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RAFFAELLO
GISONDI
(Avvocato)
Vincoli conformativi ed espropriativi nelle applicazioni giurisprudenziali dell'art. 5 bis L. 359/92.
![]()
SOMMARIO: 1. La nozione di edificabilità prevista dall’art. 5 bis L. 8 agosto 1992 n. 359 - 2. Problemi connessi alla qualificazione edificatoria delle aree secondo il loro regime urbanistico. - 3) Soluzioni individuate dalla giurisprudenza: 3.a. retrodatazione della qualificazione – 3.b. distinzione fra zonizzazioni e localizzazioni – 3.b allargamento della nozione di zonizzazione alle destinazioni per finalità pubbliche – 4. Scollamento della distinzione fra vincoli conformativi ed espropriativi fatta propria dalla Corte Suprema in materia di determinazione dell'indennità di esproprio da quella tradizionale che rimane valida solo sul piano urbanistico.
1)
E' noto che l'art. 5 bis della L. 359/92 ha introdotto in materia di indennità
per espropriazioni per pubblica utilità una rigida bipartizione
fra due sistemi legali di indennizzo legata alla classificazione delle
aree come edificabili o non edificabili.
Infatti,
solo per le prime risulta applicabile il criterio indennitario della semisomma
fra valore venale e reddito dominicale rivalutato con decurtazione del 40%
(salvo cessione volontaria), mentre
le restanti (siano esse agricole in senso proprio o solamente non
edificabili) rimangono soggette al valore agricolo medio secondo i dettami degli
artt. 16 e seguenti della l. 865/71.
Stante
l’impossibilità di sfuggire a tale dicotomia, in mancanza della previsione di
un tertium genus
che valorizzi potenzialità di sfruttamento economico dei suoli diverse
da quelle edilizie o agricole [i],
diventa quindi centrale, come e più che in passato, stabilire a quali
condizioni un’area può essere o meno classificata come edificabile.
A
tal fine l'art. 5 bis detta una
propria nozione di edificabilità
che impone la considerazione delle possibilità
legali ed effettive di edificazione.
La
Suprema Corte, nelle prime pronunce seguite alla entrata in vigore della nuova
legge, ha interpretato alla lettera la
locuzione richiedendo, ai fini della classificazione edificatoria
dell'area espropriata, la presenza congiunta delle possibilità di edificazione
di fatto e di quelle di diritto.
E'
così risultato superato il criterio di qualificazione del terreno secondo la
sua mera “vocazione edificatoria” di fatto (desumibile dalla vicinanza al
centro abitato e dalla presenza delle infrastrutture essenziali), pur se
disgiunta da corrispondenti previsioni degli strumenti urbanistici [ii].
L'orientamento
più recente della
Cassazione ha poi ulteriormente rafforzato il primato della edificabilità
legale facendola assurgere a criterio primario per discriminare la natura dei
suoli, spostando così l'incidenza delle possibilità meramente fattuali di
edificazione dal piano della qualificazione dell’area a quello della
quantificazione concreta dell'indennizzo una volta che essa sia stata
classificata come edificabile sulla base del solo criterio "legale" [iii].
Ma
a quali condizioni un'area può qualificarsi come legalmente
edificabile?
La giurisprudenza della S.C. ha dettato in proposito tre regole fondamentali:1) l'edificabilità legale dipende dalle destinazioni previste dagli strumenti urbanistici generali; 2) occorre però tener conto solo delle destinazioni previste dagli strumenti urbanistici non preordinati all'espropriazione e prescindere invece dai vincoli a tal fine preordinati; 3) il momento nel quale deve essere compiuta la qualificazione dell'area, alla luce di tali destinazioni, è quello dell'espropriazione.
L'applicazione
di tali regole, intorno alle quali viene a ruotare tutto il sistema indennitario
introdotto dall’art. 5 bis della l. 359/92, dà luogo tuttavia a delicati
problemi ermeneutici, non sempre risolti in modo univoco dalla giurisprudenza
della Corte Suprema, ai quale si vuole dedicare la presente analisi.
