LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 2/2005 - © copyright

AURELIO LAINO
(Referendario della Corte dei conti)

L’accesso ai documenti amministrativi
tra aperture giurisprudenziali e novità legislative

horizontal rule

T.A.R. Abruzzo - Pescara – sentenza 16 dicembre 2004 n. 1100, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/2004/tarabrpescara_2004-12-16.htm

E’ illegittimo, in quanto lesivo delle prerogative pubblicistiche attinenti alla carica, stabilite dall’art. 43 D.Lgs. 267/2000, l’atto che intenda inibire l’accesso del consigliere comunale al protocollo ed agli atti riguardanti periodi anteriori a quello proprio dell’attuale mandato.

Premessa metodologica - Con il presente lavoro si intende offrire una rapida panoramica in ordine al diritto di accesso stabilito dalla legge n. 241/90, che tenga conto anche di talune recenti acquisizioni giurisprudenziali in subiecta materia - oltre che delle innovazioni apportate dalla novella di riforma della legge predetta, di imminente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale - analizzando, poi, i rapporti tra tale "diritto" (o pseudo tale, come chiariremo di qui a breve) e quello previsto, in favore dei consiglieri comunali, dall’art. 43 comma 2 del T.U.EE.LL., prendendo all’uopo a spunto la recente sentenza del Tar Pescara sintetizzata nella massima surriportata.

§I.- Preambolo. Trasparenza e accesso.

La tematica del diritto di accesso ai documenti amministrativi impone – per la sua patente correlatività – una breve digressione sul c.d. principio di trasparenza, cui è informata l’azione amministrativa nel nostro ordinamento.

E’ stato merito della dottrina e della giurisprudenza più accorte estrapolare il suddetto canone, tramite la compiuta analisi del tessuto normativo complessivamente disciplinante l’attività dei pubblici poteri in Italia, distinguendolo dai già noti principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, consacrati espressamente nell’art. 97 della Carta fondamentale e conferendogli una propria autonoma dignità scientifica, oltre che giuridica.

Secondo l’affermazione più ricorrente, esso si sostanzierebbe nell’attribuzione ai cittadini del potere di esercitare un controllo democratico sullo svolgimento dell’azione amministrativa, onde accertarne la conformità tanto agli interessi pubblici alla cui cura la suddetta azione è preordinata, quanto ai precetti normativi regolanti quest’ultima.

Definitiva consacrazione di tale principio – la cui esistenza già si desumeva per implicito, precedentemente, da numerose norme di legge, quali, ad esempio, l’art. 26 L. 816/85 (che sanciva il diritto dei cittadini di prendere visione degli atti comunali, poi trasfuso nell’art. 7 L. 142/90 ed, ora, nell’art. 10 del T.U.EE.LL.) e l’art. 14 L. 349/86 (sul diritto di accesso agli atti contenenti dati ambientali da parte di chiunque: ma v. ora l’art. 3 d.lgs. 39/97, sui cui infra) - si è avuta con l’entrata in vigore della celeberrima L. 241/90, comunemente detta, per l’appunto, sulla trasparenza amministrativa.

Per la prima volta, infatti, il legislatore, mediante un articolato normativo disciplinante in via generale ed astratta qualunque tipologia di procedimento amministrativo avviato da una p.a., ha sancito – tra i principali generali informanti il corretto procedere dell’azione amministrativa – quello di pubblicità dell’attività pubblica (art. 1 L. cit.).

Coerentemente, poi, con le vedute premesse di principio, lo stesso legislatore, al capo V della predetta novella, ha riconosciuto il diritto del privato cittadino al c.d. accesso ai documenti amministrativi, evidenziando come lo stesso appaia indispensabile strumento per la tutela proprio di quel principio di trasparenza tanto decantato.

A tali fini, l’art. 22 della L. 241 esordisce con il seguente incipit "…Al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale…", proseguendo, poi, con lo stabilire che "…è riconosciuto, a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge…".

Peraltro, è bene sottolineare che la trasparenza, nel senso innanzi inteso, non si assicura unicamente mediante lo strumento dell’accesso: al suo raggiungimento concorrono numerosi altri principi ed istituti, quali – ad esempio - l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (stabilito dall’art. 3 L. 241/90), e la partecipazione dei privati al procedimento che li coinvolge (artt. 7-13 L. cit.).

Non è chi non veda, infatti, come solo un concreto e diretto coinvolgimento dei destinatari del provvedimento finale all’iter procedimentale cui quest’ultimo è preordinato, in uno con l’idoneità del provvedimento stesso a rendere manifeste le ragioni logico-giuridiche che ne hanno permesso l’emanazione, consentano – insieme alla possibilità di prendere visione degli atti adottati nel corso del procedimento – di garantire quel controllo democratico di cui si discuteva innanzi ed in cui si sostanzia il principio di trasparenza su ricordato.

§II.- Il diritto di accesso nella L. 241. I soggetti titolari.

Abbiamo già dato contezza del contenuto dell’art. 22 della legge sulla trasparenza amministrativa.

Dal suo tenore letterale emerge che il diritto di accesso compete esclusivamente ai soggetti che via abbiano uno specifico interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.

Ma cosa intende dire la norma, in proposito? In altre parole, quando può dirsi che un soggetto, in quanto titolare di una posizione giuridica soggettiva in qualche modo interessata da un procedimento amministrativo in corso, risulta titolare del giusto interesse all’ostensione della documentazione detenuta da una p.a.?

Mutuando pacifiche nozioni di natura sostanziale e processuale, nella precisazione fornitane dalla dottrina – e, soprattutto, dalla giurisprudenza più accreditata – atte a definire l’interesse legittimo e quello a ricorrere in sede giudiziale, possiamo, in prima battuta, dire che tale condizione legittimante l’accesso è soddisfatta ogniqualvolta l’individuo che vuole avvalersene si trovi in una posizione differenziata e qualificata rispetto al quisque de populo.

E’ bene chiarire, infatti, che il diritto di accesso di cui alla mentovata legge non è affatto preordinato al generalizzato ed indiscriminato controllo di tutta l’azione amministrativa della p.a., genericamente intesa (cfr. C.d.S., sez. V, n. 569/03).

Una siffatta peculiarità, invero, contrasterebbe inesorabilmente con il principio costituzionale di buon andamento dell’attività amministrativa, per le ovvie conseguenze ricadenti sull’organizzazione di un ente pubblico: ad opinare diversamente, infatti, quest’ultimo si ritroverebbe a dover concedere, verosimilmente, l’accesso ad una serie innumerevole di atti prodotti e ad una pluralità indiscriminata di soggetti i quali, anche per semplice intento di critica nei confronti dell’amministrazione pubblica, darebbero probabilmente la stura ad una moltitudine di richieste non strettamente finalizzate a tutelare interessi rilevanti.

L’indefettibile contemperamento tra le antinomiche esigenze di celerità dell’azione amministrativa – compromessa dalla necessità di impegnare risorse umane e strumentali in favore dell’evasione delle domande di accesso – e di trasparenza della medesima, hanno indotto il legislatore a limitare ragionevolmente l’ostensione ai soli atti inerenti a processi formativi decisionali della p.a. di cui il privato cittadino sia reso (più o meno direttamente) destinatario.

Più in particolare, alla luce di quanto testè evidenziato, si può affermare che lo "…specifico interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti…" di cui all’art. 22 cit. sia ravvisabile ogniqualvolta:

a) sussista, in capo al richiedente l’accesso, un diritto soggettivo, un’aspettativa di diritto, un interesse legittimo o diffuso, con l’esclusione degli interessi di mero fatto, idoneo a differenziare e qualificare la posizione di questi, in ordine ad una determinata attività amministrativa consacrata in precisi atti, rispetto alla pluralità indeterminata dei consociati (cfr. C.d.S., sez. VI, n. 1683/98; C.d.S., sez. IV, n. 2283/02 e C.d.S., sez. V n. 816/03);

b) tale posizione giuridica sia coinvolta – in quanto in procinto di essere compressa ovvero ampliata nella sua dimensione giuridica (interesse legittimo oppositivo e pretensivo) – dalla suddetta azione dei pubblici poteri.

In definitiva, dunque, la legge pretende, ai fini della concessione del diritto di accesso, che esso si riveli strumento indispensabile per la cura, da parte del suo titolare, di situazioni giuridicamente rilevanti, in quanto direttamente "interessate" dalla potestà pubblicistica della p.a.

Un esempio chiarirà meglio i concetti fin qui esposti: in tal senso, il titolare di una impresa edile che si sia visto estromettere dal prosieguo di una gara d’appalto di ll.pp., in quanto asseritamente privo dei requisiti tecnico-professionali stabiliti dal bando di concorso, sarà sicuramente legittimato a pretendere la visione degli atti di gara, trattandosi di un momento ineludibile per valutare la legittimità dell’operato della p.a. e decidere se chiedere giustizia innanzi al g.a.

Egli, infatti è titolare, in questo caso, di un interesse all’ostensione dei documenti de quibus, in quanto la loro visione consente al soggetto di tutelare al meglio l’interesse legittimo (pretensivo) all’affidamento dell’appalto, potenzialmente leso dal provvedimento di esclusione.

Diversamente, lo stesso soggetto che non avesse fatto domanda di partecipazione alla gara, ma ritenesse che l’impresa che l’ha vinta non possieda i requisiti richiesti dal bando, non potrebbe giammai richiedere fondatamente l’accesso ai documenti della procedura concorsuale, non essendo titolare che di un interesse di mero fatto, ossia non differenziato, né qualificato rispetto a qualsiasi comune cittadino, alla generica legalità dell’azione amministrativa.

Egli, non ha, infatti, alcuna situazione giuridica da tutelare (l’interesse legittimo sorge solo con la partecipazione alla gara) e l’eventuale ostensione dei documenti non si tradurrebbe in alcuna utilità pratica diversa dalla mera conoscenza dell’operato della p.a.

Non è da sottacersi, inoltre, che lo stesso regolamento di attuazione del diritto di accesso (d.p.r. 352/92), abbia ulteriormente specificato le caratteristiche connaturate all’interesse giuridicamente rilevante all’ostensione di atti amministrativi, richiedendone la concretezza e la personalità (v. art. 1 reg. cit.).

Si conferma, ancora una volta, la necessità che l’interesse fatto valere in sede di accesso non abbia natura meramente adespota e si riveli in termini di pregiudizio attuale a situazioni giuridiche soggettive di titolarità del richiedente l’esibizione di atti amministrativi.

Peraltro, come il legislatore può ritenere di dover contemperare le vedute opposte esigenze di celerità e trasparenza, limitando l’accesso ai soli soggetti che si trovino in una posizione qualificata e differenziata rispetto all’esercizio dei pubblici poteri, così - nello stesso tempo - per ragioni di opportunità (soprattutto al fine di consentire un controllo generalizzato e diffuso, da parte dei cittadini, in ordine all’azione amministrativa svolta per la cura di preminenti interessi pubblici), egli può, al contrario, ampliare la sfera dei soggetti abilitati all’ostensione di documenti della p.a., disancorando la legittimazione procedimentale de quo dalla sussistenza di un interesse concreto, attuale e personale.

E ciò che accade, ad esempio, nell’ipotesi di dati c.d. "ambientali", di cui al d.lgs. 39/97, laddove il diritto di accesso viene configurato come un diritto soggettivo pubblico dalla titolarità incondizionata, supportato da una vera e propria azione popolare, incompatibile con ogni possibile selezione dei soggetti legittimati, ed operante indipendentemente della esistenza e dalla verifica di un qualsivoglia interesse qualificato.

Recita, infatti l’art. 3 d.lgs. cit.: "le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse".

Naturalmente e ai fini che qui interessano, per pubblica autorità deve intendersi anche il Comune: si pensi ai dati sull’inquinamento acustico o dell’aria registrati dalle centraline poste negli angoli delle strade più trafficate e in base ai quali, perlomeno nelle grandi città, viene adottato il c.d. "blocco della circolazione".

§III.- L’oggetto dell’accesso. I documenti amministrativi.

Il diritto di accesso si esercita su ogni documento amministrativo, tale intendendosi, ai sensi dell’art. 22 comma 2 L. cit., "…ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie, del contenuto di atti anche interni, formati dalla p.a. o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa…" (v. anche art. 1 comma 1 lett. a d.p.r. 445/2000, recante il T.U. sulla documentazione amministrativa).

Dalla nozione sopra indicata si ricava che oggetto dell’accesso, oltre ovviamente ai provvedimenti amministrativi in senso stretto (ovvero gli atti adottati all’esito di un procedimento amministrativo, recanti una manifestazione unilaterale di volontà da parte della p.a. e incidenti, in senso ampliativo o restrittivo, sulla sfera giuridica del destinatario dello stesso), anche:

a) gli atti infraprocedimentali (ossia i meri atti amministrativi, non aventi valenza provvedimentale, emanati nel corso dell’iter procedimentale (es. pareri, proposte, accertamenti tecnici, ecc.);

b) gli atti formati da terzi (es. privati), e detenuti dalla p.a. in ragione della loro rilevanza in seno ad un procedimento amministrativo da quest’ultima avviato (es. una autodichiarazione).

Alla luce di tale definizione, al contrario, non sembra essere possibile un accesso finalizzato non tanto o non solo all’ostensione di atti già compiutamente formati, quanto piuttosto alla emanazione di un atto ancora non venuto ad esistenza (così C.G.A.R.S. n. 336/2000).

