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Articoli e note

 

MAURIZIO GRECO

Prime valutazioni in merito agli effetti della riforma costituzionale
sulla normativa in materia di appalti pubblici

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La pubblicazione sulla G.U. della legge n. 3/2001 di riforma costituzionale, che entrerà in vigore l’8 novembre prossimo, costituisce l’occasione per tentare di fare un primo punto sulle possibili conseguenze della modifica dell’assetto istituzionale sulla normativa sugli appalti pubblici.

In effetti, la valutazione complessiva delle conseguenze della modifica del titolo V della Costituzione sul riparto delle competenze legislative e amministrative tra i vari livelli di governo, nelle diverse materie, si presenta non agevole ed è senz’altro tale da richiedere più di un approfondimento, tanto che lo stesso Senato della repubblica ha sentito recentissimamente la necessità di avviare un’indagine conoscitiva, proprio per acquisire un quadro degli effetti e degli adempimenti normativi che attendono l’attuazione della riforma.

I) Come noto, per effetto della modifica all’art. 117 Cost. lo Stato viene privato del potere normativo (legislativo e - tanto più - regolamentare) nelle materie non di sua competenza né esclusiva né concorrente, tra le quali i lavori pubblici e gli appalti.

Tali materie, infatti, ricadono nella competenza esclusiva (“residuale”) delle regioni.

A tal punto viene meno, al fine di delimitare l’ambito della potestà legislativa regionale, la necessità di identificare i lavori pubblici “di interesse regionale”, come invece era richiesto dalla precedente formulazione della norma costituzionale.

Infatti, ad eccezione di quei lavori che potranno essere ancora disciplinati con legge dello Stato, in quanto ricadenti in una delle nuove materie di competenza statale (si pensi ad esempio alle grandi infrastrutture di trasporto), ogni altro lavoro pubblico, anche se eseguito o finanziato dallo Stato, sarà soggetto alla potestà legislativa regionale.

Quindi, anche ipotizzando che residui allo Stato un potere di dettare in tale materia "principi di grande riforma economico sociale" (che, però, non si evince dall’attuale formulazione costituzionale), potrebbe comunque essere recata soltanto una disciplina di principio, mentre non sarebbe possibile adottare ulteriormente disposizioni di legge di dettaglio e norme regolamentari.

Più precisamente, lo Stato viene privato del potere di dettare con efficacia sulle regioni e gli enti locali norme di rango regolamentare in materia di appalti, seppure sinora ritenute ricomprese nella materia della contabilità pubblica (come il R.D. n. 827/1924), in quanto la nuova costituzione attribuisce allo Stato la potestà legislativa solo sull’ordinamento tributario e contabile “dello Stato”.

Ciò rende, ad esempio, particolarmente impellente la questione se, tenuto conto che nella materia dei lavori pubblici la potestà - oltre che legislativa - regolamentare spetta soltanto alle regioni, l'Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici possa ancora essere legittimata ad adottare atti di natura regolamentare e/o sub-regolamentare (analoga questione può porsi per gli atti di natura sanzionatoria, su cui - per principio generale - dovrebbe valere un canone di stretta legalità, a cominciare dalla fonte attributiva del potere).

Viene, infine, travolto anche il potere statale di recepimento di direttive comunitarie (esplicatosi ad esempio nel D.Lgs. 157/1995, ecc.), in quanto nelle materie di propria competenza esclusiva il recepimento delle direttive spetta alle regioni.

E’ indubbio - in conclusione - che le regioni potranno esercitare la propria potestà legislativa esclusiva, come prevede il nuovo art. 117, comma 1, nel solo rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (con costituzionalizzazione dei trattati internazionali e del trattato UE, come subito osservato dai più attenti commentatori), non sussistendo neppure il limite delle riforme economico-sociali imposto alle regioni a statuto speciale.

II) Così rapidamente delineato il quadro delle nuove competenze normative in materia di appalti, ci si può domandare se e sino a che punto la legislazione statale ante-riforma comunque possa sopravvivere sino a quando le regioni non provvedano a legiferare in materia.

Andrebbe infatti tenuto presente, da un lato, che già nel precedente assetto costituzionale le regioni (anche a statuto ordinario, si veda da ultimo la recente legge della Puglia sui lavori pubblici) potevano legiferare in materia, con il solo rispetto dei principi fondamentali, dall’altro, che l'ordinamento non tollera "vuoti".

In tal senso, fino a quando le regioni non abbiano approvato le rispettive leggi, rimarrebbero in vigore le leggi statali; il sistema di successioni delle leggi infatti non permetterebbe che vi siano dei vuoti legislativi, salvo i casi di abrogazione espressa.

Deve essere, tuttavia, rimarcato che la differenza rispetto al passato rispetto alle caratteristiche del potere legislativo delle regioni è, per l'appunto, che oggi vengono a mancare "i principi fondamentali" e comunque, in campo di potestà esclusiva, l'invocabilità di un meccanismo del tipo di quello previsto dalla legge Scelba, pensato in regime di potestà concorrente (in base al quale si applica la legge statale fino a quando la singola regione abbia disciplinato la materia).

Come noto, il previgente art. 117 Cost. e la L. n. 62/1953 prevedevano che, nelle materie di competenza regionale concorrente, le leggi statali continuassero ad applicarsi fino a che la regione non avesse dettato le proprie norme, nel rispetto dei principi fondamentali delle leggi quadro statali o almeno dei principi desumibili dalle leggi statali in materia.

Oggi la situazione è diversa, e il fatto che la normativa statale previgente sia stata emanata (ovviamente) in un momento in cui era costituzionalmente legittima, diviene irrilevante ai fini del problema posto, se cioè tale normativa (di principio, e tanto più di dettaglio) sia oggi "costituzionalmente" applicabile.

In definitiva, occorre capire se la legalità dell'azione amministrativa in materia di appalti debba comprendere o meno anche la (nuova) legalità costituzionale.

Volendo spiegarsi con un esempio, probabilmente alquanto impreciso ma significativo, si può fare riferimento alla situazione degli Stati Uniti, nei quali nelle materie non di competenza federale la legge federale non si applica e gli organi federali non hanno giurisdizione in tali fattispecie.

Non è che si applica la legge federale fino a quando il singolo Stato abbia disciplinato la materia ecc.; si tratta di due "insiemi" che non hanno intersezioni (non a caso tale Paese è la culla del diritto di creazione giurisprudenziale).

Procrastinare pertanto schemi logico-giuridici conosciuti potrebbe essere utile ad individuare nell'immediato la norma applicabile, ma rivelarsi errato dal punto di vista del corretto inquadramento della portata della riforma costituzionale.

Come, infatti, è stato osservato sul concomitante problema dell’abolizione dei controlli di legittimità (in esito all’abrogazione dell’art. 130 Cost.), se si applica il principio della successione della legge nel tempo, una norma successiva, peraltro di rango superiore, che abroga una disposizione costituzionale, non può non abrogare implicitamente una norma precedente di rango ordinario, se questa risulti incompatibile con la prima.

A questo punto, pertanto, la normativa statale previgente sugli appalti non sarebbe ulteriormente applicabile, una volta che sia stata abrogata la norma costituzionale che fondava il potere dello Stato di dettare norme in materia (salva la possibilità che le regioni richiamino nelle proprie norme le leggi statali, rendendole applicabili).

D’altro canto, si potrebbe sostenere che non vi sono necessariamente vuoti nell'ordinamento (almeno in materia di appalti), perché sussistono, da un lato, le leggi regionali, che a questo punto assumerebbero una “vis espansiva”, venendo a disciplinare gli appalti “di interesse regionale” (intendendosi per tali, con un criterio ormai esclusivamente geografico e non più funzionale, quelli affidati nell’ambito del territorio regionale da qualunque ente, comprese le amministrazioni statali), dall’altro perché un ruolo fondamentale in materia di appalti è comunque giocato dalle direttive comunitarie.

Inoltre, dovrebbe essere tenuto presente che vi sono vuoti dell'ordinamento amministrativo che sono stati colmati esclusivamente in via interpretativa e giurisprudenziale (in via meramente esemplificativa: occupazione acquisitiva; scelta del socio maggioritario delle s.p.a. locali; ecc.).

Ancora, deve essere tenuto presente che la riforma costituzionalizza - sia pure in ordine all’esercizio delle funzioni amministrative (art. 119) - il principio "politico-sociale" della sussidiarietà orizzontale, onde l'autonomia privata - che ne è conseguenza giuridica - potrebbe giocare un ruolo maggiore che nel passato per la disciplina dei contratti anche della P.A. (nel senso che non tutto potrebbe o dovrebbe essere disciplinato con fonte "di diritto amministrativo").

Il problema - a tal punto - sarebbe non tanto la rapidità dell’attuazione della riforma costituzionale da parte delle regioni, ma la legittimità degli atti amministrativi che verranno adottati dopo l’entrata in vigore della legge di riforma stessa.

III) Per dare un’idea, conclusivamente, dei problemi che si affacciano nel nuovo quadro costituzionale, ci si domanda ad esempio, nel caso di una gara di lavori in cui fosse richiesta la qualificazione SOA ai sensi del D.P.R. n. 34/2000, se un eventuale ricorso avverso il bando per contrasto con il (nuovo) art. 117 Cost., basato cioè sull'inapplicabilità sopravvenuta della normativa statale derivante dall'incompetenza assoluta dello Stato a normare - tanto più con fonte regolamentare - una materia di competenza esclusiva regionale, nonché sulla necessità e sufficienza della qualificazione ai sensi della direttiva comunitaria, o (eventualmente) della “concorrente” normativa regionale (anche se a suo tempo dettata per i soli lavori “di interesse regionale”), sarebbe fondato o meno.

Al riguardo, secondo una tesi, la materia della qualificazione delle imprese esecutrici di lavori pubblici potrebbe continuare ad essere considerata di competenza esclusiva dello Stato, in quanto mirante a disciplinare la “tutela della concorrenza” nello specifico settore.

Tuttavia, in primo luogo, se le regioni si dotano di diversi sistemi di qualificazione delle imprese esecutrici di lavori tra loro, la concorrenza non è più di tanto lesa, a meno che ovviamente sia consentito di qualificarsi soltanto alle imprese residenti nella regione.

Non si tratta di qualcosa di molto diverso alla situazione in cui già oggi ci sono (o ci possono essere) regole diverse, in materia di sportello unico delle imprese, di "super-dia", ecc..

Se si contesta che gli operatori economici possano essere messi di fronte a regole diverse, a seconda delle zone del paese in cui possono svolgere la loro attività, in realtà, si dovrebbe contestare già oggi (o meglio ieri) l'urbanistica, la disciplina delle cave e miniere, il commercio, ecc..

In secondo luogo deve essere considerato che la tutela della concorrenza  (elencata nel nuovo art. 117 Cost. a fianco di: moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari, sistema valutario, sistema tributario e contabile dello Stato, perequazione delle risorse finanziarie) riguarda l'intervento della mano pubblica a regolare distorsioni "spontanee" del mercato quali concentrazioni, abusi di posizione dominante ecc. (ragione per cui è elencata nella disposizione costituzionale vicino alla tutela del risparmio e ai mercati finanziari), e non il fatto che il pubblico potere disciplini diversamente a livello territoriale alcuni aspetti dell'esercizio delle attività economiche.


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