoro, modelli di sviluppo del personale finalizzati a realizzare l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa (10). Mentre nel pubblico impiego precedente alla privatizzazione non erano ipotizzabili politiche di gestione del personale a livello di singolo ente, oggi si hanno più ampi spazi di discrezionalità e maggiore libertà di definizione della regolamentazione del rapporto (11).

Viene in rilievo a questo punto la perdita della connotazione pubblicistica, autoritativa, degli atti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti. Non più dunque atti amministrativi, se non quando imposti dalla legge, ma atti di natura privatistica.

Ne nascono alcune considerazioni relativamente alle attività poste in essere negli enti pubblici a livello di settore (o area o ufficio o dipartimento) del Personale.

Nelle disposizioni inerenti alla gestione del rapporto di lavoro la forma cambia dalla determinazione dirigenziale alla semplice comunicazione ad opera del preposto all’ufficio. Gli atti relativi alla gestione del personale non sono più inquadrabili nella nozione di provvedimenti amministrativi e quindi non sono più soggetti a: obbligo di conclusione della procedura (art. 2, comma 1 L. 241/90), obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento (art. 8 L. 241/90), obbligo della motivazione (se non diversamente concordato a livello contrattuale), giurisdizione amministrativa (art. 68 d.lgs.vo n. 29/93).

Continua a gravitare nell'orbita dell'attività amministrativa, dato il suo notevole rilievo pubblicistico, il procedimento di assunzione agli impieghi, che comunque riguarda una fase precedente a quella di gestione del rapporto.

Particolare considerazione merita la questione dell'applicabilità, agli atti privatistici degli enti pubblici relativi alla gestione del rapporto di lavoro, del diritto d'accesso di cui alle leggi n. 241/90 e 142/90, quest’ultima limitatamente all’attività amministrativa posta in essere dagli enti locali.

La giurisprudenza si è espressa in maniera non univoca circa analoghe fattispecie (nel senso che il diritto di accesso non è applicabile all'attività della pubblica amministrazione di natura esclusivamente privatistica vedi Cons. Stato Sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, Cons. Stato, Sez. IV, 2 aprile 1997, n. 539 e Cons. Stato Sez. VI, 14 aprile 1998, n. 484; in senso contrario vedi Cons. Stato Sez. IV, 30 aprile 1998, n. 716 e Cons. Stato Sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82) anche se ha prevalso la tesi restrittiva che limita la configurabilità del diritto d’accesso all’attività autoritativa degli enti pubblici o dei concessionari di pubblici servizi (12). La questione è ora all’attenzione dell’adunanza plenaria, ma è altamente probabile che la soluzione sarà individuata nella sussistenza del diritto d’accesso ogniqualvolta l’attività della pubblica amministrazione, sia essa attività pubblica che attività privata, coincida con la cura di un interesse della collettività.

Per l’argomento in esame rileva il fatto che la gestione di un rapporto di lavoro è solo astrattamente collegabile con un interesse pubblico in quanto essa attiene esclusivamente ai rapporti tra le parti. Del resto, non è stato proprio grazie a questa convinzione che si è riusciti a svincolare la regolamentazione del rapporto nelle pubbliche amministrazioni dall’area dell’organizzazione amministrativa?

 

Considerazioni finali

Quanto evidenziato relativamente ai cambiamenti introdotti con la privatizzazione del pubblico impiego sottolinea che la funzione della gestione del rapporto di lavoro negli enti pubblici è ora sostanzialmente equiparata alla medesima funzione svolta nelle organizzazioni private.

Del resto, nel lungo dibattito che ha portato alla privatizzazione si è spesso rimarcata l’esigenza di una maggiore libertà da parte degli enti pubblici nello svolgimento di questa funzione, soprattutto per permettere la definizione di specifici percorsi di sviluppo del personale dipendente tendenti al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa.

Nello specifico poi la realizzazione di condizioni di reale autonomia per gli enti locali, in attuazione di quanto previsto a livello costituzionale, non poteva non prevedere l’attribuzione piena di questo potere.

La situazione precedente alla privatizzazione, con i suoi lati anche paradossali di un rapporto non negoziale dal quale nessuno ha tratto vantaggio, ha mostrato un vero e proprio campionario di inefficienze, sprechi, e di generale demotivazione.