§IV.- I soggetti passivi.

Destinatari del diritto di accesso (o meglio, obbligati a consentire l’esercizio di tale diritto da parte del richiedente), erano originariamente – in base alla laconica dizione letterale dell’art. 23 L. 241/90 nella sua primigenia stesura - le sole amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici generalmente intesi (dunque anche quelli economici, quantomeno per l’attività di carattere pubblicistico) ed i concessionari di pubblici servizi.

Con la L. 265/99 tale platea di soggetti si è decisamente ampliata arrivando a comprendere, in base al nuovo art. 23 (come sostituito dall’art. 4 L. cit.), anche le Autorità di garanzia e vigilanza (es. ISVAP, piuttosto che l’authority sulla concorrenza e il mercato, ecc.).

Inoltre, la dizione adoperata dal legislatore risulta adesso onnicomprensiva di ogni ente pubblico istituzionale, laddove parla di pubbliche amministrazioni in generale.

Il concetto di p.a. può essere mutuato da quello indicato nell’art. 1 comma 2 d.lgs 165/01 (t.u.pub.imp.) e, dunque, esso ricomprende:

a) tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative;

b) le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;

c) le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni;

d) le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni;

e) tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Il nuovo art. 23, poi, non parla più di concessionari quanto di gestori di pubblico servizio (es. E.N.E.L., ovvero società di trasporto pubblico locale, ecc.): secondo giurisprudenza costante non sono accessibili gli atti afferenti all’attività di mero diritto privato svolta dai suddetti soggetti, laddove però nell’ipotesi in cui si tratti di atti relativi a procedimenti concorsuali (es. gara d’appalto), ovvero all’organizzazione del servizio medesimo, si ritiene sussistere l’obbligo di ostensione (C.d.S., Ad. Plen., nn. 4-5/99 e sez. VI n. 2618/02).

§V.- Le limitazioni oggettive al diritto di accesso.

La legge sulla trasparenza amministrativa conosce due tipologie di limiti: una a carattere tassativo e l’altra avente natura facoltativa.

I limiti tassativi. - La prima, che non ammette eccezioni alla regola, né consente alcuna scelta discrezionale da parte della p.a. in proposito, è stabilita, innanzi tutto, direttamente dall’art 24 comma 1 legge n. 241 e comprende la seguente casistica:

a) documenti coperti dal segreto di Stato, ai sensi dell’art. 12 L. 801/77;

b) atti afferenti a procedimenti relativi al cambiamenti delle generalità anagrafiche e residenziali dei testimoni e dei collaboratori di giustizia ovvero inerenti ai programmi di protezione di questi ultimi, ai sensi della L. n. 82/91 e del d.lgs. n. 119/93;

c) atti coperti da segreto o divieto di divulgazione in base a precise norme dell’ordinamento;

d) documenti relativi a procedimenti diretti alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione, di programmazione e tributari (v. infra).

In particolare, i documenti di cui sub lett. b) risultano contemplati per effetto della modifica all’art. 24 cit. intervenuta con la L. n. 45/01. Tale limitazione legale interessa naturalmente anche i comuni in quanto esercitanti le funzioni amministrative di stato civile, chiaramente incise dalle norme straordinarie innanzi indicate.

Successivamente, l’art. 24 cit. demanda ad appositi regolamenti governativi di attuazione l’ulteriore indicazione di atti sottratti dal diritto di accesso, esclusivamente però nelle seguenti materie:

a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;

b) la politica monetaria e valutaria;

c) l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;

d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici.

L’accesso ai pareri legali.- Un delicato problema applicativo si è posto in relazione all’ammissibilità dell’accesso relativo ai pareri resi, in sede consultiva, da legali esterni o interni dell’ente pubblico.

Invero, una loro illimitata accessibilità da parte di terzi (magari aventi proprio qualità di controparte in sede processuale), comporterebbe - quale indesiderabile conseguenza - la lesione del diritto costituzionale di difesa, sancito dall’art. 24 Cost. anche a favore delle persone giuridiche pubbliche, compromettendo la segretezza insita e necessaria in ogni strategia processuale in essi suggerita e/o delineata.

Secondo la giurisprudenza prevalente, il criterio di contemperamento può individuarsi, allora, distinguendo il caso in cui il parere sia utilizzato per la difesa in giudizio dell’ente – laddove, scatterebbe l’operatività del segreto d’ufficio e professionale di cui agli artt. 622 c.p. e 200 c.p.p., (e, dunque, la sua inostensibilità, ex art. 24 comma 1 lett. a L. n. 241) – da quello nel quale esso venga adoperato, nell’ambito di un procedimento amministrativo, per l’emanazione di un provvedimento. In tale ipotesi ne sarebbe consentita la visione, non divergendo il parere, nel contenuto e nelle finalità, da un qualsiasi altro atto endoprocedimentale (da ultimo Tar Sicilia, Catania, sez. II, n. 18/05, e C.d.S., sez. IV, n. 6200/03).

Ad avallare la validità della veduta regola dirimente, fondata sulla funzione concretamente assunta dal parere legale nell’occasione, si presta anche un preciso ed inequivocabile dato normativo: quello desumibile dagli artt. 2 e 4 del D.P.C.M. 200/96, recante il regolamento sull’accesso agli atti detenuti dall’Avvocatura dello Stato, il quale discrimina l’ostensione o meno dei pareri emessi dall’organo difensivo erariale, proprio sulla scorta di siffatto criterio.

Diversamente, per quanto concerne i consiglieri comunali, la particolare libertà d‘accesso alle informazioni stabilita a loro favore dall’art. 43 T.U.EE.LL. (v. infra), consentirebbe a questi ultimi di accedere alla suddetta tipologia di documenti in ogni caso, senza eccezioni di sorta (così C.d.S., sez. V, n. 2716/04, ma in senso contrario, dapprima, sez. V, n. 1893/01).

Diritto di accesso e privacy.- Vedremo di qui a poco come si è inteso contemperare, nell’intenzione del legislatore, siccome interpretata dalla giurisprudenza amministrativa, i contrapposti diritti alla c.d. privacy e all’ostensione degli atti riguardanti quest’ultima.

