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n. 10/2009 - © copyright
 

Francesco Manganaro

(Ordinario di Diritto amministrativo

Università Mediterranea Reggio Calabria)

I diritti umani sono diritti soggettivi  non limitabili dal potere amministrativo

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1. La decisione delle Sezioni Unite.

Con ordinanza del 9 settembre 2009 n. 19393 [1], le Sezioni Unite della Cassazione stabiliscono che spetta al giudice ordinario la giurisdizione quando uno straniero chieda di ottenere lo status di rifugiato o il diritto di asilo politico.

La questione, decisa dalle Sezioni Unite in sede di conflitto di giurisdizione, assume una particolare rilevanza, in quanto la Corte, riconoscendo la novità della questione, si pronuncia argomentando sulle situazioni giuridiche soggettive in materia di diritti umani [2].

Il caso specifico attiene all’interpretazione del comma 6 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 286 del 1998, secondo cui si può rifiutare o revocare il permesso di soggiorno, “salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”, in connessione con quanto previsto dal successivo art. 19, che vieta l’espulsione o il respingimento “verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”.

Notano, innanzitutto, le Sezioni Unite che l’attuale fattispecie si differenzia da quella oggetto di precedenti decisioni (ordinanze n. 7933 e 8270 del 2008), che riconoscevano la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di impugnazione del provvedimento del Questore di allontanamento dello straniero, con implicito rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, a seguito di provvedimento negativo della commissione nazionale sulla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato. Infatti, nel caso ora deciso, oggetto della controversia è la domanda di “accertamento del diritto allo status di rifugiato o, in subordine, del diritto di asilo o, in ulteriore subordine, del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

In questo caso, il D.Lgs. 286/98 rinvia ad un quadro normativo più ampio, definito dai Trattati internazionali e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo [3]. L'art. 3 della Convenzione impone agli Stati di concedere asilo a quegli stranieri che, nel loro Paese di origine, potrebbero essere sottoposti a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Le Sezioni Unite accolgono l’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, che nega la “possibilità di bilanciare il diritto dello straniero con altri interessi, pur meritevoli di tutela, configgenti e quindi senza che sia possibile che tale obbligo subisca deroghe, sia pure per esigenze di sicurezza dello Stato”.

Le Sezioni Unite, per questa via, giungono alla conclusione che “la situazione giuridica dello straniero che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall'art. 2 Cost., esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidata solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazione costituzionalmente tutelate riservate al legislatore”.

 

2. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

La decisione delle Sezioni Unite va letta tenendo presente la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che – come già rilevato - proibisce il ricorso alla tortura, nonché a pene o trattamenti inumani o degradanti.

Nell’applicare il citato art. 3, la Corte europea dei diritti ha fissato alcuni importanti principi che non possono essere trascurati dal legislatore nazionale, per il rapporto sussistente tra Convenzione europea ed ordinamento interno [4], secondo quanto stabilito nella famose sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007 [5].

La questione relativa all’interpretazione dell’art. 3 viene affrontata dalla Corte di Strasburgo in materia di estradizione (Soering c. Gran Bretagna, 7 luglio 1989) o espulsione (Cruz Varas c. Svezia, 20 marzo 1991; Vilvarajah c. Gran Bretagna, 30 ottobre 1991; Chahal c. Gran Bretagna, 15 novembre 1996) dello straniero, con la conseguente applicazione dell’art. 3 quando l’estradizione o l’espulsione possano mettere a rischio la dignità personale del soggetto, che potrebbe essere condannato a morte (Bader e altri c. Svezia, 22 novembre 2005) o sottoposto a trattamenti degradanti. Vi è violazione dell’art. 3 anche quando la persona che chiede asilo non potrebbe avere cure adeguate nel suo Paese di origine (D. c. Gran Bretagna) o vi sia il timore che potrebbe subire persecuzioni anche da parte di agenti non statali (Ahmed c. Austria, 17 dicembre 1996; H.L.R. c. Francia, 29 aprile 1997; N. c. Finlandia, 26 luglio 2005). Tali rischi per l’incolumità personale vanno provati dal ricorrente attraverso atti e documentazione ufficiali, ma possono anche essere acquisiti d’ufficio dalla Corte  (Said c. Olanda, 5 luglio 2005).

Le Sezioni Unite, nell’ordinanza in questione, non solo si rifanno esplicitamente alla giurisprudenza della Corte dei diritti (citando il caso Cruz Varas), ma ne assumono i più recenti orientamenti, secondo cui tale tutela non può essere limitata nemmeno in nome della sicurezza nazionale.