* * *
2) La
questione fondamentale
che si pone nella classificazione dell’area secondo un criterio legale
basato sulla considerazione degli strumenti urbanistici, è quella di
individuare quali destinazioni
possano essere a tal fine rilevanti, e quali invece, costituiscano
vincoli espropriativi inidonei a conformare la natura del terreno.
Il
problema è particolarmente delicato per quanto riguarda i terreni destinati dai
piani regolatori generali a "verde pubblico", "parcheggi",
"strade" , oppure le destinazioni
ad uso scolastico, edifici pubblici, ecc...
Infatti,
tali previsioni, secondo il tradizionale insegnamento della giurisprudenza
costituzionale e di legittimità, costituiscono vincoli espropriativi privi di
rilevanza al momento della determinazione dell'indennizzo, non potendosi tener
conto della loro incidenza negativa sul valore di mercato dell'area.
Tuttavia,
se si esclude che le predette destinazioni possano essere utilizzate ai fini
della qualificazione della edificabilità legale delle aree espropriate, rimane
l'interrogativo su quale sia allora il parametro urbanistico a tal fine
rilevante.
3)
In giurisprudenza sono state individuate tre diverse soluzioni del problema.
3.a)
La prima è quella della retrodatazione della classificazione dell'area al
momento precedente a quello della apposizione del vincolo: si procede cioè a
ritroso qualificando l'area sulla scorta della destinazione urbanistica
precedente a quella prevista dal vincolo a verde, strada, scuola, ecc., in base
alla quale il terreno è stato poi espropriato. Qualora poi anche la
destinazione precedente fosse
di natura espropriativa si risale al momento ancora anteriore, e così
via [iv].
Il
rischio di tale sistema è di determinare l'indennizzo del bene non sulla base
delle caratteristiche (legali) che esso possiede al momento del passaggio alla
mano pubblica, ma di quelle previste da strumenti urbanistici non più attuali,
magari superati a molti anni, o, addirittura, sulla base di mere
discipline edilizie risalenti
a regolamenti dell'inizio del secolo.
Per
tale ragione questa interpretazione dell'art. 5bis è stata
dichiarata incostituzionale dalla Consulta, la quale, con la sentenza n.
442/93 [v]
ha stabilito che la disposizione deve intendersi nel senso, non corrispondente
al suo tenore letterale,
che la ricognizione delle possibilità legali ed effettive dell'area
espropriata sia da effettuare al momento della vicenda ablativa, senza tuttavia
tener conto dei vincoli preordinati alla espropriazione.
3.b)
Un altro filone giurisprudenziale, preso atto della dichiarata illegittimità
costituzionale della prima opzione ermeneutica, ha ricondotto il problema della
qualificazione legale della edificabilità dei suoli alla nota e tradizionale
distinzione fra destinazioni afferenti la c.d. zonizzazione,
volte a governare l'utilizzazione del territorio secondo la sua suddivisione
in ampie zone funzionali, e altre previsioni dei piani urbanistici, dette localizzazioni",
dirette invece a precludere interventi edilizi privati su aree determinate, in
previsione della realizzazione futura di opere o infrastrutture pubbliche.
I
vincoli del primo tipo sono considerati espressione del potere di pianificazione
e quindi ricondotti nell'ambito delle mere limitazioni
non indennizzabili della proprietà privata ex art. 42 comma 1° Cost., quelli
del secondo tipo, invece, essendo funzionali alla realizzazione di opere
pubbliche, vengono ricondotti ad una potestà preablatoria
della p.a., con la conseguenza di far sorgere un diritto all'indennizzo che
viene rinviato al momento della espropriazione.
Di qui la necessità di non tener conto della loro incidenza negativa sul
valore venale dell'area espropriata[vi].
Secondo
la citata giurisprudenza la distinzione fra destinazioni di zona e
localizzazioni permetterebbe di operare una ricognizione della qualità
edificatoria del terreno senza necessità di retrodatare la disciplina
urbanistica di riferimento ad un momento precedente a quello
dell'espropriazione.
Infatti, anche a prescindere dalla localizzazione dell'opera pubblica, lo
strumento generale consentirebbe comunque un riscontro della edificabilità
legale sulla base della più ampia zona funzionale cui l'area appartiene e che
ne determina il regime edilizio sul piano conformativo.