Non senza precisare sin d’ora che, secondo l’indirizzo ermeneutica maggioritario (C.d.S., sez. VI, n. 2542/02 e sez. V, n. 5873/03), la norma di cui all’art. 16 comma 2 L. 135/99 (ora confluita nell’art. 60 .d.lgs. 196/03, recante il Codice sul trattamento dei dati personali) - alla cui stregua i documenti contenenti dati c.d. "sensibili", relativi alla salute e alla vita sessuale dell’individuo, possono essere ostesi solo qualora il diritto da tutelare con l’accesso sia di rango almeno pari a quello dell’interessato - non risolve in astratto il conflitto tra l’interesse del terzo a conseguire l’accesso e quello alla riservatezza dell’interessato, ma consente all’Amministrazione che detiene i dati sensibili, ed in sostituzione al giudice amministrativo, di valutare in concreto ciascuna fattispecie al fine di stabilire se l’accesso sia necessario o meno per far valere o difendere un diritto almeno pari a quello dell’interessato.

Va, poi, chiarito che, in linea di massima, salvo quanto già detto in ordine ai dati attinenti alla sfera sanitaria e sessuale dei cittadini, l’accesso ai documenti amministrativi va sempre concesso, anche qualora concerna dati personali di terzi, siano essi sensibili o meno.

E ciò in quanto il legislatore, con il preciso intento di favorire la circolazione delle informazioni, da una parte, ha lasciato alla L. 241 il compito di disciplinare la visione di atti contenenti dati diversi da quelli sensibili e giudiziari (quindi ribadendo i soli limiti indicati nella legge suddetta: v. infra) e, dall’altra, ha espressamente annoverato l’accesso quale attività di rilevante interesse pubblico (art. 59 del Codice), ponendo – in tal modo - le condizioni per l’operatività della disciplina autorizzatoria, prevista in generale dal precedente art. 20 ("…Il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici e' consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalita' di rilevante interesse pubblico perseguite…").

Ricordando, peraltro, che per "dati sensibili" devono intendersi, a mente dell’art. 4 comma 1 lett. d) del Codice: "…i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonche' i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale…".

I limiti facoltativi.- In taluni casi è conferito alla p.a. detentrice di un documento amministrativo il potere di differirne temporalmente l’accesso, sulla scorta di una valutazione discrezionale dalla quale emerga che l’immediata ostensione sia potenzialmente idonea a compromettere l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa.

La norma va indubbiamente intepretata cum grano salis, onde evitarne abusi generalizzati di utilizzo, quale comodo escamotage per eludere l’obbligo di accesso.

In particolare, non potrà la p.a. opporre il temporaneo diniego di ostensione, motivandolo in base a problemi organizzativi interni all’ente che ne rendano difficoltoso l’esercizio (così C.d.S., sez. VI, n. 635/98).

Ipotesi di legittimo differimento possono individuarsi per quel che concerne:

a) atti afferenti a procedure concorsuali finalizzate all’assunzione di personale, fin quando non si siano ultimate le operazioni di correzione delle prove scritte (Tar Lazio, sez. III, n. 6127/02);

b) atti relativi ad operazioni di gara d’appalto, fin tanto che le medesime non si siano compiute (Tar Puglia, Bari, n. 3827/02), onde evitare turbative d’asta;

c) atti preliminari all’esercizio di attività ispettiva e di controllo (Tar Veneto, Sez. I, n. 2424/99), per non vanificare le risultanze della stessa, ad es. mediante attività di inquinamento probatorio.

§VI.- Modalità di esercizio del diritto di accesso.

In base al combinato disposto degli artt. 25 L. 241/90 e 3-4 d.p.r. 352/92 il diritto di accesso si esercita tramite esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi:

a) in via informale, mediante richiesta motivata, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione, competente a formare l'atto conclusivo di procedimento o a detenerlo stabilmente, indicando gli estremi del documento oggetto della richiesta, ovvero gli elementi che ne consentano l'individuazione e specificando l'interesse connesso all'oggetto della richiesta, facendo constatare la propria identità (art. 3 d.p.r. 352/92);

b) in via formale, tramite richiesta scritta e motivata (della quale l'ufficio è tenuto a rilasciare ricevuta), il cui contenuto minimo necessario comprende le stesse indicazioni viste sub lett. a), sia in quanto tale modalità sia preferita dal richiedente (e sono certamente le ipotesi più numerose), sia qualora non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell'interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite o sull'accessibilità del documento (art. 4 reg. cit.).

Sempre in base all’art. 4 la richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione è data comunicazione all'interessato.

Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni decorrenti dalla presentazione della richiesta all'ufficio competente.

Ove la richiesta sia irregolare o incompleta l'amministrazione, entro dieci giorni (ma il termine non è da considerarsi perentorio, sebbene meramente accelleratorio), è tenuta a darne tempestiva comunicazione al richiedente. Il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta perfezionata.

Responsabile del procedimento di accesso è il dirigente o, su designazione di questi, altro dipendente addetto all'unità organizzativa competente a formare l'atto od a detenerlo stabilmente.

L’accoglimento della richiesta di accesso è disciplinato dall’art. 5 d.p.r. cit. Trattasi di un nucleo minimo e fondamentale di disposizioni che ben possono essere ulteriormente ampliate e/o specificate – si badi bene, non derogate - dalle singole pp.aa., in occasione della stesura dei regolamenti attuativi di cui all’art. 22 comma 3 della L. n. 241.

Alla stregua della sopra citata norma l'atto di accoglimento della richiesta di accesso contiene l’indicazione:

a) dell'ufficio presso cui rivolgersi;

b) di un congruo periodo di tempo, comunque non inferiore a quindici giorni, per prendere visione dei documenti o per ottenerne copia.

E’ importante notare come l'accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporti, eccezion fatta per diversa volontà di legge o regolamentare - anche la facoltà di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento (sulla base di tale norma è stato, recentemente, dichiarato illegittimo un diniego di accesso a progetti ed elaborati grafici, richiamati in un verbale di seduta del consiglio comunale: v. C.d.S., sez. V, n. 185/05).

L'esame dei documenti avviene presso l'ufficio indicato nell'atto di accoglimento della richiesta, nelle ore di ufficio, alla presenza, ove necessaria, di personale addetto.

L'esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata. L'interessato può prendere appunti e trascrivere in tutto o in parte i documenti presi in visione.

La copia dei documenti è rilasciata subordinatamente al pagamento del solo costo di riproduzione xerografica e degli eventuali diritti di bollo, ricerca e visura, secondo le modalità determinate dalle singole amministrazioni. Su richiesta dell'interessato, le copie possono essere autenticate.

Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono disciplinati sempre dall’art. 25 L. cit., in combinato disposto con l’art. 7 d.p.r. 352/92 e debbono essere motivati. Anche in tal caso debbono ritenersi fatte salve le ulteriori disposizioni secundum legem emanate dalle singole pp.aa.

In particolare, la motivazione ostativa all’accesso (o al suo differimento e/o limitazione), si sostanzia nel riferimento specifico:

a) alla normativa vigente;

b) alla individuazione delle categorie di atti sottratti all’accesso in sede regolamentare;

c) alle circostanze di fatto per cui la richiesta non può essere accolta così come proposta.