Su questo profilo, molto controverso, la Corte di Strasburgo, già nel caso Ramirez Sanchez c. Francia, 4 luglio 2006, afferma che prevale l’esigenza di impedire torture o trattamenti degradanti anche rispetto al bisogno di sicurezza dello Stato ospitante. Da questo momento in poi le decisioni della Corte di Strasburgo (come, analogamente, quelle della Corte di giustizia: vedi Kadi c. Consiglio dell’Unione europea, 3 settembre 2008) si caratterizzano per la prevalenza della tutela della dignità umana anche rispetto all’esigenza di garantire l’ordine pubblico interno o internazionale. Nel caso Riad e Idiab c. Belgio 24 gennaio 2008, la Corte ritiene che vi sia violazione dell’art. 3 nel caso in cui due stranieri, che si rifiutano di tornare nei loro Paesi di origine temendo di subire violenze per motivi politici, vengano trattenuti per parecchi giorni in zona di transito aeroportuale senza possibilità di dormire, lavarsi, ricevere visite o avere contatti con l’esterno.

In questa linea interpretativa si colloca la nota sentenza Saadi c. Italia 28 febbraio 2008, secondo cui un tunisino condannato in Italia per terrorismo non può essere espulso verso il suo Paese di origine, che pratica trattamenti disumani. La peculiarità della sentenza, che dà luogo a un precedente giurisprudenziale che verrà ampiamente ripreso, sta anche nelle enunciazioni generali della Corte, la quale ammette accertamenti d’ufficio per provare che la Tunisia applica tortura e trattamenti disumani [6].

Ma, la più significativa sentenza sul punto è certo la decisione A. e altri c. Gran Bretagna 19 febbraio 2009, ove la Corte enuncia pienamente la sua preoccupazione di dover mediare tra sicurezza statale e diritti di soggetti sospettati di terrorismo internazionale. L’affermazione di principio è netta, nel senso che – secondo la Corte – si misura la forza della democrazia proprio quando un pericolo incombente non induce a trattamenti disumani, dimostrando così la forza della legalità [7]. Nella citata sentenza, inoltre, la Corte approfondisce la differenza tra tortura, trattamento disumano e trattamento degradante. Vi è trattamento inumano o degradante quando la sofferenza e l’umiliazione vanno oltre i limiti della normale limitazione personale connessa naturalmente ad ogni pena [8]. Per tortura, invece, deve intendersi quel trattamento particolarmente cattivo, che provoca grave e cruenta sofferenza, ben maggiore di quella del trattamento inumano o degradante [9].

Le successive sentenze riprendono integralmente questi principi. Nel caso Ben Khemais c. Italia 24 febbraio 2009, lo Stato italiano viene condannato per l’espulsione del ricorrente verso un Paese – sempre la Tunisia - che applica la tortura e trattamenti degradanti. Nello stesso senso tutte le analoghe sentenze decise il 24 marzo 2009 Ben Salah c. Italia; Soltana c. Italia; C.B.Z. c. Italia; Darraji c. Italia; Hamraoui c. Italia; O. c. Italia; nonché Sellem c. Italia, 5 maggio 2009.

3. Diritti umani e situazioni giuridiche soggettive tutelate.

Tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, le Sezioni Unite della Cassazione risolvono la questione affrontando il problema della qualificazione giuridica dei diritti umani.

I diritti umani fondamentali non possono essere oggetto di ponderazione valutativa con nessun altro interesse pubblico, fosse anche quello della sicurezza degli Stati nazionali, cosicché nessun margine di discrezionalità spetta alle pubbliche amministrazioni, che devono valutare l’istanza di asilo da parte dello straniero. Così “la situazione giuridica dello straniero che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo” ed, anzi, è un diritto soggettivo insuscettibile di “degradare” ad interesse legittimo a seguito di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo.

I diritti umani fondamentali preesistono al potere amministrativo, dovendosene perciò dedurre la loro primazia [10], non comparabile con altri interessi pubblici pur rilevanti: la legalità sostanziale dei diritti inviolabili prevale sulla legalità formale, escludendo in radice l’attribuzione di un potere in quella specifica situazione.

L’incompiuto tentativo del giudice ordinario nazionale di elaborare una categoria di diritti incomprimibili non suscettibili di degradazione [11] viene ora portato a compimento, perché non c’è potere che resista alla tutela dei diritti umani [12].

Il riconoscimento di diritti in capo ai soggetti, con conseguente limitazione dei poteri pubblici, presuppone la loro preesistenza rispetto alla norma, dando vita ad una visione di tipo giusnaturalistico [13]. Un profilo fortemente individualistico si materializza nelle sentenze in tema di proprietà privata, sempre considerata diritto umano individuale, anche quando questa idea contrasta con le Costituzioni nazionali (come la nostra) che non lo ritengono tale [14].

Sempre più spesso, tuttavia, la Corte di Strasburgo, pur partendo da enunciati della Convenzione formulati in maniera tradizionale, tutela nuovi diritti sociali [15], trasformando diritti individuali (alla vita o a trattamenti non degradanti) in diritti collettivi, come il diritto all’istruzione [16], all’abitazione [17], alla tutela della salute e dell’ambiente [18]: tale giurisprudenza comporta di conseguenza l’inserimento, negli ordinamenti nazionali, di nuove situazioni giuridiche protette, come nel caso specifico oggetto dell’ordinanza delle Sezioni Unite.

Tale ultima decisione conferma la sussistenza di un intreccio normativo che coinvolge il legislatore nazionale e quello comunitario nonché le Corti nazionali e sovranazionali, nella costruzione di un diritto globale [19]. Ne deriva, come nel caso in specie, che per risolvere un problema tutto peculiare del nostro ordinamento - quale il riparto di giurisdizione fondato sulla dicotomia diritti/interessi – si debba fare riferimento a norme ed interpretazioni giudiziali di Trattati internazionali, interferenti con il diritto “interno” [20].

 

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[1] In www.lexitalia.it, 9, 2009, pag. http://www.lexitalia.it/p/92/casssu_2009-09-09o.htm

 

[2] Sul punto, di recente: Aa. Vv., Cittadinanza inclusiva e flussi migratori (a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta), Soveria Mannelli, 2009.

 

[3] F. Manganaro, Diritto di asilo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Aa. Vv., Cittadinanza inclusiva e flussi migratori, cit. 219 ss.

 

[4] Nella vasta letteratura sul punto: L. Montanari, Le tecniche di adattamento alla CEDU come strumento di garanzia dei diritti: un’analisi comparata delle soluzioni adottate negli ordinamenti nazionali, in Aa. Vv., I diritti fondamentali in Europa, Milano, 2002, 535; B. Randazzo, Giudici comuni e Corte europea dei diritti, in Riv. it. dir. pub. com., 2002, VI, 1303 ss.; A. Guazzarotti, I giudici comuni e la CEDU alla luce del nuovo art. 117 della Costituzione, in Quad. cost., 2003, 25 ss.; S. Panunzio, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005, 30; L. Montanari, Giudici comuni e Corti sopranazionali: rapporti tra sistemi, in La Corte costituzionale e le Corti d’Europa (a cura di P. Falzea, A. Spadaro, L. Ventura), Torino, 2003, 119 ss., in part. p. 130; A. Anzon, Corte costituzionale, Corte di giustizia delle comunità europee e Corte europea dei diritti dell’uomo: problemi e prospettive dei loro rapporti, ivi, 577; S. Gambino - G. Moschella, L’ordinamento giudiziario fra diritto comparato, diritto comunitario e CEDU, in Politica dir., 2005, 543 ss.; A. Guazzarotti, La CEDU e l’ordinamento nazionale: tendenze giurisprudenziali e nuove esigenze teoriche, in Quad. cost., 2006, III, 491 ss.

 

[5] Tra i  primi commenti: G. Virga, Le “térmiti” comunitarie ed i “tarli” dei trattati internazionali, in www.lexitalia.it, 10, 2007, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/virgag_tarli.htm. Secondo V. Sciarabba, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed internazionali, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, la “funzione interpretativa eminente” riconosciuta dalla Corte costituzionale alla giurisprudenza di Strasburgo (sent. n. 348, punto 4.6), pur essendo un’espressione prudente, “attribuisce carattere vincolante all’interpretazione della CEDU data dalla Corte europea”. Secondo A. Ruggeri, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale - astratta e prospettiva assiologico – sostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in www.forumcostituzionale.it, la logica adottata dalla Corte di una rigida separazione degli ordinamenti le consentirà in futuro di “alzare in ogni tempo il ponte levatoio della sovranità statale, nel tentativo di preservare la cittadella costituzionale dagli attacchi formidabili che dovessero venirle mossi da un nemico che ormai la circonda da ogni parte e che in ogni tempo potrebbe far luogo all’assalto finale, quello distruttivo”. In senso parzialmente difforme C. Pinelli, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa configgenti, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, pur riconoscendo che “la subordinazione del giudizio di conformità delle leggi nazionali alla CEDU a quello di conformità a Costituzione della stessa CEDU equivale per la Corte a far sentire la sua voce in un circuito da cui altrimenti sarebbe inesorabilmente emarginata”, ritiene tuttavia che “contrariamente a quanto presuppone una parte della dottrina italiana, questo è un tipico modo di procedere della tutela multilivello dei diritti, la quale non consegue affatto da indiscriminate “aperture” dei giudici nazionali alla giurisprudenza delle Corti sovranazionali e internazionali, poiché “fin dall’inizio, quella tutela si strutturò attraverso interazioni fra Corti europee e nazionali, le cui reciproche aperture venivano condizionate alla preservazione, perlomeno, del nucleo essenziale dei princìpi degli ordinamenti cui ciascuna Corte faceva capo, e con essa del titolo della sua legittimazione:  per esser tale, la tutela multivello dei diritti implica che ogni giudice vi faccia sentire la sua voce, rivendicando l’esercizio delle funzioni cui è preposto”. B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli, 2007, 292, preconizza che, l’introduzione dell’obbligo del rispetto degli obblighi internazionali con il nuovo art. 117 Cost. comporti l’illegittimità costituzionale della “legge ordinaria che non rispetti i vincoli derivanti da un trattato”. Sul punto, di recente: Guazzarotti – A. Cossiri, La CEDU nell’ordinamento italiano: la Corte costituzionale fissa le regole, in Forum Quaderni costituzionali, in corso di pubblicazione in Diritti umani e diritto internazionale, 2008.

 

[6] « Dans ce but, en ce qui concerne la situation générale dans un pays, la Cour a souvent attaché de l’importance aux informations contenues dans les rapports récents provenant d’associations internationales indépendantes de défense des droits de l’homme telles qu’Amnesty International, ou de sources gouvernementales, parmi lesquelles le Département d’Etat américain (voir, par exemple, Chahal précité, §§ 99-100, Müslim c. Turquie, no 53566/99, § 67, 26 avril 2005, Said c. Pays-Bas, no 2345/02, § 54, 5 juillet 2005, et Al-Moayad c. Allemagne (déc.), no 35865/03, §§ 65-66, 20 février 2007). En même temps, elle a considéré qu’une simple possibilité de mauvais traitements en raison d’une conjoncture instable dans un pays n’entraîne pas en soi une infraction à l’article 3 (Vilvarajah et autres précité, § 111, et Fatgan Katani et autres c. Allemagne (déc.), no 67679/01, 31 mai 2001) et que, lorsque les sources dont elle dispose décrivent une situation générale, les allégations spécifiques d’un requérant dans un cas d’espèce doivent être corroborées par d’autres éléments de preuve (Mamatkoulov et Askarov précité, § 73, et Müslim précité, § 68) ».

 

[7] Nel caso in specie, la Corte ritiene che gli undici ricorrenti non abbiano subito un trattamento degradante ai sensi dell’art. 3, poiché, pur se danneggiati dal fatto di essere detenuti senza sapere la data di scarcerazione, hanno potuto presentare i ricorsi previsti dalla stessa legge britannica avverso questo stato di anomala detenzione, cosicché essi hanno un rimedio legale, che impedisce di configurare un danno irreversibile. Tuttavia, per alcuni ricorrenti, la Corte individua la violazione dell’art. 5, c. 1, che sanziona la perdita della libertà personale di una persona di cui si sta ancora esaminando la domanda di asilo.

 

[8] « Pour qu’une peine ou le traitement dont elle s’accompagne puissent être qualifiés d’« inhumains » ou de « dégradants », la souffrance ou l’humiliation doivent en tout cas aller au-delà de celles que comporte inévitablement une forme donnée de traitement ou de peine légitimes (Labita c. Italie [GC], no 26772/95, § 120, CEDH 2000-IV) ».

 

[9] « Pour déterminer s’il y a lieu de qualifier de torture une forme particulière de mauvais traitement, il faut tenir compte de la distinction que comporte l’article 3 entre cette notion et celle de traitements inhumains ou dégradants. Il apparaît que cette distinction a été incluse dans la Convention pour marquer de l’infamie spéciale de la « torture » les seuls traitements inhumains délibérés provoquant de fort graves et cruelles souffrances (Aydın c. Turquie, arrêt du 25 septembre 1997, Recueil 1997-VI, § 82, et Selmouni précité, § 96) ».

 

[10] F. Merusi, L’integrazione fra legalità comunitaria e la legittimità amministrativa nazionale, in Dir. amm., 2009, 50.

 

[11] Sul punto, criticamente, N. Paolantonio, Il potere amministrativo nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in www.giustamm.it.

 

[12] Per un approfondimento: F. Manganaro, Il potere amministrativo nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Relazione alle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa dedicate ad E. Cannada Bartoli, La tutela giurisdizionale nei confronti del potere amministrativo e “le ragioni” dell’interesse pubblico, Siena, Certosa di Pontignano, 12-13 giugno 2009, n corso di pubblicazione.

 

[13 A. Romano Tassone, I “diritti” tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario, relazione al Convegno di Torino, 2009, datt., rileva, a questo proposito, che tale concezione giusnaturalistica è “rudimentale e naif”, nel senso che la strutturazione dei diritti (primo fra tutti proprio la proprietà privata) appare spesso legata ad una concezione ottocentesca dei diritti.

 

[14] Sul punto, più ampiamente, F. Manganaro, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto di proprietà, in Dir. amm., 2008, 327

 

[15] Sul rilievo che la giurisprudenza della Corte dei diritti ha sul giudice amministrativo del nostro ordinamento, S. Valaguzza, Riflessioni sul primato attenuato del diritto CEDU e si suoi possibili sviluppi: prospettive interpretativa per il giudizio amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1375 ss., in part. p. 1391; P. de Lise, Corte europea dei diritti dell’uomo e giudice amministrativo, Roma, 20 aprile 2009, in www.giustizia-amministrativa.it.

 

[16] Nel caso Araç c. Turchia, 23 settembre 2008, la Corte riconosce esplicitamente, per la prima volta, il diritto della ricorrente di iscriversi ad una facoltà universitaria, a cui le era stato negato l’accesso per essersi rifiutata di fornire una foto non velata per la carta di identità, in quanto l’accesso all’istruzione prescinde da motivi di tutela ordine pubblico. Questo orientamento viene confermato in Dogru c. Francia, 4 dicembre 2008, quando una bambina di 11 anni rifiuta di togliersi il velo islamico durante le ore di educazione fisica. Sempre in materia di istruzione, con la sentenza Sampanis e altri c. Grecia, 5 giugno 2008, la Corte afferma che è incompatibile con la Convenzione l'inserimento di bambini rom, appartenenti a minoranze etniche, in classi scolastiche distinte rispetto a quelle ordinarie.

 

[17] Nell’ambito della tutela della vita privata e familiare, prevista dall’art. 8, la Corte tutela di recente, per la prima volta, il diritto all’abitazione, poiché coloro che rischiano di perdere l’alloggio debbono potersi rivolgere ad un giudice indipendente che valuti la proporzionalità di tale misura (McCann c. Gran Bretagna, 13 maggio 2008).

 

[18]  La Corte deduce dal diritto alla vita una responsabilità statale per emissioni nocive di un depuratore (Lopez Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994) o per una frana in una zona che era notoriamente rischiosa (Boudaïeva e altri c. Russia, 20 marzo 2008). Si configura una sorta di diritto di precauzione allargato nel caso in cui l’amministrazione non abbia adottato tutte le misure possibili per limitare i rischi per la vita degli abitanti di una baraccopoli, realizzata nelle adiacenze di una discarica, oggetto di un’ esplosione, in quanto l’obbligo di garantire la vita sussiste a maggior ragione quando è prevedibilmente messa a rischio dall’esercizio di attività industriali pericolose (Öneryildiz c. Turchia, 30 novembre 2004).

 

[19] Tra i tanti contributi sul tema: Aa. Vv., I principi dell’azione amministrativa nello spazio giuridico globale (a cura di G. della Cananea), Napoli, 2007; Aa. Vv., Il diritto amministrativo oltre i confini, Milano, 2008.

 

[20] Di recente: A. Guazzarotti, Diritti inviolabili e creatività giurisprudenziale: una risposta a Elisabetta Lamarque, in Quad. cost., 2009, 303 ss.; P. Tanzarella, Gli effetti delle decisioni della Corte dei Diritti: Europa e America a confronto, in Quad. cost., 2009, 323 ss.


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