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DIEGO FODERINI
Segretario del Comune di Affi (VR)
L’individuazione dei Comuni e delle loro zone ad economia prevalentemente turistica ai fini della deroga all’obbligo di chiusura domenicale e festiva.
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Sommario: Par. I. La norma di riferimento. Par. II. Il carattere derogatorio e di stretta interpretazione delle situazioni che consentono la deroga. Par. III. Il concetto di economia prevalentemente tursitica Par. IV L’ambito territoriale della deroga. Par. V. Le competenze dei Comuni in materia commerciale e turistica. Par. VI Il convenzionamento tra Comuni. Par. VII Il caso della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62.
Par. I. La norma di riferimento. L’articolo 12 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 prevede che "nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nelle città d’arte o nelle zone del territorio dei medesimi, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva disposta dall’articolo 11" del decreto.
L’individuazione dei Comuni, delle città e delle zone è demandata alle Regioni, che debbono altresì determinare i periodi di maggiore afflusso turistico nei quali gli esercenti possono avvalersi della facoltà. L’individuazione dovrà avvenire "anche su proposta dei Comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti".
Par. II. Il carattere derogatorio e di stretta interpretazione delle situazioni che consentono la deroga. La facoltà di apertura domenicale e festiva costituisce una deroga alla regola della chiusura e la norma dalla quale deriva, in conseguenza del carattere eccezionale, è di stretta interpretazione. Essa risulta correlata alla prevalenza dell’economia turistica od al riconoscimento della qualità di città d’arte e quindi ancorata a fatti aventi propria autonoma giuridica rilevanza. Si tratta di situazioni particolari riconosciute meritevoli dall’ordinamento di un trattamento differenziato che fanno riferimento a peculiarità effettive di alcune parti del territorio nazionale. Le Regioni sono tenute, infatti, non solo ad individuare i Comuni, le città d’arte o le loro zone ma anche, e congiuntamente, a stabilire "i periodi di maggiore afflusso turistico" nei quali è possibile l’esercizio della facoltà di apertura domenicale e festiva.
La tecnica legislativa utilizzata "aggancia" il regime derogatorio alle situazioni prescritte nel decreto. Si tratta di una valutazione già compiuta dal legislatore nazionale, senza che residui, a riguardo, alcun margine di valutazione in capo al legislatore regionale, al quale compete solamente il compito dell’individuazione dei fattori o degli indicatori che concorrono alla configurazione delle suddette situazioni. Queste comporteranno automaticamente, ope legis, una volta riconosciutane la sussitenza, l’effetto previsto. Tale operazione richiede sicuramente l’esercizio di discrezionalità tecnica, che risulta però sufficientemente circoscritta dal perseguimento delle finalità alle quali è intesa.
Nel decreto legislativo 114/98 i casi espressamente previsti sono di stretta interpretazione ma la ricorrenza di uno o più degli stessi casi non solo giustifica il riconoscimento del regime derogatorio ma lo rende addirittura dovuto, in tutte le Regioni dello Stato, in quanto realizza il contemperamento tra opposti interessi previsto nella legge. Si tratta ora di determinare quali siano questi casi.
Par. III Il concetto di economia prevalentemente turistica. Ai fini della deroga agli orari ed alla chiusura domenicale e festiva non rileva l’oggettivo interesse turistico del comune o della zona (per la presenza di bellezze naturali, paesaggistiche o culturali o di altre significative particolarità che la rendono richiamo per un notevole numero di visitatori), ma l’aspetto economico, altrettanto oggettivo, che dal flusso turistico deriva. E’ necessario che l’economia locale si fondi in modo prevalente sul turismo ma non è affatto necessario che la prevalenza sia determinata dall’interesse turistico del luogo. Un certo Comune può essere meta di numerosi visitatori senza che ciò comporti necessariamente effetti prevalenti sull’economia locale, basata invece essenzialmente, ad esempio, sull’industria. Non potrebbe pertanto fruire della deroga dell’articolo 12 del d. lgs. 114/98. Il Comune che, al contrario, non possedesse alcun sito o zona di interesse turistico ma fosse un luogo di transito e sosta per i visitatori diretti altrove avrebbe pieno titolo ad essere individuato dalla Regione laddove tale situazione determinasse lo sviluppo di attività economiche prevalenti.
La norma di legge che consente il regime derogatorio persegue la finalità di tutelare l’economia complessiva di quei Comuni o di quelle zone che si fondano essenzialmente su un’economia di tipo turistico ed è pertanto coerentemente circoscritta ai "periodi di maggiore afflusso" (afflusso che si caratterizza per la qualità di turisti dei soggetti che lo determinano, a prescindere dalla destinazione finale).
Le Regioni sono chiamate a compiere una valutazione mediante la formulazione di un giudizio di relazione che esige il compimento della comparazione tra l’economia complessiva dell’ente e quella connessa al turismo. Si tratta di una valutazione in fatto che ammette un esercizio di discrezionalità piuttosto ridotto.
La legge sembrerebbe richiedere il carattere prevalente dell’economia solamente con riferimento ai Comuni e non invece alle città d’arte ed alle loro zone. Ciò, presumibilmente, perchè in tali casi il riconoscimento della facoltà di apertura ha la finalità di fornire all’utenza maggiori servizi, prescindendo dalla considerazione delle esigenze economiche della città. E’ doveroso osservare in proposito, tuttavia, che anche la deroga riferita ai Comuni, nel quale ha un ruolo prevalente la considerazione dell’aspetto economico, riesce ad assicurare, seppure indirettamente, le esigenze dell’utenza.
Par. IV. L’ambito territoriale della deroga. L’articolo 12 del decreto legislativo 114/98 pone la deroga in rapporto alla ricorrenza alternativa di tre differenti situazioni territoriali:
1) Comuni;
2) Città d’arte;
3) Zone del territorio dei medesimi Comuni e (sembra di capire), delle medesime città;
La deroga è riferita ad un ambito territoriale ben individuato coincidente con quello comunale o con "zone" altrimenti determinate. E’ in relazione alle attività produttive che si svolgono all’interno di tale territorio che deve essere verificata la prevalenza dell’economia turistica.
Il turismo, secondo la definizione datane dal vocabolario Zanichelli (dodicesima edizione), è l’"attività consistente nel fare gite, escursioni, viaggi, per svago o a scopo istruttivo". L’interesse che determina tale attività può essere il più vario e non conosce limitazioni territoriali connesse alla circoscrizione dei singoli Comuni. Le "zone" e le "città d’arte", alle quali fa riferimento la normativa, costituiscono il territorio rilevante turisticamente sotto il profilo economico o delle attrazioni presenti. E’ evidente che la zona può coincidere con la circoscrizionale territoriale comunale, può essere compresa al suo interno ma può anche essere molto estesa e riguardare contemporaneamente più Comuni.
Si tratta di capire l’esatto significato del riferimento normativo ai Comuni in rapporto alle zone, in modo da poter trarre le dovute conseguenze in ordine a queste ultime ed alla loro possibile estensione. La formulazione del decreto non è, infatti, a riguardo molto chiara.
Par. V. Le competenze dei Comuni in materia commerciale e turistica. I Comuni sono titolari di numerossisime competenze in materia commerciale. Limitando la considerazione alle norme del d.lgs. qui in esame, l’articolo 11, comma I, conferisce loro il compito di emanare i criteri per la disciplina degli orari di apertura e chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio "in esecuzione di quanto disposto dall’articolo 36, comma III, della legge 8 giugno 1990, n. 142". Il commma IV gli attribuisce la competenza in ordine alla determinazione dei casi di chiusura infrasettimanale per metà giornata mentre il successivo comma V quella all’individuazione dei giorni e delle zone del territorio "nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva", giorni che "comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno". L’articolo 12, comma II, dispone che "le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, possono definire accordi da sottoporre al Sindaco per l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 36, comma III, della legge 8 giugno 1990, n. 142".
L’articolo 36 della legge 142/90, alla quale sono riconducibili gran parte dei compiti attribuiti al Comune dal d. lgs. 114/98, prevede che "il Sindaco cooordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla Regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici" (questo il testo risultante dalla riformulazione introdotta dalla legge 265/99).
Ciascun Comune può esercitare le competenze in materia commerciale esclusivamente all’interno del proprio territorio ed in relazione agli esercizi in esso compresi, non potendo, ad esempio, legittimamente determinare l’obbligo di chiusura infrasettimanale o individuare i giorni nei quali è consentita la deroga all’obbligo di chiusura domenicale festiva ai sensi, rispettivamente, dei commi IV e V dell’articolo 11 con riferimento ai negozianti del Comune limitrofo.
Il riferimento del decreto legislativo ai Comuni non è operato solamente perchè si tratta degli enti territoriali di più ridotta dimensione (rispetto alle Province ed alle Regioni), che esprimono realtà generalmente omogenee sotto il profilo sociale, culturale ed economico e che consentono una agevole individuazione delle zone senza dover ricorrere a difficoltose quanto improbabili perimetrazioni del territorio nazionale, ma anche e sopratutto perchè sono titolari di importanti competenze di indirizzo e controllo in materia turistica e soprattutto commerciale. E’ in funzione dell’esercizio delle suddette competenze e della posizione qualificata così rivestita che il decreto gli assegna un ruolo di particolare rilievo nell’individuazione delle zone e delle città d’arte. Le Regioni, infatti, ai sensi dell’articolo 12, comma I, compiono l’individuazione "anche su proposta dei Comuni interessati", che hanno cioè interesse a vedere riconosciuta formalmente la loro qualità (ma l’utilizzo del termine "anche" induce a ritenere che le Regioni possano provvedere autonamente all’individuazione, in coerenza con il carattere dovuto della deroga al ricorrere delle situazioni prescritte).
Si tratta di una posizione differenziata e di notevole maggiore peso rispetto a quella delle organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, che, in base alla lettera del decreto debbono essere semplicemente "sentite" (così come i Comuni debbono "sentire" gli stessi organismi per l’esercizio delle funzioni di cui agli articoli 11 e 12). Il Comune, in quanto a diretto contatto con la realtà economica locale ed a motivo delle finalità istituzionali attribuitigli (in base all’articolo 2 della legge 142/90 "è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo"), è il soggetto più qualificato alla formulazione della "proposta". Questa potrà essere disattesa solo in caso di assenza dei presupposti richiesti per l’accoglimento. E’ evidente che ciascun Comune, in conseguenza del carattere territoriale, potrà esprimersi esclusivamente con riferimento al proprio territorio.
La zona caratterizzata dall’economia prevalentemente turistica e la città d’arte sono ricondotte dal decreto ai singoli Comuni in ragione sia della formulazione della proposta sia delle conseguenze che dal riconoscimento di tali caratteri derivano in ordine all’assolvimento delle suddette competenze istituzionali, le quali, in riferimento ad una medesima zona, debbono essere esercitate unitariamente e non possono essere ripartite o frazionate. Sotto questa prospettiva le zone potranno coincidere con la circoscrizione comunale od avere una dimensione minore, ma non superiore.
Quanto sopra nulla toglie alla possibilità del riconoscimento di zone riguardanti più Comuni mediante l’adozione di mezzi che consentano di far coincidere il rilievo economico e burocratico di un determinato territorio.
Par. VI. Il convenzionamento tra Comuni. La grandissima parte dei Comuni italiani è di dimensioni demografiche e territoriali piccole o piccolissime. Il riconoscimento di una maggiore e più qualificata autonomia agli enti locali ad opera delle recenti leggi ha comportato l’incentivazione e la previsione di nuove forme per l’esercizio associato e coordinato delle funzioni e dei servizi in modo da rendere possibile la piena fruizione dell’autonomia conferita. A quest’ultimo scopo sono infatti necessarie risorse finanziarie, materiali, tecniche ed umane di cui spesso gli enti non dispongono nè possono disporre. Il convenzionamento e le altre forme associative costituiscono una delle soluzioni per ovviare a tali esigenze.
Se si ritiene che il decreto legislativo 114/98 ponga il riconoscimento dell’economia prevalentemente turistica in rapporto al singolo Comune in ragione delle competenze in materia di turismo e di commercio (con particolare riferimento a quelle previste dall’articolo 36, comma III, della legge 142/90), in quanto non suscettibili di esercizio frazionato, il convenzionamento tra più Comuni per l’esercizio di quelle medesime competenze con riferimento ad una zona sovracomunale comporterà il rilievo unitario di quest’ultima. Tale forma associativa costituisce altresì il presupposto logico e giuridico che consente ai Comuni di formulare la motivata "proposta" prevista dall’articolo 12 del d. lgs. 114/98 in relazione al territorio interessato dal convenzionamento.
La proposta di riconoscimento della deroga dovrà essere presentata congiuntamente dai Comuni convenzionati e le Regioni dovranno riferire i criteri adottati per determinare la ricorrenza di una delle situazioni prescritte al complessivo territorio degli stessi, unitariamente considerato.
Par. VII. Il caso della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62. La Regione Veneto ha delegato alle Province "l’individuazione dei Comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggiore afflusso turistico" (riprendendo letteralmente la formulazione utilizzata dall’articolo 12, comma III, del d. lgs. 114/98), stabilendo, allo scopo, modalità e criteri. L’articolo 2 prevede che "possono essere individuati ad economia prevalentemente turistica solo i Comuni situati in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale..., con almeno mille e cinquecento posti letto in strutture alberghiere ed extra alberghiere". Ai fini dell’individuazione i Comuni debbono presentare apposita domanda con allegata idonea documentazione, comprendente dati statistici anche stagionali, riferita agli indicatori stabiliti (quali il rapporto tra la popolazione residente ed il numero delle presenze in esercizi alberghieri ed extra alberghieri; il rapporto tra le imprese turistiche ed i lavoratori in esse occupati con riferimento al totale delle imprese ed al totale degli occupati nel territorio comunale; la presenza di stabilimenti termali o strutture congressuali; il rapporto tra pubblici esercizi e popolazione residente; ecc.). I requisiti dei mille e cinquecento posti letto e della lacualità, della litoraneità, della montanità o della termalità (come definiti dalla legge), sono condizioni necessarie ma non sufficienti, essendo altresì necessaria la valutazione discrezionale positiva da parte della Provincia compiuta sulla base degli indicatori.
La Regione Veneto, con la legge 62/99, ha stabilito i criteri per la determinazione della ricorrenza delle situazioni che giustificano il regime derogatorio in materia di orari degli esercizi commerciali previste dal d. lgs. 114/98. Si tratta di situazioni che, è opportuno ricordarlo, sono stabilite in una fonte normativa di rango primario e che, se ricorrenti, rendono necessario il riconoscimento della facoltà di deroga in quanto connesse al rispetto del principio di eguaglianza, il quale esige un eguale trattamento di situazioni analoghe ed un trattamento differenziato di situazioni diverse. La Regione ha competenza solamente in ordine all’individuazione degli elementi che concorrono alla loro configurazione.
La legge non prende espressamente in considerazione (a differenza di altre normative regionali), l’ipotesi del convenzionamento, riferendosi genericamente ai "Comuni". Si deve tuttavia ritenere che tale ipotesi sia ugualmente ammessa in quanto discendente direttamente dal decreto legislativo e che i requisiti e gli indicatori debbano essere riferiti, in tale eventualità, al complessivo territorio dei Comuni convenzionati.
La legge regionale ha il pregio di evidenziare le paradossali conseguenze derivanti dall’esclusione della possibilità di convenzionamento. Il Comune lacuale, montaneo o termale piccolo o piccolissimo (come la grandissima parte dei Comuni italiani e della Regione Veneto), che possieda un’economia indubitabilmente ed in larghissima prevalenza basata sul turismo ma che non abbia mille e cinquecento posti letto o che, viceversa, possieda i posti letto richiesti ma non abbia gli altri caratteri (nè le condizioni necessarie per essere qualificato città d’arte o per fruire, in ogni caso, delle altre deroghe poste nella legge), non potrebbe veder riconosciuta la propria qualità, con grave pregiudizio per l’economia locale e per l’utente ed in grave contrasto con la logica e la finalità del decreto legislativo. Potrebbe così verificarsi il caso di alberghi, con capacità ricettiva molto superiore a mille e cinquecento posti letto, situati in un Comune non lacuale nè termale, nè litoraneo, nè montano che ospitano turisti interessati alla visita del vicino comune termale, lacuale, montano o litoraneo che però, a motivo di un terreno allo scopo inidoneo, non possiede strutture ricettive. L’organizzazione turistica prescinde dalla delimitazione dei confini comunali.
A fronte della situazione prospettata il convenzionamento non può costituire un escamotage per l’ottenimento di un beneficio che non compete. Resta fermo, infatti, che la Provincia dovrà valutare in fatto la prevalenza dell’economia turistica applicando gli indicatori allo scopo disposti.
L’interpretazione sistematica della normativa in esame e la considerazione delle possibili paradossali conseguenze determinate da una lettura restrittiva inducono a ritenere che la legge regionale 62/99 non abbia escluso il convenzionamento ma lo abbia anzi, indirettamente, incentivato ed agevolato allo scopo di favorire la crescita economica, turistica e commerciale dei Comuni veneti. E’ utile ricordare, in proposito, che l’articolo 26 bis della legge 142/90 (introdotto dall’articolo 6, comma VI, della legge 265/99), al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, impone alle Regioni l’obbligo di disciplinare "con proprie leggi,..., le forme di incentivazione dell’esercizio associato delle funzioni da parte dei Comuni" ispirandosi al principio fondamentale di favorire il massimo grado di integrazione tra Comuni e che l’eventuale inadempimento è sanzionato con l’intervento sostitutivo del Governo (articolo 6, comma VII, della legge 265/99).