Ciò,
tuttavia, non sempre risulta possibile.
Spesso,
infatti, il P.R.G. prevede destinazioni che sono sì preordinate a future
utilizzazioni pubbliche, ma che abbracciano vasti comprensori territoriali senza
una precisa localizzazione delle opere su aree determinate.
Tali
destinazioni non si limitano cioè ad individuare nell'ambito di zone più ampie
le singole aree su cui dovranno sorgere determinate infrastrutture, ma
costituiscono esse stesse autonoma disciplina del comprensorio, ancorchè ne
prefigurino una utilizzazione pubblica anzichè privata.
In
questi casi, pertanto, se si prescinde dalla destinazione urbanistica di
riferimento, viene
a mancare ogni parametro "legale" per la qualificazione dell'area
espropriata come edificabile.
Nè
si può procedere a ritroso e fare riferimento ad una destinazione urbanistica
precedente rispetto a quella vigente al momento dell'esproprio, stante la già
citata l'incostituzionalità di tale ipotesi interpretativa dichiarata da Corte
Cost. 442/93.
3.c)
In tali situazioni alcune pronunce della Corte Suprema, pur mantenendo fermo il
discrimine fra vincoli espropriativi e conformativi, hanno allargato la nozione
di questi ultimi, ricomprendedovi destinazioni di piano regolatore generale
diverse dalle classiche zone residenziali, produttive o agricole.
Secondo
quest'ultimo orientamento anche le destinazioni di P.R.G. che preludono a future
utilizzazioni pubbliche, o comunque di interesse collettivo, se abbracciano
interi comprensori senza individuare in modo particolare e circostanziato la
sede delle singole opere o infrastrutture, sono riconducibili alle destinazioni
di zona a carattere conformativo e come tali determinano la qualificazione della
edificabilità delle aree in senso positivo o negativo.
In
tale ottica, la nozione di vincolo preordinato all'espropriazione viene
tendenzialmente ricondotta alla fase attuativa del p.r.g. in cui, o attraverso
la pianificazione
esecutiva, oppure mediante la approvazione di specifici progetti, l'area
da espropriare viene individuata in modo particolareggiato, imponendo così al
un sacrificio a titolo particolare non rilevante nella determinazione
dell'indennizzo espropriativo [vii].
Pertanto,
sulla base di questo insegnamento, anche le previsioni di p.r.g. a verde
pubblico, edilizia pubblica (residenziale, scolastica, uffici), parcheggi,
impianti sportivi etc.., qualora non costituiscano mere localizzazioni, rilevano
ai fini della classificazione dell'area espropriata come edificabile. Ma ciò
solo in virtù del fatto che la previsione urbanistica
ne consenta o meno uno sviluppo edilizio a prescindere dalle sue modalità
di attuazione pubbliche o private.
Per
cui, in materia di indennità di esproprio, il principio della irrilevanza del
vincolo a tal fine preordinato non
si riferisce più alle previsioni del p.r.g. in quanto tali [viii],
che operano sul piano conformativo determinando il regime edificatorio del suolo
in base alla sua destinazione legale, ma rende invece neutre le loro modalità di attuazione che possono indifferentemente
essere pubbliche (con conseguente esproprio) o private (mediante intervento
diretto su concessione).
Sicché,
ad esempio, si afferma che i terreni inclusi in un piano di zona hanno sempre
carattere edificabile
perché inseriti in uno strumento idoneo ad attribuire alle aree in esso
ricomprese attitudine edificatoria, senza che a tal fine possano assumere
rilevanza in senso contrario le specifiche modalità attuative che, richiedendo
necessariamente la preventiva espropriazione, non consentono al proprietario di
realizzare in proprio la prevista potenzialità edificatoria [ix].
Parimenti
edificabile deve considerarsi un'area sulla quale venga localizzato un progetto
di edilizia universitaria avente efficacia di variante di p.r.g. rispetto ad una
precedente destinazione agricola, qualora, in relazione alle circostanze, la
nuova destinazione possa risolversi in una zonizzazione a portata conformativa.
Anche in questo caso, l'indifferenza del vincolo non preclude la positiva
rilevanza ai fini classificatori della destinazione urbanistica finalizzata ad
uso pubblico (polo universitario), mentre resta indifferente ai fini della
scelta del criterio indennitario applicabile, soltanto la modalità di
attuazione della previsione in tal modo introdotta [x].
Per
contro, sono invece
da considerarsi inedificabili le aree destinate dal p.r.g.
a verde pubblico [xi],
attrezzature sportive, parcheggi [xii]
etc.., ma non perché lo strumento generale ne riservi eventualmente
l'attuazione alla pubblica amministrazione, ma per il fatto che o non esprimono
alcuna potenzialità edificatoria, oppure consentono soltanto utilizzazioni paraedificatorie
le quali, in un sistema che non conosce un tertium genus fra aree edificabili e
non, vengono assimilate dall'art. 5 bis a quelle agricole [xiii].
* * *
4)
L'analisi dell'indirizzo giurisprudenziale da ultimo esaminato consente di
evidenziare che la distinzione fra vincoli conformativi ed espropriativi fatta
propria dalla
Corte Suprema in materia di determinazione dell'indennità di esproprio, è
oramai del
tutto sganciata da quella tradizionale che sta invece alla base del regime
temporaneo delle destinazioni urbanistiche (di p.r.g.) configuranti vincoli di
inedificabilità preordinati alla realizzazione di opere pubbliche.
Infatti,
sotto il profilo della disciplina urbanistica vi è l'esigenza di evitare una
indefinita o troppo lunga compressione dello jus
aedificandi, senza alcuna forma di autonomo indennizzo, da parte di vincoli
comunque finalizzati a utilizzazioni dell'area attuabili solo dalla p.a.
mediante espropriazione. Sicché, in quest'ottica, tutti i vincoli che
preludono a future utilizzazioni pubbliche alla cui attuazione il proprietario
non può avere accesso, sono da considerarsi temporanei (o indennizzabili) a
prescindere dalla loro portata particolare
o generale.
Viceversa,
nell'ambito della classificazione delle aree ai fini della applicazione del
corretto criterio indennitario (ex art. 5bis o ex artt. 16 e ss L. 865/71), non
rileva il fatto se la destinazione urbanistica vigente al momento
dell'espropriazione consentisse o meno l'attuazione diretta al proprietario, ma
soltanto la astratta possibilità edificatoria da essa prevista
indipendentemente dalla forma di realizzazione
pubblica o privata [xiv].
Sicché,
il fatto che l'attuazione di una data destinazione di piano (come ad esempio ad
edilizia economica residenziale) sia riservata alla pubblica amministrazione
mediante l'esercizio di strumenti ablatori, non determina di per sè alcuna
conseguenza sulla classificazione dell'area ai fini indennitari, ma, casomai può
influire sulla concreta determinazione dell'indennizzo che andrà commisurato al
valore delle aree appartenenti a quella determinata tipologia edilizia (uffici,
scuole, impianti etc.)[xv].
Ciò
può sicuramente determinare difficoltà di stima del valore venale delle aree
che abbiano destinazioni la cui attuazione,
normalmente, è riservata alla amministrazione, con conseguente
sottrazione al mercato. Tuttavia, anche in materia urbanistica appare sempre più
difficile tracciare una netta linea di demarcazione fra destinazioni pubbliche e
private, posto che in campi tradizionalmente riservati alla pubblica
amministrazione, come quello delle opere pubbliche, si affaccia sempre più di
frequente l'iniziativa privata con forme che vanno dal project
financing, a strumenti di convenzionamento che accompagnano concessioni
edilizie rilasciate per la costruzione diretta di opere e infrastrutture di
interesse collettivo (case di cura, impianti sportivi, parcheggi etc.) [xvi].
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[i]L'impossibilità allo stato attuale della legislazione di configurare un tertium genus di aree, valutabili secondo criteri diversi da quelli previsti dall'art. 5bis L. 359/92 per le aree edificabili e dagli art. 16 e ss. della L. 865/71 per le aree agricole e per quelle non edificabili, è confermata da Corte Cost 23/07/1997 n. 261 Foro It. 1998, I, 1021. Sul tema del tertium genus vedi anche note nn. 12 e 13.
[ii]Cass.
28/3/1996 n. n. 2856 In Foro It. 1996, I, 1630; Cass.11/12/1996 n. 11037 in
Foro It. 1997, I, 814; Cass. 9/6/1997 n. 5111 in Mass Giust. Civ. 1997, 939;
Cass.1/8/1997 n. 7152 in Riv. Giur
Ed. 1998, I, 648; Cass. 20/1/1998 n. 483 ibidem I, 887; Cass. 8/1/1998 n. 97
in Riv. Giur Urb. 1998, fasc. 4, 1; Cass. 14/1/1998 n. 259 in
Appalti Urbanistica Edilizia 1999, 363 ; Cass. 10/04/1998 n. 3717
ibidem 1999, 293; Cass. Cass.
12/06/1998 n. 5893 in Foro It. 1998, I, 2823; Cass. 3/7/1998 n. 6522 in Mass
Foro It. 744; Cass. 5/9/1998 n.
8226 in Mass, 950; Cass. 25/8/1998 n. 8434 in Giust Civ. Mass 1998, 1768;
Cass. 12/6/1999 n. 5806 in Mass Giust Civ. 1999, 1348; Cass. 29/4/1999 n.
4300 in Riv. Giur Ed. 1999, I, 996.
Del tutto isolata rimane Cass. 27/01/1998 n. 774 in Appalti Urbanistica Edilizia 1999, 363, la quale ritiene invece desumibile la edificabilità del suolo oltre che dagli strumenti urbanistici anche dalle sue caratteristiche di fatto che ne denotino l’attitudine ad essere edificato.
[iii]Cass.
11/6/1998 n. 5821 in Riv. Giur. Ed. 1998, I, 1143; Cass. 28/4/1999 n. 4287 in
Riv. Giur Ed. 1999, I, 1000; Cass. 17/4/1999 n. 3839 ibidem.
Il criterio della edificabilità di fatto può assumere rilevanza anche ai fini della classificazione dell'area solo in via sussidiaria quando il Comune in cui avviene l'esproprio sia sprovvisto di strumento urbanistico (Cass. 17/9/1997 n. 9242 in Giust. Civ. 1998, I, 446), oppure, secondo certa giurisprudenza, quando la destinazione urbanistica di riferimento sia decaduta per effetto del decorso del termine quinquennale previsto dalla L. 1187/68 (Cass 2/9/1998 n. 8702; 30/12/1998 n. 12880 entrambe in Appalti Urbanistica Edilizia 1999, 619). Sull'effetto della decadenza dei vincoli ai fini della classificazione dell'area espropriata cfr nota 14.
[iv]E' il criterio più rispondente alla lettera dell'art. 5bis L. 359/92 che individua nel momento della apposizione del vincolo preordinato all'esproprio la ricognizione delle possibilità legali ed effettive dell'area. Viene seguito da Cass. 9/02/1999 n. 1090 in Foro It. 1999, I, 1434 e Cass. 25/06/1999 n. 6576. Ad esso si rifanno anche talune Corti di merito. Ad es. Corte App Milano Sent 2/02/1999 n. 1009 in www. Giust.it n. 11/99;
[v] Corte Cost. 16/12/1993 n. 442, in Foro It. 1994, I, 4. Per quanto riguarda la Cassazione vedasi Cass. n. 8702/98 cit. ; Cass. 8434/98 cit. ; Cass. 18/04/1998 n. 3948 in Riv. Giur. Ed. 1998, I, 871; Cass. 11/01/1999 n. 181 in Giust Civ. mass. 1999, 41; Cass. 20/03/1999 n. 4903, ibidem, 1116; Cass. 3/02/1999 n. 4473, id. 1012; Cass. 24/11/1999 n. 13040 in Guida al Diritto Sole 24 Ore n. 4 2000, 89; Cass. 10/06/1999 n. 5733 in Giust Civ. Mass 1999, 1323 la quale ultima afferma testualmente: "mentre prima dell'intervento della Corte Costituzionale il riferimento letterale del terzo comma dell'art. 5bis al "momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio" comportava che la qualificazione del terreno avvenisse con riferimento ad una situazione legale e fattuale spesso di vari anni anteriore a quella in cui interveniva il provvedimento ablativo, a seguito della decisione della Corte Costituzionale 442/93, la qualificazione deve essere ora effettuata al momento dell'esproprio prescindendo dalla portata negativa o positiva del vincolo"
[vi]Cass.
29/11/1989 n. 5215,
in Foro It.
1990, I, 884; Cass.1/04/1992 n. 3930, in Foro It. 1992, I, 2704; Cass.
16/1/1992 n. 496, in Foro It. 1992, I, 2428.
[vii] Cass 16/5/1998 n. 4921 in Appalti Urbanistica Edilizia 1999, 363 la quale afferma che "le destinazioni impresse dalla suddivisione zonale del territorio, che riguardano in modo generale tutte le aree aventi una determinata allocazione topografica , hanno carattere conformativo della proprietà, sono rilevanti al momento dell'esproprio e incidono sulla determinazione del valore ai fini dell'indennità. Che comunque preludano ad una futura destinazione pubblica, non toglie che la destinazione sia operata dallo strumento urbanistico nell'ambito della zonizzazione, e che la concreta destinazione ad opera o servizio pubblico richieda una successiva individuazione, con l'approvazione di uno strumento attuativo o con una specifica dichiarazione di pubblica utilità".
Analoghi concetti sono ripresi da Cass. 15/03/1999 n. 2272 in Foro It. 1999, I, 1432 e Cass. 29/04/1999 n. 4320 Giust. Civ. mass 1999, 978 la quale sottolinea che i vincoli preordinati all'espropriazione devono essere ricondotti a quegli strumenti urbanistici attuativi comportanti la dichiarazione di pubblica utilità, mentre la funzione del p.r.g. è rivolta alla zonizzazione anche con riguardo alla previsioni che riguardano opere pubbliche.
[viii] Alcune isolate pronunce del 1998 affermano ancora la irrilevanza ai fini classificatori dell'area espropriata delle destinazioni urbanistiche a verde pubblico, attrezzature sanitarie contenute in strumenti urbanistici di secondo livello come il p.r.g. o il p.d.f.: Cass. 17/4/1998 n. 3905 in Giusti Civ. mass. 1998, 815; Cass. 9/12/1998 n. 12383 in Giust Civ. Mass. 1998, 2554. Dette sentenze, tuttavia, non indicano quale sia il parametro urbanistico di riferimento una volta esclusa la rilevanza conformativa delle suddette destinazioni.
[ix]Così
Cass. 29/8/1998 n. 8648 in Riv. Giur Ed. 1998, I, 1330; Cass. 16/07/1998 n.
6949 In Giust Civ. Mass.
1998, 1537; Cass. 5/5/1999 n. 4473 ibidem, 1012; Cass. 5/5/1999 n. 4480 in
Riv. Giur Ed. 1999, I, 993 secondo
la quale "l'effetto conformativo
che discende dalla potestà di variare la precedente disciplina urbanistica
è logicamente e giuridicamente precedente rispetto all'effetto vincolante
in funzione del futuro esproprio che consegue all'approvazione dello stesso
p.e.e.e.p., con la conseguenza che, nella qualificazione del terreno,
occorre tener conto della nuova destinazione e prescindere dal vincolo
preordinato all'esproprio".L'indirizzo che considera il p.e.e.p.,
quantomeno se approvato in variante ad una precedente destinazione agricola
o comunque di inedificabilità, come vincolo conformativo anzichè come
vincolo preordinato alla espropriazione è stato consacrato da Cass. SSUU
18/11/1997 n. 11433 in Foro It. 1998, I, 463 (ma già prima inaugurato da
Cass. 18/1/1992 n. 496 in Foro It. 1992, I, 2430) ed è divenuto prevalente.
Oltre alle già citate sentenze cfr Cass. 18/4/1998 n. 3948 in Riv. Giur Ed.
1998, I, 871; Cass. 6/5/1998 n. 4558 in Giust Civ. Mass.
1998, 947; Cass. 23/04/1998 n. 4194; Cass. 21/09/1999 n. 10183 in Giust Civ.
Mass. 1999, 1993; Cass. 21/03/2000
n. 3307 in Guida al Diritto Sole 24 ore 3/6/2000, 49; Cass.
24/11/1999 n. 13040 cit..
Cass.
5/5/1998 n. 4498 in Appalti Urbanistica Edilizia, 1999, 298, operando un
distinguo fra p.e.e.e.p. approvato in variante e p.e.e.p. che funga da mero
strumento esecutivo di una destinazione già edificatoria del p.r.g.,
considera detto strumento come conformativo solo nel primo caso e afferma
che nella seconda ipotesi il valore dell'area debba essere determinato
prescindendo dai limiti di edificabilità di conformazione e densità
edilizia stabiliti dallo strumento esecutivo.
Paiono invece negare tout court ai piani di zona portata conformativa Cass. 22/4/1998 n. 4091 in Urbanistica e Appalti 1998, 851 e Cass. 29/04/1999 n. 4328 in Giust Civ. Mass. 1999, 982 (relativa però ad un caso in cui il p.e.e.p. interviene in zona già edificabile e quindi senza portata di variante allo strumento generale).
[x]
Cass. 10/6/1999 n. 5733 cit.; Cass.
29/04/1999 n. 4320 in Giust Civ. Mass. 1999, 978, che afferma la rilevanza
conformativa sulla valutazione dell'area
di una variante di p.r.g. che ha introdotto
una destinazione a servizi
generali pubblici o gestiti da enti pubblici in luogo di una pregressa
destinazione direzionale ma dotata di un indice inferiore; Cass. 21/03/2000
n. 3298 in Guida al Diritto Sole 24 ore 3/6/2000, 49 con riferimento ad una
destinazione scolastica.
Nega invece che la variante di p.r.g. introdotta per adeguare la destinazione urbanistica alla realizzazione di un'opera pubblica possa condizionare la classificazione dell'area rispetto alla precedente destinazione Cass. 6/3/1998 n. 2513 in Appalti Urbanistica Edilizia 1999, 293.
[xi]Cass.
259/98 cit.; Cass. 20/03/1998 n. 2929 in Giust Civ. Mass. 1998, 607; Cass.
4921/98 cit.; Cass. 3717/98; cit.; Cass. 2272/99 cit.; Cass.9/7/1999 n. 7200
in Giust Civ. Mass. 1999, 1603.
Cass. 26/04/1999 n. 4131 in Giust Civ. Mass. 1999, 934 pur ritenendo di natura conformativa la destinazione a verde pubblico, afferma tuttavia che essa e suscettibile di attribuire all'area espropriata il connotato della edificabilità sia pur nei limiti dalla stessa consentiti.
[xii]Cass. 22/02/1999 n. 465 in Giust. Civ. Mass. 1999, 106
[xiii]Sul difetto di un tertium genus fra aree edificabili e non edificabili oltre alle sentenza citate nelle due note precedenti cfr. Cass. 3/07/1998 n. 6522 in Riv. Giur Ed. 1998, 1137; Cass. 26/05/1999 n. 5085 in Giust Civ. Mass. 1999, 1165 in ordine alla valutazione secondo il valore agricolo medio di un terreno destinato a cava stante la sua natura non edificabile benchè economicamente non agricola. Contra tuttavia le recenti Cass. 6/11/1999 n. 12354 in Guida al diritto Sole 24 Ore n. 2 2000, 77 e Cass. 22/02/2000 in Guida al Diritto Enti Locali n. 16 2000, 87, la quale, pur riaffermando il linea di principio la insussistenza del tertium genus di aree, ha comunque valutato il terreno destinato a cava in base alla sua potenzialità economica derivante dalla specifica attività produttiva sottraendolo così alla rigida dicotomia fra i due criteri di stima previsti dall’art. 5bis L. 359/92 e dalla L. 865/71.
[xiv]Il
diverso significato assunto dalla nozione di vincolo espropriativo nei
due diversi momenti, non manca di generare rilevanti problemi
ermeneutici, posto che quelle destinazioni qualificabili come espropriative
ai fini della loro durata, non lo sono altrettanto quando si tratta di
classificare la natura dell'area per l'applicazione del corretto criterio
indennitario.
Sorge
infatti l'interrogativo su come classificare ai fini dell'indennizzo
le aree la cui destinazione urbanistica ad uso pubblico sia divenuta
inefficace a seguito del decorso del termine quinquennale previsto dall'art.
2 della L. 1187/68.
La
giurisprudenza della Corte di Cassazione ha dato soluzioni non univoche
al problema, ritenendo talvolta applicabili gli standards previsti
dall'art. 4 L. 10/77 per i comuni sprovvisti di piano regolatore e ritenuti
applicabili dalla giurisprudenza amministrativa in caso di decadenza dei
vincoli sulle c.d. "zone bianche"; (Cass. 6/11/1998 n. 11158),
talvolta invece affermando la rilevanza in tal caso della sola edificabilità
di fatto in assenza di uno stabile parametro urbanistico di riferimento
(Cass. 25/09/1998 n. 8702, cit ; Cass. 30/12/1998 n. 12880, cit. e Cass.
11/01/1999 n. 181), altre volte ancora predicando la perdurante validità
della previsione urbanistica di zona nella quale ricade l'area espropriata
(Cass. 13/08/1999 n. 8638 in Riv. Giur. Ed. 1999, I, 1272; Cass. 20/05/1999
n.4903 ibidem, 991).
Tuttavia, a ben vedere, applicando in maniera rigorosa la regola secondo cui rileva la destinazione vigente al momento dell'espropriazione, il problema non si dovrebbe nemmeno porre, dal momento che in caso di intervenuta decadenza della destinazione, l'amministrazione, prima di intraprendere la procedura espropriativa, dovrebbe procedere alla c.d. "reiterazione", introducendo così un nuova disciplina urbanistica rilevante ai fini della classificazione dell'area al momento della vicenda ablativa.
[xv]Non si può perciò pienamente condividere l'affermazione secondo cui "l'indiscutibile conferma che le previsioni urbanistiche recanti destinazioni ad opere o spazi pubblici vanno iscritte nella categoria dei vincoli espropriativi", che verrebbe dalla sentenza della Corte Costituzionale 20/05/1999 n. 179 (Foro It. 1999, I, 1705), comporterebbe la conseguenza che detti vincoli non possano avere alcuna rilevanza in sede di classificazione edificatoria del fondo ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, dovendosi pertanto ritornare al criterio della mera edificabilità di fatto, in luogo di quello che tiene conto della "qualificazione del bene secondo la regolamentazione giuridica assegnata dai piani urbanistici" (Benini nota a Corte Cost. 179/99 cit. in Foro It. 1999, I, 1709). Infatti, se la classificazione dell'area secondo la destinazione assegnata dagli strumenti urbanistici di secondo livello, prescinde dalla possibilità o meno del proprietario di realizzarla in proprio, ciò significa che le suddette previsioni di piano operano soltanto in virtù della loro portata conformativa che qualifica il regime giuridico del bene secondo la sua destinazione legale.
[xvi]Di
ciò ha preso atto la stessa Corte Costituzionale laddove, nella citata
sentenza n. 179 del 1999, ha riportato nell'ambito delle destinazioni a
carattere conformativo (sottraendole così alla alternativa fra durata
temporanea o indennizzo a cui soggiacciono i vincoli espropriativi), quelle
previsioni, anche specifiche, di p.r.g. che consentono ai privati di
realizzare direttamente, previa stipula di apposite convenzioni, opere o
infrastrutture di carattere collettivo quali impianti sportivi, parcheggi,
mercati, tradizionalmente attuabili soltanto attraverso interventi pubblici.
La novità contenuta nella predetta sentenza della Consulta non sta mancando di produrre effetti anche in materia di determinazione dell'indennità espropriativa. Invero, Cass. 3298/2000 cit., nell'escludere che la destinazione ad edilizia scolastica possa configurare un vincolo preordinato all'espropriazione, osserva che "non sussistendo alcun impedimento a che alle necessità scolastiche si provveda mediante soluzioni locative anziché espropriative, il vincolo può ricomprendersi fra quelli che, secondo la sentenza, n. 179 del 1999 della Corte Costituzionale, importano una destinazione anche a contenuto specifico, realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata".