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UGO GALLI
(Avvocato - Segretario Generale
della Comunità Montana del Gargano)
Le fasi procedimentali dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e della dichiarazione di pubblica utilità, nonché l’autorità amministrativa competente alla luce del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
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SOMMARIO: 1 – Premesse. 2 – Il vincolo preordinato all’esproprio. 3 – La dichiarazione di pubblica utilità. 4 – L’autorità amministrativa competente.
1 – Premesse.
La trattazione della materia in questione non può prescindere da una disamina del testo normativo, destinato a disciplinare l’espropriazione per pubblica utilità ((D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità") in combinato disposto rispetto alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione".
Non possono, infatti, sfuggire all’interprete gli effetti dirompenti derivanti dall’entrata in vigore delle disposizioni contenute nella nuova normativa di rango ultra-primario anche con riferimento al riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni in tema di procedimenti ablatori.
Invero, l’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nel sostituire il testo dell’art. 117 Cost., ridisegna i commi 2, 3 e 4 della predetta norma nel senso di omettere l’attribuzione in favore dello Stato della potestà legislativa esclusiva ovvero della titolarità della funzione, del pari normativa-primaria, di enucleare i principi fondamentali in materia di poteri amministrativi espropriativi, con conseguente operatività della clausola di residualità in favore della "potestas" legislativa regionale ("spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato").
Ne discende, quale logico corollario, che va disconosciuta, prima ancora della sua iniziale vigenza (differita, con legge 31 dicembre 2001, n. 463 al 30 giugno 2002), l’attuale conformità, a seguito del mutato quadro costituzionale, dell’art. 5 D.P.R. n. 327/2001 rispetto all’art. 117, commi 2, 3 e 4 Cost., posto che le Regioni a Statuto ordinario e quelle a statuto speciale della Sardegna, del Friuli-Venezia Giulia e della Valle d’Aosta esercitano in materia di espropriazione per pubblica utilità la potestà legislativa esclusiva e non già concorrente, così come statuito dalla disposizione normativa secondaria testè richiamata.
Dunque, bene potrebbero le Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale di cui sopra, in ossequio alla lettera della norma di cui al novellato art. 117 Cost., legiferare, mediante atti di normazione primaria e secondaria, con riguardo alla materia della espropriazione per pubblica utilità, donde l’insinuazione del dubbio se il testo unico in tema di espropriazione per pubblica utilità possa, allo stato, reputarsi o meno ancorato ai principi ed alle norme della nostra Carta fondamentale.
Ad una siffatta prospettazione, seppur formulata in via dubitativa, si può opporre, confortati dall’inequivocabile tenore dell’art. 1, comma 2, dello schema di disegno di legge recante "Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3" il principio di cedevolezza delle norme statali, intese a disciplinare materie attribuite dal riformato art. 117 Cost. alla potestà legislativa esclusiva regionale, a fronte dell’esercizio da parte degli enti territoriali regionali di quest’ultima funzione, onde va affermata, "medio tempore", la perdurante applicabilità delle prime disposizioni (quelle statali) sino all’entrata in vigore dei secondi atti aventi forza e valore di legge o di regolamento (quelli regionali), promulgati in attuazione del sopravvenuto riparto tra lo Stato e le Regioni di potestà legislative.
Appare, pertanto, sostenibile la tesi ad avviso della quale può predicarsi, "de iure condendo", l’esistenza dei presupposti ordinamentali generali preordinati ad ammettere la legittimità costituzionale del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 ed, in ultima analisi, l’eventualità che quest’ultimo testo dispieghi validamente gli effetti giuridici al medesimo intimamente connessi.
2 – Il vincolo preordinato all’esproprio.
Il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, incuneandosi nel solco tracciato, soprattutto dall’art. 97, comma 1, Cost. e dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni (vedasi, in particolare, l’art. 1, comma 1, a mente del quale l’attività amministrativa persegue i fini indicati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità secondo le modalità stabilite dalla medesima legge e dalle altre leggi sui procedimenti amministrativi) risulta governato dai principi di economicità, di efficacia, di efficienza, di pubblicità e di semplificazione dell’attività amministrativa.
Tali principi possono rinvenire la propria principale sede attuativa nella disciplina unitaria del procedimento ablatorio, consacrata negli artt. 8 e ss. del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (d’ora innanzi Testo Unico).
Nella prospettiva appena delineata, infatti, occorre osservare, in primo luogo, che il Testo Unico, realizzando la "reductio ad unitatem" della pluralità dei modelli, contrastanti tra loro, dovuti alla frammentazione ed alla successione delle norme del tempo (Consiglio di Stato, Adunanza Generale, parere del 29 marzo 2001, n. 4), definisce, all’art. 8, un unico procedimento espropriativi, articolato in tre fasi, tra di loro differenziate ma, nel contempo, strettamente coordinate ed interdipendenti sotto il profilo funzionale, in quanto propedeutiche all’emanazione di un unico atto finale, il decreto di esproprio:
a) la previsione dell’opera pubblica o di pubblica utilità da eseguire da parte dello strumento di programmazione urbanistica generale ovvero di un atto avente natura e dotato di efficacia assimilabili al primo, nonché l’apposizione sul bene immobile, da porre ad oggetto del provvedimento conclusivo ablatorio, del vincolo preordinato all’esproprio;
b) la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera;
c) la determinazione, quand’anche provvisoria, dell’indennità di esproprio.
La fase procedimentale dell’apposizione su di un bene immobile del vincolo preordinato all’esproprio della stessa "res" ovvero di diritti comunque esercitati su di un bene immobile postula un duplice nesso di derivazione:
1) il primo afferisce all’approvazione dello strumento di programmazione urbanistica generale ovvero ad un atto avente natura e dotato di efficacia equipollenti rispetto alla manifestazione di volontà tipica di pianificazione in tema di governo ed uso del territorio;
2) il secondo (nesso di derivazione del vincolo preordinato all’esproprio) rinviene la propria fonte in una serie di modelli procedimentali, connotati, in assenza di una soggettività giuridica autonoma in capo ai medesimi strumenti, dalla esigenza di coordinare, in un’unica sede istituzionale, una molteplicità di interessi pubblici, affidati dalle norme di azione alle cure concrete di autorità tra loro differenti, in guisa da garantire l’effettivo perseguimento dei principi di economicità, efficacia, efficienza e semplificazione dell’attività amministrativa, riecheggianti anche nel testo dell’art. 2, comma 2, del Testo Unico.
Tali moduli procedimentali coincidono con la conferenza di servizi, con l’accordo di programma, con l’intesa ovvero con altro atto che, ai sensi della legislazione nazionale, ma, in una prospettiva immediata "de futuro", regionale producano gli effetti della variante (secondo la consolidata tripartizione dottrinaria e giurisprudenziale: normativa, specifica o generale) allo strumento di programmazione urbanistica generale, con connessa apposizione sul bene immobile, da sottoporre a provvedimento ablatorio, del vincolo preordinato all’esproprio.
Orbene, dopo aver delineato in maniera sommaria le due modalità di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio enunciate dal Testo Unico, si rende necessaria una disamina partita delle medesime.
Quanto alla apposizione del vincolo preordinato all’esproprio derivante dalla efficacia ("id est" idoneità dell’atto a produrre gli effetti giuridici suoi propri) del provvedimento di approvazione dello strumento di programmazione urbanistica generale o di una sua variante, i quali rechino l’espressa previsione dell’opera pubblica o di pubblica utilità da eseguire, va osservato, in primo luogo, che l’esistenza del detto vincolo limitativo del diritto soggettivo di proprietà (analogamente al vincolo destinato all’inedificabilità assoluta o generale con riferimento, in quest’ultimo caso, alla riduzione degli standards edilizi e delle zonizzazioni) costituisce il primo anello della sequenza espropriativa, riguardata non solo sotto il profilo procedimentale "tout court" ma anche sotto quello della tempistica complessiva rilevante in sede di esercizio della funzione amministrativa di tipo ablatorio.
