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Articoli e note

 

LORENZO IEVA
(Dottorando di ricerca in diritto pubblico dell’economia
presso l’Università degli Studi di Bari)

Valutazioni tecniche e decisioni amministrative

(La c. d. discrezionalità tecnica dopo la decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, del 9 aprile 1999 n. 601 e la legge n. 205 del 2000 in materia di giustizia amministrativa).

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SOMMARIO: 1.- Premessa: tecnica e amministrazione nell’azione della pubblica amministrazione contemporanea.  2.- Il valore delle discipline tecnico-specialistiche. 3.-  La tecnica nelle diverse tipologie di attività amministrativa. 4.- La sindacabilità della discrezionalità tecnica a seguito della decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 1999 n. 601. 5.- La consulenza tecnica nel processo amministrativo prevista dalla legge n. 205 del 2000. 6.- Conclusioni.

1.– Premessa: tecnica e amministrazione nell’azione della pubblica amministrazione contemporanea.

     La relazione che intercorre tra le c. d. “discipline tecniche e specialistiche” e la c. d. “discrezionalità” della pubblica amministrazione costituisce, da sempre, uno dei punti più problematici della dogmatica del diritto amministrativo, che ha posto a dura prova la riflessione teorica spesso in difficoltà nel definire con precisione in che modo vada a collocarsi la conoscenza tecnica nell’ambito dell’esercizio delle potestà decisionali della P. A.[1].

     La questione si ripropone oggi con una carica di significati molto più ampia rispetto al passato, proprio per la presenza diffusa del potere pubblico in contesti dominati dalle regole tecniche[2].

     Prima di addentrarci specificamente nell’analisi sulle implicazioni che la tecnica determina sull’esercizio del potere pubblico, appare opportuno partire da alcune considerazioni preliminari di ordine generale riguardanti i caratteri peculiari dell’attività amministrativa.

     L’azione della pubblica amministrazione, secondo l’insegnamento tradizionale, si sostanzia nella cura concreta degli interessi pubblici, selezionati dalla legge ed affidati da questa ad un prefissato centro di potere pubblico, per cui si suole dire che essa costituisca attività pratica.[3]

     Il soggetto pubblico preposto al perseguimento di un certo interesse pubblico, nell’osservanza della relativa causa attributiva del potere, deve agire osservando i contenuti ed i confini stabiliti dalla legge (c. d. principio di legalità) ed operare nel modo ritenuto come migliore possibile alla stregua dei criteri di adeguatezza, di convenienza e di opportunità (c. d. merito amministrativo)[4].

     Pertanto, l’operatore pubblico – al quale sono specificamente conferite potestà speciali in grado di imporre la volontà dello Stato (o di altro ente pubblico) in modo imperativo ed unilaterale su quella dei destinatari amministrati – è investito di ampie facoltà decisionali, in relazione all’assetto da attribuire agli interessi (pubblici, diffusi, privati) coinvolti nell’azione amministrativa.

     E’ evidente, quindi, che l’ente pubblico debba effettuare – per non trascendere nell’illegittimo – una esatta acquisizione e una ponderata valutazione degli elementi (materiali ed immateriali) rilevanti nel caso di specie.

     Naturalmente, ogni disciplina di settore, di norma, indica quali debbano o possano essere i fattori da considerare, ma in altri casi viene preponderatamente affidato al prudente apprezzamento del soggetto incaricato dell’istruttoria (e/o della decisione) il compito di cercare e di evidenziare gli elementi necessari ed utili alla realizzazione della fattispecie disegnata dal legislatore.

     In ogni caso, va detto che una fondamentale distinzione dell’azione amministrativa e quella che separa l’attività discrezionale da quella vincolata.   Quest’ultima, invero, trova tutti gli elementi da acquisire e da valutare, ai fini di una decisione amministrativa, come prefigurati rigidamente ed esaustivamente dalla legge, di modo che l’autorità amministrativa è chiamata a svolgere solo una semplice verifica tra quanto ipotizzato dalla legge e quanto presente nella realtà, sicché il modus procedendi è quasi meccanico e dall’esito certo.   Molto spesso gli atti vincolati (c. d. accertamenti costitutivi[5]) implicano l’applicazione di conoscenze tecniche, in questi casi la norma attributiva del potere fa discendere, automaticamente, da un accertamento fattuale tecnico una predeterminata ed irrefutabile conseguenza giuridica.

     Diversamente, quando la legge lascia all’autorità amministrativa un certo margine di apprezzamento in ordine a taluni aspetti (an, quid, quomodo, quando) della decisione da assumere, si parla di discrezionalità amministrativa.   In pratica, talora la legge – essendo peraltro, per definizione, generale ed astratta – non riesce a contemplare e, quindi, a regolare ogni particolare ipotesi o aspetto o peculiare interesse, bensì si limita a prefigurare gli aspetti essenziali della fattispecie e dell’esercizio della potestà pubblica, rimettendo poi all’autorità amministrativa le ulteriori valutazioni correlate ai profili o agli interessi particolari del caso[6].

     La discrezionalità, quindi, presuppone l’attribuzione di uno spazio decisionale libero all’autorità amministrativa, la quale riempie di contenuto la fattispecie, rispettando i confini fissati dalle disposizioni di legge e ispirandosi ai criteri di buona amministrazione (art. 97 Cost.).   Si suole dire che il potere discrezionale si risolva in una: “ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine ad un interesse primario.   Gli interessi secondari da ponderare sono pubblici, collettivi e privati […] l’interesse primario è sempre un interesse pubblico”[7].   Quindi, la discrezionalità costituisce: “il margine di apprezzamento che la legge lascia alla determinazione dell’autorità amministrativa”[8].   In sostanza, può dirsi che la discrezionalità, pur nel rispetto della legge, sia: “l’agire libero della pubblica amministrazione quando si pone come autorità”[9], sempreché (ovviamente) non sussista un’ipotesi di attività vincolata.

     In definitiva, il pubblico potere – dopo aver acquisito e valutato attentamente i dati necessari ed utili (c. d. elemento cognitivo-valutativo) – può scegliere (c. d. elemento volitivo) tra più comportamenti (tutti in astratto egualmente possibili e giuridicamente consentiti) quello maggiormente conforme (per opportunità, adeguatezza o convenienza) alla dimensione degli eterogenei interessi concretamente coinvolti, nell’ottica del perseguimento dell’interesse pubblico (prevalente)[10].

     Pertanto, il potere discrezionale, attribuito all’autorità amministrativa, svolge la funzione di adattare le previsioni astratte della legge alla realtà effettiva, in corrispondenza della necessità di tutelare gli interessi dei cittadini coinvolti nel procedimento amministrativo fin dove è possibile e con l’obiettivo primario di curare concretamente un certo interesse pubblico, in modo tale da “ottimizzare” l’attività pubblica, realizzando il massimo soddisfacimento dell’interesse pubblico primario con il minor sacrificio possibile degli interessi (pubblici e privati) secondari[11].

     Una particolare forma di discrezionalità è la c. d. discrezionalità tecnica[12] la quale si caratterizza, per l’appunto, per la cognizione ed applicazione di discipline specialistiche dei più diversi settori del sapere umano (a seconda dei casi) e per l’assenza di scelte (in senso proprio).   Segnatamente la decisione amministrativa è in funzione del perseguimento di un interesse pubblico, direttamente qualificato dalla legge, che presuppone una valutazione eminentemente tecnica e giammai una scelta (tra più interessi).   In sostanza, è presente solo il momento cognitivo-valutativo e non quello volitivo; quest’ultimo, invero, appare essere qualificato dalla stessa legge, nel momento in cui essa richiede un accertamento tecnico e da questo fa discendere una chiara conseguenza giuridica, senza ulteriori intermediazioni dell’autorità amministrativa[13].   Diversamente, nell’ulteriore ipotesi di presenza, nella potestà pubblica, del profilo della valutazione tecnica accompagnato da un diverso (e temporalmente successivo) profilo volitivo discrezionale, appare più corretto parlare di discrezionalità mista (o complessa), poiché in tal caso discrezionalità e tecnica vivono in simbiosi sull’unico tronco del potere amministrativo, ma sono pur sempre logicamente separabili.   In sostanza, l’acclaramento tecnico viene doppiato, per così dire, da un successivo momento discrezionale, poiché la legge in tal caso ha ritenuto utile far seguire, alla conoscenza tecnica dei fatti in evidenza, una decisione discrezionale (amministrativa) dell’autorità pubblica.

     Le conoscenze tecniche, come già detto, attualmente occupano una posizione centrale per la disciplina delle relazioni umane in tutti i settori e, quindi, assume una certa importanza anche per il diritto – soprattutto per quello pubblico ed amministrativo, ove sono coinvolti interessi pubblici, talora rilevanti e di notevole importanza per la collettività – riuscire a stabilire quale sia l’influenza che esse dispiegano sull’esercizio del potere.   Correlativamente, appare necessario considerare, con maggiore attenzione rispetto al passato, quali siano le esatte conseguenze che le applicazioni scorrette delle cognizioni tecniche determinano, anche nella chiave della tutela effettiva delle posizioni giuridiche soggettive dei cittadini, che la Costituzione garantisce pienamente anche nei confronti degli atti della P. A. (art. 24, 1° co., e art. 113, Cost.)[14].

     Secondo l’impostazione tradizionale, la discrezionalità amministrativa e quella tecnica vengono poste sullo stesso piano quanto a possibilità di tutela; ciò che muta è soltanto la tipologia di cognizione degli elementi di base, i quali, nel secondo caso, si contraddistinguono propriamente per appartenere alle discipline tecniche[15].   La considerazione di dati tecnici implica, evidentemente, un’operazione, più o meno complessa, di applicazione di un sapere specialistico, che presuppone la esatta conoscenza dei principi e dei contenuti della stessa materia tecnica di specie, onde realizzare una fedele rappresentazione e valutazione della realtà analizzata, con metodo scientifico, adoperando parametri universalmente accettati dai professionisti del campo specialistico che, di volta in volta, viene in evidenza.

     Stando così le cose, l’assunto tradizionale che vuole ricondurre, pure ac simpliciter, l’attività valutativa tecnica alla c. d. discrezionalità amministrativa appare senz’altro erronea e basata su un equivoco di fondo: l’assimilazione della opinabilità di alcune proposizioni scientifiche, che determinerebbero taluni esiti incerti, all’incertezza e variabilità consustanziale delle scelte insite nella discrezionalità.   Al contrario – come si vedrà meglio nel prosieguo – il ricorso alle cognizioni tecniche viene effettuato dal legislatore per attingere maggiori certezze derivanti dall’utilizzo di regolarità ontologiche, di probabilità, statistiche o basate su un’accurata e scientifica riflessione teorica[16], piuttosto che affidare tutto alla mera scelta dell’operatore pubblico (ispirata da non meglio precisate regole di buona amministrazione).

     Segnatamente, la discrezionalità amministrativa è, per così dire, di tipo intuitivo e particolare e confina con la valutazione politica; mentre, la discrezionalità tecnica è rigorosa e generale ovverosia poggia su assunti teoricamente o sperimentalmente comprovati e generalizzati.

    Per detti motivi, dunque, può anche dirsi che l’utilizzo delle discipline tecnico-specialistiche conferisca una maggiore trasparenza ed imparzialità all’azione dei pubblici poteri[17], nel momento in cui diviene possibile per il cittadino desumere, con un certo grado di approssimazione, quale sarà l’esito dell’esercizio di un data potestà pubblica, collegata a valutazioni tecniche, che lo riguardi da vicino[18].

     D’altro canto, il potere discrezionale ha la funzione di rendere concreto il dettato astratto della legge, in modo tale da modellare, con la necessaria duttilità, il dispiegarsi dell’azione amministrativa alle particolarità del caso singolo, nell’ottica della tutela dell’interesse pubblico inteso anche come interesse della collettività.   Dunque, l’utilizzo del potere tecnico-discrezionale in luogo di quello discrezionale puro contribuisce a conferire maggiore certezza all’assetto dei rapporti tra cittadini ed Amministrazione, i quali possono ben essere regolati anche sulla base delle regole più rigide derivanti dalle conoscenze tecniche[19].

     A questo punto, va detto che l’utilizzo delle norme tecniche – fin dove teoricamente possibile e praticamente utile – deve essere (e nella legislazione più recente effettivamente lo è) preferito rispetto alla semplice attribuzione di discrezionalità amministrativa pura all’autorità pubblica.   Difatti, attualmente la tecnica riesce a spiegare molte manifestazioni dell’universo umano, che prima non era in grado di spiegare e, quindi, appare corretto un sempre maggiore ricorso a siffatte regole scientifiche, che, peraltro, molto probabilmente vengono applicate comunque, anche se non espressamente richiamate, dai centri decisionali pubblici, per il rigore e la forza intrinseca delle spiegazioni causali che queste forniscono, al punto che pare arbitrario disattenderle.

 

2. – Il valore delle discipline tecnico-specialistiche.

     La tecnica – va subito ribadito – costituisce un fattore importante di crescita economico e culturale di qualsiasi società[20] e il suo continuo sviluppo rivela una consistente capacità di innovare schemi e conoscenze consolidate, al punto tale da porre in discussione qualsiasi certezza raggiunta.

     Gli ordinamenti giuridici risentono fortemente dell’irrompere delle conoscenze tecniche e, sempre più spesso, diverse disposizioni di legge fanno riferimento esplicitamente (o implicitamente) alle regole della tecnica e del sapere proprio di altre scienze, al fine di trarne gli elementi utili per comporre gli interessi coinvolti nella fattispecie concreta disciplinata.

     Pertanto, l’interprete del diritto viene chiamato a misurarsi con conoscenze delle quali non possiede una solida padronanza e, tuttavia, non può esimersi da siffatto confronto[21].

     Tale assunto mostra tutta la problematicità insita nelle questioni che riguardano, più o meno da vicino, le scienze specialistiche, nonché la facilità con la quale si può incorrere in equivoci.

     Ai nostri fini, va chiarito che le discipline specialistiche possono presentare diverse caratteristiche, in ragione della maturazione delle conoscenze acquisite, dello stadio di sviluppo raggiunto da queste o per la stessa caratteristica degli elementi di fondo su cui si basano[22].

     Una classica e collaudata suddivisione delle scienze – che peraltro risulta relativamente utile ai fini del ragionamento giuridico – è quella che distingue le c. d. scienze esatte (matematica, fisica, chimica, etc.) da quelle sociali o inesatte (economia, sociologia, psicologia, letteratura, arte, etc.).    Naturalmente vi sono anche situazioni, per così dire, di confine dove non appare molto chiara la ricomprensione di un dato sapere nell’una o nell’altra categoria[23].

      Mentre, le c. d. scienze esatte sono connotate da un elevato grado di precisione, al punto che di solito esprimono ‘certezze’ non discutibili e ‘universalità’ dei risultati, le c. d. scienze inesatte sono contraddistinte dalla ‘opinabilità’ delle conclusioni a cui pervengono talune analisi.   Può anche dirsi che le prime darebbero luogo a risultati oggettivi, invece le seconde a risultati soggettivi.   In ogni caso, da siffatta distinzione non si deve ricavare, in alcun modo, una incontrovertibile regola di chiusura in grado di orientare l’interprete con sicurezza.

     Sulla scorta di tali rilievi, peraltro, parte della dottrina[24] ha ricavato la distinzione tra accertamento tecnico e discrezionalità tecnica.   Mentre quest’ultima si caratterizzerebbe per la variabilità dei risultati cui può pervenire (poiché vengono utilizzate nozioni proprie delle c. d. scienze inesatte), l’accertamento tecnico si baserebbe su fatti verificabili in modo indubbio perché fondati su conoscenze e su strumenti tecnici di sicura acquisizione (c. d. scienze esatte).

     Siffatta tesi appare oggi superata, soltanto ove si consideri come le stesse scienze esatte, alla luce di successive scoperte, abbiano rivelato la fallibilità di talune leggi ritenute fino a poco tempo prima assolutamente esatte e, poi, dimostratesi (in via sperimentale o in via astratta deduttiva o induttiva) erronee (o perlomeno imprecise)[25], mentre, al contrario, talune scienze umane o sociali (economia, sociologia, psicologia, etc.) riescono ad elaborare leggi causali assolutamente regolari e costanti che spiegano con precisione i fenomeni umani[26].

     Tutto ciò sta a significare che qualora si debba fare riferimento alle discipline specialistiche non è possibile ritenere apoditticamente la validità assoluta di alcune e la fallibilità di altre, mentre si dovrà più correttamente effettuare una ponderata valutazione, caso per caso, a seconda della natura della regola tecnica che viene in considerazione e del suo collocarsi nel contesto della decisione amministrativa da assumersi.

     Semmai è possibile distinguere – indipendentemente dalla tipologia di scienza presa in considerazione – regole tecniche la cui applicazione consente di pervenire a risultati verosimili e regole tecniche in grado di fornire soltanto risultati plausibili (più o meno probabili).

     In ultima analisi, va ribadito come le conoscenze tecniche tendano ad imporsi all’attenzione dell’operatore pubblico, il quale, con maggiore frequenza rispetto al passato, viene chiamato ad effettuare una corretta applicazione delle stesse in seno alle varie fattispecie giuridicamente regolate, sicché si pone la necessità di operare corrette valutazioni.

 

3. – La tecnica nelle diverse tipologie di attività amministrativa.

     Come ben risulta alla comune esperienza dell’interprete, le discipline tecniche e specialistiche ineriscono a tutte le diverse manifestazioni delle potestà pubbliche[27]ovverosia a tutte le varie tipologie di decisione amministrativa.

     Più specificamente, le conoscenze tecniche sono sovente richiamate dalle fonti normative (legge, altri atti aventi forza di legge e regolamenti) per integrare (o costituire da sole) la disciplina di tutte le classiche tipologie di funzione amministrativa: 1) attiva; 2) consultiva; 3) di controllo; 4) tutoria.

     In sostanza, i valori che la tecnica esprime può connotare significativamente l’esercizio di una certa attività amministrativa preordinata alla cura di un certo interesse pubblico, oppure potrà inerire allo svolgimento dell’attività consultiva o di controllo, o ancora caratterizzare le funzioni delle autorità indipendenti.

     Con riguardo alla c. d. amministrazione attiva, le valutazioni tecniche possono riguardare i più diversi aspetti dell’esercizio concreto del potere, dal semplice accertamento o acquisizione dei dati rilevanti a quelli più complessi riguardanti la qualificazione propria della fattispecie, tra più opzioni possibili, al fine di trarne delle conseguenze di ordine giuridico.

     In questi casi, possono darsi tre ipotesi fondamentali: 1) il dato fattuale da apprendere e valutare richiede un semplice accertamento tecnico dal quale la legge fa derivare senz’altro un certo risultato giuridico e, quindi, si avranno provvedimenti amministrativi vincolati quanto a contenuto e ad emanazione; 2) il dato fattuale da apprendere e valutare deve sì essere accertato alla stregua di conoscenze tecniche, ma poi l’autorità amministrativa rimane libera di provvedere o meno e quindi si avranno provvedimenti vincolati (o parzialmente vincolati) quanto a contenuto e discrezionali quanto ad emanazione; 3) il dato fattuale da apprendere e valutare ha natura tecnica, ma all’autorità è, altresì, concesso dalla legge la possibilità di far seguire una valutazione discrezionale amministrativa con riguardo all’interesse pubblico coinvolto (c. d. discrezionalità mista o complessa).

     Le valutazioni tecniche sono, poi, presenti nell’ambito della c. d. amministrazione consultiva, anzi proprio in questa assumono un’autonoma e precisa valenza.   Le valutazioni tecniche rivestono la forma di pareri[28] ovvero di atti amministrativi tipici (e non di provvedimenti) aventi la funzione di illuminare e di guidare gli organi di amministrazione attiva, con riguardo al sapere specialistico specifico, allo scopo di consentire un perfetto esercizio del potere immune da vizi di legittimità correlati ad una imperfetta conoscenza delle regole tecniche applicate.

     Va sottolineato come la legge n. 241 del 1990 (art. 17) sul procedimento amministrativo consideri indefettibile l’assunzione del parere tecnico, emesso da un organo consultivo esperto nella materia, ove prescritto, sicché nei casi in cui questo non sia formulato tempestivamente dall’organo (o ente) deputato specificamente dalla legge, viene prevista una forma di c. d. silenzio devolutivo che consente alla P. A. procedente di richiedere il parere de quo ad altro soggetto ugualmente qualificato[29].   Diversamente, per i pareri amministrativi, la P. A. può decidere, dopo un ponderato esame, di prescinderne (c. d. silenzio facoltativo), proprio in quanto l’apprezzamento da acquisire non possiede quella natura tecnica che lo fa divenire indispensabile[30].

     Inoltre, valutazioni tecniche vengono compiute, sempre più spesso, nell’ambito della c. d. amministrazione di controllo.

     In tale evenienza, l’organo di controllo saggia il provvedimento sottoposto al suo vaglio alla stregua di parametri non giuridici, bensì relativi alle norme tecniche del caso regolato dalla legge.

     Sull’argomento, può rilevarsi come il c. d. controllo di legittimità (attualmente in fase recessiva[31]) venga sostituito dai c. d. controlli gestionali, condotti sulla scorta di principi in gran parte ricavabili dalle discipline economico-aziendali[32].

     Si distinguono fondamentalmente: controlli (interni) di gestione e controlli (esterni) sulla gestione.   I primi sono svolti da organi interni all’ente pubblico, seppure in posizione di imparzialità; mentre, i secondi sono di pertinenza di autorità esterne che agiscono in chiave neutrale.   Esempi di controlli interni sono quelli disciplinati dal d.lgs n. 286 del 1999[33] ed effettuati dai c. d. servizi di controllo interno (o da altri nuclei specializzati), i quali si occupano di valutare la capacità gestionale dei vari settori di una P. A. ed i risultati gestionali dei dirigenti.   Esempi di controlli esterni sulla gestione sono quelli esercitati dalla Corte dei Conti, ai sensi della legge n. 20 del 1994 (art. 3, co. 4°), aventi per lo più una finalità collaborativa e referente rispetto agli organi (od enti) di amministrazione attiva.   Il controllo sulla gestione consente di effettuare una precisa rappresentazione della gestione amministrativa e contribuisce ad elaborare dati utili per l’avvio di processi di autocorrezione o anche consente di rilevare elementi di responsabilità amministrativa e/o contabile dei soggetti preposti allo svolgimento delle diverse attività amministrative.

     Più recentemente, la c. d. funzione tutoria assolta dalle autorità indipendenti[34], costituite a presidio dei settori sensibili dell’attività amministrativa, si risolve eminentemente nell’esplicazione di valutazioni tecniche riservate, per l’appunto, alla competenza di organismi neutrali e tecnici, in grado di contemperare, in modo ottimale, i pluriformi interessi (pubblici, diffusi, privati) presenti nelle diverse materie in cui vengono istituite.   Il momento del giudizio tecnico è, poi, propedeutico per l’esercizio dei vari poteri di controllo, di regolazione, consultivi, paragiurisdizionali, a seconda dei casi, attribuiti alle varie authorities.