E’ necessario, però, che a questo rinnovato quadro normativo corrisponda anche una classe politica e dirigenziale in grado di cogliere le nuove opportunità e di liberarsi dalla tradizionale visione del rapporto di pubblico impiego corrispondente ai vecchi principi dell’ordinamento.

C’è la necessità di dare alla funzione di gestione del personale lo stesso valore che essa ha nelle aziende private. A questo proposito è auspicabile che le pubbliche amministrazioni sappiano attrarre a se dal mercato del lavoro, con retribuzioni adeguate che oggi sono possibili per incarichi di alta specializzazione, quelle professionalità specifiche in materia che conoscono i percorsi, le tecniche, i metodi, liberi e basati su programmazioni di medio/lungo periodo, per operare una gestione del personale corrispondente con gli obiettivi (imparzialità e buon andamento dell’azione) delle moderne aziende pubbliche erogatrici di servizi per la collettività.

 

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NOTE

1. Vedi l'articolo 1 Cost. ("L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro"), oltre alle numerose enunciazioni specifiche di tutela del lavoro di cui agli articoli dal 35 al 40 Cost.

2. Il rapporto di lavoro è il fenomeno che ha subìto maggiormente della restrizione dell’autonomia privata operata dallo Stato per ripristinare, mediante interventi pubblici correttivi, gli equilibri economici di partenza.

3. Non a caso è proprio in un momento come questo di bassi livelli di crescita economica e bassa occupazione che si è concordato tra le parti sociali sulla necessità di una maggiore flessibilità del rapporto di lavoro.

4. Il rapporto di pubblico impiego, per il Virga, è "posto in essere per i fini istituzionali dell'ente", senza alcun cenno agli interessi della controparte (P. Virga, "Il pubblico impiego", Giuffrè, 1991).

5. C’è da sottolineare comunque che la particolare condizione di soggezione del lavoratore pubblico non si è mai tradotta in una prassi sfavorevole alle posizioni e agli interessi di quest’ultimo, e ciò perché ha prevalso la tendenza a ridurre i margini di discrezionalità dei provvedimenti proprio per istituire un regime di garanzie a tutela della funzione pubblica svolta.

6. G. Pastori, "La Pubblica Amministrazione", in G. Amato, A. Barbera "Manuale di diritto pubblico", Il Mulino, Bologna, 1984, pag. 632.

7. Una lettura estensiva dell’articolo 97 Costituzione, infatti, portava a riconoscere una riserva di legge in materia di regolamentazione del pubblico impiego, mentre oggi, più correttamente, prevale l'interpretazione che la riserva di legge sia limitata all'organizzazione degli uffici e che i rapporti di lavoro possono essere definiti contrattualmente nell’ambito dei principi dettati dalla legge.

8. Per un’interessante ricostruzione dell’iter storico-legislativo che ha portato alla privatizzazione vedi F. Caringella, S. Marino, "Il lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni", Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 1998.

9. Come è noto alcune categorie di rapporti di lavoro pubblico, proprio per la speciale connotazione pubblicistica della funzione svolta, sono a tutt’oggi escluse dalla privatizzazione (i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, quest’ultima a partire dalla qualifica di vice consigliere di prefettura, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e 10 ottobre 1990, n. 287, e i professori e ricercatori universitari). A ciò si aggiunga che alcune materie restano soggette ad una disciplina particolare specificamente prevista per il rapporto di lavoro pubblico (accesso agli impieghi, mansioni, responsabilità, incompatibilità).

10. E' come se, in un certo senso, fosse stato attribuito all'ente pubblico un potere che prima, paradossalmente, non aveva, ossia il potere di scegliere liberamente la strada da intraprendere per far coincidere gli effetti del rapporto di lavoro con gli obiettivi dell'ente.

11. Si pensi al notevole spazio riservato alla contrattazione di secondo livello (contrattazione collettiva integrativa) dal d.lgs.vo n. 29/93 così come modificato dal d.lgs.vo 396/97 emanato in attuazione della legge n. 59/97.

12. Per un approfondito esame della questione vedi M. Protto, "Alti e bassi del diritto d’accesso ai documenti amministrativi: actio ad exhibendum e attività di diritto privato dell’amministrazione" in www.lexitalia.it.


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