Infatti, la durata quinquennale del vincolo preordinato all’esproprio, circoscrivendo l’ambito temporale entro il quale può essere disposta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera a pena di decadenza dello stesso vincolo, rappresenta la prima esplicazione, anche nella prospettazione di cui al superiore periodo, del potere amministrativo in argomento che dovrà, dapprima "sfociare nell’emanazione dell’atto centrale o conclusivo, il decreto di esproprio, entro il termine indicato nel provvedimento dichiarativo della pubblica utilità e, dappoi, nell’esecuzione del decreto di esproprio, concretantesi nella redazione del verbale di immissione in possesso entro il termine perentorio di due anni decorrente dalla data di validità ed efficacia del medesimo decreto.
Il venire meno di tale concatenazione procedimentale e temporale, per effetto della mancata disposizione della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera entro il termine di cinque anni decorrenti dall’inizio dell’efficacia degli atti menzionati dall’art. 9, comma 1, del Testo Unico, comporta la verificazione di tre ordini di conseguenze:
1) il vincolo preordinato all’esproprio decade, donde l’applicabilità del regime urbanistico disciplinato dall’art. 9 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (la cui entrata in vigore è stata differita dalla legge 31 dicembre 2001, n. 463 al 30 giugno 2002) all’area precedentemente gravata dal primo atto della fase procedimentale ablatoria (si tratta della conformazione urbanistica discendente dalle cosiddette "zone bianche", caratterizzantesi per la presenza di indici di fabbricabilità assai ridotti);
2) la positivizzazione normativa del principio, pacificamente ammesso dalla giurisprudenza, del giudice delle leggi ed amministrativa, seppur presidiata dalla necessaria previsione di un indennizzo in funzione di ristoro del sacrificio imposto al titolare del diritto di proprietà dell’area, sottoposta a vincolo, "sub specie" dell’esercizio della facoltà di godimento e di disposizione (artt. 42 Cost. e 832 c.c.) (Corte Cost. Sent. n. 186/1993 e Sent. n. 344 del 1995; Cons. Stato, Sez. IV n. 159/1994), (del principio) dell’ammissibilità della reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio;
3) la necessaria subordinazione della rinnovazione dell’esercizio del potere amministrativo impositivo del vincolo preordinato all’esproprio ad una adeguata ponderazione circa l’esistenza dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera pubblica e di pubblica utilità sotteso, in modo da evitare, in sede di impugnativa giurisdizionale l’articolazione di censure aventi ad oggetto la deduzione del vizio di legittimità della violazione di legge o dell’eccesso di potere per carenza assoluta o difetto di motivazione (artt. 3 legge n. 241/90 e 9, comma 4, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).
A tal fine, va evidenziato che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha rilevato che "sussiste la violazione del principio del rispetto della proprietà (art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo firmato a Parigi il 20 marzo 1952) qualora vi sia una continua rinnovazione di vincoli su aree. Tale comportamento, pur non potendo essere assimilato ad una privazione della proprietà, può violare il giusto equilibrio tra esigenze dell’interesse generale ed imperativi a salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo " (Sentenza 2 agosto 2001 in causa 37710/1997).
L’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, scaturente dalla previsione contenuta nello strumento di programmazione urbanistica generale, nella disciplina enunciata dal Testo Unico reca la previsione di un procedimento snello "ad hoc" di variazione, nel corso dei cinque anni di durata del vincolo stesso, dello strumento di programmazione urbanistica generale in relazione all’opera pubblica o di pubblica utilità da eseguire, si come originariamente descritta, nel senso di configurare l’istituto del silenzio-assenso da parte dell’ente territoriale regionale ovvero di quello delegato all’esercizio delle funzioni di approvazione degli strumenti ridetti ove gli stessi non manifestino il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni decorrenti dalla ricezione della deliberazione modificativa del Consiglio e della documentazione posta a supporto della medesima, con l’avvertenza della necessarietà di un ulteriore convocazione dell’organo di indirizzo politico-amministrativo comunale ai fini dell’attribuzione della efficacia del ridetto provvedimento.
Per quanto attiene, poi, alla seconda "species" di nesso di derivazione del vincolo in questione, appare utile porre in risalto che essa si fonda sulla iniziativa dell’amministrazione competente all’approvazione del progetto, nella sua qualità di amministrazione procedente, intesa alla indizione della conferenza dei servizi, alla conclusione di un accordo di programma ovvero al raggiungimento di un’intesa, nella prospettiva della previsione, nell’ambito dello strumento di programmazione urbanistica generale per il tramite dell’emanazione di un atto che tenga luogo della variante, dell’opera pubblica o di pubblica utilità da eseguire e del bene da sottoporre a vincolo espropriativo.
Giova, all’uopo, ricordare che, a mente dell’art. 34, comma 2, secondo periodo, del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al D. Lgvo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni "l’accordo, qualora adottato con decreto del presidente della regione, produce gli effetti dell’intesa di cui all’art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, sempre che vi sia l’assenso del comune interessato".
Inoltre, la conferenza dei servizi, alla luce dell’art. 14, comma 2, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel Testo novellato dall’art. 9 legge 24 novembre 2000, n. 340 va, sempre indetta allorquando l’amministrazione procedente debba acquisire "intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro quindici giorni dall’inizio del procedimento, avendoli formalmente richiesti".
Residua, in seno alla breve trattazione sviluppata in questo paragrafo, l’analisi degli aspetti concernenti la partecipazione dei proprietari dei beni, ai procedimenti, testè enucleati, mirati alla apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.
Muovendo da questo angolo visuale, può, senza esitazioni, affermarsi che il testo unico tende ad attuare compiutamente il principio del giusto procedimento, il quale, pur non assurgendo al rango di canone di rilevanza costituzionale, costituisce, in ogni caso, criterio di orientamento per il legislatore e l’interprete (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 15 settembre 1999, n. 14).
Il suesposto assunto rinviene elementi confermativi nella norma di cui all’art. 11 del Testo Unico, la quale stabilisce che i proprietari dei beni immobili, da sottoporre a vincolo preordinato all’esproprio, devono ricevere comunicazione dell’avvio del procedimento almeno venti giorni prima della delibera di adozione della variante allo strumento di programmazione urbanistica generale ovvero dell’emanazione dell’atto conclusivo della conferenza di servizi, dell’accordo di programma, dell’intesa o atto equipollente che produca gli effetti della variante allo strumento pianificatorio urbanistico, salvo il regime pubblicitario rafforzato dettato in tema di progetti relativi a reti ferroviarie connotato, in via aggiuntiva rispetto alla comunicazione compartecipativi cennata, dalla menzione dell’avviso su uno o più quotidiani a diffusione nazionale, cui può conseguire la presentazione di osservazioni entro un termine definito (trenta giorni).
La norma del Testo Unico sopra analizzata non contiene alcun riferimento all’invio della comunicazione di avvio del procedimento nell’ipotesi di "iter" tendente alla formazione dello strumento di programmazione urbanistica generale contenente la previsione del vincolo preordinato all’esproprio, poiché, in simili fattispecie, la normativa regionale di riferimento reca la disciplina relativa alla pubblicità-notizia degli atti adottati dal Comune, nonché alle modalità di proposizione delle osservazioni (espressive della titolarità di un interesse mediato ed indiretto alla modificazione delle previsioni urbanistiche contenute nello strumento in rilievo) e delle opposizioni (sintomatiche dell’esistenza di un interesse immediato e diretto al recepimento in sede di definizione della destinazione urbanistica di un area, delle proprie posizioni).
Infine, la disciplina della partecipazione al sub-procedimento "de quo" si chiude con la indicazione della obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento anche nell’eventualità in cui l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio discenda dall’approvazione del "programma dei lavori".
A tal proposito, va rilevato che sarebbe opportuno riferirsi all’elenco annuale dei lavori e non già al programma dei lavori, giacchè, stante la distinzione tracciata dall’art. 14 legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni tra programma triennale dei lavori ed elenco annuale dei lavori, la comunicazione di cui all’art. 7, comma 1, legge n. 241/90 assolve alla finalità strutturale di garantire la possibilità dell’instaurazione di un proficuo contraddittorio tra il privato proprietario e l’autorità espropriante esclusivamente con riferimento al caso dell’elenco annuale dei lavori pubblici.
Una siffatta conclusione appare suffragata dalla considerazione del fatto che, essendo necessaria, ai fini dell’inserimento di un intervento nell’elenco annuale dei lavori la previa approvazione del progetto preliminare da parte dell’amministrazione competente - il quale solo può comportare l’adozione della variante allo strumento di programmazione urbanistica generale con conseguente previsione dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio - la comunicazione di avvio del procedimento assume una valenza significativa, in una prospettiva di presentazione di osservazioni e memorie scritte da parte del privato proprietario unicamente con riguardo alla possibilità dell’emanazione di un atto (approvazione dell’elenco annuale) intimamente connesso con quello (approvazione del progetto preliminare) suscettivo di arrecare una lesione diretta, concreta ed attuale alle posizioni giuridiche soggettive dei proprietari interessati anzicchè con riferimento ad una determinazione (il programma triennale dei lavori) avente una portata meramente pianificatoria in una fase ancora embrionale come testimoniato dalla circostanza che essa appare cronologicamente e funzionalmente successiva alla redazione degli studi di fattibilità.
3 – La dichiarazione di pubblica utilità.
La dichiarazione di pubblica utilità, quale fase sub-procedimentale ulteriore della sequenza ablatoria, comporta la creazione di un collegamento teleologico tra l’opera da eseguire e l’interesse pubblico soggiacente alla stessa "opus" perseguito dall’autorità amministrativa competente in quanto affidato alle sue cure concrete da una norma d’azione.
Tale asserzione risulta confermata dalla circostanza che, sulla base della normativa vigente (dunque, antecedente all’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), ove in presenza di un’occupazione protrattasi oltre il termine previsto per l’emanazione del decreto di esproprio dovesse sopraggiungere l’annullamento giurisdizionale del provvedimento che dispone la pubblica utilità dell’opera, verrebbe in rilievo la figura dell’occupazione usurpativa e non già quella appropriativa con tutte le implicazioni in tema di risarcimento dei danni cagionati al privato proprietario.
Ne consegue che, nell’ipotesi di annullamento in via giurisdizionale del provvedimento che dispone la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera o "mutatis mutandis" che comporti l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, si verifica la caducazione di tutti i successivi atti del procedimento espropriativo, con conseguente necessità di rinnovazione della sequenza a cominciare dall’atto impugnato ove ciò, beninteso, assicuri l’integrale perseguimento dell’interesse pubblico che, di volta in volta, viene in rilievo.
La dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta, ferma la conformità dell’opera rispetto allo strumento di programmazione urbanistica generale, ad una sua variante od agli atti di cui all’art. 10, allorquando risultino approvati:
1) il progetto definitivo di un opera pubblica o di pubblica utilità; gli strumenti urbanistici attuativi ad iniziativa pubblica (si pensi a titolo esemplificativo al piano particolareggiato, al piano di ricostruzione, al piano di recupero, al piano di riqualificazione, al piano di zona); ad iniziativa privata (piano di lottizzazione) ovvero agli strumenti urbanistici di settore (si pensi a titolo esemplificativo al piano per gli insediamenti produttivi ed al piano per l’edilizia economica e popolare, agevolata, convenzionata o, comunque, denominata);
2) ulteriori strumenti urbanistici attuativi o settoriali che producano, ai sensi della normativa vigente, l’effetto giuridico proprio della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti;
3) il progetto concernente reti ferroviarie.
Il provvedimento che dispone la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, da emanarsi entro il termine quinquennale di durata del vincolo preordinato all’esproprio, produce gli effetti suoi tipici anche nell’ipotesi in cui di ciò non si faccia espressa menzione nel provvedimento correlativo. Agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera non possono associarsi quelli di indifferibilità ed urgenza dei lavori (art. 1, comma 1, legge 1/78) che legittimano l’occupazione del bene da espropriare successivamente, attesa la scomparsa dell’istituto dell’occupazione e la impossibilità di assimilare a quest’ultimo le nuove ipotesi dell’utilizzazione del bene per scopi di pubblico interesse e dell’occupazione temporanea di aree.
La regolamentazione della dichiarazione di pubblica utilità, sotto l’aspetto dei termini per l’esecuzione o per l’emanazione del decreto di esproprio, costituenti il substrato contenutistico del provvedimento dichiarativo in argomento, presta il fianco ad un’obiezione consistente nell’equivocità derivante dal duplice riferimento, nell’un caso, alla dizione letterale "esecuzione" e, nell’altro, all’espressione terminologica "emanazione", del decreto di esproprio.
Invero, l’art. 13 del Testo Unico, statuisce, ai commi 3, 4 e 5 che:
a) nel provvedimento dichiarativo della pubblica utilità può essere stabilito il termine entro il quale il decreto di esproprio deve essere eseguito;
b) in caso di mancata indicazione del termine di cui sub a), il decreto di esproprio va eseguito entro il termine di cinque anni decorrenti dalla data di inizio dell’efficacia del provvedimento che dichiara la pubblica utilità dell’opera;
c) l’autorità che emana il provvedimento di cui sub a) e b) può, nell’ipotesi di ricorrenza del "factum principis", decidere la proroga dei termini entro i quali il decreto di esproprio va eseguito per un lasso temporale non eccedente i due anni.
Tuttavia, dopo le suddette enunciazioni, l’art. 13 del Testo Unico, al comma 6, recita "la scadenza del termine entro il quale può essere emanato il decreto di esproprio determina l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità".
Ora, è evidente, che altro è l’emanazione del decreto di esproprio, altro la esecuzione dello stesso, posto che la prima, oltre che propedeutica rispetto alla seconda, si configura quale attività provvedimentale pura, mentre la seconda, salva la redazione materiale del verbale, si atteggia essenzialmente a comportamento (o attività materiale) della pubblica amministrazione, attuativo della precedente azione amministrativa procedimentale preparatoria e finale (decreto di esproprio).
Inoltre, sotto l’aspetto logico e temporale, anche in ragione del chiaro combinato disposto delle norme di cui agli artt. 23, comma 1, lett. a) e lett. h) e 24, comma 1, secondo il quale: "l’esecuzione del decreto di esproprio ha luogo per iniziativa dell’autorità espropriante o del suo beneficiario, con il verbale di immissione in possesso, entro il termine perentorio di due anni" si appalesa la necessità, dapprima, di emanare il decreto di esproprio entro il termine stabilito dallo stesso (cinque anni dalla data di inizio dell’efficacia del provvedimento che dispone la pubblica utilità dell’opera) ovvero secondo il termine prorogato), con conseguente inefficacia, in caso di condotta incerta dell’autorità espropriante, del provvedimento dichiarativo della pubblica utilità; dappoi di eseguire il decreto di esproprio entro il termine perentorio di due anni decorrenti dalla data di emanazione, mediante la redazione del verbale di immissione in possesso.
Tale soluzione appare conforme al generale principio di conservazione degli atti giuridici, dettato dall’art. 1367 c.c., che impone all’interprete, anche nell’ipotesi di disposizioni normative secondarie, di interpretare le stesse "nel senso in cui possono avere un qualche effetto, anziché in quello secondo cui non se ne avrebbero alcuno".
Gli artt. 14, 15, 16, 17, 18, 19, 23, 24 e 25, in forza della loro immediata intellegibilità in tema di comunicazioni degli atti alle autorità amministrative statali e regionali per le opere di rispettiva competenza, di operazioni preliminari alla redazione di strumenti urbanistici e di progetti definitivi, di modalità precedenti l’approvazione del progetto definitivo, di effetti discendenti da quest’ultimo, di approvazione di progetto afferenti ad opere non conformi alle previsioni urbanistiche e di decreto di esproprio, si disvelano alquanto chiari, dettagliati ed esenti dalla insorgenza, quantomeno "prima facie" e salve le problematiche applicative che potranno derivare dalla concreta esplicazione del potere amministrativo espropriativo alla luce del Testo Unico, di difficoltà ermeneutiche analoghe a quelle dinanzi prospettate.
4 – L’autorità amministrativa competente.
Tutti gli atti afferenti alle fasi procedimentali dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, nonché della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, culminati nell’emanazione del decreto di esproprio, rientrano nella competenza dell’autorità amministrativa che ha assunto la decisione di eseguire un opera pubblica o di pubblica utilità.
E’ questo uno degli elementi innovativi di maggior rilievo introdotti dal Testo Unico in una materia, quella delle espropriazioni, connotata, sotto l’aspetto del diritto positivo vigente, dall’attribuzione, sovente, del potere amministrativo ablatorio in capo ad autorità diverse rispetto a quelle che abbiano assunto la determinazione di eseguire l’opera pubblica o di pubblica utilità.
Si tratta di una scelta di politica legislativa, suscettiva, peraltro, di essere rivisitata dagli enti territoriali regionali in sede di esercizio della potestà legislativa esclusiva residuale di cui all’art. 117, comma 4, Cost., nel testo novellato dall’art. 3 legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, tesa ad attuare la linea tendenziale normativa ispirata dai principi di unificazione soggettiva od organizzativa e di unificazione procedimentale o funzionale nello svolgimento dell’attività amministrativa, in ossequio ai canoni fondamentali dell’ordinamento giuridico di economicità, efficacia, efficienza e semplificazione dell’azione dei soggetti pubblici.
Costituiscono esemplificazioni significative di tale esigenza lo sportello unico per gli impianti produttivi (disciplinato dall’art. 23 del D. Lgvo n. 112/98 e dal D.P.R. n. 447/98, così come modificato dal D.P.R. n. 440/2000) e, da ultimo, lo sportello unico per l’edilizia, regolamentato dall’art. 5 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
L’unificazione soggettiva ed organizzativa viene assicurata dalla previsione della necessità per tutti i soggetti pubblici ("recte" enti pubblici, poiché l’espressione soggetti pubblici, per la sua latitudine, si presta a comprendere anche gli organismi di diritto pubblico od i soggetti equiparati alle amministrazioni pubbliche, così come, invece, statuito dall’art. 53, comma 1, del Testo Unico in materia di devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie conseguenti all’applicazione delle disposizioni del Testo Unico, laddove si opera un riferimento espresso ai "soggetti equiparati") di disegnare "ex novo", nell’ambito del proprio ordinamento degli uffici e della propria dotazione organica l’unità organizzativa di vertice od intermedia (dovendo alla medesima essere preposto un dirigente non generale ovvero il dipendente inquadrato nell’area funzionale o categoria professionale più elevata) denominata "ufficio per le espropriazioni" ovvero di assegnare le funzioni di questo ad una unità già esistente, anche per il tramite di stipula di convenzioni per la creazione di un ufficio comune ovvero di costituzione di consorzi "ad hoc" in guisa, da assicurare l’esercizio, in forma associata, delle correlative funzioni.
L’unificazione procedimentale o funzionale, invece, appare garantita "in subiecta materia" mediante la previsione dell’individuazione, in relazione a ciascuna sequenza espropriativa, di un responsabile del procedimento "che dirige, coordina e cura tutte le operazioni e gli atti del procedimento" (da designarsi, evidentemente, da parte del dirigente o responsabile preposto all’ufficio per le espropriazioni, ai sensi dell’art. 5, comma 1, legge n. 241/90 tra i dipendenti addetti all’unità organizzativa in questione), nonché attraverso la necessità che il dirigente dell’ufficio per le espropriazioni emani l’atto conclusivo del procedimento, anche se non elaborato dal responsabile del procedimento.
Infine, la norma di cui all’art. 6, comma 8, del Testo Unico ammette la possibilità, nell’ipotesi in cui l’opera pubblica o di pubblica utilità debba essere eseguita dal concessionario (di opera pubblica o di gestione ai sensi dell’art. 19 legge n. 109/94 e successive modificazioni), che l’amministrazione concedente deleghi in favore del detto organo indiretto, "in toto" od in "parte qua" il potere espropriativo di cui risulti titolare, specificando analiticamente l’oggetto della delega all’interno del provvedimento concessorio, di tal che gli estremi di questa vengano citati in ciascun atto dell’espropriazione.
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