LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

 

RAFFAELLO GISONDI
(Avvocato)

Edificabilità delle aree espropriate:
una questione giuridica od urbanistica?

(commento a Cass. SS.UU., sent. 23 aprile 2001 n. 173*)

horizontal rule

Come è noto a seguito della entrata in vigore dell’art. 5bis della l. 359/92, la qualificazione della edificabilità delle aree espropriate ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione è divenuta principalmente una questione di natura urbanistica.

Le tappe che hanno condotto a tale conclusione sono note e non meritano (almeno in questa sede di breve commento) più che un cenno riassuntivo.

La Corte di Cassazione, attraverso una interpretazione letterale e sistematica del citato art. 5bis:

1) ha dapprima sancito il primato della “edificabilità legale” su quella di fatto, stabilendo che ai fini della classificazione di un’area come edificabile o meno non rileva la presenza di infrastrutture, la vicinanza al centro abitato o di altri indici che denotano la materiale possibilità di costruzione di edifici. Ma occorre la “legale” possibilità di edificare [1].

2) In secondo luogo ha  stabilito che  la possibilità “legale” di edificare è inscindibilmente ancorata alle previsioni degli strumenti urbanistici.

Per cui anche ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione un’area può considerarsi di natura edificabile solo e nella misura in cui gli strumenti urbanistici lo  prevedono. Viceversa, ove tali strumenti impongano vincoli di inedificabilità il terreno deve sempre ritenersi privo dell’attributo in questione e viene  quindi parificato ai terreni agricoli quanto a criterio di indennizzo.

Era inevitabile che siffatta impostazione dovesse fare i conti con uno dei principi cardine in materia di indennità di espropriazione: quello della irrilevanza dei vincoli preordinati alla esproprio nella determinazione del relativo indennizzo.

Invero, la potestà di pianificazione urbanistica si estrinseca in previsioni o vincoli che hanno una diversa incidenza sulla proprietà privata: i vincoli c.d. “conformativi” che limitano ma non annullano le facoltà dominicali  essenziali in base alla disciplina positiva del diritto di proprietà, e incidono su intere categorie generali di beni: E  quelli “espropriativi”. Questi ultimi, nel loro contenuto, sono tali da svuotare il diritto di proprietà delle sue facoltà essenziali, e, nella loro portata, sono “particolari” perché impongono un sacrificio individuale su beni determinati e non su intere categorie generali di immobili aventi le medesime caratteristiche.

Conseguentemente, la regola secondo cui la edificabilità legale, viene a dipendere dalle previsioni degli strumenti urbanistici, comporta comunque la necessità di discernere nell’ambito di queste fra vincoli conformativi ed espropriativi, posto che soltanto i primi sono suscettibili di determinare la natura dell’area espropriata.

Fermi restando i principi di cui sopra, unanimemente condivisi, lo sforzo ermeneutico della giurisprudenza si è quindi concentrato su due principali questioni:

1)  i criteri per distinguere vincoli conformativi ed espropriativi;

2)  il momento in cui operare la classificazione edificatoria dell’area.

***

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, sono da considerarsi come vincoli conformativi tendenzialmente tutte le previsioni contenute in un piano regolatore generale di secondo livello, anche quelle che prefigurano una futura utilizzazione pubblica dell’area come verde sportivo, parcheggi, zone servizi etc. [2].

Ciò perché le prescrizioni dettate dai suddetti strumenti hanno per loro natura un carattere generale e programmatico, ed attengono quindi alla “zonizzazione” del territorio,  mentre l’individuazione puntuale del bene da espropriare (che costituisce la caratteristica del vincolo espropriativo) interviene in una fase successiva attraverso un piano attuativo o una specifica dichiarazione di pubblica utilità.

Altre pronunce affermano invece che l’imposizione di vincoli preordinati all’espropriazione può essere contenuta anche in strumenti urbanistici di secondo livello qualora essi individuino già in modo particolare e circostanziato (“lenticolare”) la localizzazione della futura opera pubblica [3].

La sentenza n. 173/2001 presta adesione a questo secondo indirizzo affermando che il carattere conformativo e non ablatorio, agli effetti indennitari, dei vincoli di piano non discende, direttamente e necessariamente, dalla fonte formale da cui il vincolo deriva (p.r.g., dichiarazione di p.u. o strumenti di terzo livello) quanto piuttosto da requisiti oggettivi di natura e struttura quali l’incidenza su una generalità di beni appartenenti ad una pluralità indifferenziata di soggetti, il rapporto spaziale con un’opera pubblica.

Per la verità il contrasto fra i suddetti orientamenti è più sfumato di quanto possa sembrare.

Infatti, da un lato, il primo filone giurisprudenziale intende affermare il principio che anche le destinazioni di piano che prefigurano future utilizzazioni pubbliche delle aree fanno parte della zonizzazione se hanno carattere generale e programmatico, ed identifica perciò il vincolo preordinato all’espropriazione nella dichiarazione di p.u. (sia essa autonoma, implicita, o contenuta in strumenti attuativi) perché normalmente è a tale livello che viene circostanziato il perimetro dell’opera pubblica.

D’altra parte anche le sentenze che fanno capo al secondo orientamento, non riconducono tutte le destinazioni di  p.r.g. che prevedono la realizzazione di opere o spazi  pubblici a vincoli preordinati all’espropriazione, ma solo quelle di carattere  particolare individualizzate a singoli immobili.

Per cui la differenza fra le diverse decisioni è spesso riconducibile alle peculiarità del caso concreto più che alla effettiva discordanza dei principi sottesi.

Quando la dichiarazione di p.u. è attuativa di una conforme destinazione del p.r.g. che preveda le opere da realizzare solo a livello generale (ad es. verde attrezzato o zone di servizio), si riconosce la natura conformativa, e la conseguente rilevanza classificatoria,  della previsione del piano regolatore di secondo livello [4].

In altri casi la previsione dell’opera pubblica viene innestata ex novo in una zona urbanistica che di per sé non la consentirebbe (ad esempio perché zona agricola) e richiede quindi, contestualmente alla approvazione del progetto, una variante ad hoc del p.r.g.

In queste fattispecie la più recente giurisprudenza della Corte Suprema ha negato che la mera localizzazione dell’opera, , ancorchè trovi la sua fonte nel p.r.g., possa avere una portata conformativa del suolo, “giacchè la efficacia di variazione dello strumento urbanistico che il citato disposto connette alla approvazione delle opere agisce nel senso di registrare nel piano regolatore generale una puntuale destinazione a servizi con scorporo delle aree interessate dalla zona nella quale esse sono comprese, e non già nel senso di introdurre un diverso vincolo conformativo del diritto di proprietà in ragione della disciplina di “zona omogenea” (Cass. 15 settembre 2000 n. 12170).

In proposito paiono particolarmente chiari alcuni passaggi di Cass. 16 giugno 2000 n. 8228 laddove distingue fra “varianti approvate in sede di zonizzazione del territorio attuata da strumenti urbanistici di terzo livello (quale il PEEP) anche in deroga alle previsioni degli strumenti sovraordinati (PRG o PdF) e varianti apportate al piano generale allo specifico scopo di realizzare l’opera il cui progetto viene contestualmente approvato (la variante c.d. attuativa). E se l’approvazione di un PdZ (quale è il PEEP) ha, notoriamente, e con riguardo alla destinazione agricola impressa all’area dal PdF, la duplice contemporanea efficacia dello strumento attuativo di terzo livello e della variante di strumento di secondo livello (S.U. 1433/97), la delibera comunale di approvazione di un progetto di realizzazione, sull’area a vocazione agricola, di un’opera pubblica (nella specie un mercato al coperto con servizi ed aree antistanti) ha l’ulteriore portata di variante attuativa della vocazione posta dal PdF. E se nel primo caso, la variante è introdotta da uno strumento urbanistico generale che attribuisce all’area una vocazione edificatoria nell’ambito di una riconsiderazione del territorio, e per tale ragione assume valenza conformativa (Cass. 492/92), nel secondo caso la variante è mera deroga alla pianificazione territoriale attuata per realizzare un’opera su una quota parte all’uopo individuata, e come tale non può considerarsi altro che fonte di vincolo preordinato all’esproprio”.

***

Assai meno convincenti e chiarificatrici sono le conclusioni cui perviene la sentenza in commento con riguardo al momento in cui operare la classificazione urbanistica dell’area ai fini della determinazione dell’indennizzo.

Le Sezioni Unite parrebbero anche in questo caso distinguere l’ipotesi (normale) in cui il vincolo espropriativo (localizzazione puntuale dell’opera) sia da identificare nella dichiarazione di p.u. da quella (eccezionale) in cui esso sia apposto direttamente dal piano regolatore generale.

Soltanto nel primo caso la qualificazione come edificatoria o meno dell’area potrebbe essere operata in base al piano regolatore vigente al momento della espropriazione. Al contrario, qualora la previsione contenuta nel suddetto piano sia essa stessa vincolo espropriativo, occorrerebbe far ricorso ad un diverso parametro “legale” per classificare l’area. Parametro che la sentenza in esame individua nel “previgente strumento urbanistico”.

Risulta in tal modo “riesumata” quella interpretazione dell’art. 5bis L. 359/92 secondo cui le possibilità legali di edificazione devono essere vagliate  retrodatando la qualificazione del terreno alla disciplina urbanistica vigente nel momento precedente alla apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione.

Tale interpretazione, corrispondente al dato letterale del citato art. 5bis, è stata tuttavia ritenuta non conforme a Costituzione da Corte Cost. 442/93 [5], secondo cui la valutazione del bene espropriato non può prescindere dalle caratteristiche da esso possedute al momento della vicenda ablativa. Con la conseguente irrilevanza nella stima dell’area di regimi urbanistici o situazioni di fatto non più esistenti al momento dell’esproprio.

Sicchè, sempre secondo la Corte Costituzionale, una lettura dell’art. 5bis aderente alla carta costituzionale deve intendere il riferimento “al momento del vincolo preordinato all’espropriazione” come consacrazione del principio giurisprudenziale della irrilevanza dei vincoli espropriativi nella stima dell’area, ma non come autorizzazione a retrodatarne la qualificazione ad un momento anteriore alla vicenda ablativa. Conseguendone che alla valutazione del bene a fini indennitari si deve procedere sulla base di una ricognizione della qualità edificatoria o meno dell’area che sia pienamente aderente alle possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti in tale momento.

L’insegnamento della Corte Costituzionale è stato poi puntualmente recepito dalla costante giurisprudenza della prima sezione della Corte di Cassazione [6].

Stupisce pertanto che le Sezioni Unite abbiano acriticamente operato quello che potrebbe apparire un vero e proprio revirement, senza tener conto della consolidata elaborazione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Dal testo della motivazione parrebbe di capire che secondo il Collegio  nei casi (eccezionali) in cui il vincolo preordinato all’espropriazione sia stato apposto dallo strumento urbanistico generale vigente al momento della espropriazione, sarebbe gioco forza riferirsi ad un parametro urbanistico diverso per l’accertamento della edificabilità legale dell’area non potendosi tener conto del vincolo medesimo.

Questo punto merita però di essere approfondito.

Infatti, difficilmente la disciplina di un piano regolatore generale su una certa area si esaurisce nella previsione puntuale e specifica (“lenticolare”) di una determinata opera pubblica. Nel p.r.g. coesistono normalmente più livelli di prescrizioni fra di loro interconnessi, taluni afferenti la zonizzazione ed altri comportanti la puntuale localizzazione di opere. Così, ad esempio, l’individuazione di una area a verde può costituire la dotazione di standard di una più vasta zona residenziale.

In tal caso l’irrilevanza del vincolo nella stima dell’area non lascia affatto un vuoto di pianificazione colmabile solo attraverso il riferimento ad una disciplina urbanistica previgente, posto che, ai fini classificatori, basta far riferimento alla disciplina zonale dello stesso piano regolatore che ha localizzato l’opera.

Viceversa, se la previsione di piano non si limita alla puntuale localizzazione di una singola opera, ma abbraccia indistintamente un’area più o meno vasta sulla quale si prevede la realizzazione di un insieme di infrastrutture (ad es. area per servizi scolastici, aree attrezzate a verde), si tratta in  tal caso di zonizzazione a portata conformativa direttamente utilizzabile ai fini della classificazione del terreno espropriato.

In conclusione, la sentenza in commento non pare avere una portata chiarificatrice in ordine ai problemi relativi alla classificazione edificatoria delle aree espropriate secondo le loro possibilità legali di edificazione. E del resto le problematiche che paiono emergere dalla più recente casistica giurisprudenziale sembrano derivare più da una non ancora affinata capacità di interpretazione ed analisi  degli strumenti urbanistici che dalla necessità di chiarimenti sistematici o interpretativi.

 

horizontal rule

[1] Da utlimo Cass. 2/03/2001 n. 3048; Cass. 12170/2000 citata nel testo.

[2] Cass. 16/05/1998 n. 4921 in Appalti urbanistica Edilizia 1999, 363; Cass. 15/03/1999 n. 2272, in Foro It. 1999, I, 1432; Cass. 29/04/1999 n. 4320, in Giust. Civ. Mass. 1999, 978; Cass. 15/02/2000 n. 1698 in Giust. It. Mass.2000, 345; Cass. 16/11/2000 n. 14851, in Diritto e Giustizia 2000 n. 45 pag. 75, ;  Cass. 16/02/2001 n. 2276, in Diritto e Giustizia 2001 n. 9 pag. 70.

[3] Cass 8223/2000 e 12170/2000 citate più avanti nel testo.

[4] Cass. 4921/98 cit; Cass. 2272/99 cit.; Cass. 14851/2000 cit.

[5] Foro It. 1994, I, 4

[6] Cass. 10/06/1999 n. 5733, in Giust. Civ. Mass. 1999, 1323; Cass. 30/03/2000 n. 3873; Cass. 15/01/2000 n. 425, in Diritto e Giustizia 2000, fasc. 3, 59; Cass. 21/02 2001 n. 2474, in Diritto e Giustizia 2001 n. 9 pag. 70.

 

horizontal rule

V. dello stesso A. in argomento Vincoli conformativi ed espropriativi nelle applicazioni giurisprudenziali dell'art. 5 bis L. 359/92, pubblicato in questa rivista.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico