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n. 3/2011 - © copyright

MICHELE GERARDO e ADOLFO MUTARELLI
(Avvocati dello Stato)

Dubbi sulla compatibilità costituzionale e comunitaria della c.d. mediazione obbligatoria
come disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

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SOMMARIO: 1. Osservazioni preliminari 2. Compatibilità costituzionale 3. Compatibilità comunitaria.

1. Osservazioni preliminari.

L’entrata della primavera di quest’anno si è accompagnata con la parziale entrata in vigore della disciplina della mediazione obbligatoria finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (1). Ne è conseguito un surriscaldamento del clima giudiziario contrassegnato dalle forti prese di posizione del ceto forense che evidentemente confidava nello slittamento dell’intera disciplina e nella successiva rimeditazione della stessa.

E’ noto che la c.d. mediaconciliazione costituisce la soluzione italiana alla irragionevole durata del processo civile che ha comportato ripetute condanne da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo nonché gravosi oneri di bilancio per effetto della corresponsione degli indennizzi previsti dalla L. 89/2001 in favore delle parti litiganti vittime dei lunghi tempi processuali di giustizia.

E’ infatti di tutta evidenza che la grave crisi in cui versa il processo civile comporta un pluralità di costi per i cittadini.

Oltre, infatti, al costo "etico" di una giustizia che garantisca una tendenziale tutela dei diritti azionati in giudizio deve registrarsi il costo "economico" che i ritardi dei tempi giudiziari comporta. La crisi del processo genera ulteriore contenzioso gravante sulle Corti di Appello con significativo aggravio degli oneri per il bilancio statale che deve far fronte a crescenti costi per il pagamento dell’indennizzo per la riparazione della ingiusta durata del processo attualmente disciplinata dalla L. 24 marzo 2001 n. 89 (previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole di durata del processo).

Dall’analisi delle statistiche giudiziarie in tema di durata media del processo civile in Italia, nell’attuale momento storico, emerge che pressoché la totalità dei processi dinanzi al giudice togato – ove si articolino nei tre gradi di giurisdizione - superano la giusta durata. Pertanto, ove tutti gli interessati proponessero domanda di ristoro ex L. n. 89/2001, la somma da erogare da parte dello Stato italiano ammonterebbe a miliardi di euro (2). "Il Ministro della Giustizia, nell’audizione tenutasi il 27 giugno 2006 davanti alla Commissione Giustizia del Senato (…) ha riferito i termini dell’incremento "notevolissimo" degli esborsi sopportati dallo Stato a causa delle condanne subite in questi anni. Il Ministro ha riferito che, nel 2002, i decreti di condanna pronunciati sono stati 2681, con un esborso economico ammontante a 1.266.356,84 euro; nel 2003, 1654 decreti con un esborso pari a 5.478.871,69 euro; nel 2004, i decreti sono stati 2014 con condanne per 6.627.975 euro; l’anno successivo, i decreti hanno raggiunto i 2494, con un onere economico di 8.921,525." (3).

Il trend delle cause in materia di leggi "Pinto" è in costante ascesa: nel 2005 sono sopravvenuti 12.130 ricorsi, nel 2006 il numero è di 20.633, nel 2007 il numero è di 20.135 e nel 2008 il numero è di 28.383. La situazione è così grave che all’inizio del luglio 2010 è stato presentato dal Governo un emendamento, alla manovra economica sulla quale è stata posta la fiducia, che prevedeva la creazione della figura del giudice ausiliario (da attingere in un albo formato da avvocati,giudici onorari e notai anche in pensione, Avvocati dello Stato, giudici ordinari, contabili e amministrativi a riposo, docenti e ricercatori universitari di materie giuridiche) per smaltire le cause pendenti. Arretrato giunto – secondo la dichiarazione resa il 22 luglio 2010 dal Ministro della Giustizia dinanzi alla Giunta della Confindustria (4) – a 5.600.000 di giudizi pendenti. L’emendamento è stato subito ritirato per le vibranti proteste della classe forense anche se è sensazione diffusa nel predetto ordine professionale che il provvedimento è destinato a riemerge in un prossimo futuro.

Nel riferito contesto il legislatore è più volte intervenuto, a Costituzione invariata ed in assenza di investimenti nel pianeta giustizia, con novelle processuali sia con funzione deflattiva del contenzioso sia in funzione acceleratoria dei tempi del processo, da ultimo affidando e confidando dei possibili benefici effetti deflattivi del neonato istituto della mediaconciliazione come disciplinato dal d. lgs. 28/2010.

Il testo recepisce indicazioni provenienti dal diritto comunitario – da ultimo: direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale – ed è in linea di continuità con alcune soluzioni contenute nello schema di disegno di legge concernente la "Disciplina della conciliazione in sede non contenziosa" redatto da una Commissione nominata con D. M. 15 febbraio 1993 dal Ministro di Grazia e Giustizia e presieduta da Elio Fazzalari con conclusione dei lavori il 18 marzo 1994. (5)

Ai sensi del punto 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010 l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale per chi intende promuovere una controversia in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.

La disciplina della mediaconciliazione prevede che la domanda di mediazione è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo – ente pubblico o privato – individuato dall’istante (art.4); il procedimento ha una durata non superiore a 4 mesi (art.6), si svolge senza formalità e dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art.116 c.p.c. (art. 8).

È prevista una disciplina a tutela del riserbo (aa. 9-10). Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento sono esenti da tributo, spesa o diritto; il procedimento è tuttavia oneroso per le parti le quali devono pagare un’indennità all’organismo di mediazione per l’attività prestata (art.17) anche se possono beneficiare – entro dati limiti e con dimezzamento se la mediazione non ha successo – di un credito d’imposta commisurato all’indennità liquidata (art.20).

Se viene raggiunto un accordo amichevole il mediatore forma un processo verbale (art.11) che in seguito ad omologa giudiziaria su istanza dell’interessato,costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art.12); il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente (art.17).

Se non è raggiunto l’accordo il mediatore può formulare una proposta di conciliazione ed è tenuto a formularla a seguito di concorde richiesta delle parti (art.11); ove nell’eventuale successivo giudizio la parte vincitrice che ha rifiutato la proposta ottenga una decisione che corrisponda interamente al contenuto della proposta viene previsto (art.13) che il giudice: a) escluda la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice – inclusa l’indennità di mediazione – riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa; b) condanni la parte vincitrice al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente – inclusa l’indennità di mediazione – relative allo stesso periodo,nonché al versamento all’erario di una ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto;invece ove la decisione non corrisponda interamente al contenuto della proposta il giudice può escludere – ricorrendo gravi ed eccezionali ragioni – la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità di mediazione (art.13).

Se tale, in estrema sintesi, è la disciplina appare corretto verificare se la mediaconciliazione sia costituzionalmente conforme ed in linea con i parametri comunitari indagando altresì se costituisca in realtà un inammissibile deterrente del ricorso al giudice piuttosto che strumento deflattivo del contenzioso.

2. Compatibilità costituzionale.

Sotto il profilo della compatibilità costituzionale deve osservarsi che l’art. 60 della L. 18 giugno 2009, n. 69 non contiene alcun principio direttivo in ordine alla possibilità di introdurre condizioni di procedibilità nella disciplina della conciliazione né tantomeno in ordine alla possibilità di introdurre modifiche processuali al fine di armonizzare il processo alla disciplina della mediazione concepita "in chiave di procedibilità". A tale ultimo riguardo si richiama la previsione di cui al punto 1 dell’art. 5 d. lgs. 28/2010 secondo cui «l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza».

È stato significativamente osservato in proposito come "a differenza di quanto accade con riferimento alla disciplina degli effetti sostanziali della domanda, non è possibile invocare la disciplina contenuta nel d.lgs 5/2003, cui la legge fa espresso richiamo, poiché la conciliazione ivi disciplinata non è condizione di procedibilità" (6).

Deve, pertanto ritenersi che la previsione della obbligatorietà della mediazione quale condizione di procedibilità è suscettibile di censura di costituzionalità per eccesso di delega (artt. 76 e 77 Cost.) il cui esame deve ritenersi riservato al sindacato "accentrato" da parte della Corte Costituzionale con efficacia erga omnes (art. 136 Cost) piuttosto che al sindacato "diffuso" da parte del giudice ordinario (7).

Deve inoltre evidenziarsi che la disciplina concernente le indennità da corrispondere agli organi di mediazione presenta profili di censurabilità costituzionale ex artt. 3 e 24 Cost.. Sotto tale profilo è agevole osservare che la disciplina realizza una disparità di trattamento tra situazioni omogeneamente comparabili (art.3 Cost.) e, in particolare, tra coloro per i quali l’esercizio del diritto non è condizionato alla mediazione obbligatoria e coloro sottoposti a tale istituto dovendo questi ultimi sopportare le spese di mediazione, di eventuali perizie rese necessarie e delle proposte mediative ex art.11 D.Lgs. 28/2010 (8). Aggiungasi altresì che i costi e le spese di mediazione variano a seconda che l’attore abbia prediletto un organismo di mediazione di diritto pubblico o viceversa privato (lett.c e d punto 4 art.17 D.Lgs.28/2010 e art.16 D. M. Giustizia 18.10.2010 n.180) e che tale diversificato regime deve essere subito dalla parte convenuta, cui è già imposta la scelta dell’attore in ordine all’individuazione territoriale dell’organismo di mediazione. Sicché appare configurabile rispetto a tale specifico profilo non solo la violazione dell’art.3 Cost. in chiave di ragionevolezza ma anche dell’art. 24 Cost.

Anche la disciplina delle spese di cui al primo comma art.13 d. lgs. 28/2010 suscita dubbi di costituzionalità. Ed infatti lo spirito della norma è chiaro:creare conseguenze sanzionatorie in caso di ingiustificato fallimento della mediazione. Tuttavia la disciplina presenta numerose aporie: pone il carico delle spese in capo alla parte vincitrice con i dubbi ora evidenziati in chiave di tutela dei diritti ex art.24 comma 1 della Costituzione; è doppiamente squilibrata a carico del vincitore, perché – in primo luogo – la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente prescinde dalla circostanza che la proposta di mediazione sia stata accettata da quest’ultima e perché – in secondo luogo – alcun meccanismo sanzionatorio è previsto in capo al soccombente che in sede di mediazione abbia rifiutato la relativa proposta (il cui contenuto sia stato poi accolto nel giudizio). Per realizzare l’obiettivo avuto di mira dal legislatore potrebbe esser sufficiente una norma secondo cui (sulla falsariga dell’art.92 comma 1 seconda parte c.p.c.) "il giudice può, indipendentemente dalla soccombenza ,condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che per l’inosservanza dell’onere di partecipare e comportarsi con lealtà nel procedimento di mediazione ,essa ha causato all’altra parte".

3. Compatibilità comunitaria.

La disciplina della mediazione obbligatoria si espone inoltre anche a censure sotto il profilo di compatibilità con i principi comunitari in tema di tutela giurisdizionale effettiva nonché dei principi di equivalenza ed effettività. E’ agevole a tale riguardo il richiamo alla sentenza della Quarta Sezione della Corte Europea 18.3.2010 C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08.

Esprimendosi in sede di esame della questione pregiudiziale sollevata dinanzi al Giudice nazionale in ordine alla compatibilità della disciplina del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti approvato dall’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni - cui la disciplina era stata rimessa ex art. 1 commi 11 e 12 della legge 31.7.1997, n. 249 - la Corte si è pronunziata in favore della disciplina ivi prevista in quanto conforme ai principi di equivalenza ed effettività della giurisdizione. Ciò in quanto la specifica disciplina non comporta un "ritardo sostanziale" nella proposizione del ricorso giurisdizionale. Infatti il termine previsto per la definizione del tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Comitato Regionale delle Comunicazioni è di trenta giorni a decorrere dalla presentazione della domanda; inoltre, sempre a giudizio della Corte, "i costi derivanti dalla procedura di conciliazione dinanzi al Co.Re.Com. sono inesistenti".

Rispetto ai principi fissati nella predetta statuizione appare evidente la non conformità della disciplina della mediazione obbligatoria di cui al D.Lgs. 28/2010. Infatti, l’art. 5 del predetto decreto legislativo condiziona la procedibilità della domanda giudiziale (e non la semplice instaurazione del processo) al tentativo di mediazione. Stando al dato letterale, pertanto, in tutti i casi di introduzione di domande nuove come la domanda riconvenzionale, la reconventio reconventionis dell’attore, l’intervento autonomo dei terzi (art.105 primo comma c.p.c.), la chiamata del terzo ad opera di una delle parti e, ove vi sia proposizione di una nuova domanda, anche la chiamata iussu iudicis, si dovrebbe esperire la mediazione obbligatoria con duplicazione dei tempi di mediazione cui, nel caso di chiamata del terzo, andrebbero sommati ulteriori 90 giorni per la vocatio in ius (9). Ove si accreditasse tale orientamento interpretativo, peraltro saldamente ancorato al dettato letterale della disposizione, ne conseguirebbe un allungamento dei tempi precontenziosi che esporrebbe la disciplina della mediazione obbligatoria oltre che a censure di costituzionalità anche, per quanto sopra illustrato, alla non conformità rispetto ai principi comunitari comportando un ritardo sostanziale della possibilità di agire in via giurisdizionale. Né peraltro l’istituto della mediazione obbligatoria sembra sottrarsi alle censure sul piano comunitario anche ove, in chiave costituzionalmente adeguatrice, venisse prospettata l’interpretazione secondo cui alla mediazione obbligatoria sarebbe sottoposto unicamente l’avvio del processo. Ed infatti, in ogni caso il rispetto della mediazione obbligatoria comporta un ritardo di quattro mesi ben maggiore dei trenta giorni rispetto a cui la Corte Europea con la decisione sopra citata ha ritenuto conforme il tentativo obbligatorio di conciliazione in tema di comunicazioni elettroniche.

Peraltro, anche l’alternativa opzione interpretativa che esclude la necessità dell’esperimento della media conciliazione nei casi ora esaminati, esporrebbe in ogni caso l’istituto della mediazione obbligatoria a censure di costituzionalità in quanto, ad esempio, in caso di riconvenzionale o di chiamata del terzo, costituirebbe irragionevole disparità di trattamento (art. 3 Cost.) escludere le parti interessate (rispettivamente il convenuto ed il chiamante in causa) dal ricorso all’istituto della mediazione.

Per evitare Scilla si finirebbe inevitabilmente in Cariddi.

Sempre sotto il profilo della compatibilità con i principi comunitari, appare evidente che il procedimento di mediazione obbligatoria non ha un costo "inesistente" (come recita testualmente il punto 57 della sentenza della Corte Europea 18.3.2010 citata) vieppiù se comparato all’importo del contributo unificato relativo ai giudizi di analogo valore. Si consideri, ad esempio, che, per lo scaglione di valore tra € 25.001,00 ad € 50.000,00 l’importo complessivo dovuto all’organismo di mediazione di diritto pubblico è pari a complessivi 1.000,00 (da ridursi di un terzo nel caso di mediazione obbligatoria) cui deve aggiungersi l’importo di € 40,00 per spese di avvio e la maggiorazione di un quinto per le proposte che il mediatore-conciliatore "può" effettuare ai sensi dell’art.11 d. lgs.28/2010. Per lo stesso valore il contributo unificato dovuto è pari alla più esigua somma di € 374,00: paradossalmente la mediazione costa più del giudizio.

Appare evidente l’onerosità del procedimento di mediazione rispetto all’avvio della procedura giudiziaria (e questo senza considerare l’opzione interpretativa secondo cui ogni nuova domanda imporrebbe un nuovo esperimento di mediazione obbligatoria con i relativi costi).

Ne consegue che la disciplina suscita significativi dubbi di compatibilità con i principi stabiliti in sede europea per garantire la effettività della giurisdizione in ipotesi di previsione da parte degli Stati Membri di istituti di conciliazione stragiudiziale.

Da quanto precede emerge che andrebbe complessivamente rimeditato l’istituto della mediazione obbligatoria per renderlo concretamente e vantaggiosamente fruibile dalle parti e, soprattutto, per metterlo al riparto dagli evidenziati significativi dubbi di costituzionalità e di compatibilità comunitaria.

In caso contrario è ragionevole prevedere che – questione di tempo - l’istituto della mediazione obbligatoria, come disciplinato dal d. lgs. 28/2010, potrà essere dichiarato incostituzionale o incompatibile con il diritto comunitario nelle sedi opportune.

 

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(1) L’art. 2 al punto 16decies del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225 come coordinato con le modifiche introdotte con la legge di conversione 26 febbraio 2011, n. 10 (c.d. milleproroghe) ha infatti previsto che "il termine di cui all’art. 24, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 è prorogato di dodici mesi,limitatamente alle controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti".

(2) Per una analisi delle problematiche connesse alla irragionevole durata dei giudizi si rinvia a M. GERARDO-A.MUTARELLI, Sulle cause della "irragionevole" durata del processo civile e possibili misure di reductio a "ragionevolezza", in Judicium.it., 2010.

(3) Da R. MASONI, La durata ragionevole del "giusto processo"Nell’applicazione giurisprudenziale, Giuffrè, Milano, 2006, p.195.

(4) Come riportata su Il Sole 24 ore del 23 luglio 2010, p.23.

(5) La relazione e lo schema del disegno di legge sono pubblicati sul Foro Italiano, 1994, V cc. 285-292 sotto il titolo sulla "disciplina della conciliazione in sede non contenziosa".

(6) Testualmente da G. CANALE, Il decreto legislativo in materia di mediazione, Riv. Dir. Proc., 2010, 524 e ss.

(7) In ordine all’esame del c.d. eccesso di delega la Corte costituzionale (sentenza 26 gennaio 1957, n. 3, in www.giurcost.org) ha osservato «Le controversie di legittimità costituzionale hanno appunto per oggetto l'accertamento della conformità o divergenza della legge o dell'atto avente forza di legge da un precetto costituzionale. Il giudizio sulla conformità o divergenza porta a considerare l'eccesso di delega, come figura comprensiva della mancanza, anche parziale, di delegazione, nonché l'uso del potere normativo da parte del Governo oltre il termine fissato, ovvero in contrasto con i predeterminati criteri direttivi o per uno scopo estraneo a quello per cui la funzione legislativa fu delegata. Lo stesso giudizio ricorre anche quando, fuori dei casi su indicati, trattasi di coordinare la legge delegata a quella delegante, ricercandone i caratteri sistematici che le collegano e che valgano a ricondurre, nei giusti limiti della norma delegante, il contenuto della legge delegata. In questa ipotesi non sorge una normale questione d'interpretazione devoluta al giudice ordinario, bensì, venendo in contestazione il profilo costituzionale della norma impugnata, si pone sempre una questione di legittimità costituzionale». In ordine ai rapporti tra sindacato "accentrato" e sindacato "diffuso" di costituzionalità v. A. Ruggeri e A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2001, 296 e ss.

(8) L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d. lgs. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. Dir. Proc., 2010, p. 584 e ss.

(9) Del resto deve avvertirsi che nella contigua problematica dell’applicabilità del tentativo di conciliazione ex art. 412bis c.p.c. alla domanda riconvenzionale la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è più volte pronunziata in senso affermativo (Cass., 15 Luglio 2008, n. 19436; Cass., 16 novembre 2007, n. 23816). In tal senso in dottrina R.PELLECCHIA-M.SINISI-F.TRONCONE, Il rito del lavoro nel processo civile, Ed. La Tribuna, 2008, p. 54 ed ivi ulteriori riferimenti.


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