     La ratio dell’istituzione delle autorità indipendenti riposa proprio sulla necessità di istituire organismi pubblici, di nuova concezione, aventi la caratteristica di operare in veste neutrale, utilizzando conoscenze tecniche, o comunque specialistiche, al fine di disciplinare e di tutelare-controllare settori particolari, ove si scontrano una pluralità di interessi, anche di rilevanza costituzionale, che richiedono una composizione armoniosa esclusivamente sulla base dell’applicazione di prevalenti norme tecniche e non di ispirazione politico-discrezionale.

     In definitiva, le valutazioni tecniche sono presenti in tutte le manifestazioni dell’attività amministrativa e ciò conferma la centralità del tema concernente la misura della sindacabilità delle asserzioni tecniche contenute negli atti amministrativi, soprattutto se appartenenti al tipo del provvedimento in quanto direttamente incidenti sulla sfera giuridica dei cittadini amministrati.

 

4. – La sindacabilità della discrezionalità tecnica a seguito della decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 1999 n. 601.

     L’orientamento giurisprudenziale tradizionale in materia di discrezionalità tecnica assimila sostanzialmente questa alla c. d. discrezionalità amministrativa, al fine di rilevarne i profili ed i limiti di sindacabilità del cattivo uso del potere.   In pratica, sarebbe possibile solo un sindacato formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità[35].

     Tuttavia, la decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, del 9 aprile 1999 n. 601[36] sembra aver profondamente innovato sul punto, in quanto riconosce, expressis verbis – in sintonia con quanto sostenuto dalla dottrina più evoluta[37] – la possibilità di un sindacato che si spinga fino alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il duplice profilo della correttezza del criterio tecnico individuato e della correttezza del procedimento applicativo seguito dalla autorità per l’applicazione dello stesso.

     In tal modo si è inteso superare la tralatizia tesi[38] fondata sul riscontro estrinseco volto a sanzionare soltanto la presenza di macroscopici errori o di manifeste illogicità, sotto il profilo dell’eccesso di potere[39].

     La decisione parte dalla considerazione della necessità di realizzare un distinguo di fondo tra la valutazione dell’interesse pubblico concreto afferente al c. d. merito amministrativo[40] riservato al dominio della P. A. e la c. d. discrezionalità tecnica, che invece ricorre quando, per provvedere su un determinato oggetto, sia necessario applicare una norma tecnica a cui una norma giuridica conferisca rilevanza (diretta o indiretta).

     Sebbene l’applicazione di una norma tecnica possa comportare una valutazione degli elementi fattuali suscettibili di vario apprezzamento a causa della indeterminatezza od opinabilità propria di talune discipline specialistiche, tuttavia viene ribadita la netta distinzione tra la “opinabilità” tipica della valutazione tecnica e la “opportunità” propria della valutazione di merito.   La quaestio facti rilevante – ribadisce la decisione – non si trasforma mai in una questione di opportunità solo per la sua opinabilità.

     Il potere di accertamento dei presupposti di fatto del provvedimento impugnato costituisce un aspetto essenziale della giurisdizione di legittimità del G. A. e non può essere limitato dalla presenza di regole tecniche[41].

     Pertanto, se deve ritenersi “ragionevole” la sussistenza di una riserva dell’Amministrazione in ordine al merito amministrativo e cioè in materia di valutazione e di scelte afferenti all’interesse pubblico perseguito alla stregua dei canoni della buona amministrazione, poiché ciò costituisce la peculiarità dell’esercizio della potestà (potere-dovere) amministrativa; diversamente, in ordine all’apprezzamento dei presupposti di fatto, soprattutto se involgenti giudizi tecnici (e non scelte), deve ritenersi “ragionevole” la sindacabilità da parte del giudice[42].

     In sostanza, la valutazione tecnica costituisce un giudizio che l’autorità amministrativa conduce, valendosi di conoscenze tecnico-specialistiche, su determinati elementi rilevanti ai fini di una data funzione amministrativa.   Non vi è alcuna scelta.    Pertanto, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici deve essere condotto, come ha chiarito la decisione del C. d. S. n. 601 del 1999 menzionata: “in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì invece alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo”.

     La decisione in esame sembra aver accolto quanto segnalato in proposito da autorevole dottrina[43], che, al fine di superare ogni incertezza, ha per l’appunto richiamato il concetto di “ragionevolezza”, in riferimento all’azione del pubblico potere.

     Secondo il supremo consesso, ancora, qualora: “la tecnica sia inserita nella struttura della norma giuridica”, ovverosia quando nell’ambito delle disposizioni normative vi sia un richiamo per relationem a norme tecniche proprie di una certa branca delle scienze, si verifica una sorta di integrazione del tessuto della disposizione che si arricchisce dei contenuti propri delle scienze richiamate, sicché: “l’applicazione di un criterio tecnico in modo inadeguato o ancora il giudizio fondato su operazioni non corrette o insufficienti comportano un vizio di legittimità dell’atto”.

     Il riferimento della norma giuridica alla norma tecnica (c. d. relatio), in sostanza, determina una fusione dei due ordini di disciplina, sicché l’interprete è posto davanti a proposizioni normative di tipo complesso, per cui il procedimento ermeneutico non potrà non essere complesso e conferire la dovuta rilevanza agli elementi tecnici, i quali vanno considerati in rapporto alla disciplina che li regola ed al significato che assumono oggettivamente.

     Segnatamente, va osservato che le discipline tecniche esigono una esatta e completa comprensione ed applicazione delle principi tecnici, onde poter servire allo scopo in funzione del quale sono richiamate dalla legge.   D’altro canto, il ricorso alle discipline tecniche che il legislatore, più recentemente, effettua (esplicitamente) o sembra supporre (implicitamente) vuole affidare a dette conoscenze la valutazione dei dati proprio per il maggior grado di certezze che queste ultime sono in grado di fornire, perché basate su analisi teoriche e/o su risultati sperimentali universalmente accettati (seppure talvolta opinabili), che danno una migliore contezza della realtà sulla quale si innesta l’esercizio di certe funzioni amministrative.

     In quest’ottica, la verifica che il giudice amministrativo deve poter effettuare deve essere senz’altro diretta ed inerire all’attendibilità dei risultati a cui è giunta l’autorità amministrativa, poiché si tratta di verificare la correttezza e la ragionevolezza dell’attività amministrativa che si e trasfusa nell’atto impugnato.   Ciò che conta, dunque, è la plausibilità dei risultati a quali perviene una data autorità, professionalmente preparata ed imparziale, indifferentemente dalla tipologia di scienza (esatta o inesatta) applicata in concreto.

 

5. – La consulenza tecnica nel processo amministrativo inserita dalla legge n. 205 del 2000.

     La consulenza tecnica[44] rappresenta quell’indispensabile mezzo di accertamento delle nozioni tecniche che, nel processo, ha la funzione di fornire al giudice quelle conoscenze di cui egli non è fornito professionalmente.   Tale strumento è ordinariamente presente nella procedura dei processi civili, penali e, ora, anche amministrativi, poiché indispensabile per realizzare una corretta valutazione dei dati tecnici, che soltanto un soggetto dotato di una comprovata competenza professionale (il consulente tecnico) può assicurare[45].

     Va, incidentalmente, ricordato come lo strumento della consulenza tecnica sia già contemplato nell’ambito delle procedure delle due giurisdizioni amministrative speciali (contabile e tributaria).   Infatti, in base all’art. 2, co. 4, del d. l. n. 453 convertito in l. n. 19 del 1994, il giudice contabile può: “avvalersi di consulenti tecnici”; mentre, in virtù dell’art. 7, co. 2, del d.lgs n. 546 del 1992, le commissioni tributarie possono: “disporre consulenza tecnica”[46].

     Più specificamente, nei codici di procedura è generalmente ed espressamente individuato, come soggetto processuale, il consulente tecnico (o perito), organo ausiliario del giudice, anch’egli in posizione di assoluta terzietà, e, quindi, viene disciplinata l’attività collegata alla formulazione di una consulenza tecnica (o perizia)[47].

     Sul punto, va registrata l’estrema importanza dell’introduzione – da più fronti auspicata – della consulenza tecnica nell’ambito del processo amministrativo, avvenuta ad opera dalla legge 21 luglio 2000 n. 205.[48]    Segnatamente, la legge n. 205 ha previsto e disciplinato uno strumento, qual è la consulenza tecnica, di grande efficacia per l’esatta cognizione e valutazione dei fatti oggetto di ricorso e, quindi, ha eliminato uno dei fattori che, in pratica, limitava la possibilità per il G. A. di sindacare la c. d. discrezionalità tecnica.   Inadatta allo scopo era la possibilità di disporre semplici “verificazioni” previste dall’originario art. 44 del T. U. r. d. n. 1054 del 1924, in quanto la consulenza tecnica concerne la valutazione di fatti complessi quali sono quelli che vengono ordinariamente in evidenza in caso di esercizio di discrezionalità tecnica[49].

     Va precisato che la consulenza tecnica è ora annoverata tra i mezzi di prova sia nell’ambito della giurisdizione esclusiva (ai sensi dell’art. 35 del d.lgs 31 marzo 1998 n. 80, come riscritto dall’art. 7, co. 1, lett. c, della l. n. 205 del 2000[50]), che nell’ambito della ordinaria giurisdizione di legittimità (ai sensi dell’art. 44 del T. U. r. d. 26 giugno 1924 n. 1054, come riscritto dall’art. 16 e dall’art. 1, co. 2, della l. n. 205 del 2000[51]) del giudice amministrativo.

     Inoltre, va ricordato come la Corte costituzionale, con sent. 10 aprile 1987 n. 146, avesse dichiarato l’art. 44 del T. U. n. 1054 cit. costituzionalmente illegittimo nella misura in cui, nelle controversie di pubblico impiego devolute alla giurisdizione esclusiva del G. A., non consentisse l’utilizzo dei mezzi istruttori (tra cui la consulenza tecnica) previsti dagli articoli del codice di procedura civile sul processo del lavoro.

     Dunque, la consulenza tecnica è oramai divenuta uno strumento di acquisizione della prova utilizzabile dal giudice amministrativo in tutti i casi in cui risulti necessario per acquisire e valutare, alla stregua delle scienze tecniche e specialistiche, gli elementi che devono essere vagliati per giungere alla decisione del ricorso proposto.

     Va ricordato che l’assenza originaria di siffatto strumento processuale nelle norme che regolavano il processo amministrativo ha costituito un argomento a favore della insindacabilità della c. d. discrezionalità tecnica, che pertanto appariva dominio riservato dell’Amministrazione.   Mentre, ora, sulla scorta dei mutamenti introdotti dalla legge n. 205 cit., può dirsi che la situazione sia stata diametralmente capovolta; in pratica, non sussiste più alcun ostacolo processuale alla piena conoscenza e valutazione dei fatti tecnici, che richiedano l’ausilio di consulenti professionali, poiché la preziosa attività del consulente tecnico potrà essere richiesta dalle parti o disposta d’ufficio dal giudice, nel processo amministrativo, ogni qual volta sia necessaria per chiarire gli elementi di prova dedotti in giudizio.

     L’attività del consulente – scelto tra gli esperti della materia, di volta in volta, considerata – consente al giudice di poter supportare la propria decisione con la relazione scritta (di norma) elaborata dal consulente tecnico, il quale fornirà un giudizio professionale plausibile, seguendo sperimentati e universalmente condivisi metodi scientifici, dei quali darà motivata contezza nel suo parere.

     Naturalmente, le risultanze della consulenza tecnica devono essere apprese dal giudice e calate, per così dire, nel giudizio amministrativo, in modo conforme alle peculiarità proprie di siffatto giudizio.   Più che mai nel nostro caso il giudice (amministrativo) è il peritus peritorum, nel senso che il pronunciamento del consulente potrà essere, motivatamente, riconsiderato dallo stesso giudice.

     Il procedimento della consulenza tecnica rimane fondamentalmente regolato dalle norme del codice di procedura civile, che costituisce la disciplina di base per siffatta attività processuale, seppure questa dovrà essere integrata  dalle disposizioni in materia di attività istruttoria previste dal regolamento di procedura dei giudizi amministrativi.   La legge n. 205 del 2000 non introduce alcuna significativa disposizione di coordinamento e ciò potrebbe dar adito a talune incertezze applicative, che aprono la strada per l’elaborazione di una giurisprudenza pretoria di integrazione.

     Limitando il discorso al problema della sindacabilità della c. d. discrezionalità tecnica, la consulenza tecnica può essere ben utilizzata allo scopo di scorgere vizi di illegittimità, sia sotto il profilo della chiara violazione di legge (vizio formale e diretto della funzione amministrativa), che sotto il profilo dell’eccesso di potere (vizio sostanziale e indiretto della funzione amministrativa)[52].

 

6. – Conclusioni.

     Alla fine dell’analisi, fin qui svolta, sulla portata che le valutazioni tecniche assumono attualmente nel complesso quadro delle attività dei pubblici poteri è possibile trarre alcuni punti fermi, che deve ritenersi informino il corretto e legittimo esercizio delle potestà pubbliche nei campi dominati dalle discipline tecniche e specialistiche.

     Innanzitutto, appare preferibile abbandonare l’utilizzo dell’espressione “discrezionalità tecnica”, imprecisa e talora fuorviante per la riflessione teorica.   Più propriamente può parlarsi di “valutazioni tecniche”, che la legge talvolta impone di operare all’autorità pubblica in relazione dell’esercizio di un certo potere amministrativo tecnico (-discrezionale).   Tali valutazioni tecniche – come si è visto – possono variamente caratterizzare le diverse tipologie di funzione amministrativa.

     In pratica, una volta appurato che la norma tecnica richiamata dalla norma giuridica entra a far parte della disposizione normativa[53] che disciplina una certa fattispecie e, segnatamente, regola il modo in cui deve essere esercitata una determinata potestà pubblica in vista del perseguimento di un interesse pubblico già precisamente individuato e qualificato dalla legge, è chiaro che il sindacato vertente sulla correttezza della valutazione tecnica effettuata si risolve in un sindacato che attiene direttamente alla legittimità dell’azione amministrativa e dell’atto amministrativo conseguente e certamente non riguarda il merito.

     Più specificamente, può dirsi che la potestà pubblica (attribuita dalla legge ad un certo soggetto pubblico), qualora presupponga l’acclaramento di elementi fattuali (semplici) o una valutazione tecnica (complessa) comportante più soluzioni plausibili, in ogni caso, implichi la realizzazione di un processo cognitivo di tipo valutativo che conduce all’elaborazione di un giudizio (semplice o complesso) su elementi reali, per come sono presenti in rerum natura o per come sono rappresentati dall’azione umana, senza che ciò, comunque, coinvolga apprezzamenti o scelte comparative di interessi (pubblici o privati).

     L’autorità pubblica, investita del potere che presuppone valutazioni tecniche, deve soltanto valutare elementi che si prestano esclusivamente ad essere conosciuti secondo i rigorosi (perlomeno relativamente) paradigmi delle discipline specialistiche e nel far ciò segue quanto prescritto dalla legge e, quindi, pone in essere un’attività legittima da cui scaturiscono atti legittimi[54].

     Diversamente, qualora l’autorità pubblica investita del potere de quo scelga, più o meno consapevolmente, di non seguire le prescrizioni dettate dalle discipline specialistiche o, più frequentemente, cada in errore nell’applicarle, per vari motivi, allora inevitabilmente pone in essere un’attività illegittima dalla quale derivano atti illegittimi, in quanto fondati su una falsa o errata rappresentazione della realtà.   In questo caso, l’Amministrazione pubblica forma atti illegittimi perché basati su una distorta applicazione delle norme tecniche, che invece la legge ha inteso richiamare perché esse costituiscono le sole in grado di fornire la garanzia di un corretto uso del potere pubblico nel caso di specie.

     Tuttavia, se quanto fin qui detto appare abbastanza chiaro in linea teorica, non lo è del tutto in linea pratica, soprattutto nelle non poche ipotesi in cui le scienze sono in grado di fornire soltanto conoscenze opinabili.   In sostanza, sono possibili una pluralità di chiavi di lettura della realtà, aventi sfumature diverse, poiché ancora approssimativo è il livello di conoscenza raggiunto o perché i dati fattuali sono di per sé relativi.

     In tali casi, ciò che più conta è che l’autorità pubblica effettui una valutazione tecnica solo a seguito di un’istruttoria accurata, durante la quale siano stati acquisiti tutti i dati utili e sufficienti ad emettere un giudizio compiuto, nel rispetto delle formalità procedurali imposte dalla legge e nell’osservanza dell’obbligo della motivazione adeguata, soprattutto nei casi in cui l’atto amministrativo fondato sulla regola tecnica costituisca l’epilogo di una valutazione comparativa di una pluralità di soggetti ovvero anche importi una scelta tra più soluzioni tecniche tutte plausibili.

     Naturalmente, la valutazione tecnica, per poter sfuggire ad ogni censura, deve risolversi in un giudizio verosimile o perlomeno plausibile, in linea con le migliori e più evolute ed aggiornate conoscenze tecniche (teoriche o sperimentali) disponibili in un determinato momento storico e, inoltre, provenire da un soggetto (o ente od organo) dotato della necessaria professionalità e competenza nella materia, in posizione di tendenziale imparzialità rispetto ai soggetti sui quali questa va ad incidere.   In sostanza, il giudizio – per la coerenza intrinseca delle proposizioni motivazionali e per l’autorevolezza e competenza del soggetto emanante – deve potersi imporre ex se per forza propria derivante dalla ortodossia del procedimento seguito ed essere, conseguentemente, condiviso dai più ed essere, in definitiva, accettato (o accettabile) dagli stessi soggetti sui quali ne ricadono gli effetti giuridici sia positivi che negativi.

     Rebus sic stantibus, va accolto il rilievo di quella dottrina [55] che ha inteso risolve il proprium del controllo giurisdizionale sulla valutazione tecnica nella verifica della correttezza (o della scorrettezza) del giudizio formulato dalla pubblica amministrazione e, per suo tramite, dal funzionario (o altro soggetto incaricato), alla stregua del metro di valutazione della colpa professionale, intesa ad individuare l’eventuale colpa (per negligenza, imprudenza o imperizia) o dolo del tecnico nell’esperire le operazioni che presiedono al procedimento di valutazione tecnica.   In sostanza, ciò che va verificato è che la P. A. – ovverosia il soggetto in essa incardinato – abbia compiuto una valutazione tecnica seguendo le regole della diligenza professionale, pervenendo ad un giudizio sostanzialmente scevro da censure relative al rispetto dei canoni ermeneutici dettati dalla stessa disciplina specialistica.   Peraltro, il cittadino amministrato – qualora il potere amministrativo implichi una valutazione tecnica dell’Amministrazione – ripone la propria fiducia sul rispetto scrupoloso dei principi tecnici e sulla correttezza ed imparzialità della valutazione.   Ove ciò non accada, pare logico e giuridicamente dovuto riconoscere al cittadino l’esercizio dei necessari poteri processuali di reazione.

     In ultima analisi, va ribadito – in linea con la pronuncia del Consiglio di Stato n. 601 del 1999 – che il giudice amministrativo davanti al quale venga portata una controversia basata sulla presunta falsa od erronea applicazione di una disciplina tecnico-specialistica (di qualsiasi natura) possa non solo effettuare una verifica estrinseca e formale dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, come ritenuto dalla giurisprudenza consolidata più risalente, bensì possa procedere alla verifica diretta dell’attendibilità delle stesse operazioni tecniche, sotto il duplice profilo: a) della correttezza e validità della norma o criterio tecnico individuato; b) della correttezza del procedimento applicativo del medesimo criterio tecnico individuato.

     La disposizione normativa nel momento in cui fa riferimento ad una norma tecnica presuppone una esatta rappresentazione ed apprensione dei dati tecnici che devono essere valutati dall’Amministrazione.   Diversamente, non avrebbe alcun senso sostenere che l’autorità pubblica, una volta acquisiti i dati tecnici, sarebbe insindacabile nel senso che possa discostarsene, ignorarli, travisarli o valutarli prescindendo dai criteri che le stesse discipline specialistiche individuano per la loro corretta interpretazione[56].

     In questo modo, la c. d. insindacabilità dell’autorità pubblica deputata dalla legge allo svolgimento di certe attività implicanti valutazioni tecniche[57] – coerentemente ai postulati più elementari della logica e dell’ermeneutica – va riferita alla non discutibilità di un “giudizio corretto” effettuato a seguito di un formale e corretto procedimento di acquisizione dei dati tecnici, congruamente motivato ed aderente agli elementi fattuali a disposizione, correttamente analizzati e dei quali sia stata effettuata una fedele rappresentazione da parte di un’autorità professionalmente competente ed imparziale.

     Il giudice amministrativo può ben sindacare la valutazione tecnica sotto il profilo della sua “correttezza” e deve fermarsi di fronte ad una “valutazione corretta” e ben motivata, in quanto non può sostituire alla valutazione dell’Amministrazione (pur opinabile, ma corretta) una propria valutazione (anche se egualmente corretta, ma pure opinabile),[58]in ossequio al tradizionale principio della divisione dei poteri fondamentali dello Stato (legislativo, esecutivo, giurisdizionale).

     Diversamente, al cospetto di una “valutazione scorretta”, qualunque ne sia la causa[59], deve essere garantito al cittadino amministrato la piena tutela giurisdizionale dei suoi diritti o interessi legittimi (a seconda dei casi) in conformità al precetto costituzionale di cui all’art. 113 Cost. e, conseguentemente, va sanzionata l’illegittimità dell’atto amministrativo in cui sia stata trasfusa la valutazione (seppure sia presente una motivazione estrinsecamente corretta, ma intrinsecamente non aderente ai dati fattuali) attraverso la declaratoria dell’annullamento, a cui potrà accompagnarsi, ove sussistano i requisiti, il risarcimento del danno dell’interesse legittimo leso, ai sensi della innovativa sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., n. 500 del 1999[60].   Segnatamente, la valutazione scorretta (in contrasto con i dettami scientifici o per carenza del procedimento applicativo), nel caso in cui determini la lesione di un interesse legittimo, e vi sia colpa (o, a fortiori, dolo) dell’Amministrazione (ovverosia del preposto organicamente immedesimato nella stessa), esige il risarcimento dei danni  (pure in forma specifica, ove possibile, ai sensi dell’art. 7 della legge 205 del 2000).

     Alla luce di quanto detto finora e considerando il fenomeno della eterointegrazione della disciplina normativa ad opera di quella tecnica, l’atto amministrativo, emanato sulla base di una valutazione tecnica fondata su presupposti fattuali o di giudizio inesistenti o totalmente errati ovvero anche fondata su un travisamento completo dei fatti tecnici o su una dimostrata e chiara parzialità del giudizio, deve ritenersi adottato illegittimamente per violazione di legge[61] (vizio formale e diretto della funzione amministrativa), sotto il profilo della erronea o falsa applicazione di legge[62], in quanto vi è una violazione immediata dei canoni di interpretazione delle norme tecniche integrate nella norma giuridica.   Mentre, qualora la valutazione tecnica, nell’applicare cognizioni tecniche opinabili, risulti essere intimamente contraddittoria, illogica, parzialmente erronea o fondata su una incompleta rappresentazione dei presupposti, allora potrà parlarsi di illegittimità per eccesso di potere[63] (vizio sostanziale ed indiretto della funzione amministrativa), ovverosia di scorretto uso del potere attribuito all’autorità pubblica, in quanto sussiste un uso distorto della facoltà di apprezzamento delle discipline tecniche e delle diverse soluzioni operative che queste suggeriscono[64].

     In definitiva, le “valutazioni tecniche” devono essere operate, in tutti i casi, in modo corretto ed aderente ai presupposti fattuali.   L’accertamento di eventuali valutazioni scorrette è senz’altro consentito al giudice amministrativo, come ad ogni altro giudice, poiché si tratta di appurare una situazione di fatto e la corretta qualificazione giuridica effettuata dall’autorità amministrativa, senza che ciò implichi valutazioni di merito riservate (necessariamente) alla P. A.

 

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[1] Sulla discrezionalità della P. A. anche in rapporto alla c. d. discrezionalità tecnica, cfr., in generale: M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939; C. MORTATI, (voce) Discrezionalità, in Nss Dig. it., vol. V, 1960, p. 1098; A. PIRAS, (voce) Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., vol. XIII, 1964, p. 65 ss; V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità e sindacato di legittimità, in Dir. proc. amm., 1984, p. 462 ss; G. GUARINO, Atti e poteri amministrativi, in G. GUARINO (a cura di), Dizionario amministrativo, vol. I, Milano, 1983, p. 194 ss; L. BENVENUTI, La discrezionalità amministrativa, Padova, 1986; G. AZZARITI, Dalla discrezionalità al potere, Padova, 1989; G. BARONE, (voce) Discrezionalità. I) Diritto amministrativo, in Enc. giur., vol. IX, 1989, in part. p. 8 ss; G. DI GASPARE, Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992; A. PUBUSA, (voce) Merito e discrezionalità amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. IX, 1994, p. 401 ss e, in part., p. 411 ss; V. ONIDA, La discrezionalità amministrativa e il sindacato giurisdizionale, in Giorn. dir. amm., n. 6, 1995, p. 669 ss; F. LEDDA, Determinazione discrezionale e domanda di diritto, in Studi in on. di F. BENVENUTI, Modena, 1996, p. 955 ss; A. PREDIERI, Le norme tecniche come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità, in Studi in on. di F. BENVENUTI, Modena, 1996, p. 1413 ss; C. MARZUOLI, Discrezionalità amministrativa e sindacato giudiziario: profili generali, in Dir. pubbl., 1998, p. 127 ss.   Più specificamente con riguardo alla nozione di discrezionalità tecnica, cfr.: P. VIRGA, Appunti sulla cosiddetta discrezionalità tecnica, in Jus, 1957, p. 95 ss; V. BACHELET, L’attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano, 1967; N. DANIELE, Discrezionalità tecnica e giudice amministrativo, in Scritti in memoria di A. GIUFFRE’, Milano, 1967, p. 295 ss; F. LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, p. 371 ss; C. MARZUOLI, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985; V. OTTAVIANO, Giudice ordinario e Giudice amministrativo di fronte agli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1986, p. 1 ss; A. AZZENA, Spunti per una riflessione su: regole tecniche e merito amministrativo in relazione alla possibilità di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità, in Studi in ricordo di E. CAPACCIOLI, Milano, 1988, p. 600 ss; F. SALVIA, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm., 1992, p. 685 ss; D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, Padova, 1995; A. PREDIERI, Le norme tecniche nello Stato pluralista e prefederativo, in Il dir. dell’econ., 1996, p. 251 ss; A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, in Dir. amm., 1997, p. 469 ss; D. DE PRETIS, I vari usi della nozione di discrezionalità tecnica, in Giorn. dir. amm., n. 4, 1998, p. 331 ss.   Inoltre, si vedano i profili ricostruttivi della più recente manualistica: M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, p. 54 ss; R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1994, p. 378 ss; G. MORBIDELLI, in AA. VV. (a cura di L. MAZZAROLLI – G. PERICU – A. ROMANO – F. A. ROVERSI MONACO – F. G. SCOCA), Diritto amministrativo, tomo II, Bologna, 1995, p. 1195 ss; M. NIGRO, Lineamenti generali, in G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, vol. III, Bologna, 1997, p. 42 ss; L. GALATERIA – M. STIPO, Manuale di diritto amministrativo. Principi generali, Torino, III ed., 1998, p. 345 ss; P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, Milano, V ed., 1999, p. 9 ss; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1999, p. 334 ss; S. CASSESE, Le basi del diritto amministrativo, Milano, V ed., 2000, p. 443 ss; V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2000, p. 430 ss; F. D’AGOSTINO, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 106 ss.

[2] Etimologicamente la parola “tecnica” deriva dal greco “tecne” e sta ad indicare: “l’arte o il complesso di leggi, regole, etc. che disciplinano specificamente qualcosa”.     Sul crescente ruolo della “tecnica” nell’ambito delle attività della pubblica amministrazione, cfr.: F. SALVIA, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, cit., p. 685, il quale rimarca come il forte sviluppo scientifico e tecnico che ha caratterizzato il novecento abbia: “inciso profondamente sui processi decisionali pubblici”, sicché sembra si assista ad una: “progressiva erosione della politicità delle scelte che cederebbe il posto […] ad un sistema decisionale fondato essenzialmente su valutazioni tecniche aventi a supporto il rigore della scienza”; nonché E. CASETTA, Profili della evoluzione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in Dir. amm., 1993, p. 3 ss e, in part., p. 12, il quale osserva come sia universalmente riconosciuta: “una crescente tecnicizzazione dell’attività amministrativa che tende a ridurre gli spazi della discrezionalità amministrativa”.   Segnatamente, la tecnica si afferma poiché il progresso tecnologico: “riduce l’opinabile”.

[3] In tal senso è espressamente G. ZANOBINI, (voce) Amministrazione pubblica, b) Nozione e caratteri generali, in Enc. dir., vol. II, 1958, p. 233 ss.

[4] Su detti rilievi cfr. P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, cit., p. 6 ss.

[5] Sulla nozione di accertamento costitutivo, cfr. P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, cit., p. 20, per il quale i  c. d. accertamenti costitutivi sono atti vincolati: “nel senso che l’amministrazione è tenuta ad emanarli, qualora risulti accertata la sussistenza dei presupposti a cui la legge subordina la loro emanazione”.

[6] Cfr. V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, cit., p. 480, il quale puntualmente osserva come sia la legge a conferire all’Amministrazione pubblica un certo potere amministrativo discrezionale, dopo aver disciplinato taluni elementi (essenziali) della fattispecie;  in sostanza: “l’amministrazione […] è tenuta al rigoroso rispetto di tali elementi in riferimento ai quali si compie il sindacato di legittimità.  Al di là di essi, il potere si estrinseca senza ulteriori vincoli di legge (a parte il controllo di razionalità spettante al giudice amministrativo sotto lo specifico profilo dell’eccesso di potere)”.

[7] M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 49.

[8] P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, cit., p. 6.

[9] M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., p. 50.

[10] Cfr. G. ZANOBINI, (voce) Amministrazione pubblica. b) Nozione e caratteri generali, cit., p. 236.

[11] Può anche dirsi che il potere discrezionale si ponga come una sorta di prosecuzione del potere legislativo.   Sul punto, cfr. A. PUBUSA, Riflessioni sulla pubblica amministrazione rileggendo la Costituzione, in AA. VV., Studi in on. di F. BENVENUTI, vol. IV, Modena, 1996, p. 1471 ss e, in part., p. 1473, ove osserva coma alla P. A. venga attribuito un potere discrezionale che rappresenta la prosecuzione di quello legislativo, in quanto: “il legislatore, non potendo o non volendo decidere una volta per tutte, in linea generale ed astratta, lascia all’amministrazione di determinare la regola del caso concreto”.   Sul concetto di funzione amministrativa, cfr. amplius G. MARONGIU, (voce) Funzione II) Funzione amministrativa, in Enc. giur., vol. XIV, 1989.

[12] Invero, si tratta di una espressione imprecisa, anche dal punto di vista lessicale, che tuttavia è solitamente adoperata nella riflessione dottrinale.   Sul punto, cfr. M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 55-56, per il quale la discrezionalità tecnica: “non ha proprio nulla di discrezionale”, detta definizione, quindi, costituisce: “un errore storico della dottrina”.   La discrezionalità amministrativa va riferita: “ad una potestà, e implica giudizio e volontà insieme”, mentre, la discrezionalità tecnica va riferita: “ad un momento conoscitivo, e implica solo giudizio”.   Nello stesso senso è F. SALVIA, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, cit., p. 688-689, il quale parla di: “equivocità della formula”, dovuta all’impostazione originaria della dottrina più risalente, che – sulla falsariga della teoria precedente alla Costituzione democratica – soleva equiparare la discrezionalità amministrativa alla discrezionalità tecnica, in quanto facenti parte di un concetto essenzialmente unitario; in tale prospettiva, cfr. C. MORTATI, (voce) Discrezionalità, cit., p.1108.

[13] Parte della dottrina distingue nell’ambito della discrezionalità tecnica: gli acclaramenti tecnici e le valutazioni tecniche di tipo operativo.   In tal senso è F. SALVIA, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, cit., p. 701, secondo cui gli accalaramenti tecnici sono: “diretti ad accertare o valutare fatti, la cui conoscenza è essenziale all’organo di amministrazione attiva per l’assunzione delle sue decisioni”; mentre, le valutazioni tecniche di tipo operativo: “tendono […] a stabilire i criteri e i mezzi per risolvere problemi pratici, anche attraverso una composizione operativa dei diversi interessi coinvolti nell’azione pubblica”.

[14] Sulle diverse tipologie di situazioni giuridiche soggettive del cittadino al cospetto della P. A., essenzialmente, cfr.: C.E. GALLO, (voce) Situazioni e posizioni soggettive nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Dig. disc. pubbl., vol. XIV, 1999, p. 284 ss; P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, cit., p. 167 ss.   Inoltre, cfr.: A. BARBERA - F. COCOZZA - G. CORSO, Le situazioni soggettive, in G. AMATO - A. BARBERA (a cura di), Manuale di diritto pubblico, vol. I, Bologna, V ed., 1997, p. 223 ss; E. PICOZZA, Le situazioni giuridiche soggettive, in M. P. CHITI - G. GRECO (diretto da), Trattato di diritto amministrativo europeo, parte gen., Milano, 1997, p. 499 ss; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1999, p. 279 ss.

[15] In questo senso, cfr. C. d. S., 8.9.1997 n. 955 in Cons. St., I, 1997, p. 1184: “L’esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Autorità amministrativa è sindacabile in sede giurisdizionale sotto il profilo dell’eccesso di potere, al pari della discrezionalità amministrativa”; C. d. S., 26.1.1998 n. 68 in Cons. St., I, 1998, p. 29: “Il potere tecnico-discrezionale dell’Amministrazione non si sottrae al controllo di legittimità del giudice amministrativo, sempre che le dedotte censure afferiscano a tale metro di valutazione e non si risolvono in critiche che attengano al merito del provvedimento impugnato”.

[16] Sul punto, cfr. A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, cit., p. 476, il quale rileva: “L’ “ingresso” di saperi specialistici nell’amministrazione pubblica oggettivizza e limita la potestà amministrativa di decisione.  Le competenze di ordine tecnico restringono l’ambito dell’apprezzamento di carattere politico-amministrativo”.

[17] Sulla trasparenza, cfr. G. ARENA, (voce) Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., vol. XXXI, 1995 e, in part., p. 2, il quale osserva come il perseguimento del fine pubblico implichi una esatta acquisizione degli interessi nell’ambito del procedimento.   Si tratta di operare un’attività che: “se svolta in condizioni che non ne garantiscono l’imparzialità può dar luogo a pericolose distorsioni nella definizione del fine pubblico e nella disposizione del relativo assetto di interessi, con effetti dannosi per tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati”.   In quest’ottica, assume una notevole importanza il principio della trasparenza che costituisce uno dei modi più efficienti per assicurare l’imparzialità dell’Amministrazione, ovvero bisogna: “rendere visibile a tutti gli interessati il processo decisionale mediante il quale l’amministrazione dispone l’assetto degli interessi e definisce il fine pubblico nel caso concreto, perché la consapevolezza di essere potenzialmente osservati durante tale attività costituisce il miglio modo deterrente nei confronti di comportamenti scorretti”.   Altresì, cfr.: G. BARONE, La trasparenza amministrativa tra esigenze di tutela e controllo democratico, in Studi in on. di F. BENVENUTI, vol. I, Modena, 1996, p. 219 ss.

[18] In tal senso A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, cit., p. 479, il quale considera la discrezionalità tecnica come: “la punta più avanzata di affermazione dell’imparzialità amministrativa”.   Inoltre, cfr. L. GALATERIA – M. STIPO, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 348, i quali, dopo aver rimarcato come non sussista l’esercizio di potestà discrezionali nei casi di discrezionalità tecnica in senso proprio, osservano: “L’accoglimento della tesi che la c. d. discrezionalità tecnica non può configurarsi come vera e propria discrezionalità rappresenta un’importante conquista per la tutela del cittadino”.

[19] In ogni caso, è bene precisare che non è possibile identificare, in ogni caso, gli atti a discrezionalità tecnica con quelli vincolati; le situazioni concretamente evincibili sono in realtà più complesse – come si constaterà nel prosieguo della presente analisi – in ragione del margine e della tipologia di apprezzamento consentito dalla legge.   Sul punto, P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, cit., p. 10.   Diversamente altra dottrina (G. GUARINO, Atti e poteri amministrativi, cit., p. 297) ha inteso vedere nella discrezionalità tecnica una forma di attività vincolata; peraltro, secondo detta tesi, la diversità delle soluzioni possibili dipende da fattori interni alla singola scienza e, comunque, non ad una scelta volitiva della P. A.

[20] Per una lettura socio-economica della tecnica, cfr. R. MAYNTZ, (voce) Tecnica e tecnologia, in Enc. scienze soc., vol. VIII, 1998, p. 513 ss.

[21] Più recentemente, d’altro canto, allo scopo di ovviare alla massiccia presenza di regole tecniche nell’esercizio del potere pubblico, si è inteso dotare le varie amministrazioni pubbliche di personale appartenente ai diversi profili professionali tecnici necessari, piuttosto che continuare a far leva esclusivamente su personale amministrativo generico.

[22] Vale la pena precisare che anche il diritto e le sue costruzioni dottrinali ed interpretazioni giurisprudenziali costituisce, a sua volta, una “scienza”, la cui applicazione richiede peraltro l’intervento di diversi operatori professionali (avvocati, magistrati, notai, etc.).   Qualora una data norma giuridica ponga a fondamento della correttezza dello svolgimento di taluni procedimenti amministrativi (quali sono tipicamente i concorsi e gli esami) l’applicazione  del sapere giuridico specialistico afferente alle varie branche del diritto (privato, amministrativo, penale, etc.), vengono effettuate una serie di valutazioni tecniche intese a verificare la corrispondenza tra quanto rappresentato dai soggetti amministrati (ad es. i candidati di un concorso) e le teorie, gli orientamenti giurisprudenziali e le stesse norme vigenti, al fine di accertare la corretta comprensione ed assimilazione dei postulati giuridici rilevanti nel caso di specie.   Per altro verso, va detto che, in linea generale, il sistema concorsuale (anche quello concernente gli appalti pubblici) è, appunto, adoperato allo scopo di individuare – in modo imparziale e nel contesto di una competizione pubblica ad armi pari – i soggetti che presentino le caratteristiche rispondenti a certi parametri previsti dalla legge, a seguito di valutazioni eminentemente tecniche ed imparziali (trasparenti) e non di altro tipo.   Infatti, i concorsi e, più in generale, i procedimenti amministrativi concorsuali aperti al pubblico (o anche a soggetti appartenenti a certe categorie) implicano, tipicamente, la realizzazione di valutazioni tecniche e specialistiche con riguardo alle diverse scienze (letteratura, economia, diritto, fisica, chimica, etc.).   D’altro canto, la disciplina dei vari procedimenti concorsuali o di gara prevedono l’osservanza di minuziose formalità, atte a garantire l’imparzialità delle operazioni.   Sulle problematiche afferenti allo svolgimento dei concorsi, cfr. C. VIDETTA, Concorsi, esami e sindacabilità giurisdizionale amministrativa, in Dir. amm., n. 3, 1996, p. 539 ss.   Sul procedimento di concorso, cfr.: P. VIRGA, Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, III ed., 2000, p. 49 ss; N. ASSINI – M. SOLINAS, (voce), Concorso a pubblico impiego, in Enc. giur., vol. VII, 1988.

[23] Ad esempio, la medicina, ritenuta per lo più scienza (tendenzialmente) esatta, a volte rivela profili di opinabilità con riguardo alla diagnosi e, soprattutto, alle scelte terapeutiche più efficaci, proprio per il mutevole assetto delle conoscenze mediche del momento e dei risultati sperimentali a disposizione, che vengono messi continuamente in discussione a seguito di nuove ricerche e scoperte.

[24] Cfr. A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, vol. I, Napoli, XV ed., 1989, p. 594.   Inoltre, più di recente, cfr. A. SANDULLI, Il procedimento, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Dir. amm. gen., tomo II, Milano, 2000, p. 927 ss e, in part., p. 1010 ss.

[25] In questa sede, può essere efficacemente ricordato come in fisica l’atomo (dal greco a-tomos: ciò che è indivisibile) sia stato ritenuto, per lungo tempo, come la particella più piccola della materia assolutamente indivisibile, mentre oggi consta a tutti come l’energia nucleare (a parte il diverso e più innovativo procedimento di fusione) si ricavi dal procedimento di fissione (cioè di divisione) dell’atomo di alcune materie più facilmente fissili (uranio, plutonio).

[26] Peraltro, da un punto di vista strettamente epistemologico, non esistono scienze, in assoluto, esatte o inesatte, né la tecnica quale proiezione applicativa della conoscenza può essere ritenuta più o meno perfetta.   Gli esiti a cui danno luogo le indagini scientifiche, talora particolarmente complesse, possono fornire ipotesi ricostruttive della realtà più o meno plausibili o probabili o verosimili, mai assiomaticamente certe.   In ogni caso, sembra possa ritenersi utile, a fini eminentemente pratici, la distinzione schematica tra discipline scientifiche tendenzialmente esatte quali la matematica, la fisica, la chimica, etc., che, di norma, assicurano un elevato grado di certezza e le discipline umanistiche tendenzialmente opinabili, quali la letteratura, l’economia, etc., che offrono certezze più relative, ma comunque in grado di spiegare il fenomenico in modo soddisfacente.

[27] Più in generale va ricordato come la P. A., negli ultimi anni, sia stata sottoposta ad un processo di razionalizzazione. Sull’argomento cfr. M. NIGRO, Lineamenti generali, in G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, vol. III, 1997, p. 35 ss, per il quale costituirebbero tendenze più recenti informatrici dell’attività dei pubblici poteri: a) la procedimentalizzazione; b) la prefigurazione dell’azione: piani, bilanci, progetti; c) la diffusione di forme contrattuali; d) la tecnicizzazione dell’azione pubblica; e) l’uso del diritto privato; f) l’incidenza del sistema comunitario.

[28] Sull’argomento, cfr. A. TRAVI, (voce) Parere nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. X, 1995, p. 601 ss.

[29] Più specificamente, ove per l’adozione di un provvedimento sia previsto (dalla legge o da regolamento) la previa acquisizione di “valutazioni tecniche”, qualora l’ente od organo competente non provveda definitivamente (o non rappresenti esigenze istruttorie di completamento) entro novanta giorni (o altro termine specifico previsto). Il responsabile del procedimento deve richiedere le valutazioni tecniche in oggetto ad altro organi della P. A. o ad altri enti pubblici qualificati o ad Istituti universitari.

[30] In base all’art. 16 della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 17, co. 24, della legge n. 127 del 1997, qualora il parere amministrativo obbligatorio non sia reso entro quarantacinque giorni, l’autorità procedente ha la facoltà di prescinderne.

[31] Invero, l’eccessivo sottodimensionamento dei controlli di legittimità può, col tempo, portare ad evidenziare discrepanze nell’ambito della attività amministrativa, che possono riflettersi negativamente sui diritti e sugli interessi dei cittadini amministrati.   In particolare, va ricordato che il controllo di legittimità in via preventiva evita che ogni forma di controllo sull’operato della P. A. si svolga soltanto in via successiva in sede di ricorso giurisdizionale.   Se poi il controllo di legittimità si sia rivelato in passato prevalentemente un inutile intralcio e non un utile strumento di tutela preventiva, ciò è da imputare alla carenza strutturale e di organizzazione e non alla bontà del meccanismo di controllo, a patto comunque di selezionare opportunamente il novero degli atti di una certa importanza intrinseca da sottoporre a controllo.   Per altro verso, lo stesso legislatore, naturalmente, tiene ben fermo il principio di legittimità dell’azione amministrativa.   L’azione amministrativa, prima che efficace ed efficiente, deve essere senz’altro legittima, pertanto una eccessiva rinuncia ai controlli preventivi di legittimità comporta una ingiustificata rinuncia ad uno strumento preventivo di tutela, in astratto, valido, anche nella prospettiva della tutela dei cittadini-utenti della P. A.

[32] Vedi, per tutti, R. D’AMICO, Manuale di scienza dell’amministrazione, Roma, 1996.

[33] Sul d.lgs n. 286 del 1999 che ha riformato il sistema dei controlli interni nella pubblica amministrazione cfr.: I. BORRELLO, Il nuovo “sistema” dei controlli interni, in Giorn. dir. amm., n.1, 2000, p. 36 ss; R. PEREZ, L’efficienza per decreto, in Giorn. dir. amm., n. 1, 2000, p. 28 ss.   Sui controlli di gestione, vedi essenzialmente: F. GARRI, I controlli nell’ordinamento italiano, Milano, 1998, in part. p. 139 ss; G. LADU, Il sistema dei controlli in AA. VV., Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino, III ed., 1999, p. 209 ss; nonché G. D’AURIA, I controlli in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amm. Parte gen., tomo II, Milano, 2000, p. 1217 ss.

[34] Sulle autorità indipendenti, essenzialmente, cfr.: F. BASSI – F. MERUSI (a cura di), Mercati ed amministrazioni indipendenti, Milano, 1993; nonché S. CASSESE – C. FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole, Bologna, 1996.   Inoltre, possono ricordarsi i contributi di: C. FRANCHINI, Le autorità amministrative indipendenti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1988, p. 549 ss; A. MASSERA, “Autonomia” e “Indipendenza” nell’amministrazione dello Stato italiano, in Scritti in on. di M. S. GIANNINI, Milano, 1988, p. 450 ss; G. VESPERINI, Le funzioni delle autorità amministrative indipendenti, in Dir. banca e merc. fin., 1990, p. 415 ss; M. D’ALBERTI (voce), Autorità indipendenti (dir amm.) in Enc. giur., vol. IV, 1995; S. CASSESE, Poteri indipendenti, Stati, relazioni ultrastatali, in Foro it., 1996, V, p. 7 ss; R. PEREZ, Autorità indipendenti e tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, p. 115 ss; G. AMATO, Autorità semi-indipendenti ed autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, p. 645 ss; M. MANETTI (voce), Autorità indipendenti (dir. cost.) in Enc. giur., vol. IV, 1997; V. CAIANIELLO, Il difficile equilibrio delle autorità indipendenti, in Il dir. dell’econ., 1998, p. 239 ss; F. CARINGELLA – R. GAROFOLI, Le Autorità indipendenti, Napoli, 2000.

[35] In genere sono richiamati i concetti di “ragionevolezza” e di “logicità”.   Cfr.: T.A.R. Sicilia – Catania, sez. I, in T.A.R., I, 1993, p. 4288 ss: “La discrezionalità tecnica ha una portata meno vasta di quella c. d. pura, che si concreta in apprezzamenti non condizionati da principi consolidati nel campo dello scibile, in particolare nel campo del diritto […] Il potere del giudice amministrativo di cognizione o di accertamento della realtà fattuale e quindi della materiale esistenza del fatto, nei limiti connaturali e generali che caratterizzano il processo amministrativo di impugnazione, deve ritenersi autonomo e completo, potendosi spingere a sindacare sia la discrezionalità amministrativa in senso stretto che la discrezionalità c. d. tecnica sotto tutti i profili dell’eccesso di potere ed in particolare in relazione ai profili attinenti alla intrinseca logicità dei provvedimenti costituenti esercizio di tale potestà discrezionale ed ai profili concernenti la loro formale congruenza rispetto al fine concreto che l’Amministrazione deve perseguire, ferma restando l’insindacabilità del merito di entrambe”; C.d.S., sez. V, 18.2.1991 n. 160 in Foro amm., 1991, p. 385; “Il sindacato giurisdizionale dei provvedimenti che esprimono discrezionalità tecnica è ammissibile ove sia censurata la ragionevolezza delle valutazioni effettuata”; C.d.S., sez. IV, 1.7.1992 n. 654, in Cons. St., 1992: “E’ illogica una scelta amministrativa che, con riguardo alla concreta situazione di fatto, non è ragionevole attendersi in alcun caso”.

[36] La decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, del 9 aprile 1999 n. 601 è riportata: in Cons. St., n. 4, 1999, I, p. 584 ss; in Corr. giur., n. 6, 1999, p. 694 ss; in Giorn. dir. amm., n. 12, 1999, p. 1179 ss con commento di D. DE PRETIS, Discrezionalità tecnica e incisività del controllo giurisdizionale; in Dir. proc. amm., n. 1, 2000, p. 182 ss con commenti di M. DELSIGNORE, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche: nuovi orientamenti del Consiglio di Stato, ivi, p. 185 ss e di P. LAZZARA, “Discrezionalità tecnica” e situazioni giuridiche soggettive, ivi, p. 212 ss; in Foro amm., n. 2, 2000, p. 422 ss, con commento di L. PERFETTI, Ancora sul sindacato giudiziale sulla discrezionalità tecnica, ivi, p. 424 ss.

[37] In particolare, cfr.: F. LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, cit., p. 437 ss.

[38] Sul punto, in ordine all’atteggiamento tradizionale del G. A. sui fatti aventi rilevanza tecnica, cfr le efficaci osservazioni di M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna (V ed. a cura di E. CARDI – A. NIGRO), 2000, p. 290 – 291.

[39] Cfr. ad es., C.d.S., sez. V, 30.10.1993 n. 1121 in Foro amm., 1993, p. 2107: “Il vizio di eccesso di potere per illogicità è ravvisabile ove detto profilo sia manifesto altrimenti si darebbe ingresso ad un sindacato di merito”.

[40] Cfr. P. G. PONTICELLI, (voce) Merito amministrativo (e giurisdizione di merito), in Enc. giur., vol. XX, 1990.

[41] Sul punto, cfr.: A. PIRAS, (voce) Discrezionalità amministrativa, cit., p. 88, per il quale il giudizio amministrativo sulla discrezionalità amministrativa: “si risolve in un’operazione di individuazione della materialità di un fatto”; V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, cit., p. 463 ss e, in part., p. 529, il quale conclude nel senso che: il giudice amministrativo di legittimità […] è, nel sistema vigente, giudice del fatto come del diritto, non incontra altre limitazioni nell’accesso diretto alla conoscenza dei fatti di causa, che non siano quelle poste dal carattere proprio del giudizio come giudizio di parti, e dalla (parziale) limitatezza dei mezzi istruttori”.   Pertanto, osserva l’autore: “I margini di opinabilità che la conoscenza dei fatti […] presenta, di tutti i fatti, come è noto, ma segnatamente di quelli ad accertamento tecnicamente complesso, non costituisce evidentemente un ostacolo alla loro acquisizione nel giudizio amministrativo”.

[42] Il termine di “ragionevolezza” è impiegato espressamente dal C. d. S. per consentire il sindacato sulla discrezionalità tecnica e per negarlo sul c. d. merito.   Sul principio di ragionevolezza, cfr. G. MORBIDELLI, Il principio di ragionevolezza nel procedimento amministrativo, in AA.VV., Scritti in on. di G. GUARINO, Padova, 1998, p. 89 ss, per il quale detto principio assume un rilievo primario e trova come punti di riferimento costituzionali i principi di egualianza, di imparzialità e di buon andamento.   Si tratta di una vera e propria: “clausola generale dell’azione amministrativa”, che “permea” la legislazione positiva imponendosi ad essa; in sostanza per detto autore: “La ragionevolezza equivale a correttezza ed adeguatezza della funzione”, mentre per converso: “la irragionevolezza equivale a “vizio della funzione””.   Dunque con riguardo al procedimento amministrativo, la ragionevolezza (cfr. p. 101-102) costituisce: “il criterio che consente di verificare la completezza dell’istruttoria, l’adeguatezza tra la stessa e la decisione finale, la coerenza interna, la non arbitrarietà nelle selezioni degli interessi, la conformità alla natura delle cose, e dunque la logicità e la coerenza del processo decisionale”.   Cfr., inoltre: R. VILLATA – G. SALA, (voce) procedimento amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. XI, 1996, p. 574 ss e, in part., p.596 con riguardo specifico al principio di ragionevolezza, il quale rappresenta un “principio normogenetico” anche con riguardo al procedimento ed esprime i postulati della coerenza intrinseca, della razionalità e della logicità.

[43] Così F. LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, cit., p. 437.

[44] Sulla consulenza tecnica, essenzialmente, cfr.: C. M. BARONE, (voce) Consulente tecnico. I) diritto processuale civile, in Enc. giur., vol. VIII, 1988; C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, vol. II, Torino, 1995, p. 165 ss; G. MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, II. ed., 2000, p. 416 ss.

[45] Per altro verso, va ribadito che la stessa Amministrazione, allorché deve procedere a valutazioni tecniche complesse, fa affidamento sulle cognizione possedute da personale dipendente competente nella materia, o utilizza appositi uffici tecnici o, ancora, si avvale di consulenze esterne o del parere espresso da altri organi od enti pubblici competenti nel campo specifico.

[46] Con particolare riguardo alla giurisdizione della Corte dei Conti, può osservarsi come sia ordinariamente consentito a detto giudice il controllo sul corretto uso del potere discrezionale della P. A. ai fini dell’individuazione di situazioni di responsabilità amministrativa.   Cfr. C.d.C., sez. riun., 1.3.1999 n. 4/A in Foro amm., 1999, p. 2682 ss: “Rientra nel potere-dovere del giudice contabile l’accertamento di tutti i fatti e comportamenti causa di danno erariale […] e, pertanto, ferma restando la scelta dell’amministrazione di apprestare gli strumenti più idonei al soddisfacimento degli obiettivi dell’ente, i modi di attuazione delle scelte discrezionali vanno valutati dal giudice alla luce del parametro della conformità a criteri di ragionevolezza ed economicità dovendo comunque sussistere la competenza per l’adozione della deliberazione ed emergere con chiarezza dalla motivazione del provvedimento l’adeguata valutazione degli interessi in gioco”.   Segnatamente, il corretto utilizzo della discrezionalità tecnica può ben rientrare tra gli accertamenti del fatto che il giudice contabile può e deve effettuare per l’esatta qualificazione giuridica del caso concreto dedotto in giudizio.   Sul punto, per gli ampi rilievi ricostruttivi, cfr. C. PINOTTI, Profili di rilevanza delle regole tecniche nel giudizio di responsabilità amministrativa, in Cons. St., 1995, II, p. 567 ss.

[47] Più specificamente, il codice di procedura civile (art. 191 ss c.p.c.) parla di consulente tecnico di ufficio, dalla cui consulenza si ricavano valutazioni di fatti già acquisiti; talvolta, la consulenza assurge a fonte di prova.   Inoltre al C.T.U. può affiancarsi il consulente di parte, e, ancora, possono essere prodotte in giudizio le c. d. perizie giurate stragiudiziali (che forniscono argomenti di prova o indizi).   Diversamente, il codice di procedura penale (art. 220 ss c.p.p.) prevede la figura del perito (nominato d’ufficio dal giudice), il quale può essere affiancato dalla collaborazione di consulenti tecnici di parte (P. M. e difensore, art. 233 c.p.p.).

[48] Pubblicata in G. U. 26 luglio 2000 n. 205.   Inoltre, consultabile in Giust. it – Giustizia amministrativa – Rivista Internet di diritto pubblico al sito:  www. giust .it.   Cfr. il commento di G. VIRGA, Verso un nuovo processo amministrativo, in  Giust. it - Giustizia amm., n. 7, 2000 (www. giust .it).

[49] Peraltro, parte della dottrina ha sostenuto che l’art. 44 del T. U. sul C. d. S. possa comunque fondare, con il richiamo alle “verificazioni”, il ricorso alla consulenza tecnica, pur se non espressamente prevista, in ragione della tipologia di accertamento fattuale da effettuare, così C. MARZUOLI, Discrezionalità amministrativa e sindacato giudiziario: profili generali, cit., p. 160 – 163.   Sullo strumento probatorio delle “verificazioni”, cfr. V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, II ed., 1994, p. 667 ss.   In giurisprudenza, l’ammissibilità della consulenza tecnica è stata per lo più negata, tuttavia alcune pronunce isolate si sono espresse in senso contrario.   Cfr. T.A.R.  Lombardia – Milano, sez. III, 14.3.1990 n. 55 in T.A.R., 1990, p. 1956: “E’ consentito al giudice amministrativo, anche nei giudizi promossi a tutela di posizioni di interesse legittimo, il ricorso alla consulenza tecnica”; Cons. giust. amm. reg. sic., 19.1.1996 n. 14, in Cons. St., 1996, p. 105: “Al fine di effettuare accertamenti di carattere tecnico necessari per decidere un ricorso, il giudice amministrativo non può disporre consulenza tecnica”.

[50] Il G. A., nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva (interessi legittimi e diritti soggettivi) – in base all’art. 35, co. 3, del d.lgs. n. 80 del 1998, come riscritto dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000 – può disporre: “l’assunzione dei mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, nonché della consulenza tecnica d’ufficio, esclusi l’interrogatorio formale e il giuramento”.

[51] Il G. A., nelle controversie devolute alla sua giurisdizione di legittimità (interessi legittimi) – in base agli artt. 1, co. 2, e 16 della legge n. 205 del 2000 che hanno riformulato l’art. 44 del T. U. delle leggi sul Consiglio di Stato approvato con r. d. 26 giugno 1924 n. 1054 – può richiedere all’amministrazione interessata: “[…] nuovi schiarimenti o documenti: ovvero ordinare all’amministrazione medesima di fare nuove verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi ed anche a produrre determinati documenti, ovvero disporre consulenza tecnica”.   In base al nuovo co. 3° dell’art. 44 del T. U.: “La decisione sui mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica, è adottata dal presidente della sezione o da un magistrato da lui delegato ovvero dal collegio mediante ordinanza con la quale è contestualmente fissata la data della successiva udienza di trattazione del ricorso”.

[52] Va ribadito, sulla scorta della dottrina più avanzata, che il vizio dell’eccesso di potere (così come la violazione di legge) inerisce al profilo della legittimità dell’atto amministrativo e non al profilo del merito.   Invero, mentre la violazione di legge (e l’incompetenza) afferisce alla formale, chiara ed aperta violazione delle disposizioni normative, l’eccesso di potere attiene al vizio della causa del potere ovverosia alla violazione sostanziale delle disposizioni normative che vengono utilizzate per perseguire indirettamente scopi o interessi non pertinenti a quanto voluto dalla legge attributiva di un dato potere ad una certa autorità pubblica.   Può ancora dirsi che il vizio della violazione di legge svolge la funzione di assicurare la legalità formale dell’atto amministrativo, mentre il vizio dell’eccesso di potere ha la funzione di assicurare la legalità sostanziale dell’atto amministrativo.   In ogni caso, l’atto amministrativo deve essere emanato in modo aderente a quanto previsto dalla legge, non solo da un punto di vista formale, bensì anche da un punto di vista sostanziale, per cui l’eccesso di potere costituisce il canale di verifica di siffatto secondo aspetto ed attiene alla legittimità e in nessun modo al merito.   Sulla considerazione dell’eccesso di potere come puro vizio di legittimità, cfr. P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II, cit., p. 120 ss, per il quale l’eccesso di potere concerne: “tutte le violazioni di quei limiti interni della discrezionalità amministrativa, che, pur non essendo consacrati in norme positive, sono inerenti alla natura stessa del potere esercitato”.   I limiti interni della discrezionalità amministrativa sono: a) l’interesse pubblico specificamente perseguito; b) la causa del potere esercitato; c) i precetti di logica ed imparzialità.

[53] Il richiamo ad una disciplina specialistica o tecnica costituisce una modalità linguistica della formulazione della proposizione normativa, che invece di descrivere analiticamente tutti gli elementi effettua (e, invero, in certi casi non potrebbe fare diversamente) un rinvio a elementi ricavabili con certezza da altre fonti (le scienze).    Invero, in astratto nulla impedisce che il legislatore, in una proposizione normativa, dica: “ai fini della presente legge la somma di due unità ad altre due unità dà come risultato quattro unità”, mentre più praticamente, di solito, si utilizzano espressioni del tipo: “ai fini della presente legge, per il calcolo della somma di due unità ad altre due unità, si applicano i principi della matematica pitagorica”.   Naturalmente, l’esempio proposto è fin troppo semplificato o semplicistico, tuttavia, a sommesso parere di scrive, ben chiarisce come le disposizioni normative, qualora richiamino conoscenze tecniche o specialistiche, in realtà, non fanno altro che, in qualche modo, incorporarle o, per meglio dire, in tali ipotesi la corretta cognizione di dette scienze diviene inevitabilmente essenziale per l’applicazione corretta e legittima delle norme.   Ancora, può dirsi che il richiamo alle norme tecniche nel testo della disposizione normativa non è affatto accidentale, bensì costituisce elemento essenziale e caratterizzante il potere pubblico, nel cui esercizio una data autorità amministrativa può perseguire un certo interesse pubblico, al punto che l’osservanza delle prescrizioni tecniche costituisce il presupposto per il corretto esercizio della funzione.

[54] Cfr. F. D’AGOSTINO, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 107, il quale osserva efficacemente: “Il giudizio tecnico, giustificato dalla disciplina, è fatto proprio direttamente dalla fattispecie.   La valutazione, una volta acquisita, impone all’autorità amm.va l’adozione di misure coerenti con i contenuti del giudizio”; in pratica: “Tra valutazione tecnica e misura adottata dalla p. a. si pone […] un rapporto di diretta consequenzialità, senza le mediazioni tipiche della discrezionalità amm.va”.

[55] Sul punto, cfr. A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, cit., p. 484.

[56] Cfr. F. LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, cit. p. 432, per il quale: “il giudizio tecnico scorretto, e quindi presumibilmente falso, non si può equiparare ad un giudizio forse opinabile ma tuttavia fondato su una corretta applicazione della regola tecnica”.

[57] Si osservi che talune disposizioni di legge qualificano come insindacabile il giudizio o la valutazione espressa da una certa autorità amministrativa.   Ora, il richiamo alla insindacabilità è riferito alla valutazione corretta (ipotizzata come normale) e non certamente a quella scorretta (eccezionalmente ravvisabile in concreto).   La dottrina rileva che insindacabile in senso proprio può dirsi solo la discrezionalità politico-amministrativa, giammai la discrezionalità tecnica; sul punto, cfr. A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, cit., p. 483.   Infine, va osservato che nei regimi democratici nessuna autorità pubblica o privata è insindacabile qualora compia illeciti e, per quel che riguarda il campo amministrativo, emani atti illegittimi.   Infatti, qualora sia necessario assicurare la libertà del fine, si parla più propriamente di atto politico.   Cfr. G. GROTTANELLI DE’ SANTI, (voce), Atto politico e atto di governo, in Enc. giur., vol. IV, 1988.

[58] In argomento, cfr.: A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, cit., p. 494, per il quale: “il giudice (ordinario ed amministrativo) può […] “ripetere” accertamenti e valutazioni tecniche condotti alla stregua di conoscenze tecnico-specialistiche e rigettare quelli che (prima ancora che “irragionevoli”) apparissero errati, come “sostituirvi” in questo caso i propri apprezzamenti senza rimanere “bloccato” dalla pretesa esclusività delle competenze amministrative”.   Per F. D’AGOSTINO, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 108, il cattivo uso degli strumenti di conoscenza può determinare il sindacato del giudice: “con riguardo alla correttezza dei criteri e delle metodiche usati per giungere all’apprezzamento tecnico […]; con riguardo alla ragionevolezza e attendibilità della scelta in relazione alle valutazioni tecniche compiute”.

[59] Dalla presente analisi esula ogni valutazione concernente il comportamento dei soggetti tecnici che assumano valutazioni dolosamente scorrette, che talora può dar luogo alla commissione di illeciti penali: abuso d’ufficio (art. 323 c. p.), rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326 c. p.), falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c. p.), altri reati contro la P. A., etc.

[60] Con riguardo alla questione della risarcibilità degli interessi legittimi, in questa sede, va ricordato che la sentenza della Corte di Cass., sez. un. civ., n. 500 del 1999 ha riconosciuto, in linea generale, la possibilità che la lesione di un interesse legittimo determini un danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c. c., con ciò superando un consolidato orientamento giurisprudenziale negativo.   L’interesse legittimo: “ha anche natura sostanziale, nel senso che si correla ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione) può concretizzare danno”, pertanto, in generale: “La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo […] rientra infatti nella fattispecie della responsabilità aquiliana”, sebbene vada posta a stretto controllo il collegamento dell’interesse al bene della vita cui si correla, solo in questo caso (e salva la verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l’illecito aquiliano) detta situazione soggettiva diviene effettivamente risarcibile.   Sulla questione, amplius, vedi: C. Cass., sez. un. civ., 22.7.1999 n. 500 in Foro it., n. 9,1999, I, p. 2487 ss con nota di A. PALMIERI – R. PARDOLESI; inoltre R CARANTA, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, in Foro it., n. 11, 1999, I, p. 3201 ss.   Successivamente, anche il Consiglio di Stato ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi, C.d.S., Ad. plen., 30.3.2000 n. 1 in Guida dir., n. 15, 2000, p. 92 ss.   Più in generale sulla questione, cfr.: G. ABBAMONTE, Sulla risarcibilità dei danni da azione di interessi legittimi: diritto interno e fonti comunitarie, in Studi in memoria di F. PIGA, vol. I – Dir. cost. e amm., Milano, 1992, p. 1 ss;  V. CAPUTI JAMBRENGHI, Diritto amministrativo e diritto comunitario. Riflessioni sulla tutela risarcitoria degli interessi legittimi, in AA. VV., Scritti in on. di G. GUARINO, vol. I, Padova, 1998, p. 485 ss; D. RESTA, In margine alla risarcibilità degli interessi legittimi, in Cons. St., II, 1998, p. 297 ss; F. CARINGELLA – R. GAROFOLI, Riparto di giurisdizione e prova del danno dopo la sentenza 500/99, in Giust. it – Giustizia amm., 1999 (www. giust. it); G. GRECO, Interesse legittimo e risarcimento dei danni: crollo di un pregiudizio sotto la pressione della normativa europea e dei contributi della dottrina, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, p. 1126 ss; L. TORCHIA, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Birnam, in Giorn. dir. amm., n. 9, 1999, p. 832 ss; G. BARONE, Il risarcimento per lesione degli interessi legittimi dopo la sentenza Cassazione, ss. uu., n. 500/99. Rapporti tra la giustizia amministrativa e quella ordinaria, in Riv. giur. quadr. dei pubbl. serv., n. 1, 2000, p. 55 ss; A. DI MAJO, Danno ingiusto e danno risarcibile nella lesione di interessi legittimi, in Corr. giur., n. 3, 2000, p. 388 ss.

[61] Cfr. R. LASCHENA, (voce) Violazione di legge (dir. amm.), in Enc. giur., vol. XXXII, 1994.

[62] Il vizio unitario della violazione di legge può presentarsi essenzialmente sotto due aspetti fondamentali: 1) la totale mancata applicazione; 2) la falsa (o erronea) applicazione.   Sul punto, cfr. B. G. MATTARELLA, Il provvedimento in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Dir. amm. gen., tomo I, Milano, 2000, p. 888 ss, il quale osserva: “Nella pratica giudiziaria si distingue la mancata applicazione della norma a un caso da essa contemplato, dalla falsa (o erronea) applicazione, consistente nell’applicazione della norma a un caso da essa non contemplato o nell’errata individuazione degli effetti della sua applicazione al caso concreto”.

[63] Cfr. F. MODUGNO – M. MANETTI, (voce) Eccesso di potere. II) Eccesso di potere amministrativo, in Enc. giur., vol. XII, 1989.

[64] Per F. LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, cit., p. 437, il vizio di legittimità concernente l’inosservanza o non corretta applicazione di norme tecniche può, a seconda dei casi, assumere la consistenza di violazione di legge: “nei non rari casi in cui la scelta del criterio e/o del procedimento tecnico risulti da una chiara indicazione della norma giuridica, e questa indicazione non venga rispettata”; mentre, potrà parlarsi di eccesso di potere: “quando, in mancanza d’una siffatta indicazione, l’amministrazione abbia applicato criteri inadeguati”.


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