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STEFANO
GATTAMELATA
(Avvocato del Foro di Roma)
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Indice: I) Quadro istituzionale: 1) Le autorità indipendenti nel contesto organizzativo della PA – funzioni di regolamentazione e controllo – ragioni di una scelta – modelli alternativi. 2) Procedimenti di tutela dinanzi alle autorità – impugnabilità degli atti. 3) AIPA: funzioni e poteri – attività in corso. II) Incidenza dell’informatica e della tecnologia sul processo e, più latamente, sui provvedimenti della P.A.: 1) La trasmissione degli atti processuali; 2) La notificazione degli atti; 3) Il documento informatico; 4) La firma elettronica; 5) (…continua) e la sua possibile influenza (tra gli altri) sul “mondo degli avvocati”. III) Conclusioni
I.1) Le autorità indipendenti nel contesto organizzativo della PA – funzioni di regolamentazione e controllo – ragioni di una scelta – modelli alternativi.
Nell’ultimo decennio, parallelamente all’evoluzione tecnologica ed alla aumentata attenzione della società all’informatica ed alla telematica, si è sviluppata analoga particolare attenzione alle tecnologie informatiche e telematiche da parte del legislatore[1] e dell’Amministrazione pubblica, che le ha intese come strumenti a supporto dell’efficienza dell’organizzazione e dell’azione della stessa Amministrazione.
In tale contesto, sotto il profilo dell’organizzazione della P.A., rileva l’Autorità per l’informatica della pubblica amministrazione (A.I.P.A.) che “opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione”[2]; e proprio tale peculiare collocazione istituzionale consente di collocare l’Autorità in parola tra le “amministrazione indipendenti”.
Per collocare la nostra riflessione nel giusto contesto, pare opportuno soffermarsi – seppur brevemente – su tali “amministrazioni” (illustrandone la natura, le funzioni e le ragioni della loro presenza nel nostro ordinamento) e, quindi, più in particolare sull’A.I.P.A.
Con riguardo al primo, più generale, aspetto, deve evidenziarsi che l’autonomia di un ente “si lascia apprezzare non tanto per la non soggezione (dello stesso ad un altro, quanto) per la libertà (del primo rispetto ad altri soggetti dell’ordinamento) esprimendosi … non solo per la negazione di tratti che contengano l’idea di un limite o di un vincolo, ma anche e soprattutto per caratteri propri”[3]. In altre parole, l’autonomia rapportata ad un ente non si sostanzia tanto nella facoltà di autodeterminazione dello stesso, quanto per un verso nella collocazione che esso assume nel contesto dell’ordinamento e, per altro verso, nel rapporto che tale ente ha (o riesce ad avere) sia con detto ordinamento sia con le istanze che provengono dalla società che esso regola[4]. La collocazione di un ente, quindi, per essere autonoma, deve essere tale da permettere all’ente medesimo di garantire a sé stesso una equidistanza dalle molteplici e diverse istanze allo stesso indirizzate e provenienti sia dal basso (cioè dalla società civile), sia dall’alto (cioè dai soggetti dell’ordinamento); è l’equidistanza istituzionale (e sostanziale) che consente all’ente di esercitare la propria attività con “neutralità” intesa (quest’ultima) “come indifferenza dell’organo che agisce rispetto agli interessi in gioco”[5].
Come detto, l’autonomia come ora delineata e come attribuita all’Autorità in esame dal legislatore, consente di ricondurre quest’ultima al modello delle amministrazioni indipendenti, sempre più utilizzato nel nostro ordinamento al fine di regolare interessi di natura composita (anche di natura pubblica) senza condizionamenti di alcun genere se non quello derivante dai principi generali dell’ordinamento. Tale modello è istituito secondo moduli organizzativi e funzionali privi di rapporti con l’organizzazione ministeriale, collocandosi l’amministrazione “neutrale” al di fuori dell’influenza politica di settori amministrativi ritenuti “delicati” al fine regolarli, garantendo altresì gli interessi collettivi ivi presenti. Ci si riferisce a settori ove operano, in concorrenza tra loro, soggetti di natura pubblica e privata caratterizzati da una propria capacità imprenditoriale; a questi si aggiunga la presenza del titolare dei poteri autoritativi che valuta l’idoneità di detti soggetti a svolgere quel certo servizio; in un tale contesto, ogni soggetto ha i propri interessi in conflitto con quelli (omologhi) degli altri e ciò porrebbe in pericolo la tutela dell’interesse collettivo proprio di quel settore ove non ci fosse (un’authority e cioè) un organismo autonomo in grado di contemperare competenze pubbliche e capacità private, di ottimizzare gli elementi ivi presenti, di regolamentare e controllare l’attività dei soggetti ivi operanti. In tal modo sono garantiti la correttezza e la regolarità dei comportamento degli operatori, il rispetto dei principi di legalità, uguaglianza e buon andamento nonchè l’interesse della collettività che si trova (nei suoi componenti) coinvolta da tali operatori come fruitrice o utilizzatrice del servizio[6].
Si è invero consci della circostanza che l’analisi sulle amministrazioni indipendenti pone il ben più complesso “problema dello sfondamento del muro (del diritto amministrativo) e dell’inevitabile ingresso nel diritto costituzionale”; e non è casuale se proprio tali figure avevano trovato ingresso nell’ultimo testo di riforma della Costituzione.[7] Tuttavia in questa sede pare opportuno svolgere una breve analisi di natura funzionale sulla categoria delle amministrazioni indipendenti; e pare possibile delineare un modello caratterizzato da un certa unitarietà (grazie alla compresenza del requisito sostanziale dell’autonomia e di quello funzionale dell’indipendenza valutativa), riducendosi gli organismi che possono qualificarsi tali.
Ciò consente di comprendere il contesto in cui si colloca la formula utilizzata dal legislatore (anche) nella circostanza, quella per cui l’Autorità in esame (l’A.I.P.A.) opera “con indipendenza di giudizio e di valutazione” e, cioè, senza alcuna necessità di adeguarsi ad alcun indirizzo o direttiva da qualsiasi parte proveniente. Opera, in altri termini, con “neutralità” essendo “indifferente” rispetto agli interessi di cui essa stessa si occupa, con ciò andando oltre il concetto di “imparzialità” cui sono tenute ad uniformarsi le amministrazioni.[8] E’ dunque l’indipendenza funzionale (in aggiunta all’autonomia intesa nel senso poc’anzi descritto), cioè la terzietà, l’elemento che consente di individuare un certo ente come “amministrazione indipendente”.
La piena “autonomia” e la “indipendenza di giudizio e valutazione”, non possono tuttavia essere semplicemente affermate, dovendo essere invece garantite. Ecco allora un particolare trattamento riservato ai titolari degli organi delle amministrazioni indipendenti (e, quindi, anche dell’Autorità per l’informatica); il potere di autoregolamentazione ad esse attribuito; le competenze o i poteri ad esse riconosciuti; l’assenza di controlli effettivi ed efficaci sul loro operato, specie con riferimento all’inesistenza di poteri sanzionatori e comunque repressivi dell’Esecutivo su di esse, in rapporto alle possibili loro ingerenze con altri enti strumentali.
Molte, come detto sono le istituzioni che vengono denominate “amministrazioni indipendenti” che svolgono funzioni di garanzia e di tutela dell’interesse collettivo alla cui regolazione sono preposte. Esse – come pure accennato – si differenziano profondamente tra loro – prescindendo da alcuni aspetti di organizzazione – sia per l’oggettiva diversità dei settori cui afferiscono, sia per le caratteristiche sostanziali e funzionali (l’effettivo grado di autonomia e di indipendenza di valutazione) che sono loro proprie; e tali funzioni spaziano da quelle amministrativo – regolamentari, a quelle ad alto contenuto tecnico o, ancora, a quelle di regolamentazione in senso stretto.
Una brevissima elencazione di tali autorità (o, meglio, di quelle cui usualmente si attribuisce tale denominazione) consente di comprendere non solo i differenti settori nei quali un’authority di settore è ritenuta indispensabile, ma anche di analizzare i diversi progressivi approcci che il legislatore ha utilizzato negli anni, passando dai c.d. “enti a statuto singolare” al modello di amministrazione indipendente. Con riferimento ai primi si richiamano enti quali l’ISVAP, la Consob [9] e la Banca d’Italia[10], caratterizzati da una particolare autonomia rispetto all’amministrazione centrale. Con riferimento alle seconde si ricordano: a) l’ “Autorità garante della concorrenza e del mercato”[11]; b) il “Garante per la radiodiffusione e l’editoria”, organo monocratico (istituito con la legge n. 223 del 6 agosto 1990, poi trasformatosi con la legge n. 249/97) nell’ “Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”[12]; c) appunto l’“Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione”, istituita con il d.lgs. n. 39 del 12 febbraio 1993; d) il “Garante per la privacy” istituito per la “tutela delle persone fisiche e giuridiche rispetto al trattamento dei dati personali”[13]; e) l’ “Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici”, istituita dall’art. 4 della legge Merloni. Al modello delle amministrazioni indipendenti possono essere altresì riconducibili: a) la “Commissione di garanzia per l’attuazione del diritto di sciopero”[14], istituita con la legge n. 146 del 12 giugno 1990; b) l’ “Autorità per l’energia elettrica e per il gas”[15].
Amministrazioni “atipiche”, più difficilmente riconducibili al modello delle amministrazioni indipendenti, sono invece le “agenzie” usualmente sottoposte alla vigilanza dell’amministrazione centrale di riferimento, dotate di competenze di carattere tecnico ma prive di un potere di regolamentazione e di controllo del settore di appartenenza nonché di garanzia degli interessi collettivi in essi presenti. Il richiamo è: a) all’ “ARAN – Agenzia per la rappresentanza negoziale della Pubblica Amministrazione”[16], ente pubblico funzionale e strumentale sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dip. Funzione Pubblica; b) all’ ”ANPA – Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente”[17]; c) alla “Commissione di vigilanza sui fondi pensione”[18]; d) all’ “Agenzia per i servizi sanitari regionali” [19]; e) all’ “Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali”[20].
Giova in questa sede fare anche un cenno all’ “Autorità per i servizi pubblici locali” (istituita dal Comune di Roma con deliberazione del Consiglio comunale n. 114 del 14 maggio 1996), caratterizzata da competenze estese all’intera area dei servizi pubblici imprenditoriali del Comune al fine di garantire (e, quindi, controllare) la funzionalità dei servizi nonché di valutare eventuali reclami ad essi afferenti; essa è collocata in posizione definita “indipendente” (tanto da essere dotata di autonomia finanziaria) dal Consiglio comunale per il ha funzione consultiva e propositiva[21].
Ai fini che qui interessano e nel contesto sopra delineato, si è posto in dottrina il problema dell’impugnabilità dei provvedimenti delle amministrazioni indipendenti[22], definitivamente risolto dal legislatore con la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo [23] e, quindi, con il ricorso al T.A.R. o, in alternativa, con il ricorso straordinario al Capo dello Stato[24].
Preme in questa sede almeno accennare che dalla sopra descritta natura delle authorities, ma anche dalla natura amministrativa dei loro provvedimenti, deriva la possibilità di applicare nei loro confronti la disciplina sull'accesso ai documenti, secondo i principi generali contenuti nella nota legge n. 241/90[25]
Nel contesto sin qui delineato, dunque, l’ “Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione” appare – sin dalla sua definizione normativa – sussumibile nella descritta famiglia delle amministrazioni indipendenti, per i suoi poteri, per l’autonoma gestione delle spese e per le guarentigie riservate ai suoi componenti[26].
Ed è sui poteri della stessa propri, che appare necessario seppur rapidamente soffermarsi. Rileva infatti ed in primo luogo il potere regolatore del settore dell’informatica nella Pubblica amministrazione. L’A.I.P.A., infatti, detta “norme tecniche e criteri in tema di pianificazione, progettazione, realizzazione, gestione, mantenimento dei sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni e delle loro interconnessioni”[27]. Si badi che proprio detta interconnessione rappresenta il fondamento normativo dei poteri dell’A.I.P.A. e concretizza il suo sforzo operativo oltrechè la “scommessa” circa l’effettiva attuazione della sua stessa ragion d’essere; è proprio l’interconnessione, contemperata con la sicurezza nelle connessioni medesime, a rappresentare la chiave di volta di uno sviluppo dell’informatica nel settore dell’Amministrazione pubblica la cui incidenza va (e, soprattutto, potrebbe andare) ben oltre l’organizzazione amministrativa impingendo nella realtà quotidiana di tutti i cittadini.
Alcuni esempi. Basti pensare alla “rete unitaria della pubblica amministrazione” che, terminata la fase progettuale, è in corso di realizzazione[28]. Essa rappresenta un importante progetto intersettoriale dell’Autorità, finalizzato a garantire che qualsiasi utente operante su un sistema connesso possa accedere, purchè debitamente autorizzato ed in condizioni di sicurezza, ai dati ed alle procedure site in qualsivoglia altro sistema connesso; la tecnologia così utilizzata abilita all’interoperatività ed alla cooperazione tra sistemi informativi ed incide significativamente sull’efficienza, sulla qualità e sul costo del servizio[29]. A tale rete molte pubbliche amministrazioni hanno già aderito ma la sua incidenza sul cittadino appare (almeno per il momento) relativa posto che questi non può, senza particolari chiavi di accesso (non pubbliche), utilizzare il sistema; sistema che – si ripete – ha comunque una sua significativa rilevanza ai fini dell’organizzazione interna della P.A., ponendosi come presupposto tecnico per un ulteriore aumento della trasparenza dell’azione amministrativa. A tale ultimo aspetto è rivolto anche il “protocollo informatico”, solo recentemente regolato[30], che consente un controllo telematico dell’entrata e dell’uscita dei (soli) provvedimenti e/o documenti amministrativi in esso contenuti (sulla natura di documento amministrativo ci si intratterrà nel prosieguo).
L’operatività congiunta della “rete” e del “protocollo” agevola la cooperazione tra gli uffici della stessa amministrazione ma anche tra quelli di diverse amministrazioni, incidendo direttamente sull’organizzazione della P.A., sulla sua azione e sul rapporto tra quest’ultima e gli utenti.
Accanto al ricordato potere regolatorio, l’A.I.P.A. svolge un’attività di programmazione, di promozione e coordinamento del settore cui è preposta, verificando “periodicamente … i risultati conseguiti nelle singole amministrazioni, con particolare riguardo ai costi e benefici dei sistemi informativi automatizzati”[31]. Tale ultima funzione appare di grande rilievo perché garantisce un supporto tecnico a scelte che singole amministrazioni devono necessariamente adottare ma che non sempre sono in grado di valutare pienamente: basti pensare alla delicatezza (tecnica ancor prima che giuridica) delle questioni relative all’informatizzazione di un’amministrazione: il sistema informatico da adottare deve infatti non solo essere tecnicamente aggiornato ma anche in grado di dialogare con i sistemi informativi delle altre amministrazioni (così, anche per l’attuazione della “rete” di cui poc’anzi si è fatto cenno). Ed allora le caratteristiche tecniche e di prezzo del sistema informatico di cui deve dotarsi un’amministrazione, devono essere valutate e predefinite in sede di bando di gara; si comprende quindi la correttezza previsione del legislatore che impone un parere obbligatorio dell’A.I.P.A. “per gli schemi di contratto concernenti l’acquisizione di beni e servizi relativi ai sistemi automatizzati per quanto concerne la congruità tecnico economica”[32], volto quindi a verificare che l’investimento proposto sia utile, nel senso che porti ragionevolmente ad un miglioramento nell’efficacia dell’azione amministrativa. Una tale valutazione da parte dell’Autorità implica una verifica tecnica economica delle soluzioni proposte, anche alla luce delle condizioni praticate ad altre amministrazioni nonchè una verifica sui tempi, sui livelli qualitativi e sulle modalità di erogazione dei servizi richiesti (tutto ciò fermo restando il rispetto delle norme regolatrici delle procedure ad evidenza pubblica per i servizi e le forniture).
Il quadro istituzionale sin qui delineato nonché la portata innovativa delle funzioni dell’A.I.P.A. si colgono pienamente se si rapportano alla realtà quotidiana ed allo sviluppo che nell’ultimo decennio hanno avuto (e stanno ancora avendo) le tecnologie di trasmissione dei dati specie nel settore dell’amministrazione pubblica e del processo. Tecnologie di trasmissione che sono partite dall’invio dei documenti attraverso il telex e poi il fax, e che sono oggi giunte alla posta elettronica (la e-mail); tecnologie il cui utilizzo ha sempre posto (ed oggi pone in modo molto chiaro) la questione della valenza del documento trasmesso e, quindi, dell’efficacia probatoria (oltrechè della correttezza) della trasmissione medesima.
A tali problemi sono state fornite risposte normative via via più precise in rapporto alle possibilità che l’evoluzione tecnica via via ha concesso; oggi gli orizzonti delineati dal legislatore sono addirittura più avanzati di quanto la tecnica (e l’organizzazione della P.A.) sia in grado di offrire all’utente. E’ dunque su tali aspetti che pare opportuno soffermarsi, iniziando proprio dalle modalità di trasmissione degli atti processuali.
Il primo tentativo di utilizzare i mezzi tecnici a disposizione della collettività per rendere più semplice e rapida la trasmissione di atti processuali (ove non sia possibile per la ristrettezza dei tempi a disposizione, l’utilizzo del servizio postale) è da riconoscere all’Avvocatura dello Stato. L’art. 7, commi 3, 4 e 5 della legge 15 ottobre 1986, n. 664, ha consentito agli avvocati dello Stato di avvalersi dei mezzi di telecomunicazione (in particolare del fax) per la trasmissione dei propri atti ad altri avvocati dello Stato. Un documento cartaceo ben può così essere trasmesso a distanza anche se privo di sottoscrizione autografa originale del redattore essendo sufficiente che l’atto inviato sia sottoscritto dal suo autore ed in originale dal destinatario; in altre parole sulla copia fotoriprodotta (da produrre anche in giudizio) deve risultare il nominativo e la sottoscrizione dell’avvocato dello Stato inviante, nonché il nominativo e la sottoscrizione in originale dell’avvocato dello Stato ricevente. Solo così l’atto è da considerarsi conforme all’originale o, meglio, “equipollente, ad ogni effetto giuridico, all’originale”.
Bisogna attendere alcuni anni per giungere ad una estensione di tale previsione anche agli avvocati del libero foro e, quindi, per un ingresso nel diritto processuale civile (e, solo grazie alla prassi, nel diritto processuale amministrativo) del principio della valenza della trasmissione a distanza degli atti processuali[33]. Ciò è avvenuto con la legge 7 giugno 1993, n. 183, “sull’utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione per la trasmissione degli atti relativi a procedimenti giurisdizionali”[34] che consente ad un avvocato di trasmettere “attraverso mezzi di telecomunicazione” ad un suo collega, copia di un atto del processo. In particolare tale legge prevede che “la copia fotoriprodotta di un atto del processo redatto e sottoscritto da un avvocato e trasmesso a distanza attraverso mezzi di telecomunicazione, si considera conforme all’atto trasmesso” se a) i legali (mittente e ricevente) sono muniti di procura ex art. 83 c.p.c. (ed anche se detta procura risulti dal medesimo atto trasmesso[35]), b) l’atto sia sottoscritto in maniera leggibile da parte del legale trasmittente, c) la copia ricevuta sia sottoscritta in originale dal legale ricevente; va pure sottolineato che gli stessi principi si applicano non solamente agli atti processuali (memoria o comparsa, o atto introduttivo) ma anche ai “provvedimenti” del processo che a detti legali interessa o addirittura a provvedimenti “di un altro processo”[36].
La norma da ultimo ricordata è particolarmente importante per la sua stessa formulazione; la sua genericità la fa apparire come una norma in bianco che, come tale, può ben essere “riempita” di nuovi significati alla luce dell’evoluzione tecnologica. Se, dunque, fino ad oggi essa permette e giustifica l’invio degli atti processuali via telex o fax, potrà presto consentire la trasmissione degli stessi per posta elettronica (ed alla luce delle previsioni normative che di seguito verranno illustrate, tale affermazione appare assolutamente scontata); certo – lo si ribadisce fin da ora– anche in tale ipotesi devono sempre essere garantiti quei principi poc’anzi accennati della certezza della provenienza dell’atto e della sua paternità.
II.2) Notificazione degli atti.
Le considerazioni ora esposte e, soprattutto, le disposizioni di legge che si sono descritte, consentono di delineare scenari di grande rilevo per l’utilizzo della teletrasmissione e della telematica anche in materia di notificazione degli atti. Come noto, ai sensi dell’art. 137 c.p.c., alla notificazione degli atti è preposto l’ufficiale giudiziario che la effettua, su istanza di parte, del pubblico ministero o del cancelliere, nei modi e nelle forme previste dallo stesso codice di procedura civile, al fine di rendere ufficialmente e certamente edotto il destinatario dell’atto medesimo[37]. Ai fini della notificazione, all’ufficiale giudiziario è assimilato, per alcune delle ipotesi previste dal codice, l’ufficiale postale[38], l’avvocato[39], il messo comunale[40].
La natura del soggetto che notifica l’atto giudiziario incide profondamente sulle modalità di notifica dello stesso; anche queste ultime sono delineate dal codice di procedura civile proprio sulla base della presupposizione di un soggetto che fisicamente consegna (appunto, notifica) un documento cartaceo ad altro soggetto. E’ chiaro che –per quello che qui interessa– la questione muta profondamente se ci si pone nella necessità di notificare attraverso un mezzo telematico (e, quindi, addirittura senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario) un documento; e muta ancor di più se tale documento è un documento informatico.
E’ su tali ultime ipotesi che appare necessario soffermarsi; ipotesi che sotto il profilo normativo sono già realtà ma che necessitano di una ulteriore disciplina esecutiva nonché di una realizzazione tecnica connessa ad un cambiamento di mentalità (da parte dei soggetti fruitori) che, allo stato, paiono piuttosto lontani.
La “marcia di avvicinamento” del legislatore all’utilizzo di mezzi tecnici per la notifica (in modo da prescindere per la sua effettuazione dall’ufficiale giudiziario) deve ricercarsi nel codice di procedura penale. Il riferimento è in primo luogo all’art. 167bis c.p.p.[41] che consente “nei casi di urgenza” e “per ordine del giudice”, di avvisare o di convocare “i soggetti diversi dall’imputato” “a mezzo del telefono”, attribuendo a tale comunicazione “il valore di notificazione”.
Ma la disposizione che apre all’utilizzo di mezzi tecnici moderni per la notificazione degli atti processuali è l’art. 150 c.p.p., che disciplina le “forme particolari di notificazione disposte dal giudice”; tale previsione costituisce “una norma aperta dettata dall’opportunità di avvalersi anche per le notificazioni di nuovi mezzi tecnici quali il telefax o altri ancora da inventare; attese l’eterogeneità di detti strumenti e le possibili modificazioni derivanti dal processo tecnologico, la norma in esame delinea un sistema innominato di modificazione senza prevedere un procedimento standard, sicchè è necessario sia il giudice a stabilire, con decreto in calce all’atto, non solo la natura del mezzo ma anche le modalità necessarie per portare l’atto a conoscenza del destinatario”[42]. Sulla stessa linea è l’art. 151 c.p.c. secondo cui il giudice “può prescrivere anche d’ufficio, con decreto steso in calce all’atto, che la notificazione sia eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla legge e anche per mezzo di un telegramma collazionato”[43].
Va sottolineato che tale principio è ormai entrato a buon diritto tra quelli informatori delle procedure di notificazione, potendosi applicare alla generalità degli atti da notificare nei vari processi. Ed invero per molto tempo tale previsione, come detto comune ai processi penale e civile, non è stata formalmente estesa al processo amministrativo. Alcuni TAR tuttavia avevano correttamente ritenuto possibile l’applicazione in via analogica dell’art. 151 c.p.c. anche al processo amministrativo, con ciò assentendo all’istanza dell’interessato di notificare via fax un ricorso[44]. Solo con la legge di riforma del processo amministrativo, tuttavia, tale previsione è stata specificamente introdotta[45]; così si è statuito che il “presidente del tribunale può disporre che la notifica del ricorso o dei provvedimenti sia effettuata con qualunque mezzo idoneo, compresi quelli per via telematica o per telefax, ai sensi dell’art. 151 c.p.c.”. Tale previsione appare importante sotto vari profili che – seppur sintenticamente e schematicamente – pare opportuno segnalare:
a)delinea un nuovo potere valutativo presidenziale che, tuttavia, si palesa quanto mai delicato incidendo sull’esercizio dell’azione. A ben vedere, infatti, la scelta sulle modalità di notificazione di un atto, che normalmente spetta al legale della parte interessata, viene da quest’ultimo trasferita sul Presidente (di quel Tribunale che formalmente non è stato ancora investito del ricorso); quest’ultimo ha la facoltà di accogliere l’istanza così come quella di non accoglierla, non autorizzando, per l’effetto, la notifica. Una tale ultima eventualità può essere immaginabile, tuttavia, solo se i termini processuali per l’instaurazione dell’azione consentono una diversa modalità di notificazione; ma se così fosse stato, la parte non si sarebbe presumibilmente rivolta al Presidente chiedendo di essere autorizzati ad una notifica ad horas. Ciò consente di ritenere che l’istanza al Presidente debba essere allo stesso rivolta quando non ci sia altro modo di notificare l’atto introduttivo se non in tempo “reale”, appunto con l’utilizzo dei mezzi tecnici di cui si è detto;
b) il potere autorizzatorio di cui si è detto, deve intendersi attribuito anche al Presidente del Consiglio di Stato, così come al Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, dovendosi pacificamente interpretare il richiamo effettuato dal legislatore al “presidente del tribunale” come al titolare dell’Organo giudicante innanzi al quale la controversia pende o deve essere introdotta (indipendentemente dal grado di giudizio);
c) per la natura del richiamo all’art. 151 c.p.c., deve ritenersi che la previsione si possa applicare indifferentemente a qualsivoglia atto di parte (non solo quindi all’atto introduttivo del giudizio), oltrechè ai provvedimenti giudiziali.
Al di là di tali considerazioni, preme evidenziare che indipendentemente dal mezzo tecnico che dovesse essere utilizzato, è necessario che questo garantisca una serie di elementi indispensabili per l’effettiva validità della notificazione di un atto: occorre infatti la certezza giuridica dell’avvenuta recezione dell’atto da parte del destinatario nonché della data in cui ciò è avvenuto; l’atto deve altresì provenire certamente dal soggetto che lo ha predisposto sia sotto il profilo formale dell’avvenuta sua spedizione, sia sotto il profilo sostanziale della sua sottoscrizione.
E sono proprio tali aspetti che, con riferimento alla notificazione telematica degli atti, a tutt’oggi non sono completamente garantiti. Certo appare realizzabile la notificazione (ed a maggior ragione la trasmissione dei documenti) effettuata via telex o via fax[46]; si è detto della previa autorizzazione da parte del giudice che garantisce sulla certezza della redazione e sottoscrizione dell’atto; più difficile è comunque ottenere la certezza dell’avvenuta ricezione dell’atto inviato, pur se alcuni mezzi tecnici effettuano la verifica al momento dell’invio (bisognerebbe essere certi che il fax “ufficiale” del destinatario, sia sempre attivo in modo da garantire una ricezione continua). Non ancora (ma per poco) realizzabile è invece la notificazione per via telematica, per comprendere la quale appare necessario soffermarsi preliminarmente sul concetto di “documento informatico”.
II.3) Documento informatico.
Si è detto molto sulla forma degli atti amministrativi, e non è certo questa la sede per soffermarsi sul dibattito ad essa inerente. Certo è che l’Amministrazione “parla” per atti; ed è noto che un “atto amministrativo non potrebbe esistere ove una manifestazione esteriore mancasse, o non fosse riferibile all’autorità cui l’atto debba essere imputato, o non indicasse di provenire dal suo autore nella veste di autorità amministrativa, e perciò non fosse riconoscibile come atto di (quella) autorità”[47].
Non si vuole certo contestare la natura dell’atto amministrativo, che, peraltro, informa il relativo processo. Si vuole tuttavia evidenziare che intenderlo come contenibile solamente su supporto cartaceo, non rappresenti una valutazione al passo con i tempi; un atto amministrativo, alla luce delle moderne tecnologie, può apparire all’esterno in modi tra loro diversi pur conservando intatta la sua valenza provvedimentale e la sua natura (appunto) amministrativa. Al riguardo basti il richiamo all’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo, secondo cui per “documento amministrativo” deve intendersi “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie del contenuto di atti anche interni formati dalle P.A. o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”; ciò che consente di superare le modalità tradizionali di documentazione, fino a giungere al c.d. documento informatico.
Una prima formale nozione di “documento informatico” è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 491bis c.p.[48] secondo cui per esso deve intendersi “qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli”. Come correttamente rilevato[49] la nozione di documento informatico introdotta dalla previsione ora citata, “è in parte una norma in bianco, avendo voluto il legislatore tutelare penalmente esclusivamente quei documenti ai quali, in forza di altre disposizioni normative, debba essere riconosciuta efficacia probatoria. Con riferimento poi al secondo inciso (“programmi specificamente destinati ad elaborare i dati e le informazioni contenute nel supporto informatico”), deve chiarirsi come il legislatore abbia sentito l’esigenza di tutelare anche il programma poiché esso, consentendo l’elaborazione dei dati e delle informazioni, è inscindibilmente connesso al contenuto rappresentativo del documento informatico. Infatti, risulta facilmente comprensibile come anche un’alterazione del programma possa produrre quelle situazioni di danno o di pericolo alla pubblica fede che la sanzione penale mira a prevenire”.
Non si può non ricordare poi la previsione di cui all’art. 15, comma 2, della legge del 15 marzo 1997, n. 59 (la c.d. Bassanini) secondo cui “gli atti, dati e documenti formati dalla Pubblica Amministrazione e dai privati con strumenti informatici e telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”. E’ questa una norma fondamentale ai fini che qui interessano, introducendo formalmente l’atto telematico ed attribuendo allo stesso, indipendentemente dalla sua provenienza pubblica o privata[50], valore di legge.
In attuazione di quanto disposto da tale previsione, è stato promulgato il d.P.R. 20 novembre 1997, n. 513[51], che, all’art. 1, lettera a), ha indicato la nozione di documento informatico inteso come “rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”; la medesima definizione è contenuta nell’art. 1, lett. a) del recente decreto Min. Giustizia n. 123 del 13 febbraio u.s., pubblicato in G.U. del 17 aprile scorso, che ha introdotto il “Regolamento sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, amministrativo e dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti”.
Con ciò si è superata la definizione contenuta nell’art. 491bis c.p.: a ben vedere, infatti, si prescinde in tal modo dal supporto tecnico, semplicemente ricordando la nozione più tradizionale di documento (quale rappresentazione di atti, fatti e dati giuridicamente rilevanti) e consentendo di configurare un qualsivoglia contenuto del documento informatico (comprensivo non solo di testi scritti, ma anche di suoni e immagini, fisse o in movimento in linea con la realtà tecnica).
Pare proprio quest’ultimo il più corretto approccio alla materia di che trattasi; nulla di nuovo sotto il profilo sostanziale; nulla di nuovo sotto il profilo della natura dei poteri della pubblica amministrazione; nulla di nuovo sotto il profilo della rilevanza probatoria del documento; ciò che è nuova –come detto– è la rappresentazione di detti poteri con la connessa possibilità di aumentare la trasparenza nell’agire dell’amministrazione nonché la sua correttezza. L’attenzione dell’interprete e dell’utente deve quindi spostarsi sulle garanzie tecniche che possano consentire ad una rappresentazione “di fatti o atti o dati” contenuta su un supporto informatico, di divenire “documento”.
Da qui le diverse tipologie di “documento amministrativo informatico” che la dottrina ha iniziato a delineare[52] individuando quelli dichiarativi e quelli non dichiarativi. I primi sono documenti che rappresentano una dichiarazione del documentatore tra i quali appaiono importanti quelli “rappresentativi di atti costitutivi, modificativi o estintivi di situazioni giuridiche delle quali l’atto stesso si pone come fonte”[53] (provvedimenti concessori, mandati di pagamento, etc.), e quelli di scienza, rappresentativi e certificativi di una (o più) dichiarazioni di scienza. Con riguardo a questi ultimi, un riferimento di rilievo può essere quello della “carta d’identità elettronica”, prima risposta concreta nella digitalizzazione tra Stato e cittadino; strumento che l’A.I.P.A. dichiara essere stato ispirato ai principi della sicurezza, della interoperabilità a livello azionale (in modo che funzioni allo stesso modo su tutto il territorio nazionale) e della multiutilizzabilità (cioè dell’utilizzazione della carta come carta servizi attraverso l’utilizzo di tecniche di autenticazione opportunamente combinate alla specificazione di un codice personale di identificazione, il c.d. PIN). I secondi altro non sono che rappresentazioni di un fatto, senza valore certificativo o probatorio ma meramente documentale (basti il riferimento al messaggio di un’amministrazione diffuso in forma digitale). Solo per i primi, però, si pone il problema della riconducibilità all’autore; come detto infatti per poter essere “documento” (ed a maggior ragione per poter essere un documento da trasmettere e da notificare), il documento informatico deve contenere la prova della provenienza della dichiarazione (o del fatto o dell’atto) che esso stesso rappresenta; ecco la necessità che sia “autenticato” attraverso un sistema informatico denominato della “firma elettronica”.
La firma elettronica è stata fatta oggetto di attenzione da parte del legislatore italiano e di quello europeo[54]; quest’ultimo ha fissato i “requisiti minimi” per la validità della firma elettronica, inteso come mezzo “generico” di identificazione elettronica di un soggetto e che conseguentemente consente l’accertamento della provenienza di un documento da detto soggetto.
Con riguardo alla situazione italiana[55], va ricordato che la firma elettronica prescelta dal nostro legislatore è quella “digitale”, riferibile a qualsivoglia documento/i (rappresentativo/i di atto/i pubblico/i o privato/i) o duplicato o copia dello stesso [56], che è (o, meglio, sarà) apposta grazie ad un “sistema di crittografia a chiave pubblica” assicurata al documento informatico anche con una separata evidenza[57].
Le caratteristiche tecniche della firma digitale sono chiaramente desumibili dal d.P.R. n. 513/97 cui pare opportuno riferirsi. Secondo l’art. 1, comma 1, lettera b), di detto decreto, per firma digitale si intende “il risultato della procedura informativa (validazione) basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al sottoscrittore, tramite la chiave privata e al destinatario, tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informativo o di un insieme di documenti informatici”. Tale sistema di validazione è definito dalla lettera c) dello stesso comma 1: è “il sistema informatico e crittografico in grado di generare e apporre la firma digitale o di verificarne la validità” e si fonda su una coppia di chiavi crittografiche, dette asimmetriche, fra loro correlate, che devono essere utilizzate nell’ambito del sistema di validazione o di cifratura dei documenti informatici. “Le due chiavi – quella privata e quella pubblica – sono correlate nel senso che servono per effettuare operazioni inverse. Attraverso la chiave privata (mantenuta segreta dal titolare) si appone la firma digitale sul documento informatico; attraverso la chiave pubblica (elemento della coppia di chiavi asimmetriche destinato ad essere conosciuto da tutti e pubblicata in un apposito elenco pubblico) si verifica la firma digitale apposta sul documento informativo dal titolare delle chiavi asimmetriche. In concreto, il sottoscrittore appone la firma digitale al documento con la propria chiave privata; il destinatario verifica il documento con la chiave pubblica del sottoscrittore. Le chiavi, come abbiamo detto, sono in grado di identificarsi reciprocamente se poste in relazione all’altra e ciò avviene per mezzo di una speciale procedura informatica di controllo”[58]. In altre parole “chiunque intenda utilizzare un sistema di chiavi asimmetriche … deve munirsi di una idonea coppia di chiavi e rendere pubblica una di esse mediante la procedura di certificazione” (art. 8.1 del citato d.P.R. n. 513/97). Così ogni possibile utilizzatore possiede due chiavi che possono essere utilizzate solo congiuntamente, di cui una sola conoscibile da terzi e custodita da appositi soggetti certificatori[59] che, appunto, rilasciano un certificato che garantisce la corrispondenza tra il soggetto e la sua chiave pubblica.
Ne deriva chiaramente il valore “rivoluzionario” sia nei rapporti tra privati sia in quelli con l’amministrazione pubblica, della firma elettronica equivalente alla sottoscrizione autografa: il documento informatico che ne è munito “soddisfa il requisito legale della forma scritta” (art. 4.1) ed ha “efficacia probatoria prevista dall’art. 2712 c.c.” (art. 5.2).
II.5) (…continua) e la sua influenza (tra gli altri) sul “mondo degli avvocati”.
Al fine di palesare i possibili scenari di utilizzo della firma elettronica e delle conseguenze che detto utilizzo può avere sulla quotidiana esperienza di ciascuno, appare utile ed opportuna una esemplificazione. Ci si riferisce in particolare all’ipotesi – assolutamente frequente – di un soggetto che voglia intentare un qualsivoglia giudizio, e che, quindi, conferisca un mandato ad un avvocato. Il legale, dotato della propria firma elettronica, può sottoscrivere in forma digitale l’atto processuale con cui introduce il giudizio; pur potendo (ovviamente) essere conferita la procura alla lite su supporto cartaceo, che comunque ben può essere trasformata in documento elettronico[60], si potrebbe arrivare a ritenere non più indispensabile la presenza fisica del cliente per la sottoscrizione del mandato alla lite (ferma restando l’avvenuta condivisione del testo dell’atto redatto dal difensore), in quanto detto mandato potrebbe essere sottoscritto in forma elettronica dal cliente e verificato dal legale attraverso il sistema della chiave, e, quindi, dallo stesso sottoscritto secondo le già ricordate modalità. Per verificare la regolarità dell’atto, un eventuale giudice (successivamente investito della questione) potrebbe verificare la firma digitale dell’avvocato attraverso la chiave pubblica dello stesso legale (solo così si “aprirà” il file contentente l’atto inviato per via telematica) nonché il rispetto delle procedure di autenticazione del mandato.
Può rilevare invece l’attività di notificazione. L’atto ben può essere notificato per via telematica, secondo quanto previsto dall’art. 12 del d.P.R. 513/97 per il quale “la trasmissione del documento informatico per via telematica, con modalità che assicurino l’avvenuta consegna, equivale alle notificazioni per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge”. Una tale modalità è prevista –a decorrere dal 1° gennaio 2002 e previa adozione di un ulteriore D.M.[61] da adottarsi entro il 30 ottobre prossimo– per le comunicazioni e le notificazioni dei documenti informatici (nell’accezione sopra descritta e cioè intesi come “tutti gli atti e i provvedimenti del processo”[62] se aventi le caratteristiche di documento informatico) relativamente ai processi civile, penale e di responsabilità amministrativa; dette comunicazioni e notificazioni, possono essere effettuate, con l’ausilio degli ufficiali giudiziari, attraverso il “sistema informatico civile ed anche all’indirizzo elettronico”[63] comunicato dal difensore al Consiglio dell’ordine di appartenenza e da quest’ultimo reso disponibile[64].
Tuttavia – come in precedenza accennato – tale particolare procedura pone dei problemi che non sono ancora completamente risolti. Si è detto che il sistema della crittografia asimmetrica (le chiavi) permette certezza sulla provenienza dell’atto, la sua non ripudiabilità e genuinità; residua la questione della data certa di notificazione cui è connesso il problema –l a cui soluzione è indicata dal legislatore come presupposto di validità della notificazione medesima – della sicurezza dell’avvenuta consegna dell’atto. A ben vedere, tuttavia, il sistema prevede una “procedura di validazione temporale” cioè una procedura informatica con cui si attribuiscono ad uno o più documenti informatici data ed orario opponibili a terzi (ai sensi dell’art. 1, lett. j del citato d.P.R. n. 513/97). E’ però tale ultimo aspetto che deve essere organizzato tecnicamente seppur non normativamente[65]. Una interessante ipotesi per la funzionalizzazione del sistema attribuisce una importante funzione ai Consigli degli ordini degli avvocati per i quali potrebbero essere delineati compiti di autorità di certificazione e di validazione temporale dei documenti informatici[66]
III) Conclusioni:
Quanto sin qui descritto necessiterebbe di un ulteriore approfondimento; necessiterebbe altresì di uno “sguardo” sull’utilizzo del “net” da parte degli operatori del diritto[67]; ma non appare questa la sede per farlo avendo già appesantito il lettore.
Si riscontra tuttavia una situazione in rapido movimento che necessita anche di un cambio di mentalità da parte degli operatori e, quindi, necessariamente di tempo. Ma nella società della comunicazione il tempo trascorre più velocemente di quanto gli stessi operatori siano in grado di percepire; da qui la necessità di porre attenzione all’evoluzione normativa e tecnica al fine di non rimanerne estranei al momento della sua effettiva e completa operatività.
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(*) Il testo è tratto da una lezione tenuta presso l’Università della Calabria – Dip. di Linguistica in Arcavacata di Rende (CS), in data 13 febbraio 2001.
[1] In dottrina sulla materia si veda F. CARDARELLI, Efficienza e razionalizzazione dell’attività amministrativa. I contratti ad oggetto informatico nella pubblica amministrazione, Camerino, 1996.
[2] Così l’art. 4.1 del d.lgs del 12 febbraio 1993, n. 39 (come sostituito dall’art. 42, comma 2°, della L. del 31 dicembre 1996, n. 675) che ha istituito l’Autorità.
[3] In tal senso M. S. GIANNINI, Autonomia pubblica, in Enc. Dir., Milano 1959, IV, 356.
[4] Interessanti spunti al riguardo si rinvengono in M. PASSARO, Le amministrazioni indipendenti, Torino, 1996.
[5] Così V. BUSCEMA, Le autorità indipendenti tra potere politico e società civile, in Foro. Amm., 1997, II, 341 e ss. in particolare 353.
[6] Non pare questa la sede per dilungarsi eccessivamente sulla natura delle amministrazioni indipendenti, definite “ad alto tasso di imparzialità” sin dalla Relazione della commissione Piga per la modernizzazione delle istituzioni (in Riv. trim. sc. amm., 1985, 3, 85 e ss.). A tal fine sia consentito fare riferimento alle indicazioni, seppure non esaustive, contenute nella nota n. 9 del contributo di S. GATTAMELATA: L’autorità per la vigilanza sui lavori pubblici: una nuova partenza, in Riv. amm. appalti, 1998, 3, 179; si sottolinea altresì che la prima parte del testo del presente lavoro è ripresa da tale contributo, ed in particolare dalle pagine 180-183. Dello stesso Autore, e sullo stesso punto, si veda, più latamente, L’autorità sui lavori pubblici: il suo difficile inserimento nella famiglia delle amministrazioni indipendenti, in Riv. trim. appalti, 1996, 57). Tra i contributi successivi a quelli indicati nella nota sopra ricordata, si ricordano, senza pretesa di esaustività, Le amministrazioni indipendenti, a cura di F. CARINGELLA e R. GAROFOLI, Napoli, 2000 e, nella manualistica, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1999, p. 212.
[7] Tali “autorità” proprio per le loro funzioni di garanzia e di vigilanza in materia di diritti e libertà garantiti in Costituzione, erano previste dall’art. 109 del testo proposto alle Camere dalla Commissione bicamerale per la riforma della Costituzione nel 1998.
[8] Al riguardo preme richiamare V. CAIANIELLO, Le autorità indipendenti tra potere politico e società civile, Prolusione dell’anno accademico Università LUISS Guido Carli – Roma 23 gennaio 1996, in Foro amm., 1997, 341 e ss. Sul principio di neutralità, come recepito dall’art. 222 del Trattato della Comunità europea, si sofferma G. AMATO, Autorità semi-indipendenti ed autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pub., 1997, 645 e ss.
[9] Tra i contributi dottrinali sulla Consob, senza pretesa di esaustività, si ricorda M. CERA, La Consob, 1984; G. SANTANIELLO, Brevi note su profili istituzionali della nuova Consob, in Foro amm., 1996, II, 1213; A. PREDIERI, La posizione della Consob nell’apparato amministrativo in Consob, l’istituzione e la legge penale, Milano, 1987; E. CARDI – P. VALENTINO, L’istituzione Consob: funzioni e struttura, Milano, 1993, G. VESPERINI, La Consob e l’informazione del mercato mobiliare, Padova, 1993.
[10] Per alcuni approfondimenti sulla Banca d’Italia: S. AMOROSINO, L’ordinamento amministrativo del credito, Reggio Calabria, 1995; Le banche regole e mercati, a cura di S. AMOROSINO, Milano, 1995.
[11] L’Autorità “antitrust” è stata istituita con la legge n. 287 del 10 ottobre 1990. Tra i molti apporti in dottrina si segnalano, M. CLARICH, Per uno studio sui poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Dir. Amm., 1993, 1, 77; A. ZITO, L’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di concentrazioni, in Dir. Amm., 1994, 2, 167; A. ZITO, Attività amministrativa e rilevanza dell’interesse del consumatore nella disciplina antitrust, Torino, 1998.
[12] Al riguardo si rinvia a E. ROPPO, Note minime sulla costituenda autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in Pol. dir., 1997, 327.
[13] Istituita con la legge n. 675 del 31 dicembre 1996. Per un approfondimento sui problemi relativi al trattamento dei dati personali, si rinvia a S. MAZZAMUTO, Brevi note in tema di mezzi di tutela e di riparto di giurisdizione sulle attività di trattamento dei dati personali, in Foro it., 1998, V, 49 e ss.
[14] In dottrina si rinvia a: G. GHERA, I poteri e attività della Commissione di garanzia, in Lav. inf., 1991, 12, 23; VACCARELLA-SASSANI, Profili pratici della legge sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Riv. dir. proc., 1991, 466 e ss.
[15] Tale Authority, in un primo tempo indicata come “Autorità per la regolarizzazione delle tariffe e il controllo delle qualità dei servizi di rilevante interesse pubblico” (di cui all’art. 1 bis della legge n. 474 del 30 luglio 1994), è stata istituita dalla Legge n. 481 del 14 novembre 1995. In dottrina al riguardo si rinvia a: G. DE VERGOTTINI, Autorità di regolazione dei servizi e il sistema costituzionale dei pubblici poteri, relazione al Convegno in Roma su Attività regolatoria e autorità indipendenti. L’autorità per l’energia elettrica ed il gas; F. BENVENUTI, La privatizzazione del settore elettrico: Atti dei seminari tenutici a Roma il 27 maggio 1994 e 20–21 gennaio 1995, Milano, 1995, 76.
[16] Per un approfondimento sull’ARAN, istituita dall’art. 50 del d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993, si rinvia a F. CARINCI, La disciplina della contrattazione collettiva tra continuità e discontinuità, in Riv. lav. pubb., 1993; T. TREU, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego, ambiente e struttura, in Giorn. dir. lav., 1994, I; A. POZZI, Riflessioni sulla privatizzazione del pubblico impiego con particolare riguardo alla contrattazione, in Foro amm., 1995, I, 509.
[17] Istituita con il d.l. n. 496 del 4 dicembre 1993, conv. in legge n. 61 del 21 gennaio 1994 e successivamente riordinata dall’art. 110 del d.lgs. n. 112/98 attuativo dell’art. 11 della legge n. 59 del 15 marzo 1997. In dottrina si veda P. PAGLIARA, Controlli ambientali: inerzia legislativa o controriforma della legge sull’ANPA?, in Ragiusan, 1996, 142, 120; C. GRILLO, Riflessioni a margine della legge istitutiva dell’ANPA, in Riv. giur. ambiente, 1994, 817; B. CARAVITA, L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente: linee di riforma, in Riv. giur. ambiente, 1994, 771.
[18] Istituita dall’art. 16 della legge 21 aprile 1993, n. 124, poi modificato dall’art. 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335. In dottrina si rinvia a: C. NOTARMUZI, La commissione di vigilanza sui fondi pensione, in Giorn. dir. amm., 1997, 1190.
[19] Istituita dall’art. 5 del d.lgs 30 giugno 1993, n. 266. Per un approfondimento in dottrina, si ricorda A. BARBIERO, Note sull’agenzia per i servizi sanitari regionali, in Sanità pubb., 1994, 893.
[20] Istituita dall’art. 17.76 e ss. della legge 15 maggio 1997, n. 127.
[21] A quanto è dato sapere, tale Autorità è stata la prima “amministrazione indipendente” di interesse comunale; prescindendo dalle perplessità circa l’utilizzazione di un modello proprio dell’amministrazione statale, l’Autorità rappresenta comunque uno strumento per rendere efficiente un settore ove particolarmente presenti sono gli interessi dei cittadini (e la cui interazione con la legge del 30 luglio 1998, n. 281, sulla <<disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti>> appare una opzione percorribile). Una panoramica della sua attività, è fornita annualmente da essa stessa con la relazione sui servizi pubblici della città di Roma. In dottrina si richiama G. NAPOLITANO, Commento sull’autorità per i servizi pubblici del Comune di Roma, in Giorn. dir. amm., 1996, 906 e ss.
[22] Per tutte si veda G. VERDE, Autorità amministrative indipendenti e tutela giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 1998, 739 e ss. nonché G. PESCE, Autorità garante della concorrenza. Profili istituzionali e questioni di giurisdizione, in Dir. imp., 1994, 169.
[23] Tale previsione è stata introdotta dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 201 che pure ha previsto la riduzione alla metà di tutti i termini processuali, salvo quelli per la proposizione del ricorso.
[24] Ci si riferisce al parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 29 maggio 1998, n. 988/97 (in Cons. St.1998, I, 1483) che conferma la natura provvedimentale delle determinazioni della amministrazioni indipendenti sostenendo che “la loro funzione di garanzia è concretizzata nella funzione amministrativa, non solo perché gli organi … sono collocati al di fuori dell’ambito di cui all’art. 102 Cost., ma anche perchè le norme ne conformano l’attività secondo caratteri oggettivi di concretezza, spontaneità, discrezionalità proprie dell’attività amministrativa” .
[25] Si noti che, secondo la giurisprudenza, tale disciplina non è applicabile all’attività di segnalazione e consultiva pure tipica di dette amministrazioni, in quanto dette attività non presuppongono la formazione, l’utilizzo, l’acquisizione di documenti amministrativi; cfr. sul punto T.A.R. Lazio, Sez. I, n. 1548 del 16 settembre 1996, in TAR, 1996, I, 3617.
[26] Il riferimento è agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 39/93 e succ. mod.
[27] Ci si riferisce all’art. 7, lett. a) del d.lgs. n. 39/93 nonché al n. 3 dello stesso articolo che, a sua volta, rinvia all’art. 11 del d.lgs. n. 29/93 che si riferisce alle interconnessioni tra le amministrazioni pubbliche, proprio ai fini della trasparenza e rapidità del procedimento.
[28] Ai fini di detta realizzazione, l’Autorità in data 26 gennaio 1998 ha indetto un appalto concorso per la fornitura del servizio trasmissivo di trasporto (1° lotto) e dei servizi di interoperabilità (2° lotto), già aggiudicati. E quindi iniziata la fase attuativa del progetto “Rete” di competenza del Centro tecnico, un’unità organizzativa propria dell’Autorità volta alla promozione ed alla realizzazione dei servizi nonché al supporto agli utenti di rete (ex art. 17, comma 19, L. n. 127/97).
[29] Tali indicazioni sono peraltro contenute nel sito web dell’Autorità (www.aipa.it).
[30] Con il d.P.C.M. del 31 ottobre 2000, sono state infatti approvate le “regole tecniche per il protocollo informatico di cui al d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 428”.
[31] Così l’art. 7, lett. d) del d.lgs. n. 39/93, citato.
[32] Così dispone l’art. 8 del citato d.lgs. n. 39/93. Grande rilevanza nella disciplina in esame hanno il valore del contratto esaminato nonché le modalità di aggiudicazione della commessa. Il parere è infatti reso su contratti di 300, 600 o 1.200 milioni di lire a seconda che l’aggiudicazione della commessa avvenga con trattativa privata, licitazione, o asta pubblica; per i contratti con valore superiore al doppio dei limiti di somma previsti dagli artt. 5-9 del R.D. n. 2440/23, è in aggiunta richiesto il parere del Consiglio di Stato. Alla richiesta di parere si applicano le previsioni di cui all’art. 16 della legge n. 241/90, che, anche alla luce dei principi regolatori del procedimento elaborati dalla stessa Autorità ed in deroga alla citata previsione di cui all’art. 8.2, importano il rilascio del parere entro 45 giorni dalla richiesta.
[33] Sull’inapplicabilità di teletrasmissione di atti prima dell’entrata in vigore della legge n. 183/93 si veda Cass. Sez. lav., 1 agosto 1996, n. 6935.
[34] In dottrina si veda G. COSTANTINO: Sulla trasmissione di atti processuali attraverso mezzi di telecomunicazione, in Foro it., 1993, I, 2500; R. BORRUSO: L’uso processuale del fax, in Informatica e doc., 1993, 15; F. PANUCCIO DOTTOLA, L’uso legalizzato del fax: la legge n. 183 del 1993 ed il sistema di trasmissione degli atti giudiziari in copia conforme, in Giust. civ., 1995, II, 349, nonché Trasmissione via fax e notificazioni ad opera degli avvocati; commento alle leggi n. 183/93 e n. 53/94, a cura di S. CHIARLONI, Padova, 1996; G. CIACCI: Comunicazioni e notificazioni di atti processuali in forma elettronica, in La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia, Milano, 1997; B. LIPARI: La valenza giuridica dei documenti inviati via fax, in Fisco, 1998, 9654.
[35] Ed addirittura, trattandosi di ricorso in Cassazione, se il ricevente abbia ricevuto la procura nell’ambito del giudizio di appello senza la necessità, ai fini dell’autenticazione, della procura speciale per il terzo grado di giudizio; così Cass. Sez. lav., 22 marzo 1999, n. 2698. In dottrina, sul punto, si veda U.VOLPE, Osservazioni sulla procura alle liti trasmessa a mezzo fax (da difensore extra districtum), in Foro it., 1996, I, 2558.
[36] Così i punti 2 e 3 dell’unico articolo della legge n. 183/93.
[37] Secondo S. SATTA, la notificazione è “un mezzo legale tipico e tecnico di partecipazione di un atto”; così in Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959, I, 509.
[38] Per le notificazioni a mezzo posta si rinvia alla legge 20 novembre 1982, n. 890 ed alla più recente sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 23 settembre 1998 (in Foro it., 1998, I, 2601 con nota di CAPONI) che ha di fatto esteso l’art. 140 c.p.c. anche all’ufficiale postale.
[39] Ci si riferisce alle ipotesi ed alle condizioni previste dalla legge del 21 gennaio 1994, n. 53 (“facoltà di notificazione di atti civili, amministrativi, e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali”) che attribuisce agli avvocati appositamente autorizzati dal proprio Consiglio dell’Ordine (art. 7) di provvedere alle notificazioni a mezzo del servizio postale (art. 1) o direttamente, nell’ipotesi in cui il destinatario sia altro legale iscritto nel medesimo albo del notificante (art. 4).
[40] L’art. 10 della legge 3 agosto 1999, n. 265, ha disposto che le amministrazioni pubbliche possono avvalersi dei messi comunali per la notificazione di propri atti, ove non sia possibile eseguirle utilmente avvalendosi del servizio postale o delle altre forme di notificazione previste dalla legge.
[41] Aggiunto con l’art. 33 della legge 22 maggio 1975, n. 152.
[42] Così Cass., Sez. III pen., 1 dicembre 1994, in Mass. Cass. pen., 1995, 6°, 89.
[43] E si badi che il provvedimento con cui il giudice prescrive una particolare forma di notifica ex art. 151 c.p.c., rientrando tra le facoltà discrezionali del giudice medesimo, non è sindacabile in cassazione; sul punto si veda Cass. Sez. III, 14 febbraio 1963, n. 299.
[44] Tra i precedenti si cita il ricorso n. 2125/00, pendente innanzi al TAR della Lombardia, la cui notifica è stata autorizzata via fax come da decreto apposto in calce al ricorso medesimo dal Presidente Mariuzzo.
[45] Ci si riferisce all’art. 12 della legge n. 205/00, in ordine al quale si segnala, quale prima riflessione, A. TRENTINI, in Il nuovo processo amministrativo, commento alla legge n. 205 del 21 luglio 2000, a cura di A. SCOLA e A. TRENTINI, Rimini, 2000.
[46] Il telex ha un suo codice particolare, cosicchè può essere utilizzato solo dall’ufficio che ne è titolare; per di più sul messaggio inviato appare il numero seriale codificato del telex mittente che ne accerta la provenienza. Diversa potrebbe essere la posizione del fax, primo esempio di posta elettronica, il cui accesso è libero e può non essere impresso alcunchè sul documento inviato suo tramite.
[47] A.M. SANDULLI, Documento (Diritto amministrativo), in Enc. dir., Milano, 1964, XIII, 671.
[48] Introdotto dall’art. 3 della L. 23 dicembre 1993 n. 547, in materia di criminalità informatica.
[49] G. CIACCI: La firma digitale, Milano, 2000, 21.
[50] Un approfondito studio sulla valenza contrattuale della trasmissione tra privati è stato effettuato da A.M. GAMBINO, L’accordo telematico, Milano, 1997, che (pp. 157-158) sottolinea in modo accurato “l’esatta dinamica del meccanismo attuativo della posta elettronica” per cui “il messaggio inviato non giunge direttamente nella casella postale elettronica del ricevente, bensì giace temporaneamente in uno spazio fisso dell’hard disk del server presso il provider”, dovendosi valutare “l’adattabilità al caso di specie del riferimento alla ricezione “all’indirizzo del destinatario” di cui all’art. 1335 c.c.; “la scriminante viaggerà allora sui canoni tradizionali della prova di una mancata oggettiva possibilità di conoscere senza colpa e non potrà estendersi ai casi di una possibilità per così dire non concretizzata, come succede per l’operatore economico, che non consulti – almeno nei giorni lavorativi – la propria e–mail. Il contratto stipulato con reciproco invio di dichiarazioni per posta elettronica si perfeziona, dunque, allorquando un’accettazione conforme alla proposta giunga nel contenitore dei messaggi del provider, fatta salva la dimostrazione in capo al destinatario di essere stato nell’incolpevole impossibilità di averne notizia”.
[51] “Regolamento contenente i criteri e le modalità per la formazione, l'archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici a norma dell’art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
[52] In particolare si rinvia alla classificazione effettuata da A. MASUCCI in Il documento amministrativo informatico, Rimini, 2000.
[53] Ancora A. Masucci, op. cit., 19.
[54] Ci si riferisce alla direttiva 99/93/CE pubblicata nella G.U.C.E. in data 19 gennaio 2000 .
[55] Il riferimento è al d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513, “Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione, e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma dell’art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59” nonchè al già citato, recente D.M. n. 123 del 13 febbraio 2001, pubblicato in G.U. il 14 aprile scorso, che la definisce all’art. 1, lett. d) come “il risultato della procedura informatica disciplinata” dal ricordato n. 513/97.
[56] Cfr. l’art. 6 del citato d.P.R. n. 513/97.
[57] Cfr. l’art. 10 del citato d.P.R. n. 513/97.
[58] Tale passaggio, che riassume in modo succinto ma molto chiaro il complesso sistema della firma elettronica è ripreso da A. MASUCCI, op. cit., 29.
[59] L’elenco pubblico dei certificatori, previsto dall’articolo 8 del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513 e specificato nel d.P.C.M. 8 febbraio 1999, è mantenuto dall’A.I.P.A. ed è disponibile per via telematica; alla data dell’8 febbraio 2001 risultavano 8 certificatori iscritti.
[60] Sul punto l’art. 10 del citato D.M. n. 123/01.
[61] Ci si riferisce al D.M. che il Ministero di Grazia e Giustizia dovrà emettere, sentita l’AIPA, per definire le “regole tecnico-operative per il funzionamento e la gestione del sistema informatico civile nonché per l’accesso dei difensori delle parti e degli ufficiali giudiziari”, previsto dal combinato disposto degli artt. 3 e 19 del D.M. n. 123/01.
[62] Cfr. art. 4, n. 1, del D.M. n. 123/01.
[63] Così dispone l’art. 6 del D.M. n. 123/01.
[64] Così ancora l’art. 7 del citato D.M. n. 123/01.
[65] Invero il DPCM 8 febbraio 1999, ha posto le “Regole tecniche per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la duplicazione, la riproduzione e la validazione anche temporale dei documenti informatici ai sensi dell’art. 3, comma 1 del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513”. A tale previsione si aggiunga l’art. 8 del D.M. n. 123/01 che conferma la validità dell’attestazione temporale, prevedendo una necessità conservativa dell’avvenuta notificazione da parte del notificatore per cinque anni dal suo espletamento.
[66] A ciò si aggiungano i compiti che già gli sono propri, ad esempio con riguardo alla vigilanza sul commercio elettronico (Direttiva CE del 4.5.00) A tutela del corretto esercizio delle transazioni commerciali in rete e della comunicazione commerciale, relativamente ai professionisti, come noto devono vigilare gli Ordini professionali redigendo anche codici di condotta, in modo da garantire indipendenza, dignità, onore, segreto professionale, lealtà verso i clienti e colleghi (cfr. art. 8).
[67] a)Si potrebbe affrontare la questione delle modalità di utilizzazione dei siti e, più latamente, dei portali da parte di un professionista. b)Si potrebbe affrontare la questione dei domini, con la registrazione e la relativa tutela. c)Si potrebbe ancora affrontare la questione del link ipertestuale, che permette la normale (o, meglio, la consueta) navigazione su internet. Consiste nel rimandare ad un’altra pagina (appunto con un link) consente all’utente di accedere ad un contenuto che non è stato predisposto dal gestore del sito rinviante: ciò provoca (o può provocare) dei problemi sia per il rinviante che per il ricevente; il sito potrebbe essere coperto da copyright o violare leggi penali (pensiamo, ad esempio, alla decriptazione dei DVD ritenuto illegale cfr. caso “2600.com”). Ebbene: secondo alcuni chi ha operato il link è responsabile anche del linkato (per questo c’è il disclaim); secondo altri sarebbe configurabile un diritto a linkare altri siti (cfr. Mp3board.com c/ RIIA), perché connaturato all’essenza stessa della rete. Si potrebbe a tal fine operare la distinzione tra il “surface linking” che rinvia alla home page altrui; il “deep linking”, che rinvia alle pagine interne al sito ed al framing, costituito in una pagina altrui dentro al proprio sito. Ma di tutto ciò ci si riserva di parlare in un prossimo futuro.