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n. 6/2005 - © copyright

TAR LOMBARDIA - BRESCIA - sentenza 30 marzo 2005 n. 243 - Pres. Mariuzzo, Est. Morri - Tacconi S.p.a. (Avv.ti Messi, Campana) c. Azienda Mobilità e Trasporti s.p.a. di Genova (Avv. Alberti, Salvadori) - (accoglie parzialmente).

1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Oggetto della domanda - Criteri.

2. Giustizia amministrativa - Giudicato - Esecuzione - Ricorso per ottemperanza - Previa diffida ad adempiere - Necessità - Esclusione.

3. Giustizia amministrativa - Giudicato - Esecuzione - Ricorso per ottemperanza - Risarcimento danni - Per impossibilità di puntuale esecuzione - Ammissibilità.

4. Contratti della P.A. - Forniture di beni - Appalto - Annullamento dell’esclusione - Effetti.

5. Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere - Appalti - Revoca della procedura negoziata - Mancata impugnazione - Non osta alla proposizione dell’istanza risarcitoria.

6. Risarcimento del danno - Concorso del fatto colposo del creditore o del danneggiato - Dovere di correttezza del danneggiato - Limiti - Obbligo di intraprendere un'azione giudiziaria - Configurabilità - Esclusione.

7. Risarcimento del danno - Onere della prova dell’elemento soggettivo del danneggiante - In materia di appalti pubblici di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario - In capo al soggetto danneggiato - Illegittimità.

1. Ai fini della valutazione di ammissibilità del ricorso, indipendentemente dalla qualificazione giuridica fornita dal ricorrente alla propria istanza, ciò che occorre valutare in concreto è la forma attraverso cui è stata proposta e il sostanziale contenuto del petitum.

2. La notifica all’amministrazione di un atto di messa in mora con un termine per provvedere, ai sensi dell’art. 90, comma 2, R.D. 17 agosto 1907 n. 642, costituisce presupposto essenziale per l’esperibilità del ricorso per ottemperanza al giudicato e, quindi, una condizione di ammissibilità dello stesso, dalla quale si può però prescindere allorché l’amministrazione abbia manifestato di non volere dare esecuzione al giudicato stesso.

3. L’impossibilità di realizzare puntualmente il giudicato per effetto delle sopravvenienze di fatto o di diritto non preclude al giudice, in sede di ottemperanza, di disporre il risarcimento per equivalente del pregiudizio subito.

4. Ove intervenga un atto di annullamento dell’esclusione di un concorrente da una gara di appalto, l’amministrazione deve riprendere il procedimento e concludere la procedura di gara, alla luce dell’obbligo di portare a termine tutti i procedimenti amministrativi emergente dall’art. 2 L. 241/90.

5. La mancata impugnazione del provvedimento di revoca di una procedura negoziata non osta alla proposizione dell'istanza risarcitoria, sia per conseguire il risarcimento del danno da lesione dell’interesse negativo (consistente nelle spese inutilmente sopportate per la partecipazione alla procedura poi interrotta), sia per ottenere il risarcimento della perdita di chances.

6. Il dovere di correttezza imposto al danneggiato dall'art. 1227 cod. civ. presuppone un'attività idonea, con certezza, a evitare o ridurre il danno e non implica l'obbligo di iniziare un'azione giudiziaria, non essendo il creditore tenuto ad un'attività gravosa e comportante rischi e spese.

7. Ai fini della dimostrazione dell’elemento soggettivo doloso o colposo di una stazione appaltante nello svolgimento delle attività di gara, non si può addossare il relativo onere al danneggiato, poiché in tal caso il soggetto leso da un atto illegittimo rischia di essere privato della possibilità di essere risarcito per il pregiudizio causato dal provvedimento, o di ottenerlo tardivamente, a motivo del fatto che non è in grado di fornire la prova del dolo o della colpa.

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Commento di

 FABRIZIO GAVERINI
(Assegnista di ricerca in diritto amministrativo
Università degli Studi di Brescia)

Il risarcimento del danno ingiusto in sede di ottemperanza, tra responsabilità pre-contrattuale e responsabilità “da contatto amministrativo”.

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La pronuncia del T.A.R. Lombardia, Sezione di Brescia, n. 243 del 30 marzo 2005 si connota per la ricchezza di contenuti, offrendo taluni spunti di riflessione interessanti ai fini operativi, in particolar modo per quel che riguarda la portata del giudizio di ottemperanza e le domande ivi proponibili, nonché con riferimento alla tematica del risarcimento del danno ingiusto.

Il caso affrontato dal Giudice bresciano concerne l’esclusione della società ricorrente da una procedura di gara avente per oggetto la fornitura di vestiario invernale ed estivo del personale alle dipendenze della stazione appaltante. Tale provvedimento di esclusione era impugnato avanti al medesimo T.A.R., il quale con sentenza n. 826 del 23 luglio 2004 lo annullava in quanto illegittimo. All’esito di tale pronuncia, tuttavia, l’appaltante non proseguiva la procedura di gara (temporaneamente sospesa in attesa del giudizio), bensì la revocava, ritenendo l’oggetto della medesima non più compatibile con le proprie sopravvenute esigenze organizzative ed amministrative. Preso atto di tale provvedimento di revoca, la società ricorrente decideva di non impugnarlo, ma di adire il Giudice Amministrativo per l’esecuzione ai sensi dell’art. 10 L. 205/2000, chiedendo il risarcimento delle spese sostenute per la partecipazione alla procedura e della perdita di chances.

Il T.A.R. Brescia, in via preliminare, ha dunque disatteso le eccezioni preliminari sollevate dalla parte resistente, qualificando il ricorso in modo corretto quale giudizio ordinario di ottemperanza (alla luce del principio di prevalenza della sostanza sulla forma emergente anche dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 486 del 31 gennaio 2003) ed escludendo che fossero necessarie la previa diffida e messa in mora di cui all’art. 90, comma 2, R.D. 642/1907 – in quanto la resistente, con la revoca della procedura di gara, aveva implicitamente dichiarato di non voler eseguire il giudicato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 1993 n. 752) – o l’impugnazione del provvedimento di revoca, poiché la sua mancanza non va ritenuta comunque ostativa alla proposizione dell’istanza risarcitoria (argomentazione avvalorata anche sulla base della giurisprudenza civile formatasi sull’art. 1227 c.c.).

Sempre riguardo alle eccezioni preliminari, poi, il Giudicante si è espresso sul contenuto del giudizio di ottemperanza e sulle domande che in tale giudizio possono essere proposte, sostenendo che non è ivi preclusa al ricorrente la richiesta di risarcimento del danno per equivalente, qualora risulti impossibile realizzare il giudicato per sopravvenienze di fatto o di diritto. Nella parte motiva di tale statuizione, si ritiene che la lettura “estensiva” delle domande proponibili in sede di ottemperanza si giustifichi anche in relazione all’art. 7 della L. 1034/1971 come modificato dalla L. 205/2000, nella parte in cui dispone che «il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. [...]».

Nell’esposizione, non si deve trascurare l’esistenza di un orientamento decisamente contrario alla proponibilità di domande risarcitorie in sede di ottemperanza, ove non fossero state proposte durante il giudizio di cognizione (lo stesso T.A.R. Brescia menziona Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002 n. 3332, ma si vedano anche T.A.R. Lazio, sez. III, 21 ottobre 2003 n. 8890; Cons. Stato, sez. IV, 07 novembre 2002 n. 6078; Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 2002 n. 5816). Tuttavia, pare ragionevole condividere l’assunto contenuto nella sentenza in commento, alla luce di una pluralità di ragioni.

In primo luogo, la giurisprudenza che ha negato la possibilità di proporre per la prima volta una domanda risarcitoria nel giudizio di ottemperanza si è concentrata sulla necessità di garantire il doppio grado di giurisdizione sulle statuizioni in materia, rimarcando – in secondo luogo – la sostanziale differenza esistente tra il giudizio di cognizione, tipico dell’accertamento di un danno patrimoniale, e quello di esecuzione, che connota il rimedio di cui all’art. 27, primo comma n. 4), del R.D. 1054/1924.

Si tratta, però, di argomentazioni che sembrano da disattendere, anzitutto perché nel caso di specie non può certo dirsi precluso il ricorso all’appello avanti al Consiglio di Stato, ma in particolare per la diversità tra il processo di esecuzione previsto nel rito ordinario civile ed il giudizio di ottemperanza. Se è vero infatti che il primo, salvi gli incidenti di cognizione, presenta in effetti una natura oggettivamente diversa e incompatibile rispetto al giudizio di cognizione, ciò non può essere detto per il rimedio amministrativo, che necessariamente contiene anche profili di tipo cognitorio (come interpretazione, completamento e precisazione del precetto contenuto nella sentenza: Cons. Stato, ad. plen., 17 gennaio 1997 n. 1). Ad ulteriore avallo di tale affermazione, si consideri anche l’art. 35, comma 2, D.Lgs. 80/98, nella parte in cui attribuisce al giudice dell’ottemperanza il potere di determinare la somma dovuta a titolo di risarcimento ove le parti non siano giunte ad un accordo ai sensi del suo primo comma: seppure il giudice abbia in tal caso già fissato i criteri per l’individuazione, la precisa determinazione della somma dovuta non può che attenere ad un profilo di cognizione della causa, connesso anche all’elemento soggettivo delle parti ed al loro comportamento successivo alla pronuncia di cui si chiede l’esecuzione.

Se dunque è vero quanto sopra sostenuto, e se si condivide l’assunto secondo cui la tutela risarcitoria svolge un ruolo di completamento rispetto a quella di annullamento (come si desume da Cons. Stato, ad. plen., 26 marzo 2003 n. 4, e come implicitamente confermato anche da Corte Cost., 06 luglio 2004 n. 204), non si può non riconoscere il ruolo sovente successivo e sussidiario della tutela per equivalente, in quanto il ricorrente avrà quale obiettivo primario il perseguimento di una tutela ripristinatoria. In taluni casi, infatti, il Giudice Amministrativo potrà conoscere immediatamente dell’eventuale risarcimento del danno derivante da una condotta illecita della P.A., ma in altri, invece, ciò non sarà prevedibile se non attendendo gli esiti di conformazione al giudicato.

Si torni, per un momento, al caso di specie: laddove la gara fosse stata portata a termine, con l’affidamento della fornitura ad una delle partecipanti (fosse o meno la ricorrente), non sarebbe stato possibile individuare un pregiudizio risarcibile, neppure per ciò che concerne le spese processuali conseguenti all’impugnazione dell’esclusione di una delle società concorrenti: su tale ultimo punto, infatti, cadrebbe il giudicato in merito alle spese di lite contenuto nella sentenza di annullamento-riammissione. Ma proprio in quanto la procedura di gara è stata oggetto di revoca per motivi di merito, ed è divenuto pertanto impossibile ottenere l’ottemperanza, emerge la necessità di provvedere al ristoro delle ragioni dei partecipanti alla gara.

La circostanza descritta, peraltro, è stata oggetto di esplicita eccezione anche da parte di quella giurisprudenza secondo la quale il giudizio risarcitorio costituisce «una forma di tutela che richiede apposita domanda, una specifica istruttoria ed un pieno contraddittorio per il secondo grado» (Cons. Stato, sez. VI, 08 marzo 2004 n. 1080), che ha appunto fatto salvi i casi di «peculiari evenienze relative ai danni determinati dall’inosservanza del giudicato di annullamento ed alla pratica impossibilità di ottenere l’ottemperanza».

Ciò premesso dal punto di vista procedurale, la sentenza in commento si caratterizza per un ulteriore ed interessante spunto di riflessione, concernente la responsabilità dell’Amministrazione appaltante e la distribuzione dell’onere della prova in relazione all’eventuale risarcimento del danno ingiusto. La ricorrente, infatti, ha proposto una domanda di risarcimento dei danni per equivalente, lamentando sia la perdita di chances, sia la lesione dell’interesse negativo a non trovarsi coinvolta in trattative inutili e dispendiose per causa imputabile alla controparte.

A tal proposito il T.A.R., nello scindere i due aspetti sopra descritti, pare anche attribuire una diversa qualificazione al rapporto tra le parti, facendo riferimento nel secondo caso alla responsabilità pre-contrattuale di cui all’art. 1337 c.c. e nel primo alla c.d. responsabilità “da contatto amministrativo”, categoria divenuta nota anche in seguito alla sentenza della Corte di cassazione, sez. I, n. 157 del 10 gennaio 2003.

Aspetto particolarmente interessante dei passaggi su tali punti, peraltro, è proprio quello cui si accennava, ossia la distribuzione dell’onere della prova, affrontato dal Giudicante sulla base della sentenza della Corte di Giustizia CE 14 ottobre 2004 (causa C-275/03), a mente della quale non deve ritenersi compatibile con i principi emergenti dalla normativa comunitaria (ed in particolare dalla direttiva 89/665) un sistema che esiga da parte dei danneggiati la prova dell’elemento soggettivo in capo all’Amministrazione. In tal modo, sostiene la Corte, «il concorrente leso da una decisione illegittima delle amministrazioni aggiudicatrici rischia di essere privato del diritto di chiedere un risarcimento per il pregiudizio causato da questa decisione, o almeno di ottenerlo tardivamente, perché non può provare l’esistenza di un dolo o di una colpa».

Invertito in tal modo l’onere della prova sull’elemento soggettivo, il T.A.R. Brescia ha riconosciuto la responsabilità pre-contrattuale della stazione appaltante, non avendo quest’ultima dimostrato la propria incolpevolezza, ed ha derivato l’an della spettanza di un risarcimento dalla mera partecipazione alla gara: tale circostanza, infatti, è di per sé idonea a provare un dispiego di mezzi e di risorse (al fine di analizzare il bando, predisporre l’offerta e porre in essere tutte quelle condotte finalizzate – in conclusione – ad ottenere l’aggiudicazione dell’appalto). In sostanza, la «lesione dell’interesse negativo a non trovarsi coinvolta in trattative inutili e dispendiose per causa imputabile alla controparte» deve ritenersi in re ipsa nella formulazione di un’offerta, principio senz’altro condivisibile alla luce della correttezza e dei principi di buona amministrazione che devono regolare l’azione delle P.A..

Per quanto riguarda invece il danno da perdita di chances, il Giudicante ha ritenuto non sussistente la responsabilità dell’azienda appaltante, in quanto per tale specifico aspetto – inscindibilmente connesso non alla mera partecipazione, ma al particolare profilo dell’esclusione – l’incolpevolezza dell’azienda stessa deriverebbe dalla complessità delle disposizioni contenute nel bando di gara, complessità già riconosciuta nel giudizio di legittimità ai fini della compensazione delle spese.

Sembra d’uopo chiedersi, tuttavia, se la ricorrente non avesse effettivamente avuto diritto ad alcun ristoro di tale lamentato pregiudizio, alla luce di quanto si è detto in merito alla domanda risarcitoria proposta nel giudizio di ottemperanza. La perdita della chance di aggiudicazione dell’appalto, infatti, non è derivata dall’esclusione della partecipante: il provvedimento relativo, in quanto impugnato ed annullato, non potrebbe produrre tale effetto. Parrebbe invece più corretto ricondurre l’eventuale pregiudizio alla mancata conclusione del procedimento di gara, stante la revoca di tale procedura successivamente alla prima sentenza del T.A.R..

Qualificando in tal modo la causa del danno lamentato dalla ricorrente, non solo il Giudice Amministrativo non sarebbe vincolato dalla propria precedente pronuncia (formulata peraltro senza troppe specificazioni ai fini della ripartizione delle spese di giudizio), ma si potrebbe riscontrare un ulteriore fondamento legittimante alla domanda risarcitoria proposta per la prima volta in sede di ottemperanza, in quanto il pregiudizio lamentato conseguirebbe proprio al mancato rispetto – da parte dell’appaltante – delle conseguenze insite nel giudicato di annullamento (cfr., ancora, la già citata sentenza Cons. Stato n. 1080/2004).

In conclusione, però, si deve sottolineare che il suddetto provvedimento di revoca, nel caso concreto, non è stato impugnato da parte ricorrente entro il prescritto termine di decadenza, dovendosi pertanto presumere legittimo. Circostanza dalla quale, tuttavia, non si può a priori escludere qualsiasi diritto o interesse legittimo dei partecipanti ad una procedura di gara, se è vero che il nuovo art. 21-quinquies della L. 241/90 (introdotto dalla L. 15/2005) prevede l’obbligo di corrispondere un indennizzo – che come noto è cosa diversa dal risarcimento – ove la revoca comporti «pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati».

 

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FATTO

L’Azienda Mobilità e Trasporti Spa di Genova (di seguito Amt), con bando spedito alla GUCE il 5.5.2003, indiceva una procedura negoziata per l’aggiudicazione di un appalto quadriennale di fornitura riguardante la dotazione di vestiario invernale ed estivo del personale viaggiante. Il termine finale per la presentazione delle domande di partecipazione era fissato al 6.6.2003.

Con nota n. 818 del 27.6.2003 Amt Spa escludeva la ricorrente dalla gara ritenendo non soddisfatto il requisito della similarità delle forniture (al fine della dimostrazione della capacità tecnica), in quanto la gara stessa avrebbe riguardato “indumenti della tipologia capo/spalla, non riscontrabile nelle dichiarazioni inviate”.

La ricorrente proponeva ricorso contro l’esclusione, notificando lo stesso in data 13.10.2003 e deducendo che:

- il bando non conteneva indicazioni circa indumenti della tipologia capo/spalla;

- mancando ogni indicazione in proposito, il requisito della similarità non poteva essere riferito alla tipologia capo/spalla;

- il capo invernale in Gore-tex, richiesto dal bando, non era comunque riconducibile alla tipologia capo/spalla.

Con ordinanza n. 1047 del 18.11.2003 la Sezione disponeva l’ammissione della ricorrente, con riserva, alla procedura di gara.

Tuttavia la gara non veniva espletata poiché, nelle more del giudizio, l’Amministrazione disponeva la sospensione della stessa e il rinvio del termine per la presentazione delle offerte in attesa della sentenza definitiva, così come emerge dalla nota del 16.12.2003 n. 1412.

Con la sentenza di cui ora si chiede l’esecuzione ex art. 10 della Legge n. 205 del 2000, la Sezione accoglieva poi il ricorso, con consequenziale annullamento del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla gara e con compensazione delle spese di giudizio.

L’Amministrazione revocava successivamente la procedura negoziata ritenendo, l’oggetto della stessa, non più compatibile con le sopravvenute esigenze organizzative ed amministrative, così come emerge dalla nota della stessa Amministrazione prot. n. 1012 del 15.11.2004, in cui si legge che:

“- nel periodo di tempo trascorso tra la predisposizione della procedura di gara e il deposito della sentenza è intercorsa la variazione delle caratteristiche di alcuni capi di vestiario intercorse su richiesta delle OO.SS. di Amt Spa che hanno di fatto variato i contenuti della specifica tecnica di gara;

- AMT Spa sta attraversando un imminente fase di riorganizzazione aziendale che implica la necessità di studiare una forma di distribuzione della massa vestiario più idonea rispetto a quella proposta nei documenti di gara”.

Gli atti di revoca della predetta procedura non sono stati oggetto di gravame da parte della ricorrente, la quale ora agisce per ottenere il risarcimento del danno per equivalente, non potendo più pretendere la reintegrazione in forma specifica, costituita dalla possibilità di proporre la propria offerta per conseguire l’aggiudicazione dalla fornitura.

Tacconi Spa afferma di avere subito, a causa del comportamento della stazione appaltante, un danno per la perdita di chances, da quantificarsi nelle spese sostenute per la partecipazione alla gara (poi revocata), comprese quelle per il giudizio di merito, e nella percentuale di utile presunto, pari al 10% dell’importo dell’appalto, diminuito di un coefficiente determinato tenendo conto della probabilità teorica di ottenere l’aggiudicazione sperata, tuttavia ormai non più possibile per colpa dell’Amministrazione.

Resiste a questa fase del giudizio Amt Spa, sollevando le seguenti eccezioni preliminari:

- inammissibilità del ricorso, poiché dichiaratamente proposto ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 205 del 2000 (esecuzione delle sentenze di primo grado non sospese dal Consiglio di Stato) quando, invece, la sentenza in oggetto risulta essere ormai passata in giudicato, con conseguente necessità di ricorrere alle sole forme e procedure del giudizio ordinario di ottemperanza;

- inammissibilità del ricorso comunque proposto, poiché non preceduto dalla notifica dell’atto di costituzione in mora ai sensi dell’art. 90 del R.d. 642 del 1907;

- inammissibilità dell’azione risarcitoria per equivalente, poiché la stessa costituisce domanda nuova rispetto al ricorso originario che ha dato luogo alla sentenza di cui si chiede l’ottemperanza, per cui la ricorrente avrebbe dovuto avanzare la sua pretesa attraverso un autonomo ricorso ordinario di cognizione;

- inammissibilità del ricorso, poiché dalla sentenza di cui si chiede l’ottemperanza non si deduce alcun obbligo di Amt Spa di portare a termine la gara ed inoltre perché gli atti di revoca della stessa non sono stati impugnati e i relativi termini sono ormai decorsi.

La resistente Amt Spa contesta poi nel merito la fondatezza delle pretese risarcitorie avanzate dalla ricorrente, eccependo la mancanza di prova in ordine agli elementi costitutivi dell’illecito (colpa, nesso di causalità e danno).

Nella camera di consiglio del 22.2.2005 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Occorre esaminare preliminarmente le eccezioni processuali sollevate da Amt Spa.

Le stesse sono infondate e vanno dunque disattese.

1.1 La resistente eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso, poiché dichiaratamente proposto ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 205 del 2000 (esecuzione delle sentenze di primo grado non sospese dal Consiglio di Stato) quando, invece, la sentenza in oggetto risulta essere ormai passata in giudicato, con conseguente necessità di ricorrere alle sole forme e procedure del giudizio ordinario di ottemperanza.

Il Collegio osserva, al riguardo, che indipendentemente dalla qualificazione giuridica fornita dalla ricorrente alla propria istanza, ciò che occorre valutare in concreto è la forma attraverso cui è stata proposta e il sostanziale contenuto del petitum.

Ora, non vi è dubbio che l’istanza proposta da Tacconi Spa, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di cui chiede l’attuazione, va qualificata come ordinario giudizio di ottemperanza con l’obbligo di osservare il prescritto rito, in difetto di diversi elementi che possano indurre a qualificarla come ordinario rito di cognizione.

1.2 La predetta conclusione sposta quindi il tema in esame sulla seconda eccezione, in ragione della quale il ricorso dovrebbe ritenersi inammissibile poiché non preceduto dalla notifica dell’atto di costituzione in mora ai sensi dell’art. 90 del R.d. 642 del 1907.

Il Collegio ritiene, al riguardo, di dover aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la notifica prevista dal citato art. 90 comma 2 del R.d. n. 642 del 1907, costituisce una condizione di ammissibilità del ricorso per l’ottemperanza, dalla quale si può prescindere allorché l'amministrazione abbia dichiarato di non voler dare esecuzione (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV, 29.7.1993, n. 752), di cui ha peraltro già fatto applicazione attribuendo rilevanza anche al solo comportamento dell’intimata quando rivela comunque la volontà di non adempiere alle irrituali richieste di esecuzione formulate dalla controparte vittoriosa (cfr. TAR Brescia, 2.11.2004 n. 1484).

Nel caso in esame l'esperimento della previa diffida e messa in mora si è reso del tutto superfluo, stante quanto comunicato da Atm Spa con nota n. 1012 del 15.11.2004 (sopra in parte trascritta) e qui ribadita dalla stessa Atm Spa.

1.3 Con una terza eccezione si deduce l’inammissibilità dell’azione risarcitoria per equivalente, poiché la stessa costituirebbe domanda nuova rispetto al ricorso originario che ha dato luogo alla sentenza di cui si chiede l’ottemperanza, per cui la ricorrente avrebbe dovuto avanzare la sua pretesa attraverso un autonomo ricorso ordinario di cognizione.

Sul punto si rilevano due distinti e contrapposti orientamenti giurisprudenziali.  

Il Collegio ritiene di dover aderire a quello secondo cui, qualora risulti impossibile realizzare il giudicato, per effetto di sopravvenienze di fatto o di diritto, il giudice può disporre il risarcimento per equivalente del pregiudizio subito, come già affermato dal Consiglio di Stato con decisione Sez. V, 25.2.2003 n. 1077, pur prendendo atto del contrario avviso già espresso da altra Sezione dello stesso Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, 18.6.2002 n. 3332 circa l’impossibilità di chiedere per la prima volta il risarcimento del danno nel giudizio di ottemperanza).

L’orientamento favorevole appare, in realtà, ben più coerente con il quadro processuale delineatosi a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 205 del 2000. Infatti, come già ha sottolineato il Consiglio di Stato con la citata decisione n. 1077, con “la nuova formulazione dell'art. 7, terzo comma, della Legge 6.12.1971, n. 1034, introdotta dall'art. 7, comma 1, lett. c, della Legge 21.7.2000, n. 205, la funzione del processo di ottemperanza, di realizzare l'assetto degli interessi delineato dalla pronuncia irrevocabile di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo, è stata arricchita e completata dal potere attribuito al giudice amministrativo di condannare l'amministrazione al risarcimento del danno, sia attraverso reintegrazione in forma specifica che per equivalente. In tal modo l'impossibilità di realizzare puntualmente il giudicato, per effetto delle sopravvenienze di fatto o di diritto, non determina l'impossibilità di ristorare, sia pur per equivalente, il pregiudizio patrimoniale che derivò dal provvedimento annullato”. Ne consegue che la sopravvenuta circostanza in forza della quale “l'amministrazione non abbia più nella sua disponibilità giuridica il bene della vita cui aspira il ricorrente non determina, di per sé solo, l'estinzione del giudizio per l'esecuzione del giudicato per sopravvenuta mancanza dell'oggetto del giudizio stesso”.

1.4 Con l’ultima questione pregiudiziale, che concerne in realtà anche profili di merito, la resistente Amt Spa eccepisce l’inammissibilità del ricorso, poiché dalla sentenza di cui si chiede l’ottemperanza non si deduce alcun obbligo di Amt Spa di portare a termine la gara ed inoltre perché gli atti di revoca della stessa non sono stati impugnati e i relativi termini sono ormai decorsi.

Sotto il primo profilo occorre osservare che l’obbligo di concludere la procedura di gara, ancorché non puntualmente indicato nella sentenza n. 826 del 2004, si deduce comunque dai principi generali che governano l’azione amministrativa, e in particolare dall’obbligo di portare a termine tutti i procedimenti amministrativi, compresi quelli iniziati d’ufficio (art. 2 comma 1 della Legge n. 241 del 1990), salvo che non vengano interrotti a seguito di annullamento (per motivi di legittimità) dei relativi provvedimenti iniziali ovvero per revoca degli stessi (per motivi di merito).

La sentenza n. 826 del 2004 non disponeva l'annullamento dell'intera procedura di gara, bensì del solo provvedimento con cui la ricorrente veniva esclusa dalla gara, quale unico oggetto di impugnativa.

L'interruzione della procedura di gara, ed il suo definitivo abbandono, consegue invece ai successivi provvedimenti adottati discrezionalmente dell'Amministrazione la quale, con la nota n. 1012 del 15.11.2004, pur informando dell’avvenuto annullamento della predetta procedura, fornisce in realtà motivi che concernono una vera e propria revoca, quale provvedimento di ritiro, con efficacia ex nunc, di provvedimenti (il bando e gli atti di gara) non più coerenti con una rinnovata valutazione degli interessi svolta sulla base di fatti sopravvenuti.

L'obbligo di concludere la procedura di gara legittimamente avviata sussisteva, pertanto, fino a quando la stessa non è stata revocata con efficacia ex nunc per i motivi indicati, salvi ovviamente gli effetti della sospensione medio tempore disposta dalla stessa Amministrazione in attesa della decisione di merito.

Fino a quel momento il bene della vita a cui aspirava la ricorrente era, in primo luogo, la possibilità di proporre la propria offerta e, successivamente, la possibilità di conseguire l'aggiudicazione. La prima possibilità dipendeva esclusivamente dall'Amministrazione poiché la stessa aveva, come ricordato, sospeso la procedura fino all'esito del giudizio, con riserva di fissare poi un nuovo termine per la presentazione delle offerte (cfr. nota n. 1412 del 16.12.2003). La seconda possibilità dipendeva, invece, dall'esito del confronto concorrenziale fra le tre ditte che avevano chiesto di essere invitate alla procedura negoziata.

Il primo profilo di inammissibilità eccepito dalla resistente non può quindi trovare condivisione.

In merito al secondo profilo occorre invece osservare che la mancata impugnazione del provvedimento di revoca non rappresenta elemento ostativo per la proposizione dell'istanza risarcitoria, sia per conseguire il risarcimento del danno da lesione dell’interesse negativo (consistente nelle spese inutilmente sopportate per la partecipazione alla procedura poi interrotta), sia per ottenere il risarcimento della perdita di chances (intesa quale possibilità di presentare l'offerta e la possibilità conseguire l'aggiudicazione).

Avrebbe invece certamente costituito impedimento qualora la ricorrente avesse chiesto la reintegrazione in forma specifica, ossia la declaratoria dell'obbligo dell'Amministrazione di concludere la procedura di gara, in questo caso ormai preclusa dall'inoppugnabilità dei provvedimenti di revoca della stessa.

Il risarcimento per equivalente rappresenta, pertanto, l'unica possibilità di ristoro conseguibile, stante la definitiva perdita del concreto bene della vita a cui originariamente ambiva Tacconi Spa.

La mancata impugnazione dei provvedimenti di revoca non può, inoltre, essere rimproverata alla ricorrente in applicazione del principio contenuto dell'art. 1227 comma 2 del Codice civile, secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Il risarcimento per equivalente non costituisce, in effetti, mera alternativa alla reintegrazione in forma specifica rimessa alla discrezionalità del danneggiato, bensì un ristoro offerto in caso di impossibile conseguimento della prima, in questo caso non più ottenibile proprio per l’omessa impugnazione.

Sul punto occorre tuttavia richiamare il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui il dovere di correttezza imposto al danneggiato dall'art. 1227 C.c. presuppone un'attività che avrebbe avuto il risultato certo di evitare o ridurre il danno e non implica l'obbligo d'iniziare un'azione giudiziaria, non essendo il creditore tenuto ad un'attività gravosa o implicante rischi e spese (cfr. Cass. civile, Sez. lav., 21.4.1993, n. 4672; idem, Sez. III, 7.5.1991, n. 5035; idem, Sez. I, 7.3.1991, n. 2410; idem, Sez. lav., 3.10.1979, n. 5057).

1.5. Il ricorso deve pertanto considerarsi ammissibile.

2. Nel merito la ricorrente chiede il risarcimento del danno per la perdita di chances, da quantificarsi nelle spese sostenute per la partecipazione alla gara (poi revocata), comprese quelle per il giudizio di merito, e nella percentuale di utile presunto, pari a 10% dell’importo dell’appalto, diminuito di un coefficiente determinato tenendo conto della probabilità teorica di ottenere l’aggiudicazione sperata.

Si tratta, in realtà, di due distinti profili, poiché le spese sostenute per la partecipazione alla gara costituiscono il presupposto, ossia la condicio sine qua non, del preteso danno per la perdita di chances, quale onere necessario proprio per poter disporre della chances di cui si lamenta la lesione. Nel caso in esame la chance perduta consisteva, infatti, nella possibilità sia di formulare un'offerta a seguito di ammissione della candidatura, sia di sperare nell'aggiudicazione all'esito del confronto concorrenziale, il tutto entro il limitato gruppo di imprese (complessivamente n. 3) che avevano tempestivamente chiesto di essere invitate osservando i termini fissati dal bando. Non può invece parlarsi di perdita di chances per tutte quelle altre imprese che non hanno tempestivamente avanzato la relativa candidatura, non sopportando, di conseguenza, i relativi oneri.

3. L'esame del ricorso deve quindi essere iniziato proprio dal profilo della chance perduta a causa della sopravvenuta revoca della gara.

La ricorrente indica il relativo danno nella percentuale di utile presunto, pari al 10% dell’importo dell’appalto, diminuito di un coefficiente determinato tenendo conto della probabilità teorica di ottenere l’aggiudicazione sperata.

Questa probabilità, secondo la ricorrente, doveva ritenersi elevata sia in relazione alla capacità tecnica ed economico-finanziaria della ricorrente stessa, nonché al numero complessivo (solo tre) delle imprese ammesse alla gara.

Replica la resistente, al riguardo, che non è stata fornita la benché minima prova degli elementi costitutivi della pretesa responsabilità di Amt Spa, sotto i profili della colpa, del nesso di causalità e del danno.

Partendo dall'esame dell'elemento soggettivo (la colpa), occorre richiamare la recente sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea 14.10.2004, C-275/03, relativa all'ordinamento portoghese, il quale subordinava la condanna al risarcimento dei danni, in caso di violazione delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici e delle regole nazionali che le recepiscono, alla allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico fossero stati commessi colposamente o dolosamente.

Tali norme sono state ritenute, dalla Corte comunitaria, inadeguate rispetto all'art. 2 paragrafo 1 sub. c) della Direttiva n. 89/665/CE, nella misura in cui esigono (dai ricorrenti) la prova del comportamento colposo o doloso di coloro che agiscono per un determinato soggetto appartenente alla pubblica amministrazione. In questo modo, il soggetto leso da un atto illegittimo rischia di essere privato della possibilità di essere risarcito per il pregiudizio causato dal provvedimento o di ottenerlo tardivamente a motivo del fatto che non è in grado di fornire la prova del dolo o della colpa.

Il Collegio ritiene che tale pronuncia possa trovare applicazione anche nel caso in esame, trattandosi di fornitura di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario (€ 2.000.000).

Resta da stabilire se, ai fini risarcitori, detta sentenza riguardi solo la ripartizione dell'onere probatorio tra le parti, fermo restando la necessità di accertare comunque l’elemento soggettivo, ovvero abbia voluto affermare una sorta di responsabilità oggettiva conseguente alla mera violazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, delle norme comunitarie che regolano la materia degli appalti pubblici e delle relative norme nazionali che le recepiscono.

Il Collegio è dell'avviso che la pronuncia in esame concerna solo la ripartizione dell'onere probatorio, come del resto sostenuto anche dai primi orientamenti dottrinari che traggono, dalla stessa, argomenti per affermare la natura contrattuale (o da contatto amministrativo o contatto sociale qualificato) della responsabilità in esame, riconducibile così allo schema di cui all'art. 1218 del Codice civile, secondo cui spetta al debitore provare che l'impossibilità della prestazione è derivata da causa a lui non imputabile assumendo, pertanto, l’intero onere della prova circa la sua pretesa irresponsabilità (cfr. Cass. Civ., Sez. Un. 30. 10. 2001 n. 13533).

Al riguardo la resistente Amt deduce l'assenza di dolo o colpa a proprio carico, evidenziando che l'elemento soggettivo non può essere desunto dalla mera esistenza di un vizio di legittimità dell'azione amministrativa. L'esclusione della ricorrente, prosegue Amt, non deve essere imputata all'operato colposo o doloso della commissione di gara poiché, come ha riconosciuto anche questa Sezione, con la sentenza n. 826 del 2004, ciò è dipeso dalla complessità delle questioni collegate all'interpretazione del bando di gara, sufficienti, a giudizio della resistente, ad escludere l'esistenza di un comportamento colpevole della stessa poiché incorsa in un vero e proprio errore scusabile sul piano della dirigenza e della perizia. Vengono poi citate, al riguardo, alcune pronunce conformi del Consiglio di Stato e dei giudici amministrativi di primo grado.

Il Collegio osserva che questa Sezione ha effettivamente già svolto una valutazione di merito circa l’assenza di motivi per la rimproverabilità della condotta di Amt Spa che ha determinato l'illegittima esclusione della ricorrente, così come emerge dalla sentenza di cui si chiede l'ottemperanza.

La Sezione ha infatti affermato che l'illegittima esclusione della ricorrente è dipesa da una non chiara formulazione del bando e dalle conseguenti difficoltà applicative, ritenendo di compensare le spese del giudizio proprio in ragione della complessità delle questioni collegate all'interpretazione della lex specialis di gara.

Ne consegue che la pretesa perdita di chances lamentata dalla ricorrente non può essere risarcita, poiché manca il comportamento colposo della stazione appaltante inerente la conduzione della gara sulla base della relativa lex specialis.

L'assenza dell'elemento soggettivo della responsabilità esime dall'accertare la sussistenza degli ulteriori presupposti, quali l’effettiva esistenza di una chance perduta, il nesso di causalità e il danno subito.

L'istanza volta ad ottenere il ristoro della pretesa perdita di chances deve, pertanto, essere respinta.

4. Resta quindi da esaminare il profilo risarcitorio connesso alla lesione dell'interesse negativo di Tacconi Spa di non trovarsi coinvolta in trattative inutili e dispendiose per causa imputabile alla controparte.

La ricorrente individua il danno subito nelle spese sostenute per partecipare alla gara, ivi comprese le spese per il giudizio di merito conclusosi con l'annullamento del provvedimento di esclusione.

Il comportamento rilevante dell'Amministrazione, per quanto qui interessa, non è quello successivo alla ricezione delle candidature, da valutare alla stregua della lex specialis di gara e del principio della par condicio tra i candidati, bensì quello ad esso antecedente, relativo alla redazione della stessa lex specialis e a tutta quella serie di relazioni formali e informali con le imprese interessare all’appalto, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle candidature.

È neccesario puntualizzare, al riguardo, che il bando di gara deve intendersi quale proposta di contratto avanzata nelle forme dell'offerta diretta al pubblico.

Con la citata sentenza n. 826 del 2004, la Sezione, pur non pronunciandosi sulla legittimità del bando di gara, ne ha comunque riconosciuta la non chiara formulazione, che ha poi determinato la sua erronea interpretazione da parte della stazione appaltante e la conseguente illegittima esclusione della ricorrente.

Giova osservare che l'art. 23 par. 2 della Direttiva 93/36/CE (in vigore alla data di redazione del bando), fa obbligo alle stazioni appaltanti di “precisare” nel bando di gara o nell'invito a presentare offerte, quali sono le referenze da produrre per la dimostrazione della capacità tecnica del fornitore.

Non si tratta, pertanto, di un obbligo di mera indicazione, ma di una precisazione puntuale finché ogni offerente possa acquisire piena cognizione dei requisiti richiesti per la proposizione dell'offerta.

La resistente non ha puntualmente adempiuto a tale obbligo, tanto è vero che la ricorrente è stata esclusa proprio per la non chiara formulazione del bando, che ha determinato il conseguente errore compiuto in sede di gara nella relativa applicazione.

In questo caso non può ritenersi scusabile l'omessa precisa formulazione della lex specialis di gara, poiché era interesse anche della stazione appaltante chiarire puntualmente i requisiti di capacità economica, sia per il sollecito svolgimento della procedura sia per valutare correttamente l'affidabilità del fornitore; requisiti, in questo caso, attinenti alla similarità delle forniture pregresse rispetto a quelle oggetto della gara.

D’altra parte, facendo applicazione dei principi enunciati dalla Corte di giustizia CE con la ricordata sentenza 14.10.2004, C-275/03, sarebbe stato onere della resistente fornire la prova che l'inadempimento è stato determinato da una causa a lei non imputabile ovvero offrire la prova del proprio diligente operato nonostante il quale non sia stato obiettivamente possibile formulare con più precisione e univocità bando di gara, in relazione agli indumenti oggetto di fornitura ed a quelli ritenuti similari per valutare le forniture pregresse quali indici di capacità economica dell'offerente.

La responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione emerge, inoltre, dalla violazione dei doveri di correttezza e buona fede di cui all'art. 1337 del Codice civile.

Di fronte ad una formulazione poco chiara ed ambigua del bando di gara, già di per sé imputabile all’Amministrazione, sarebbe stato onere della stessa fornire tutti i necessari chiarimenti e informazioni alle imprese interessate, affinché queste potessero ex ante valutare compiutamente il possesso dei quesiti richiesti senza sopportare gli oneri per la presentazione di una candidatura ritenuta ex post dalla stazione appaltante non coerente con i predetti requisiti.

Il comportamento tenuto da Amt Spa ha pertanto leso l'affidamento della ricorrente a non trovarsi coinvolta in trattative inutili e dispendiose.

Circa il danno concretamente subito, la resistente eccepisce il mancato assolvimento dell'onere probatorio.

Osserva il Collegio, al riguardo, che con riferimento all’an, lo stesso deve ritenersi provato con la sola partecipazione alla gara, poiché la stessa richiede necessariamente un impiego di mezzi e risorse per la ricerca e l'analisi dei documenti di gara, nonché per la predisposizione e la presentazione della candidatura e dell’offerta, come pure il mantenimento di tutta una serie di contatti formali e informali con la stazione appaltante, per chiarimenti, consultazioni e acquisizioni documentali integrative.

In merito al quantum, può trovare applicazione l'art. 35 comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998, che consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine, che presenta indubbiamente anche connotazioni di tipo transattivo.

Alla ricorrente deve quindi essere risarcito il danno per lesione dell'interesse negativo, da quantificarsi in tutte le spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara poi revoca.

Non possono invece trovare ristoro le spese sostenute per il giudizio di merito, poiché già oggetto di statuizione giudiziaria che ne ha disposto la compensazione.

Amt Spa quantificherà, pertanto, la somma dovuta considerando tutte le spese dirette e indirette per la partecipazione alla gara, intendendosi per tale lo svolgimento delle attività sopra indicate, quali la ricerca e l'analisi dei documenti di gara (bando e documenti successivamente trasmessi dalla stazione appaltante con nota n. 1412 del 16.12.2003 e quant'altro), nonché per la predisposizione e la presentazione della candidatura e la predisposizione dell’offerta e, infine, per il mantenimento di tutta la serie di contatti formali e informali con la stazione appaltante, per chiarimenti, consultazioni e acquisizioni documentali integrative fino all'intervenuta revoca della procedura di gara.

5. Il danno così quantificato, avente per oggetto prestazioni e attività, costituisce debito di valore, da maggiorarsi con interessi e rivalutazione monetaria.

6. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate a favore della ricorrente nella misura di € 1.900 (millenovecento), a titolo di spese, onorari di difesa e competenze, oltre ad IVA e CPA, tenuto conto della parziale reiezione dell'istanza.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe nei termini di cui in motivazione.

Assegna all’Azienda Mobilità e Trasporti Spa di Genova il termine di 60 giorni dalla notifica della presente sentenza per la formulazione della propria offerta di risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente secondo i criteri di cui in motivazione.

Condanna l’Azienda Mobilità e Trasporti Spa di Genova al pagamento delle spese di giudizio liquidate come in motivazione.

La presente sentenza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso, in Brescia, nella camera di consiglio del 22 Febbraio 2005, con l'intervento dei Signori:

Francesco Mariuzzo            - Presidente

Gianluca Morri                   - Giudice relatore est.

Stefano Mielli                    - Giudice


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