L'atto che dispone il differimento dell'accesso deve indicarne la durata.

Con l’art. 8 della L. n. 150/2000, sulla comunicazione istituzionale degli enti pubblici, è stato dato notevole impulso agli uffici per le relazioni con il pubblico (u.r.p.), previsti dall’art. 11 d.lgs. 165/01, quali strumenti aventi il precipuo scopo di promuovere ed assicurare l’effettività del diritto di accesso.

Agli uu.rr.pp. deve essere assegnato personale con idonea qualificazione e con elevata capacità di avere contatti con il pubblico, eventualmente assicurato da apposita formazione.

I componenti dell’ufficio possono promuovere iniziative volte alla semplificazione e all'accelerazione delle procedure e all'incremento delle modalità di accesso informale alle informazioni in possesso dell'amministrazione e ai documenti amministrativi.

L'organo di vertice dell'ente verifica l'efficacia dell'applicazione delle iniziative di cui sopra, ai fini dell'inserimento della verifica positiva nel fascicolo personale del dipendente. Tale riconoscimento costituisce titolo autonomamente valutabile in concorsi pubblici e nella progressione di carriera del dipendente (art. 11 cit.).

§VII.- Il diniego di accesso e i rimedi del privato.

A mente dell’art. 25 comma 4 della legge sulla trasparenza amministrativa, l’inutile decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di accesso, determina il rigetto della domanda.

Trattasi di un’ipotesi di silenzio-significativo avente valore di provvedimento implicito di diniego.

A tale qualificazione del comportamento inerte della p.a. si è pervenuti solo con l’art. 15 della L. n. 340/2000, che ha sostituito il predetto comma della mentovata norma, laddove precedentemente la stessa parlava di silenzio-rifiuto, lasciando l’interprete incerto sul significato da attribuire all’atteggiamento omissivo dell’amministrazione (se, cioè, privo di valore legale tipico, ovvero con valenza di rigetto dell’istanza).

In caso di rifiuto, espresso o tacito, o di differimento, il richiedente può, nel termine di 30 gg dalla formazione del provvedimento implicito di rigetto, ovvero dalla comunicazione di quello esplicito (sempre di rifiuto):

a) presentare ricorso al t.a.r.;

b) chiedere al difensore civico competente che sia riesaminata la suddetta determinazione (trattasi di una facoltà introdotta, quale ulteriore novità dal predetto art. 15 L. n. 340/2000).

Nel caso sub lett. b), se quest’ultimo ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica a chi l'ha disposto, il quale ha ulteriori 30 gg. per confermare motivatamente il provvedimento originario. In mancanza, l'accesso è consentito.

Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al g.a., il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini.

Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto prima al difensore civico, il termine per l’impugnativa giurisdizionale decorre dalla data di comunicazione dell'esito dell’istanza.

In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.

E’ bene notare che la norma sulla tutela giustiziale or ora veduta, avendo carattere patentemente processuale, lungi dal rappresentare un rimedio esperibile nei soli casi di accesso disciplinato dalla L. n. 241/90, costituisce un rimedio a carattere generale per tutti i casi di denegato accesso agli atti amministrativi, anche se il relativo procedimento trovi una sua compiuta disciplina in altra legge precedente.

Inoltre, pure la pendenza di impugnativa giurisdizionale sul provvedimento finale (o di un altro atto infraprocedimentale prodromico all’emanazione di questo), di cui si è chiesto l’accesso, non osta al contestuale esercizio del rimedio giurisdizionale di cui all’art. 25 cit.

E ciò in quanto l’accesso agli atti della p.a. non è preordinato esclusivamente alla loro impugnazione innanzi al g.a., ma persegue anche più generiche finalità di trasparenza (C.d.S., sez. VI, ord. n. 1906/2000).

Va evidenziato che, per effetto dell’art. 4 comma 3 L. 205/2000, il ricorrente può, ora, stare in giudizio personalmente senza l'assistenza di un avvocato. Parimenti, l'amministrazione convenuta può essere difesa da un proprio dipendente, avente qualifica dirigenziale, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente (nell’ipotesi di Comuni il Sindaco, stante il disposto dell’art. 50 comma 2 d.lgs. 267/2000).

§VIII.- Natura giuridica del diritto di accesso.

Molto si è dibattuto in dottrina e giurisprudenza in ordine alla corretta qualificazione giuridica da assegnare al c.d. diritto di accesso.

Ed invero, benché la legge definisca lo stesso come tale, tout court, non v’è affatto unanimità di vedute sulla effettiva consistenza di siffatta posizione legittimante.

In breve – e solo per tener conto degli approdi più recenti sul tema – le tesi, al riguardo, sono essenzialmente due e, peraltro, assolutamente antitetiche.

Diritto di accesso come interesse legittimo.- Secondo la prima ricostruzione, portata avanti da una parte della giurisprudenza e consacrata nella decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (la n. 16/99), la posizione fatta valere dall’istante non può avere altra consistenza che di interesse legittimo. Ciò soprattutto per la fondamentale ragione che, ad onta del nomen iuris adoperato dal legislatore, quest’ultimo, all’art. 25 L. 241/90, ha inteso condizionare la tutela giustiziale preveduta dalla norma stessa al rispetto di un preciso e stringente termine, ritenuto perentorio (30 gg. dal provvedimento di rigetto), incompatibile con una diversa natura dell’interesse sotteso alla domanda di accesso.

Non si uscirebbe, pertanto, dal normale perimetro della generale giurisdizione di legittimità a carattere impugnatorio del g.a. (da ultimo, C.d.S., sez. V, n. 1969/04).

Da ciò ne discende, quale importante corollario, l’onere di notificare il ricorso avverso il provvedimento di diniego ai controinteressati individuabili (qualora logicamente ve ne siano: è il caso dell’ostensione di atti riguardanti terzi che abbiano un contrapposto interesse alla protezione dei propri dati personali), a pena di irricevibilità del ricorso stesso, ai sensi dell’art. 21 L. Tar, dovendosi la norma dell’art. 25 cit. integrare con la generale disciplina processuale prevista dalla citata legge.

Diritto di accesso come diritto soggettivo.- La pronuncia dell’Adunanza Plenaria non ha, peraltro, sopito l’indirizzo di chi ritiene che l’accesso ai documenti amministrativi si configuri quale vero e proprio diritto soggettivo perfetto, con conseguente natura esclusiva della relativa giurisdizione (C.d.S, sez. IV, nn. 4092/2000 e 2542/02).

Il ricorso avverso il diniego tenderebbe, allora, non già all’impugnazione nei termini decadenziali di un atto, quanto all’accertamento del diritto del richiedente all’accesso e il relativo potere si consumerebbe nell’ordinario termine prescrizionale (Tar Toscana, sez. I, n. 6266/04). Inoltre, la mancata notifica al contrinteressato non comporterebbe l’inammisibilità del ricorso, sibbene l’obbligo – su ordine del giudice, ai sensi dell’art. 102 c.p.c. - di integrare il contraddittorio, trattandosi di un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

§IX.- Diritto di accesso e atti di diritto privato.

Originariamente si escludeva la possibilità di accedere ad atti posti in essere da una p.a. nell’esercizio di un’attività retta dalle regole del diritto privato, anziché sottoposta al regime del diritto pubblico (C.d.S., sez. IV, n. 539/97).

Peraltro, datesi le oscillazioni giurisprudenziali originatesi medio tempore sul punto, è dovuta intervenire opportunamente l’Adunanza Plenaria a dirimere definitivamente la questione, la quale con le sentenze nn. 4 e 5 del 1999 ha optato per la tesi più permissiva, qualora l’attività privata debba comunque rispettare il canone dell’imparzialità e sia svolta per la cura di interessi pubblici.

E ciò sulla scorta della constatazione di come, sovente, l’ordinamento preveda il perseguimento di questi ultimi non più tramite moduli di stampo pubblicistico, quanto mediante modelli di natura privatistica.

Se non si consentisse l’accesso anche in questi casi ci si troverebbe sempre più spesso a denegare l’ostensione di atti che pure coinvolgono interessi superindividuali.

Nel solco di tale orientamento il g.a. (C.d.S., sez. VI, n. 7800/04 e Tar Lazio, sez. III ter, n. 80/04), ha riconosciuto l’assoggettabilità alla disciplina dell’accesso anche di enti che rivestono formalmente qualifica societaria, ogniqualvolta:

a) il capitale sociale sia a partecipazione pubblica maggioritaria o totalitaria;

b) siano perseguite finalità di interesse pubblico, indicate dalla legge;

c) siano gestiti fondi oggettivamente pubblici.

§X.- Il diritto di accesso nella legislazione degli enti locali territoriali.

Il T.U.EE.LL. contiene una specifica disposizione concernente l’accesso ai documenti amministrativi detenuti da Comuni e Province.

Recita, al riguardo, l’art. 10 del d.lgs. 267/2000, al primo comma: "Tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese".

Prosegue, poi, l’articolo in questione al secondo comma: "Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; individua, con norme di organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei procedimenti; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull'ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione".

La norma sembrerebbe non divergere significativamente dalla generale disciplina sul diritto di accesso prevista dalla L. n. 241 e testè veduta, se non fosse per quell’iniziale riferimento all’ambito oggettivo dell’actio ad exhibendum ("tutti gli atti dell’amministrazione comunale…sono pubblici…").

Taluni – confortati anche da certa giurisprudenza di merito (Tar Marche, n. 1133/01) - hanno voluto vedere nel tenore letterale dell’art. 10 un’estensione del perimetro sia oggettivo che soggettivo del diritto di accesso concernente gli atti comunali, nel senso di legittimare la visione di tali documenti a prescindere da un preciso interesse qualificato e differenziato in capo al richiedente (quantomeno se cittadino di quel comune), e comprendente il complesso indiscriminato degli atti medesimi, quasi a consentire quel controllo generalizzato che abbiamo visto escluso dalla L. n. 241.

Tre recenti pronunce della V sezione del Consiglio di Stato, hanno, però, riportato sui corretti binari ermeneutici la norma de qua chiarendo che l’accesso in questione non si differenzia in nulla e per nulla da quello ordinario, ripresentandone i medesimi presupposti applicativi (cfr. sent. nn. 1969, 6879 e 7773 del 2004).

§XI.- Le novità normative di imminente introduzione sulla disciplina del diritto di accesso.

Con il d.d.l. n. 3890/B, approvato definitivamente alla Camera il 26 gennaio scorso e di imminente entrata in vigore, una volta pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, sono state approntati radicali interventi di modifica alla L. n. 241/90.

Si tratta della prima modifica organica dell’originario impianto normativo della legge sulla trasparenza amministrativa, riguardante anche le regole sull’accesso.

Alcune delle modifiche, tuttavia, altro non sono che la traduzione in norma cogente di principi giurisprudenziali oramai assodati e già veduti in precedenza, a testimonianza – se ve ne fosse bisogno - della grande importanza che riveste il diritto pretorio in campo amministrativo.

Brevemente, le principali innovazioni possono così riassumersi:

a) l’ammissione esplicita e generale dell’accesso agli atti privati della p.a. mediante la loro qualificazione quali documenti amministrativi, in quanto posti in essere nell’ambito di un’attività di pubblico interesse (art. 22 comma 1 lett. d nuova formulaz.);

b) tendenziale ammissibilità dell’accesso agli atti degli enti privati per quanto concerne l’attività di pubblico interesse da questi svolta (art. 22 comma 1 lett. e);

c) espressa limitazione temporale del diritto in questione, coincidente con la durata dell’obbligo di custodia dei documenti ostensibili, di volta in volta posto a carico della p.a. da altre leggi e/o regolamenti;

d) ampliamento dei limiti tassativi e legali all’accesso comprendenti, ora, anche i documenti contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi, nei procedimenti selettivi e l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro (art. 24 nuova formulazione);

e) inderogabilità della disciplina di cui agli artt. 22 e ss. da parte delle Regioni a statuto ordinario tramite espressa qualificazione ed inclusione di tali norme, in quanto concorrenti all’assicurazione di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

Per converso, sul versante della tutela amministrativa e giudiziale, in base al nuovo art. 25, le principali innovazioni riguardano, in estrema sintesi:

a) l’assunzione a carico della Commissione d’accesso ex art. 27 del compito già intestato in capo al difensore civico e innanzi visto di cui all’art. 25, per le amministrazioni dello Stato;

b) un più articolato procedimento in contraddittorio tra Commissione (ovvero difensore civico), richiedente e p.a. in ipotesi di contestazione del diniego (o del differimento) dell’accesso per la valutazione della legittimità del provvedimento, con obbligo di acquisire il previo parere del Garante per la privacy per quanto concerne l’accesso ad atti riguardanti i dati personali di terzi.

§XII.- La sentenza del Tar Pescara.

La decisione del Tar Abruzzo, sintetizzata in massima, si segnala per aggiungere un ulteriore tassello al mosaico afferente l’esatta ampiezza del diritto dei singoli consiglieri comunali all’ostensione degli atti formati, o comunque detenuti, dall’amministrazione presso cui sono stati eletti.

Tema di una certa attualità se si considera che, dall’analisi della casistica giudiziaria anche recente, emerge un certo grado di "insofferenza" dell’organo esecutivo comunale (e, in particolar modo, del sindaco), a consentire una completa e trasparente visione del proprio operato da parte dei titolari della funzione di indirizzo e controllo politico, intolleranza testimoniata dal nutrito contenzioso pendente in subiecta materia innanzi alla giustizia amministrativa, peraltro pressocchè totalmente orientata a favorire l’accoglimento dell’actio ad exhibendum di matrice consiliare.

Al riguardo, la sentenza del Collegio pescarese, pur ponendosi nel solco di autorevoli precedenti giurisprudenziali – tra i quali vengono richiamati, in parte motiva, sia la decisione della V Sezione del Consiglio di Stato n. 2716 del 4 maggio dello scorso anno, sia quella del Tar Sardegna, n. 1782 del successivo 30 novembre – chiarisce, per la prima volta, che il suddetto diritto di accesso non è condizionato, nella sua estensione, dai connotati temporali dell’atto da ostendersi. Ed invero, sia che quest’ultimo sia stato emanato antecedentemente all’investitura nella carica, sia (a fortiori) successivamente, ciò che importa, ai fini di legittimarne la visione, è che il documento risulti utile all’espletamento delle funzioni, latu sensu intese, riconnesse al mandato consiliare.

La vicenda – Un consigliere di un comune del chietino presenta, nella suesposta qualità, una pluralità di istanze, suddivise per gruppi di materie di interesse, volte ad ottenere l’accesso al registro protocollo della prefata amministrazione, onde poter espletare il mandato connesso alla carica rivestita nelle materie suddette.

Il sindaco, però, nega sostanzialmente l’ostensione agli atti richiesti, in ragione del divisato carattere non generalizzato nè indiscriminato del diritto in parola, tale da non potersi sostanziare che nella previa identificazione degli oggetti che rientrano nella propria sfera d’interessi, nella specie del tutto mancante. A parere del massimo rappresentante dell’ente locale, infatti, le richieste dei consiglieri, per essere ammissibili, dovrebbero essere formulate per singolo argomento e gradate in numero e maniera tale da non intralciare il normale funzionamento degli uffici.

Per altro verso, il comune motiva il proprio rifiuto, sostenendo, altresì, l’insussistenza del diritto all’accesso per quanto concerne i documenti formati anteriormente all’assunzione della carica di consigliere da parte dell’istante, posto che risulta indimostrato – tra l’altro - uno specifico interesse collegato con l’attività svolta dall’ente nel periodo corrispondente al mandato del richiedente.

Per nulla convinto delle argomentazioni addotte dall’amministrazione in sede di diniego, il predetto consigliere, ritenute lese le prerogative pubblicistiche afferenti al munus esercitato, evoca l’intervento del giudice amministrativo per vedersi riconosciuto finalmente il diritto all’esibizione del tanto sospirato registro di protocollo.

Il contenuto della sentenza.- Come si evince dalla massima su riportata, con la decisione n. 1100, adottata alla fine dello scorso anno, la Corte territoriale ha accolto le ragioni al ricorrente, stabilendo - per quel che qui interessa – che il diritto di accesso ai documenti amministrativi da parte dei singoli consiglieri comunali, siccome riconosciuto dall’art. 43 comma 2 del T.U.EE.LL., non è circoscrivibile temporalmente in ragione del periodo di vigenza del mandato consiliare. La sentenza prende le mosse dalla semplice (ma non per questo meno incisiva) considerazione che l’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo politico intestate, alla stregua dell’art. 42 comma 1 T.U. cit., all’organo consiliare (e, di riflesso, ai singoli consiglieri comunali), risulta intimamente correlato alla vita amministrativa dell’ente locale che, per il principio di continuità dell’azione amministrativa, posto a cardine dell’intero sistema di gestione della cosa pubblica nel nostro ordinamento, non si interrompe di certo ad ogni legislatura, né sono limitati alla durata di quest’ultima gli effetti degli atti consiliari e, dunque, dei singoli consiglieri comunali.

Proseguendo il discorso, il Collegio adito sottolinea come, alla luce di tale constatazione, non sia revocabile in dubbio l’utilità, all’espletamento del suddetto mandato, dell’ostensione anche di atti risalenti nel tempo ed afferenti a periodo temporali non coincidenti con quello di durata dello stesso e tanto basta a conferire dignità di tutela alla richiesta di accesso a documenti formati precedentemente all’investitura del consigliere nella carica.

L’art. 43 comma 2 D.Lgs. 267/2000 e la distinzione con il diritto di accesso – In generale, è a dirsi come la prerogativa che ne occupa sia disciplinata dalla norma in rubrica, secondo cui "…i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonchè dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge…".

La formulazione letterale dell’articolo evidenzia almeno tre peculiarità rispetto al diritto di accesso genericamente inteso, siccome regolato dagli artt. 22 e ss. della legge sulla trasparenza amministrativa (L. n. 241/90), nel cui novero pure si inquadra la potestà in questione.

La prima è che oggetto dell’accesso sono non solo i documenti amministrativi perfettamente formati o detenuti dall’amministrazione, nell’accezione adoperata dal comma 2 della mentovata norma (…è considerato documento amministrativo ogni rappresentazione…del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pp.aa. o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa…"), sibbene anche le mere notizie ed informazioni che risultino utilizzate nell’ambito di un procedimento amministrativo.

La precisazione è importante perché permette di ampliare, in favore del consigliere comunale, i tradizionali limiti di accessibilità agli atti della p.a. da parte dei singoli cittadini, individuati – per un verso - nella inostensibilità degli atti infraprocedimentali preordinati all’emanazione di provvedimenti normativi (es., regolamenti comunali), amministrativi generali (es., bandi di gara), nonché pianificatori, programmatori e tributari (es., p.r.g., ovvero delibera giuntale di aumento dell’aliquota I.C.I.), secondo quanto disposto dall’art. 24 comma 6 L. 241/90 (che richiama, a sua volta, l’art. 13 L. cit.: cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 426/98). Altro ostacolo all’accesso, intrinsecamente ricollegabile alla veduta nozione di documento amministrativo - ma che non parrebbe tangere i componenti l’organo consiliare, alla luce di quanto testè chiarito – è quello relativo a dati e/o notizie non già consacrati in atti preesistenti e sufficientemente individuati, bensì afferenti allo stato di un procedimento o sul nome del relativo responsabile, ovvero finalizzati a promuovere la formazione di nuovi documenti contenenti le informazioni richieste (cfr. C.G.A.R.S. n. 336/2000).

La seconda caratteristica che contraddistingue il surriferito potere consiliare rispetto al diritto di accesso di cui alla L. n. 241/90, va individuata nella facoltà del consigliere comunale di visionare tutti gli atti dell’amministrazione, a prescindere dalla dimostrazione di un concreto e personale interesse relativo alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti - come diversamente imposto, in via generale, dagli artt. 22 L. cit., nonché 2-4 D.P.R. 352/92 (recante il regolamento di attuazione del diritto di accesso) - risultando sufficiente allo scopo la mera connessione dell’atto da esibirsi con le funzioni attinenti alla carica ricoperta.

Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza, infatti, dal contenuto dell’art. 43 comma 2 del T.U.EE.LL., si ricava agevolmente che i consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato, senza alcuna limitazione, risultando bastevole, al riguardo, far riferimento, nella richiesta, a tale giustificazione per ritenersi quest’ultima congruamente motivata, sì da non poter essere disattesa dall’amministrazione. E ciò in ragione della divisata valenza ampliativa (e non già limitante) del termine "utili" contenuto nella norma in oggetto (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 2716/04, richiamata anche nella parte motiva della sentenza in commento).

La terza (ed ultima) peculiarità che si ravvisa nella potestà in questione sta nella sua insensibilità all’esigenza di tutela della riservatezza di terzi, che pure condiziona in vario modo il diritto di accesso ai documenti amministrativi, generalmente inteso, soprattutto all’alba dell’entrata in vigore della legge sulla c.d. privacy (L. 675/96 e succ. mod. ed int., poi confluita nel T.U. di cui al D.Lgs. 196/03).

Come abbiamo già accennato in precedenza, invero, ai sensi dell’art. 24 commi 2 lett. d) e 4 L. 241/90, le pp.aa. (tra cui i comuni) hanno l’obbligo di indicare, con apposito regolamento, le categorie di atti sottratti all’accesso per la tutela dell’interesse (tra l’altro) della riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, con la sola esclusione della mera ostensione, peraltro senza estrazione di copia, degli atti la cui conoscenza sia indispensabile per ragioni sostanzialmente di giustizia.

A sua volta, l’art. 8 comma 4 lett. d) D.P.R. 352/92 conferisce più tangibile contenuto a tale esigenza, individuandola negli aspetti riconnessi al "…la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono…".

Al riguardo, è noto il dibattito insorto, anche recentemente, sia in dottrina che in giurisprudenza in ordine al rapporto intercorrente tra il diritto alla privacy (soprattutto per quanto concerne i dati c.d. "sensibili", protetti dal T.U. n. 196/03) e quello all’esibizione degli atti amministrativi che tali informazione contengano. Problema – peraltro - di non facile soluzione, essendo tali diritti diretta manifestazione (ovvero il logico corollario), di interessi aventi pari rango costituzionale.

Non è chi non veda, infatti, come il diritto alla riservatezza sia annoverabile tra quelli c.d. "personalissimi" che trovano la loro fonte primaria nell’art. 2 Cost., laddove il diritto d’accesso ai documenti della p.a. rappresenta la più immanente espressione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa (intesa quale immediata controllabilità dell’operato dei pubblici poteri, mediante partecipazione democratica ai processi decisionali loro intestati), preordinata, per un verso, a garantire il buon andamento e l’imparzialità dell’attività stessa (art. 97 Cost.) e, per un altro, nella fase patologica, ad assicurare l’adeguata difesa in giudizio dei diritti e degli interessi dei cittadini lesi dal suo cattivo governo (art. 24 Cost.).

Orbene, tale problematica – risolta variamente nel senso, talora, di prevalenza dell’esigenze di riservatezza rispetto a quella di tutela in sede giudiziaria, soprattutto per quanto concerne informazioni attinenti allo stato di salute di un individuo, stante il disposto dell’art. 60 D.Lgs 196/03 ("…il trattamento è consentito (solo: n.d.r.) se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso…è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato…": cfr. C.d.S., Sez. V, .n. 4002/03), talaltra, di recesso della prima di fronte alla seconda (ed è la casistica più abbondante: cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, n. 1923/03) – appare di per sé non rilevante in sede di accesso ex art. 43 T.U.EE.LL.

Rammenta, infatti, la norma in esame che i consiglieri comunali sono tenuti al segreto d’ufficio nei casi previsti dalla legge, in guisa da escludersi a priori quel pericolo di diffusione di informazioni riservate, potenzialmente riconnesso alla conoscenza delle stesse da parte di chi a tale segreto, al contrario, non risulta vincolato (recte i privati cittadini: cfr. C.d.S. n. 2716/04 cit. nonché Sez. V, n. 7900/04). Ciò che, unitamente alla constatazione circa l’assenza di una espressa previsione in proposito in seno al predetto comma, depone nel senso di ritenere perfettamente ammissibile l’accesso anche al protocollo riservato del sindaco (così Tar Sardegna, Sez. II, n. 1782/04).

Tale decisione, per inciso, si segnala anche per fugare ogni dubbio in ordine alla facoltà del consigliere di agire in giudizio, ex art. 25 L. 241/90, personalmente, così come della possibilità per l’amministrazione di difendersi, nel medesimo processo, tramite propri funzionari, senza l’assistenza di un avvocato, stante la sicura applicabilità al caso di specie dell’art. 4 comma 3 L. 205/2000, in ragione dell’assoluta omogeneità delle regole processuali afferenti ad entrambe le tipologie di accesso.

Osservazioni conclusive – Dalla nutrita giurisprudenza testè esaminata emerge un dato incontrovertibile, di cui non potranno non tener conto gli amministratori locali allorquando si presenti l’occasione di provvedere in ordine ad istanze di tal fatta: l’obbligo di circoscrivere il giudizio sull’ammissibilità della domanda di accesso esclusivamente con riguardo all’effettiva correlazione dell’atto da ostendersi rispetto alle tipiche funzioni svolte dai consiglieri comunali, senza pretendersi ulteriori spiegazioni in ordine alle ragioni della richiesta.

Valido criterio di verifica, al riguardo, può individuarsi nella norma che stabilisce i poteri del consiglio comunale e, di riflesso, dei singoli componenti l’organo collegiale (art. 42 D.Lgs. 267/2000). In tale ottica, la considerazione circa il ruolo di "controllore" politico assegnato a questi ultimi, dovrebbe far propendere per una lettura estensiva dell’art. 43 comma 2 cit., apparendo evidente come, per un verso, l’acquisizione delle notizie si riveli indispensabile all’esercizio delle prerogative riconnesse alla carica e, per un altro, che siffatto ufficio, per sua stessa natura, si svolge nei confronti dei più disparati ambiti della vita amministrativa dell’ente locale.

Non senza rammentare, infine, che – in ipotesi di denegata visione degli atti - il sindaco ben può essere ritenuto responsabile del danno erariale, consistito nella condanna alle spese del relativo giudizio, stante la gravità della colpa insita nella violazione dell’inequivoco tenore letterale della sopra citata disposizione (in tal senso, C. Conti, Sez. giur. Umbria, n. 284/97).


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico