|
|
|
|
Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog |
Abbiamo
ricevuto in data odierna (19-4-2000) il sotto riportato articolo dei Prof.ri
Manuel
Fernández Salmerón e César Cierco Seira, docenti rispettivamente nella
Università di Murcia e nella Università di Lleida (Espagna).
L'articolo, che riguarda la recente riforma del procedimento amministrativo in Spagna, è stato redatto esclusivamente per la nostra rivista ed è stato tradotto in italiano dagli stessi Autori (i quali chiedono venia per gli eventuali errori, che tuttavia non ci sono); tale articolo dimostra in modo concreto ed evidente non tanto il fatto che la rivista è conosciuta e seguita anche all'estero, quanto soprattutto la circostanza che Internet può costituire - specie nell'ottica del processo ormai irreversibile di integrazione comunitaria - uno strumento di confronto e di eventuale omogeneizzazione dei vari ordinamenti. Non a caso, all'articolo è stato dato un taglio comparativistico, che tiene conto anche della legislazione italiana.
Ringraziamo
sentitamente i Prof.ri Fernández Salmerón e Cierco Seira per il loro
importante ed interessantissimo contributo, leggendo il quale ci si accorge,
sorprendentemente, che
i due coautori conoscono molto bene anche il nostro ordinamento e la dottrina
italiana (vengono, fra gli altri, citati recenti lavori di Romano Tassone e di
Cerulli Irelli, nonchè pareri dell'Adunanza Generale del CdS). L'approfondito
articolo implicitamente ci ricorda quindi, sotto questo profilo, che siamo ormai
tutti cittadini europei (anche se la nostra pubblica amministrazione rimane, con
le sue numerose disfunzioni, italianissima) e che pure noi dovremmo preoccuparci
degli altri ordinamenti e degli spunti di riflessione che questi ultimi possono
offrire.
L'articolo è stato anche convertito in formato Adobe Acrobat: clicca qui per consultare la versione.pdf.
![]()
Manuel Fernández Salmerón e César Cierco Seira
(Università di Murcia e
Università di Lleida)
Riforma del
procedimento amministrativo in Spagna: la Legge
4/1999, del 13 gennaio, di modifica della Legge 30/1992, del
26 novembre, de Régimen Jurídico de las
Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común
![]()
Sommario: I. Considerazioni preliminari: breve excursus sull’evoluzione storica della regolazione del procedimento amministrativo in Spagna —II. Significato e obbiettivi della Legge 4/1999, del 13 gennaio, di modifica della LAP—III. L’obbligo di concludere i procedimenti amministrativi e gli effetti derivanti dalla sua inadempienza; III.1. L’obbligo di emettere provvedimento espresso in tutti i procedimenti amministrativi —e di notificarlo agli interessati— entro il termine stabilito (art. 42 LAP); III.2. Gli effetti che derivano dal mancato rispetto dell’obbligo di provvedere e notificare entro il termine. In particolare, il nuovo regime del cosiddetto silenzio amministrativo (artt. 43 e 44 LAP). IV. I procedimenti di secondo grado: i ricorsi amministrativi, la revisione d’ufficio e la revoca; IV.1. I ricorsi amministrativi; IV.1.a. Principi generali dei ricorsi amministrativi; IV.1.b. Il recurso de alzada; IV.1.c. Il recurso de reposición; IV.1.d. Il recurso extraordinario de revisión; IV.2. La revisione d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e regolamenti nulli; IV.3. La dichiarazione di lesività dei provvedimenti amministrativi annullabili; IV.4. La revoca dei provvedimenti sfavorevoli o ablatori. V. Considerazioni finali.
La
Legge 4/1999, del 13 gennaio, di modifica della LAP, ha introdotto un insieme di
misure destinate a rinnovare la regolazione di alcuni tra gli istituti centrali
o fondamentali del Diritto Amministrativo spagnolo e, in realtà, di qualsiasi
sistema di Diritto Amministrativo in cui le Pubbliche Amministrazioni, nel loro
agire, siano soggette alla necessità di seguire un iter
procedimentale concreto. Nel corso delle pagine che seguono, tenteremo di
illustrare al lettore italiano le maggiori novità della Legge 4/1999; e lo
faremo mediante una lettura comparata delle stesse in cui prenderemo a termine
di paragone —nella misura del possibile— la situazione attuale
nell’ordinamento giuridico italiano, coscienti sì, delle divergenze esistenti
tra i due ordinamenti, ma allo stesso tempo spinti dall’arricchimento che
sempre si trae dalla conoscenza di realtà diverse.
Prima di intraprendere questo compito di esegesi e commento, e allo scopo di collocare adeguatamente le coordinate della Legge 4/1999, conviene soffermarsi, sia pur brevemente e a grandi linee, sull’evoluzione storica della regolazione del procedimento amministrativo in Spagna [1]; un’evoluzione che rappresenta una pietra miliare per dissipare molti dei dubbi e degli interrogativi che possono sorgere intorno all’ordo productionis degli atti amministrativi. Non bisogna infatti dimenticare che la regolazione del procedimento amministrativo in Spagna gode di una tradizione secolare che trova una delle sue radici più profonde nella Legge di Basi del Procedimento Amministrativo del 1889 (LBPA). La LBPA costituisce il primo testo legislativo europeo che affronta in modo deciso la fissazione di una normativa capace di ricondurre a regole positive il fenomeno della procedimentalizzazione del modo di agire delle Pubbliche Amministrazioni. In questa legge il legislatore spagnolo stabilì un insieme di norme elementari comuni a tutti i procedimenti amministrativi —tra le quali risalta, ad esempio, l’obbligo di concedere udienza agli interessati una volta completata l’istruttoria del procedimento affinché essi potessero apportare al procedimento le allegazioni e osservazioni che stimassero pertinenti [2]— che dovevano essere oggetto di sviluppo nei Regolamenti di procedimento amministrativo emessi da ogni Ministero
I vari Ministeri compirono questa missione approvando i loro rispettivi Regolamenti di procedimento amministrativo, che, con il passare del tempo, furono visibilmente perfezionati. Fino al punto che gli ultimi Regolamenti ministeriali di procedimento amministrativo —e, in particolare, il Regolamento del Ministero di Giustizia del 9 luglio 1917 e il Regolamento del Ministero della Gobernación del 31 gennaio 1947— presentavano uno stadio di crescita avanzato, di modo che non solo venivano sviluppate le basi contenute nella LBPA, ma venivano regolate molte altre istituzioni e figure giuridiche di cui il legislatore del 1889 non aveva tenuto conto —è il caso, ad esempio, del silenzio amministrativo—. Questa circostanza, unita alle disfunzioni causate dal fatto che ogni Ministero dettasse le proprie regole di procedimento —con il conseguente rischio di disparità di trattamento di questioni essenziali come la determinazione dei termini previsti per proporre un ricorso amministrativo— misero in evidenza la necessità di adottare una nuova legge in cui si stabilisse un quadro comune regolatore del procedimento amministrativo dotato di maggiore estensione e profondità di quello offerto dalla LBPA [3].
Nell’interesse
di tale obbiettivo, nel 1958 fu approvata la Legge
di Procedimento
Amministrativo
(LPA); una legge che, innanzitutto, cercava di coniugare l’aspetto garantista
del procedimento amministrativo con i principi di efficienza e celerità. Di qui
che in essa, oltre alla istituzione di misure destinate a garantire il principio
di contraddizione e difesa degli interessati, sia dato particolare risalto alla
semplificazione, riordino e flessibilizzazione dell’attività amministrativa [4]. Non solo: contrariamente
a quanto il suo nomen iuris indurrebbe
a pensare, la LPA andava oltre la regolazione degli aspetti basilari del
procedimento amministrativo, per affrontare anche questioni legate al regime
degli organi amministrativi, la disciplina dell’invalidità degli atti
amministrativi, la regolazione delle facoltà di autotutela decisionale della
p.a. e il trattamento dei ricorsi amministrativi tra le molte altre materie. Si
trattava, quindi, di una legge regolatrice dell’attività amministrativa.
L’alto
grado di qualità tecnica della LPA, unito alla chiarezza e alla precisione
della sua ordinazione sistematica, riportarono gli elogi della dottrina
spagnola, mentre molti degli studi stranieri sul procedimento amministrativo
notarono come le disposizioni in essa contenute fossero particolarmente riuscite
[5].
Nonostante tutto, gli importanti cambiamenti nello scenario delle Pubbliche
Amministrazioni avrebbero necessariamente fatto sentire il loro peso sugli
articoli contenuti nella LPA. Infatti, le profonde modificazioni nell’ambito
dell’azione degli enti pubblici, e in particolar modo il nuovo panorama che
sorge a partire dalla Costituzione
Spagnola del 1978 (CE) obbligavano a revisionare alcune delle chiavi di
volta che definivano il procedimento amministrativo, e di conseguenza molti
degli estremi della LPA. Basti segnalare, a titolo illustrativo, la necessità
di adattare la definizione degli interessati nel procedimento amministrativo
come conseguenza della rilevanza che acquisisce la partecipazione dei cittadini
all’attività dei poteri pubblici e la protezione dei cosiddetti «interessi
diffusi»; oppure l’esigenza di plasmare un diritto di accesso ai documenti
amministrativi a conseguenza dell’incidenza del principio di trasparenza.
Tuttavia, lasciando da parte questi aspetti, la riforma della LPA risultava
improrogabile vista l’apparizione di nuove Pubbliche Amministrazioni dotate di
autonomia politica. Ci riferiamo, ovviamente, alle Comunità Autonome (Comunidades
Autónomas)[6].
Vista la situazione, la LPA del 1958 sarà sostituita dalla Legge di Regime Giuridico delle Pubbliche Amministrazioni e del
Procedimento Amministrativo Comune del 1992 (LAP). La LAP farà fronte al
necessario adeguamento costituzionale della regolazione dell’attività
amministrativa, e comprenderà anche alcuni istituti che stavano sbocciando nel
contesto europeo —pensiamo, ad exemplum,
al contratto di diritto pubblico e alla sua risonanza sulla conclusione
convenzionale o negoziata dei procedimenti (vid.
art. 88 LAP), o alla previsione di sistemi di arbitraggio per la decisione dei
conflitti (vid. art. 107.2 LAP)—.
Ebbene, benché la LAP contenga buona parte delle disposizioni già presenti
nella LPA —di cui spesso si limita a riprodurre i precetti—, la dottrina
scientifica rivelò da subito l’esistenza di numerose anomalie e incongruenze
che rispondevano a presupposti chiaramente sfortunati —non tanto nella loro
concezione originale, quanto nella loro concretizzazione e sviluppo—. I primi
commenti a questa legge non tardarono ad avvertire che, dietro le buone
intenzioni enunciate nel Preambolo, si nascondevano gravi lacune nella
trattazione di aspetti fondamentali; in particolare, nella regolazione del silenzio amministrativo, dove il regime del silenzio assenso e
silenzio rifiuto venivano unificati nella figura dello «atto presunto»; nel
sistema dei ricorsi amministrativi,
basato sulla soppressione del recurso
potestativo de reposición
(ricorso facoltativo in opposizione) e sul mantenimento del recurso
administrativo de alzada (ricorso gerarchico) —allora denominato recurso
ordinario— come presupposto precettivo alla via giurisdizionale; e
infine, nel trattamento della responsabilità
delle autorità e dei pubblici agenti per i danni causati in occasione del
funzionamento dei servizi pubblici, in cui la acción de regreso (azione di rimborso o ripetizione) veniva
configurata come uno strumento che poteva venire attivato facoltativamente
dall’Amministrazione. In questi ambiti così significativi —e in molti altri
che qui non possiamo citare— sorgevano interrogativi che non ottenevano una
risposta pacifica dalla regolazione prevista nella LAP.
Stando
così le cose, è facile comprendere il clima di inquietudine e turbamento con
cui la LAP venne ricevuta dalla maggior parte della dottrina scientifica [7].
Le critiche che si levarono, tuttavia, lungi dal limitarsi a prendere atto
dell’assenza di un dibattito e di
una riflessione meditati sulla regolazione di molti aspetti —e ad emettere,
per queste ragioni, un giudizio negativo—, segnalavano inoltre quali avrebbero
dovuto essere le linee d’azione per un pronto intervento normativo [8];
linee d’azione che hanno trovato eco proprio nella Legge 4/99, in gran misura
erede, come abbiamo detto, degli apporti e dei contributi che si erano
sviluppati nell’ambito del dibattito scientifico.
L’obbiettivo
fondamentale della Legge 4/99 risiede, quindi, nella correzione delle
disfunzioni avvertite nella LAP 1992, fondamentalmente nelle materie che abbiamo
appena ricordato (silenzio amministrativo, regime dei ricorsi amministrativi e
responsabilità patrimoniale). Ebbene, per raggiungere in modo certo il
significato delle modificazioni introdotte dal legislatore, è necessario
fermarsi sulla loro ubicazione all’interno di un contesto più ampio di
riforma delle Pubbliche Amministrazioni, con il quale dovrà coordinarsi in
svariate occasioni; un contesto in cui possono inquadrarsi, come elementi
salienti e significativi, la Legge dei
Contratti delle Pubbliche Amministrazioni del 18 maggio 1995 (LCAP)
—recentemente modificata dalla Legge 53/1999, del 28 dicembre—; la Legge
di Organizzazione e Funzionamento dell’Amministrazione Generale dello Stato del
14 aprile 1997 (LOFAGE); la Legge di
Organizzazione, Competenza e Funzionamento del Governo del 27 novembre 1997
(LG); la Legge sulla Giurisdizione
Contenzioso-Amministrativa del 13 luglio 1998 (LJ) e, infine, la riforma
della Legge di Basi del Regime Locale
(LBRL) operata dalla Legge 11/1999, del 21 aprile. È facile, pertanto
avvertire, come la riforma del procedimento amministrativo non costituisca un
pezzo isolato, ma piuttosto si integri in un complesso ingranaggio normativo che
intende rinnovare e attualizzare il regime di organizzazione e azione degli enti
pubblici sulla base di direttrici comuni di cui, naturalmente, partecipa anche
la Legge 4/99.
Un primo avvicinamento a questo complesso ordito di leggi rivela, come
abbiamo detto, la presenza di un insieme di direttrici od orientazioni che
ruotano intorno a tre assi fondamentali. In primo luogo, i vari testi appena
passati in rassegna hanno un denominatore comune nell’insistente aspirazione
ad ottenere una maggiore efficienza e
celerità nell’attività delle Pubbliche Amministrazioni —così come nel
controllo giurisdizionale della suddetta attività—. Il principio di
efficienza acquista così un ruolo da protagonista che si rende percettibile in
numerosi ambiti e aspetti: la gestione per obbiettivi, il miglioramento della
qualità dei servizi pubblici —recentemente potenziata con la regolazione
delle Carte dei Servizi Pubblici[9]—,
e il conseguimento di una Amministrazione
unica, sono alcuni esempi in cui è possibile apprezzare questa volontà di
rendere più agile e flessibile l’apparato amministrativo. Allo stesso modo
l’efficienza e la celerità sono mete cui mirano anche le modifiche introdotte
dalla Legge 4/99: i cambiamenti operati nell’obbligo di concludere i
procedimenti, l’impulso al progetto sportello
unico e l’introduzione di mezzi informatici nella gestione amministrativa,
sono misure che devono contribuire a una maggiore velocità nello svolgimento
dei procedimenti.
In secondo luogo, il quadro di riforma delle Pubbliche Amministrazioni,
trova un’altra delle proprie direttrici più interessanti nella volontà di
potenziare decisamente il principio di trasparenza
nell’attività amministrativa; una volontà che si intravede anche nella
Legge 4/99 in cui, tra altri aspetti che faremo notare a tempo debito, viene
stabilito l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di pubblicare un elenco
attualizzato dei diversi procedimenti di loro competenza, indicando il termine
massimo di durata e gli effetti provocati dalla mancata decisione entro i
termini[10].
E, cosa ancora più importante, l’influsso del principio di trasparenza viene
rafforzato dalla sua consacrazione a principio generale che deve guidare i
rapporti tra i cittadini e le Pubbliche Amministrazioni[11].
I principi di trasparenza ed efficienza sono dunque tratti comuni della
riforma amministrativa in cui si integra la Legge 4/99. Insieme ad essi, vi è
una terza componente che non deve passare inosservata. Infatti, all’interno
delle coordinate di base di questa riforma si può notare una crescente
attenzione verso l’incidenza del Diritto
Comunitario, che sta diventando specialmente rilevante in ambiti come la
contrattazione amministrativa, ma che fa anche sentire il suo peso nel quadro
dei procedimenti amministrativi[12]. In questo senso la
riforma 4/99 contiene, come avremo occasione di verificare, riferimenti
espliciti al Diritto Comunitario e all’intervento delle Istituzioni
dell’Unione Europea in procedimenti eseguiti da una Amministrazione nazionale.
Nello stesso ordine di cose, la Legge 4/99 ha positivizzato i principi di buona
fede e fiducia legittima che non sono affatto estranei alla giurisprudenza della
Corte di Giustizia delle Comunità Europee (TJCE)[13].
Queste
direttrici comuni fissano delle coordinate generiche che interagiscono grazie a
un principio o criterio base che attraversa orizzontalmente tutto il regime
giuridico delle Pubbliche Amministrazioni e che viene dato dalla considerazione
che il cittadino deve essere, a rigor di termini, l’epicentro della riforma
amministrativa[14].
In proposito sono illustrative le parole contenute nel Preambolo della LOFAGE,
quando indicano che l’Amministrazione
Generale dello Stato, attraverso le sue differenti modalità d’azione deve
tener presente che il servizio ai cittadini è il principio basilare che ne
giustifica l’esistenza e che deve presiedere ad ogni sua attività; e,
seguendo un identico criterio, lo stesso Preambolo della Legge 4/99 indica in
modo definitivo che i modelli
amministrativi devono sempre essere costruiti in funzione dei cittadini e non al
contrario[15].
Il cittadino si colloca, quindi, come destinatario ultimo dell’attività
amministrativa, e di conseguenza, come punto di riferimento immediato del
processo di adattamento e miglioramento delle Pubbliche Amministrazioni.
Dopo questi accenni al clima di riforma imperante quando apparve la Legge
4/99, siamo in grado di analizzare il contenuto delle modificazioni che
incorpora tale testo legislativo. Nei limiti del presente lavoro non possiamo
affrontare una per una le modifiche operate da questo testo —compito per il
quale non possiamo che rimandare ai diversi commenti e studi sistematici che
vengono pubblicati[16]—.
Concentreremo invece la nostra attenzione su due ambiti che per la loro
trascendenza e la possibile equiparazione al Diritto italiano, possono risultare
di speciale interesse per il lettore: la regolazione dell’obbligo
di provvedere entro i termini prefissati e gli effetti che derivano dalla sua
inadempienza (sezione III) e il regime
dei procedimenti di secondo grado (sezione IV). Sia nell’uno che
nell’altro caso, la riforma ha avuto un contenuto sostanziale che ha alterato
sensibilmente le disposizioni originali della LAP; a questo carattere innovativo
bisogna inoltre sommare la possibilità di realizzare un esercizio di
comparazione con la situazione che presenta l’ordinamento italiano, ed offrire
così alcuni riferimenti che possono risultare interessanti. In ogni caso è
necessario insistere sul fatto che la Legge 4/99, lungi dall’esaurirsi in
questi aspetti, introduce altre modificazioni, alcune di carattere marginale,
—per migliorare o introdurre questioni di ordine tangenziale o, semplicemente,
migliorie tecniche nella redazione dei precetti— e altre, invece, incentrate
su istituzioni o figure di maggior forza e significato.
L’esame
minuzioso e dettagliato di tutta questa serie di modificazioni —si tenga conto
che la Legge 4/99 ha riformato, con diversa portata, un totale di quaranta
articoli, due disposizioni aggiuntive e la disposizione finale della LAP— come
abbiamo già detto, non può essere
intrapreso nell’ambito di questo lavoro. Ad ogni modo crediamo conveniente
mettere in evidenza una serie di punti che o per la loro entità, o per la
connessione che presentano con gli argomenti che affronteremo in questo lavoro,
meritano di essere segnalati:
a) In primo luogo vogliamo attirare l’attenzione sulla modificazione
del regime di delega delle competenze
(art. 13 LAP) in cui vengono stabilite due misure fondamentali, e cioè: la
possibilità di delegare l’esercizio di una competenza a enti di diritto
pubblico vincolate o dipendenti da un’Amministrazione matrice —per favorire
la decentralizzazione funzionale—, e la soppressione della limitazione
precedentemente stabilita riguardo alla delegazione della potestà sanzionatrice.
b) È anche stato oggetto di riforma il sistema di computo dei termini amministrativi (artt. 47 e ss. LAP). Riguardo a
questa materia, la Legge 4/99 ha modificato radicalmente il panorama delineato
dall’entrata in vigore della LAP. Da un lato è ritornata al regime
tradizionale, secondo il quale si inizia a contare qualsiasi termine a partire
dal giorno seguente alla notifica dell’atto (regola dies a quo non computatur in termino)[17].
Dall’altro, ha eliminato il riferimento al fatto che il computo debba essere
realizzato «da data a data» e ha mantenuto una frase trascendentale, secondo
la quale se nel mese di scadenza non vi
fosse giorno equivalente a quello in cui comincia il computo, si intenderà che
il termine scade l’ultimo giorno del mese (art. 48.2 in fine LAP). Come si può notare, la ratio di questa precisazione radica nel fatto ovvio che non tutti i
mesi hanno lo stesso numero di giorni, l’aspetto più rilevante, però, è che
il legislatore sembra disfarsi definitivamente del calcolo da data a data, nella
misura in cui dà a intendere che i termini a mese si concludono, nel mese di
scadenza, lo stesso giorno in cui erano cominciati e non il giorno precedente[18].
c) Seguendo questo breve percorso, dobbiamo mettere in risalto le novità
nel regime delle notificazioni (artt.
58 e ss. LAP). Per quanto concerne questo ambito, la più notevole tra le novità
introdotte dalla Legge 4/99 consiste nel fatto che, quando la notificazione di
un atto deve avvenire presso il domicilio dell’interessato e questo non vi si
trovasse, qualsiasi persona presente in quel domicilio potrà farsene carico. Se
non vi fosse nessuno che possa ricevere la notifica, tale circostanza sarà
annotata e si ritenterà la notifica, una sola volta ed in altro orario, nei tre
giorni seguenti (art. 59.2 § 2º LAP). Se neanche in questa occasione
risultasse possibile procedere alla notifica personale, essa avrà luogo tramite
pubblicazione alternativa nell’albo del comune, nonché sulle gazzette
ufficiali corrispondenti, come disposto dall’art. 59.4 e 5 LAP nella sua nuova
redazione. Si trattava, del resto, di una disposizione necessaria per evitare le
corruzioni finora comuni nella pratica delle notificazioni.
d) Risulta parimenti interessante l’innovativo regime delle misure cautelari nel procedimento amministrativo (art. 72 LAP), in
cui la principale novità consiste nell’introduzione delle cosiddette
“misure cautelari provvisorissime”, ossia quelle che possono essere adottate
fin da prima dell’avvio del procedimento. Tali misure cautelari, già
istituzionalizzate dalla LJ del 1998 in rapporto con l’inattività
dell’Amministrazione e le sue azioni materiali costituenti “via di fatto”
(art. 136.2), nell’ambito processuale erano già state riconosciute da parte
della giurisprudenza prima del 1998 [19].
e) Vogliamo infine mettere in risalto le modifiche operate nell’ambito
della responsabilità patrimoniale
delle Pubbliche Amministrazioni —in Spagna, la responsabilità
extracontrattuale delle Pubbliche Amministrazioni gode di un trattamento
personalizzato contenuto agli artt. da 139 a 146 LAP—. Ebbene, in questo
campo, la Legge 4/99 ha nuovamente cercato di porre rimedio ad alcune delle
critiche mosse dalla dottrina scientifica: ha introdotto una nuova regolazione
ai problemi che suscita la responsabilità concorrente di varie Pubbliche
Amministrazioni in uno stesso caso e ha configurato la acción
de regreso (azione di rimborso) come un meccanismo che l’Amministrazione
dovrà necessariamente attivare per ripetere l’indennizzo contro il concreto
servitore pubblico che ha causato il danno [20].
D’altra parte il legislatore ha cercato di precisare —com’è indicato dal
Preambolo della Legge 4/99— i casi di forza maggiore che, in quanto tali,
esimono l’Amministrazione da ogni responsabilità [21].
III.
L’obbligo di concludere i procedimenti amministrativi e gli effetti derivanti
dalla sua inadempienza
III.1.
L’obbligo di emettere provvedimento espresso in tutti i procedimenti
amministrativi —e di notificarlo agli interessati— entro il termine
stabilito (art. 42 LAP)
Il punto di partenza per l’esame del fenomeno del silenzio delle
Pubbliche Amministrazioni deve essere fissato nell’obbligo per
l’Amministrazione di decidere i procedimenti amministrativi mediante un
provvedimento espresso in cui vengano analizzate tutte le questioni in essi
sollevate [22].
Il provvedimento espresso deve essere,
pertanto, il mezzo normale di conclusione dei procedimenti amministrativi.
La Legge 4/99 ha riaffermato quest’obbligo, rendendolo estensibile a tutti i
procedimenti amministrativi, indipendentemente dal modo in cui siano stati
avviati —d’ufficio o a istanza dell’interessato—. Non è tutto: anche
nei casi di prescrizione, caducazione, rinuncia del diritto, abbandono
dell’azione, o sopravvenuta scomparsa dell’oggetto del procedimento, sarà
necessario che l’Amministrazione concluda il procedimento mediante un
provvedimento in cui esporrà la circostanza concreta che ha causato la
conclusione del procedimento[23].
Restano eccettuati solo i casi in cui
la conclusione del procedimento abbia luogo grazie all’adozione di un accordo
tra l’Amministrazione e gli interessati[24],
oppure quando si tratta di procedimenti relativi a diritti il cui esercizio è
soggetto unicamente all’obbligo di comunicazione previa all’Amministrazione.
Quest’obbligo
di provvedere viene qualificato, com’è ben noto, dalla sua dimensione
temporale: l’Amministrazione ha l’obbligo di concludere al procedimento
amministrativo mediante un provvedimento espresso, ma deve anche farlo entro il termine stabilito. La determinazione di questo termine
costituisce una delle costanti preoccupazioni del legislatore spagnolo —basti
ricordare che già nel 1889, la LBPA stabiliva, con carattere generale, il
termine massimo di un anno per decidere tutti i procedimenti—, ed è vero che
da ciò dipende in buona misura il conseguimento dei principi di celerità ed
efficacia nell’attività amministrativa. Lo stesso Preambolo della Legge 4/99
segnala a ragione che un procedimento
amministrativo che non sia spedito e breve è difficile che possa essere
un’istituzione al vero servizio dei cittadini.
In conformità con quanto previsto dalla LAP 1992, e in modo molto simile
a quanto accade nell’ordinamento italiano, il termine per decidere i diversi
procedimenti amministrativi va cercato, in primo luogo, in quanto disposto dalla
normativa che regola il rispettivo procedimento. In mancanza di una disposizione
specifica al riguardo, l’art. 42.3 LAP si limita a fissare un termine
suppletorio di tre mesi —nel caso
italiano il termine suppletorio è, secondo quanto disposto dall’art. 2 della
Legge 241/90, di trenta giorni—.
La
LAP 1992 non stabiliva, quindi, un termine massimo, ma si limitava ad
incorporare una regola suppletoria che avrebbe dovuto reggere quando la
normativa del procedimento amministrativo non avesse stabilito un termine
concreto. Questa impostazione, che rimanda alla normativa ratione
materiae la determinazione del termine per provvedere, è sfociata
nell’apparizione di norme che snaturano completamente la volontà di
accelerare la risoluzione dei procedimenti, incorporando termini che si
allontanano notevolmente dai tre mesi fissati dalla LAP in via generale. Una
pratica che, come il lettore ricorderà, è anche stata denunciata dal Consiglio
di Stato italiano nei pareri emessi in occasione dei Regolamenti attuativi
dell’art. 2 della Legge 241/90[25].
Ebbene, la Legge 4/99 ha corretto questo stato di cose introducendo un termine
massimo di sei mesi, che potrà essere escluso mediante una norma con rango
di legge oppure mediante una disposizione di Diritto Comunitario[26].
All’infuori di queste due ipotesi, la regolazione del procedimento
amministrativo —che in numerose occasioni diventa effettiva per via
regolamentare— dovrà adattarsi a questa durata massima di sei mesi.
A questa importante disposizione si accompagna un’altra novità non
meno rilevante: il termine di durata dei procedimenti amministrativi fa ora
riferimento, non solo al lasso di tempo di cui l’Amministrazione dispone per
adottare un provvedimento espresso, ma anche —e in questo radica la novità—
al termine per notificare il suddetto provvedimento agli interessati[27].
In altre parole, il termine per provvedere si traduce ora in un termine
per provvedere e notificare il provvedimento con cui si cerca di porre fine
a una serie di pratiche ingannevoli consistenti, ad esempio, nell’antedatare
un provvedimento simulando poi che si sia tardato semplicemente nella
notificazione[28].
Da
tutto ciò si deduce la volontà di accelerare il ritmo dei procedimenti,
stabilendo un limite massimo di sei mesi e estendendo il termine di durata del
procedimento fino al momento della notificazione del provvedimento. Queste due
misure aggravano senza dubbio la posizione dell’Amministrazione che si vede
obbligata ad un’azione più spedita. Il legislatore, tuttavia, cosciente
dell’importanza di quest’obbligo di provvedere e notificare entro i termini,
ha voluto precisare in dettaglio gli elementi che devono permettere il calcolo
di tale termine —e al tempo stesso addolcisce o compensa, come ha indicato Parejo
Alfonso, l’onere che comporta l’obbligare a effettuare la
notificazione nel termine previsto per provvedere—[29].
In
primo luogo, la Legge 4/99 concretizza il giorno d’inizio nel calcolo del
termine (dies a quo) distinguendo a
seconda se il procedimento è stato avviato d’ufficio, nel qual caso il giorno
iniziale coinciderà con la data dell’atto d’avvio dell’organo competente;
oppure a richiesta dell’interessato, considerando in questo caso, che il
giorno d’inizio sarà dato non già dalla data di presentazione della
richiesta, ma dalla data in cui tale richiesta abbia fatto il proprio ingresso
nell’ufficio del registro dell’organo procedente[30].
In secondo luogo, il legislatore spagnolo, ha previsto un catalogo di
azioni procedimentali che si ergono come causa
di sospensione del termine. In questo modo, durante lo svolgimento di tali
atti, il termine per provvedere —e notificare— si troverà in sospeso,
riattivandosi una volta che si sono conclusi[31].
In particolare, le cause di sospensione comprendono le azioni concernenti
l’appianamento delle deficienze individuate nell’istanza dell’interessato;
l’intervento precettivo di un organo dell’Unione Europea; l’incorporazione
di pareri obbligatori e determinanti del provvedimento finale; la realizzazione
di prove tecniche e analisi contraddittorie o dirimenti proposte dagli
interessati e, infine, la negoziazione con gli interessati per raggiungere un
accordo o contratto che permetta di concludere il procedimento amministrativo.
Una volta delimitati i confini dell’obbligo di decidere i procedimenti
e al fine di dare maggior certezza e sicurezza nella sua adempienza, il
legislatore spagnolo ha voluto riaffermare la posizione degli interessati nel
procedimento amministrativo, incorporando la necessità che essi siano al
corrente delle varie incidenze che possono toccare detto obbligo di provvedere e
notificare entro il termine stabilito —sviluppando, tutto sommato, il
principio di trasparenza nell’attività amministrativa—. Per ciò, la Legge
4/99 ha introdotto l’obbligo di
comunicare agli interessati l’avvio del procedimento[32].
L’instaurazione di quest’obbligo è simile alla comunicazione dell’avvio
del procedimento prevista all’art. 7 della Legge 241/90, anche se bisogna
segnalare che la funzionalità non coincide. Nel caso italiano, la comunicazione
dell’avvio del procedimento costituisce il meccanismo fondamentale per
garantire l’effettiva partecipazione degli interessati —come ha segnalato la
stessa Corte Costituzionale, la comunicazione dell’avvio deve collocare
l’interessato nella effettiva possibilità
di interloquire[33]—.
Nel caso spagnolo, invece, la comunicazione ora introdotta dalla Legge 4/99
sembra destinata a far conoscere all’interessato il termine di cui
l’Amministrazione disporrà per provvedere e notificare, nonché gli effetti
che deriveranno dall’inadempienza di quest’ultimo. I fini partecipativi e di
difesa vengono raggiunti attraverso altri atti endoprocedimentali, in
particolare mediante l’udienza agli interessati, che ha luogo una volta
terminata l’istruttoria del procedimento e prima che venga redatta la proposta
di provvedimento. È d’uopo reiterare, pertanto, che la notificazione
d’avvio del procedimento in Spagna è vincolata esclusivamente —o quanto
meno fondamentalmente— alla conoscenza del termine del procedimento.
D’altra parte gli interessati, oltre ad avere la certezza del termine
per provvedere e notificare il procedimento amministrativo, saranno informati
delle diverse vicende che possono implicare la sospensione del termine,
nell’intento, precisamente, di controllarne la durata e l’estensione[34].
Gli interessati disporranno, insomma, di ampi dati per verificare che
l’Amministrazione rispetti i tempi procedimentali.
La regolazione dell’obbligo di provvedere si chiude, infine, con la disposizione di una serie di cautele destinate a rendere flessibile il compimento del termine —compensando, come indicavamo più sopra, i maggiori oneri che vengono imposti all’Amministrazione a conseguenza della nuova disciplina—. In questo senso, si prevede la possibile proroga del termine quando circostanze eccezionali impediscono l’effettiva conclusione del procedimento nel tempo stabilito. Ebbene, tale proroga —bisogna evidenziarlo— è di natura assolutamente eccezionale: essa potrà essere utilizzata solo nei casi in cui l’impiego di mezzi personali e materiali aggiuntivi risulti essere una misura insufficiente per il compimento del termine. D’altra parte, la durata della proroga o ampliamento non potrà superare il tempo previsto inizialmente per la conclusione del procedimento.
In questa stessa linea di flessibilizzazione, viene stabilita la possibilità di praticare una notificazione parziale —ovverosia una notificazione in cui non compaiano tutti i requisiti che l’art. 58.2 LAP esige[35]— la cui unica missione è quella di dare per assolto l’obbligo di provvedere e notificare entro il termine. Tale notificazione agisce come una sorta di «anticipo» (anticipazione) di notificazione in cui, come minimo, si comunica all’interessato il testo integrale del provvedimento adottato[36]. Usiamo il termine «anticipo» perchè, a nostro avviso, è chiaro che il ricorso a questa tecnica non libera l’Amministrazione dal verificare la notificazione integrale nella forma prevista dall’ordinamento giuridico, anche se ormai fuori dal termine stabilito.
Con
questo breve excursus delle novità
presentate dal nuovo obbligo di provvedere in Spagna, si può notare
l’esistenza di una decisa volontà di accelerare lo svolgimento dei
procedimenti, garantendo allo stesso tempo, una maggior trasparenza e sicurezza
nel suo computo. Nella posizione adottata dal legislatore spagnolo, si sente,
però, la mancanza della revisione e del miglioramento di un aspetto che risulta
essenziale da tutti i punti di vista. Facciamo riferimento, in concreto, alle
conseguenze giuridiche che derivano dall’inadempienza dell’obbligo di
provvedere entro il termine e che, al dilà del regime del silenzio
amministrativo —che analizzeremo in seguito—, non vengono definite
chiaramente. La regolazione stabilita dalla LAP si limita ad indicare che
l’inadempienza di tale obbligo darà luogo, eventualmente, all’esigenza di
responsabilità disciplinare; una misura insufficiente —per la sua mancanza di
precisione e per l’inoperatività pratica— che dovrebbe essere completata
dalla disposizione di altre misure destinate a potenziare il rispetto dei
termini[37].
In
questo contesto, l’ordinamento italiano offre un elemento di riferimento molto
interessante nella disposizione contenuta nell’art. 17.1.h della Legge Bassanini uno (Legge 15 marzo 1997, n. 59), secondo la quale diventa
necessario che nei casi di mancato
rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione del
provvedimento, di ritardato e incompleto assolvimento degli obblighi e delle
prestazioni da parte della pubblica amministrazione si stabiliscano forme
di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il
provvedimento. In accordo con quanto disposto nella redazione stessa del
precetto, il trattamento del versante temporale del procedimento amministrativo
trova nell’instaurazione di una sorta di sanzione monetaria automatica un
rimedio che spinga a un maggior rispetto dell’obbligo di provvedere, in modo
espresso ed entro il termine stabilito, tutti i procedimenti amministrativi.
Anche se su questa disposizione incombono tuttora alcuni dubbi interpretativi[38],
è innegabile che essa apra un cammino che potrebbe essere approfondito per
delimitare meglio il regime delle irregolarità procedimentali riferite al
fattore temporale.
III.2. Gli
effetti che derivano dal mancato rispetto dell’obbligo di provvedere e
notificare entro il termine. In particolare, il nuovo regime del cosiddetto
silenzio amministrativo (artt. 43 e 44 LAP)
Una volta decorso il termine di cui l’Amministrazione dispone per
provvedere e notificare il provvedimento senza che quest’ultimo sia stato
adottato, l’ordinamento giuridico prevede una serie di meccanismi tendenti, in
ultima istanza, a proteggere gli interessati da questa anomalia o patologia
nell’attività amministrativa. Per esporre con chiarezza qual è lo stato di
questa questione dopo la modifica apportata dalla Legge 4/99, conviene delineare
una distinzione relativa al modo di avvio del procedimento.
a) Procedimenti
avviati mediante richiesta dell’interessato. In questi casi, l’inattività
dell’Amministrazione nella risoluzione del procedimento comporterà
l’entrata in gioco del silenzio
amministrativo. La Legge 4/99 ha introdotto una nuova disciplina del
silenzio amministrativo che si scosta sensibilmente dal sistema inizialmente
delineato dalla LAP nel 1992. Questa nuova disciplina si basa
sull’affermazione della necessaria distinzione che si deve compiere tra il
silenzio amministrativo assenso e il silenzio amministrativo rifiuto. Mentre il primo acquisisce la considerazione di atto
amministrativo, di modo che l’Amministrazione potrà solo annullare gli
effetti del silenzio mediante incoazione del procedimento di revisione
pertinente[39];
il secondo, ovverosia il silenzio amministrativo rifiuto, costituisce una mera
finzione legale (fictio iuris) con
effetti processuali, che permetterà all’interessato di attivare i ricorsi
previsti dall’ordinamento giuridico per la difesa della sua situazione
giuridica, ma che non esime l’Amministrazione dall’obbligo di dettare un
provvedimento espresso che metta fine al procedimento amministrativo —e questo
anche quando l’interessato abbia già proposto un ricorso contro il rifiuto
presunto—[40].
Una
volta stabilita questa distinzione fondamentale tra il «silenzio positivo»
come atto amministrativo e il «silenzio negativo» come finzione giuridica[41],
la Legge 4/99 ha sviluppato il nuovo trattamento di questo fenomeno e a tale
fine ha definito, prima di tutto, da che momento preciso si attiva il meccanismo
del silenzio. Ebbene, il silenzio opererà dal momento stesso in cui scade il
termine per provvedere e notificare il procedimento. Non è quindi necessaria
nessuna azione aggiuntiva —nessuna diffida (requerimiento) o avvertimento all’Amministrazione— perché, come
abbiamo detto, una volta estintosi il termine, si intende nato il silenzio
amministrativo, e da quello stesso momento, esso proietterà la sua piena
efficacia.
Questa impostazione rompe frontalmente con la regolazione finora prevista dalla LAP, che era basata sulla considerazione unitaria del silenzio amministrativo come atto amministrativo —la terminologia legale alludeva allora all’atto presunto— e sulla necessità di richiedere una certificazione —di tale atto presunto— affinché il silenzio producesse effetti nei confronti dell’Amministrazione e di terzi; e, al tempo stesso, si approssima al trattamento che effettuava la LPA del 1958, i cui commenti e lavori acquistano, in questo modo, una rinnovata attualità.
Lasciando
da parte queste considerazioni e ritornando alle disposizioni contenute nella
Legge 4/99, bisogna segnalare che il legislatore ha deciso di mantenere il silenzio
amministrativo assenso come regola generale applicabile ai procedimenti
avviati mediante istanza dell’interessato. La nuova regolazione, tuttavia, non
si limita a mantenere questa regola, ma tenta di rafforzare la sua applicazione
rispetto ai risultati dell’attuazione regolamentare della LAP, che avevano
dimostrato come la pretesa generalità del silenzio assenso rimanesse un mero
enunciato programmatico. Infatti la regolazione settoriale che doveva
concretizzare in ogni caso il regime del silenzio amministrativo optava
frequentemente per stabilire il carattere di rifiuto del silenzio, in contrasto
con la volontà del legislatore che mirava al segno opposto[42].
La riforma 4/99 ha rafforzato l’applicazione del silenzio «positivo»,
stabilendo che si potrà fare eccezione a questa regola generale solo mediante
una norma di rango legale oppure una disposizione di Diritto Comunitario —una
formula che, come si ricorderà, è stata anche utilizzata per salvaguardare la
virtualità del termine di sei mesi come termine massimo di durata dei
procedimenti—[43].
In
questo modo, il silenzio rifiuto dovrà essere stabilito per Legge e non,
com’era abituale, per via regolamentare. Orbene, la stessa LAP comprende
alcuni casi in cui la regola generale del silenzio assenso viene invertita. In
concreto, il silenzio dell’Amministrazione dovrà essere inteso come rifiuto
nei procedimenti relativi all’esercizio del diritto di petizione di cui
all’art. 29 della CE; nei procedimenti
il cui accoglimento possa comportare il trasferimento al richiedente o a terzi
di facoltà relative al dominio pubblico o al servizio pubblico; e infine,
nei procedimenti di impugnazione di atti e
disposizioni[44].
Ferma
restando la rilevanza di queste eccezioni —che di per se stesse riducono
ostensibilmente la portata applicativa del silenzio assenso—, è vero che la
preoccupazione del legislatore spagnolo per rendere il silenzio favorevole
un’autentica regola di applicazione generale nei procedimenti amministrativi
avviati a richiesta dell’interessato, deve essere messa in discussione da un
doppio ordine di considerazioni. Da un lato, lo stabilimento, in via generale,
di una clausola secondo la quale il silenzio assenso vige, a meno che una norma
legale —o disposizione di Diritto Comunitario— disponga il contrario, non è
una garanzia sufficiente per evitare che il legislatore settoriale opti infine
per enunciare il rifiuto presunto nei procedimenti che regola[45].
Inoltre —ed è qui che si trova lo scoglio principale—, l’applicazione del
silenzio assenso non determina una legittimazione incondizionata per
l’ottenimento dell’utilità pretesa dall’interessato. Bisogna notare, in
questo senso, che l’art. 62 della LAP stabilisce che saranno nulli di pieno
diritto gli atti presunti contrari
all’ordinamento giuridico attraverso i quali si acquisiscono facoltà o
diritti quando non si hanno i requisiti essenziali per il loro conseguimento.
Di qui che l’accoglimento presunto delle richieste costituisca
un’alternativa, quanto meno discutibile, al trattamento dell’inattività
nella risoluzione dei procedimenti caratterizzati dalla complessità
dell’istruttoria —sia essa dovuta alla necessità di raccogliere numerosi
elementi di giudizio o per la presenza di diversi interessi la cui coniugazione
divenga estremamente difficile—. Lungi dall’addentrarci in queste
riflessioni —che necessitano di uno studio ex
professo—, cerchiamo semplicemente di mettere sul tavolo la presenza di
numerosi fattori che fanno dubitare del significato del silenzio asenso come
meccanismo al servizio degli interessati, cosí come della sua concreta
virtualità pratica[46].
Per concludere questa sezione, non ci resta che menzionare i possibili
mezzi di cui l’interessato si potrà servire per provare l’esistenza del
silenzio. Su questo punto la nuova regolazione si limita a segnalare che l’accreditazione
del silenzio potrà essere effettuata mediante
qualsiasi mezzo di prova ammesso in Diritto[47].
b) Procedimenti
avviati d’ufficio. Nei procedimenti avviati mediante accordo dell’organo
competente, anche il regime d’inattività nel provvedere —e notificare— ha
subito variazioni di rilievo. Innanzitutto, bisogna evidenziare come il
legislatore spagnolo si allontani dalla concezione del silenzio amministrativo
come meccanismo indissolubilmente unito ai procedimenti iniziati su richiesta
dell’interessato. Questa corrispondenza, che si basa sull’idea che il
silenzio in realtà si integra mediante l’accoglimento o il diniego della
pretesa avanzata dall’interessato nella sua richiesta, si vede sfumata, come
vedremo, dalla nuova regolazione introdotta dalla Legge 4/99; una nuova
regolazione che in questo ambito distingue un duplice ordine di casi:
—Da
un lato, i procedimenti avviati d’ufficio destinati a imporre un onere o
gravame all’interessato o, in generale, a restringere
la sua sfera giuridica —v.gr. il procedimento sanzionatore—, in cui la
mancanza di un provvedimento espresso in tempo provocherà l’obbligo a
dichiarare la caducidad (caducazione)
del procedimento e, di conseguenza, l’ordine di archiviare la pratica[48].
La scadenza del termine attiverà in modo automatico la caducazione del
procedimento, obbligando l’Amministrazione a dettare un provvedimento che così
indica e che ordina, come diciamo, l’archiviazione della pratica.
—Dall’altro, quei procedimenti —anch’essi avviati d’ufficio—
suscettibili di concludersi mediante l’emissione di una pronuncia
favorevole alla situazione giuridica dell’interessato —in concreto,
indica il contenuto legale, quei
procedimenti dai quali potrebbe derivare il riconoscimento o, eventualmente, la
costituzione di diritti o altre situazioni giuridiche individualizzate—,
nei quali il decorso del termine produrrà non già la caducazione, ma il silenzio amministrativo rifiuto[49].
In questo modo resteranno aperte le porte a una possibile impugnazione di questo
presunto rifiuto, mentre l’Amministrazione —in conformità con il regime che
già conosciamo— continuerà ad avere l’obbligo di dettare un provvedimento
espresso e notificarlo all’interessato.
Si
noti, dunque, che il regime stabilito dalla Legge 4/99 nei procedimenti avviati ex officio, parte dalla distinzione tra gli effetti favorevoli o
sfavorevoli che possono derivare per l’interessato dalla conclusione del
procedimento. È precisamente questo punto a meritare qualche considerazione
critica, giacché questa linea divisoria che separa il carattere favorevole o
meno del provvedimento è sempre una linea d’apprezzamento soggettivo, e
pertanto vincolata alla posizione concreta che l’interessato sostiene nel
procedimento amministrativo. Non bisogna dimenticare che, spesso, in uno stesso
procedimento possono intervenire vari interessati che possono avere posizioni
diverse e anche antagonistiche. È chiaro che, in quest’ultimo caso, il
carattere restrittivo o ampliativo del provvedimento sarà in funzione della
richiesta che faccia da punto di riferimento.
Stando
così le cose, è possibile che in uno stesso procedimento la scadenza del
termine si traduca nella caducazione del procedimento per un determinato
interessato, e per un altro, invece, nel rifiuto presunto del suo interesse
pretensivo. Una tale situazione, com’è facilmente comprensibile, suscita
numerose disfunzioni in quanto —non si dimentichi— il regime della
caducazione e il silenzio rifiuto differiscono in numerosi aspetti. Lo stesso
Consiglio di Stato spagnolo proclamò, nel suo parere sul predisegno di riforma
della LAP, le anomalie che questa impostazione avrebbe provocato nei rapporti
triangolari. Per questo l’alto corpo consultivo proponeva che, invece di
stabilire questa distinzione di regime giuridico in funzione del carattere
favorevole o sfavorevole del possibile provvedimento, il regime della mancata
conclusione —e notificazione— entro il termine nei procedimenti iniziati
d’ufficio venisse unificato mediante l’utilizzo della caducazione[50].
Il legislatore, però, purtroppo a nostro parere, non seguì
quest’indicazione.
IV.
I procedimenti di secondo grado: i ricorsi amministrativi, la revisione
d’ufficio e la revoca
La materia relativa ai ricorsi amministrativi e, in generale, ai
procedimenti detti di secondo grado, intesi come quelli che hanno per oggetto la
riconsiderazione o revisione dei propri atti da parte dell’Amministrazione,
sia a richiesta dell’interessato o d’ufficio, globalmente sono stati oggetto
di una notevole modificazione da parte della Legge 4/99[51].
All’interno di questa vasta categoria di procedimenti si possono
comprendere, nell’ordinamento giuridico spagnolo, i ricorsi amministrativi e i
procedimenti di revisione e revoca degli atti amministrativi. Mentre la ratio
e il fine dei primi sono fondamentalmente equivalenti nel Diritto italiano e
spagnolo —eccetto le normali differenze tipologiche, che studieremo in
seguito—, la questione dei procedimenti eseguiti sotto la protezione della
cosiddetta autotutela decisoria in
senso stretto della Pubblica Amministrazione, presenta notevoli divergenze tra i
due ordinamenti. La prima e più importante delle differenze si trova nel fatto
che l’ordinamento italiano manca di una disciplina generale intorno ai
procedimenti di revisione e di riesame,
in quanto questi istituti sono di costruzione eminentemente dottrinale e
giurisprudenziale, mentre l’ordinamento spagnolo ne prevede tradizionalmente
una regolazione legale organica[52]. Le restanti differenze
in questa materia saranno messe in evidenza nel corso dell’esposizione che
segue.
IV.1. I ricorsi amministrativi
Il sistema dei ricorsi amministrativi in Spagna ha subito una
modificazione trascendentale ad opera della Legge 4/99, come vedremo
immediatamente. In seguito esporremo la disciplina di base dei ricorsi
amministrativi ordinari —reposición e alzada— e
del ricorso straordinario di revisione —recurso
extraordinario de revisión—, così come il regime giuridico di base
applicabile a tutti essi, secondo la situazione rimasta dopo la riforma del
1999.
La Legge 4/99 regula tre ricorsi amministrativi fondamentali di comune
applicazione a tutte le Pubbliche Amministrazioni: ricorsi de reposición, alzada e revisión.
In questa sezione non esporremo, per evidenti ragioni legate alla teleologia del
presente lavoro, gli strumenti di impugnazione applicabili a determinati
settori, come quello tributario, che restano espressamente esclusi dalla
normativa sui ricorsi stabilita dalla LAP[53].
Non esporremo neanche in questa sede il regime giuridico di altri rimedi simili
ai ricorsi, ma non interamente asssimilabili ad essi, e che trovano la loro
espressione concreta nelle cosiddette reclamaciones
previas[54].
Prima dell’avvento della LAP 1992, l’ordinamento amministrativo
spagnolo disponeva di due tipi di ricorsi amministrativi e un cosiddetto
“ricorso straordinario di revisione”, che a rigore non era un ricorso, ma un
mezzo di rescissione di provvedimenti amministrativi inoppugnabili, ossia,
contro i quali non era possibile la proposizione di nessuno dei due ricorsi
precedenti, e inoltre, doveva essere basato su motivi tassativi, come vedremo
quando lo analizzeremo, al contrario degli altri due, che erano ordinari
precisamente perché potevano essere basati su qualsiasi infrazione
dell’ordinamento giuridico.
I ricorsi ordinari erano due, reposición
(in opposizione) y alzada
(gerarchico). Il loro meccanismo in principio era semplice ed identico a quello
italiano. Il primo era un ricorso che doveva essere proposto presso l’organo
amministrativo che aveva emesso il provvedimento impugnato, assolvendo
materialmente una funzione di conciliazione previa alla via giudiziaria. La sua
regolazione era contenuta maggioritariamente nella Legge sulla Giurisdizione
Contenzioso-Amministrativa (LJ) del 1956 e si configurava in generale come un
ricorso obbligatorio, e pertanto requisito previo per l’ulteriore impugnazione
giudiziaria, contro provvedimenti che ponessero fine alla via amministrativa.
Tuttavia esso si configurò in certi casi come facoltativo[55].
Anche il recurso de alzada era un
ricorso obbligatorio contro atti che non ponessero fine alla via amministrativa
(art. 122.1 LPA 1958), ossia, contro atti dettati da organi che avessero un
superiore gerarchico, a meno che una norma stabilisse che contro di essi non
sarebbe stato possibile alcun ricorso amministrativo.
La situazione era pertanto molto simile a quella in cui si trovavano il
ricorso gerarchico e il ricorso in
opposizione nell’ordinamento italiano prima dell’abolizione della loro
obbligatorietà da parte dell’art. 20 della Legge TAR del 1971[56].
La LAP 1992 introdusse una modificazione sostanziale in materia
unificando i ricorsi amministrativi ordinari in uno solo, appunto chiamato recurso
ordinario, al fine di esaurire la via amministrativa in un solo ricorso[57].
Tale ricorso ordinario non era altro che quello precedentemente denominato recurso
de alzada, che veniva ora risolto dall’organo gerarchico superiore a
quello che aveva dettato il provvedimento oggetto del ricorso e continuava ad
essere configurato come obbligatorio. La nuova Legge comportava perciò
l’eliminazione del recurso de reposición,
anche a carattere facoltativo. Di conseguenza, gli atti che in precedenza erano
sottoposti all’opposizione, dovevano se mai, essere impugnati direttamente in
via giurisdizionale. In alternativa al ricorso in opposizione e al suo scopo
conciliatore, il legislatore del 1992 introdusse l’obbligo per gli interessati
di comunicare all’amministrazione l’interposizione del ricorso
giurisdizionale[58].
L’eliminazione del ricorso in opposizione a carattere facoltativo senza
dubbio è stato uno degli aspetti della LAP che ha suscitato più critiche[59].
Infatti, oltre alla perdita di garanzie per l’amministrato —che in questi
casi era forzato ad optare per l’accettazione della decisione amministrativa o
a intraprendere un ricorso giudiziario sproporzionatamente gravoso nella maggior
parte delle occasioni—, la soppressione del ricorso amministrativo ebbe
effetti sensibili sugli enti locali, posto che i provvedimenti dei loro organi
ponevano sempre fine alla via amministrativa, spodestandoli così dell’unico
mezzo che avevano a disposizione per tornare sulle proprie decisioni. Il
legislatore del 1992 dimenticò due importanti circostanze: da un lato che la
soppressione del ricorso amministrativo come meccanismo di difesa a carattere
facoltativo avrebbe incrementato considerabilmente il flusso di ricorsi presso
una giurisdizione contenzioso-amministrativa sull’orlo del collasso;
dall’altro che, per circostanze di diversa indole, l’Amministrazione locale
era quella che presentava meno remore quando bisognava rettificare i suoi atti
amministrativi[60].
Il legislatore spagnolo ha cercato con la riforma del 1999 di correggere
questa situazione in conformità con i modelli che la dottrina scientifica aveva
suggerito. Tuttavia, la correzione non fu così
profonda come sarebbe stato auspicabile. Infatti, benché sia stato recuperato
il ricorso de reposición
—configurato, però, come ricorso ordinario facoltativo—[61], non si è soppresso tuttavia il carattere obbligatorio del ricorso
ordinario che, oltre a recuperare il nomen
iuris che già prevedeva la LPA per diventare nuovamente ricorso de
alzada, continua ad essere caratterizzato come requisito previo
all’accesso giurisdizionale; un aspetto che contrasta con la situazione
vigente nell’ordinamento italiano che, in questo campo, è diventato un punto
di riferimento per la dottrina spagnola[62].
IV.1.a. Principi generali dei ricorsi amministrativi
Insieme alla trascendentale eliminazione del ricorso de reposición, la LAP 1992 introduceva la possibilità che il
ricorso ordinario potesse venire
sostituito in determinati settori, quando la specificità della materia lo
giustificasse e in virtù di una norma legale, da altri procedimenti
d’impugnazione o reclamo, compresi quelli di conciliazione, mediazione e
arbitraggio —art. 107.3 LAP—[63].
La Legge 4/99 ha mantenuto questa disposizione, senza dubbio al fine di dare un
impulso definitivo alla via convenzionale per la conclusione di procedimenti
amministrativi, come mezzo più efficace per la riduzione della litigiosità
contenzioso-amministrativa. Benché la norma dell’art. 107.3 non sia
praticamente applicata[64],
la legge di riforma ha stabilito un termine di diciotto mesi perché il Governo
consegni al legislatore uno o più disegni di legge nei quali vengano regolati i
suddetti procedimenti alternativi ai ricorsi ordinari —disp. agg. 2ª—.
L’elemento oggettivo determinante per distinguere i ricorsi gerarchici
e in opposizione consiste nel tipo di atto che può essere sottoposto all’uno
o all’altro tipo di ricorso. In questo senso, bisogna tener conto se l’atto
pone fine alla via amministrativa o meno, giacché nel primo dei casi, il
ricorso pertinente sarà quello in opposizione —o direttamente quello
contenzioso-amministrativo—, mentre nel secondo sarà pertinente il ricorso
gerarchico.
Chiamiamo via amministrativa la
catena formata dai successivi organi gerarchizzati di un’organizzazione.
L’art. 109 LAP, riformato dalla Legge 4/99, segnala quali sono gli atti che
mettono fine alla via amministrativa e che, pertanto, in principio possono solo
essere impugnati giudiziariamente, a meno che
il privato non decida di proporre contro di essi il ricorso facoltativo
in opposizione. La regola generale consiste che pongono fine a tale via gli atti
dettati da organi sprovvisti di superiore gerarchico, così come quelli da cui
vengono decisi i ricorsi gerarchici —o i procedimenti sostitutivi a cui
abbiamo fatto riferimento—. Bisogna ricordare che l’atto mediante il quale
si provvede al ricorso gerarchico, non solo mette fine alla via amministrativa,
ma che è inoppugnabile in tale via,
ossia, contro di esso non è possibile il ricorso facoltativo in opposizione,
come chiarisce l’art. 115.3 LAP. Con ciò si conseguono vari obbiettivi: da un
lato, si evita che l’interessato debba raggiungere la cuspide
dell’organizzazione per raggiungere la via giudiziaria, circostanza che, a
proposito, si dava nell’ordinamento spagnolo fino al 1963 mediante la necessità
di una doppia alzada; dall’altro la
proibizione che l’atto di decisione del ricorso gerarchico possa essere
oggetto di opposizione facoltativa, elimina la sterile possibilità che i due
ricorsi possano succedersi, possibilità che fu istituzionalizzata
nell’ordinamento spagnolo mentre era in vigore la LPA del 1958, che, come
abbiamo visto, permetteva l’interposizione facoltativa del ricorso in
opposizione contro gli atti risolutivi di altri impugnati.
Con alcune modifiche di scarsa importanza introdotte dalla Legge 4/99,
l’art. 110 LAP contempla i requisiti minimi che deve avere l’istanza di
proposizione di qualsiasi ricorso[65],
mantenendo la regola antiformalistica consistente nel non considerare rilevante
l’errore dell’interessato nella qualificazione del ricorso, sempre che dalla
domanda di interposizione si possa dedurre il suo vero carattere. Infine la
Legge 4/99, coerentemente con l’introduzione del ricorso in opposizione, ha
confermato l’eliminazione del requisito della comunicazione previa
all’Amministrazione in caso di impugnazione giudiziaria degli atti
amministrativi, che già aveva effettuato la LJ 1998.
Una delle novità più rilevanti introdotte dalla Legge 4/99 in materia
di ricorsi amministrativi, consiste nel nuovo regime di sospensione degli atti
amministrativi impugnati —art. 111 LAP—. La regola generale in materia è
che l’interposizione del ricorso amministrativo —anche se lo stesso si può
dire del ricorso giurisdizionale—, salvo che una norma stabilisca il
contrario, non sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato[66].
Come già disponeva la redazione originaria della LAP, quando la norma non
dispone espressamente la sospensione automatica dell’atto, l’organo
competente per la decisione del ricorso potrà accordarla a seconda se
intervengono o meno determinate circostanze.
In primo luogo, essa potrà essere concessa solo quando l’esecuzione può
causare danni di impossibile o difficile riparazione (art. 111.2.a LAP), oppure
quando l’impugnazione si basa su una delle cause di nullità di pieno diritto
dell’art. 62.1 (art. 111.2.b LAP). Se intendiamo che ciò che la norma
persegue è l’intervento dei due elementi classici di cui bisogna tener conto
per l’adozione di misure di sospensione —periculum
rei e fumus boni iuris—, bisogna
concludere che, perché l’organo decreti la misura, non sarà sufficiente la
mera allegazione da parte dell’interessato di una causa di nullità, bensì
bisognerà ricercare, anche se in modo preliminare, la consistenza di detta
causa[67].
Se interviene qualcuna delle cause appena menzionate, l’organo potrà solo
sospendere l’esecutività dell’atto previa
ponderazione, sufficientemente ragionata, del danno che la sospensione
causerebbe all’interesse pubblico o a terzi, e il danno che si causa al
ricorrente a conseguenza dell’efficacia immediata dell’atto impugnato
(art. 111.2 LAP).
La Legge di riforma mantiene una misura certamente favorevole
all’interessato, consistente nel fatto che l’efficacia dell’atto impugnato
si intenderà sospesa (silenzio assenso) se, decorsi trenta giorni da quando la
richiesta di sospensione fa il proprio ingresso nell’ufficio del registro
dell’organo decidente, questo non avesse ancora emesso provvedimento espresso
al riguardo (art. 111.3 LAP)[68].
Per il resto la norma permette che l’organo competente, nel momento di
pronunciarsi sulla sospensione, possa adottare delle “contromisure”, ossia
misure cautelari necessarie ad assicurare
la protezione dell’interesse pubblico o di terzi e l’efficacia del
provvedimento o atto impugnato. Tra le suddette misure si trova la cauzione
o garanzia sufficiente, la cui prestazione da parte dell’interessato è
obbligatoria nel caso di atti dalla cui sospensione potrebbero derivare danni di qualsiasi natura (art. 111.4 LAP).
Ma la vera novità della Legge 4/99 in materia di sospensione dell’atto
impugnato, consiste nella possibilità di prolungare la sospensione, accordata
nel procedimento di ricorso, oltre la via amministrativa, sempre che vi sia la
misura cautelare e che i suoi effetti si estendano alla via
contenzioso-amministrativa. Se l’interessato propone ricorso giudiziario
contro l’atto sospeso e richiede all’organo giurisdizionale la sospensione
dello stesso in via processuale, quest’ultima avrà effetto fintanto che il
Giudice o Tribunale si sarà pronunciato sulla richiesta di sospensione.
Essendo il ricorso amministrativo uno dei tanti procedimenti, ad esso
saranno applicabili le norme e l’iter
a tutti comuni, soprattutto quelle relative all’istruttoria (artt. 78-86 LAP).
Tuttavia, e dato che si tratta di un procedimento che ha per oggetto la
revisione di un procedimento già concluso, la realizzazione di nuovi atti
procedimentali logicamente sarà limitata. Al riguardo, la LAP dispone che il
tramite di udienza agli interessati sarà precettivo nella via di ricorso solo
quando intervengono certi requisiti: quando si debbano considerare nuovi fatti o
documenti non presenti nel procedimento originario o se sono comparsi nuovi
interessati al ricorso. In qualsiasi caso, i documenti o fatti nuovi, o
semplicemente il ricorso, a seconda dei casi, saranno trasmessi agli
interessati, entro un termine non inferiore ai dieci giorni e non superiore a
quindici, affinché possano presentare le memorie scritte e i documenti che
ritengano opportuni.
Il provvedimento del ricorso potrà adottare tre contenuti essenziali:
dichiarare l’inammissibilità del ricorso, accoglierlo o rigettarlo. Quando
l’invalidità dell’atto deriva da un vizio di forma che impedisce dettare un
provvedimento nel merito, verrà ordinata la regressione del procedimento al
momento in cui fu commesso il vizio, a meno che tale vizio possa essere
convalidato in conformità con la norma corrispondente. Infine vengono stabilite
due misure cautelari di notevole importanza: la necessità per la pronuncia del
ricorso di essere congruente con tutte le questioni suscitate nel procedimento, siano
esse state allegate dagli interessati o meno; nonché la proibizione espressa
della reformatio in peius, secondo la
quale in nessun caso il ricorso può aggravare la situazione iniziale dei
ricorrenti.
IV.1.b. Il recurso de alzada
Abbiamo già fatto riferimento alla natura e alla meccanica di base di
questo ricorso. Adesso passiamo ad analizzare sommariamente alcune delle norme
specifiche che lo regolano.
Dal punto di vista soggettivo, benché il ricorso de
alzada venga risolto dall’organo gerarchico superiore a quello che adottò
l’atto impugnato, la LAP permette che esso possa essere proposto presso
l’organo che dettò l’atto impugnato, nel qual caso esso dovrà rimetterlo
all’organo competente entro dieci giorni, accompagnandolo con una relazione e
una copia del procedimento, in quanto la norma stabilisce la responsabilità
diretta in caso di inadempienza di questo dovere (art. 114.2 LAP).
In congruenza con il nuovo regime del silenzio amministrativo introdotto dalla Legge 4/99 e con l’intensificazione delle garanzie dell’amministrato nei confronti dell’inattività formale delle Pubbliche Amministrazioni, l’art. 115 LAP stabilisce differenti termini per la proposizione del ricorso gerarchico, a seconda che l’atto contro il quale si ricorre sia espresso o presunto. Nel primo caso, il termine è di un mese; nel secondo di tre. Trascorsi questi termini senza che vi sia stata presentazione di ricorso, il provvedimento viene considerato inoppugnabile a tutti gli effetti. Come abbiamo detto in precedenza, il provvedimento tramite il quale si risolve il ricorso gerarchico è inoppugnabile in via amministrativa, nella misura in cui non è suscettibile di nessun altro ricorso amministrativo ordinario —mentre lo è di ricorso straordinario di revisione, nel caso sia pertinente (art. 115.3 LAP)—, ed è solo possibile proporre contro di esso il ricorso giurisdizionale. Nel caso di non interposizione di ricorso gerarchico entro i termini, l’atto originario diventa inoppugnabile a tutti gli effetti, vale a dire che, trattandosi di un ricorso obbligatorio ai fini dell’interposizione dell’ulteriore ricorso giurisdizionale, in tal caso l’atto non potrà più essere impugnato giudiziariamente e sarà quindi inoppugnabile in via amministrativa senza che sia possibile interporre ricorso giurisdizionale, in altre parole, sarà inoppugnabile nelle vie amministrativa e giudiziaria.
L’Amministrazione dispone di un termine legale di tre mesi per
provvedere e notificare il ricorso. In caso che il provvedimento espresso non
sia dettato e notificato entro tale termine, il senso del silenzio sarà di
rifiuto, in applicazione della regola dell’art. 43.2 LAP. Tuttavia, il
silenzio avrà significato «positivo» se interviene il caso eccezionale
previsto all’art. 43.2. § 2º LAP, ovverosia, quando non si provveda
espressamente entro i termini al ricorso gerarchico proposto contro un
precedente silenzio «negativo».
IV.1.c. Il recurso de reposición
Così come accadeva con il ricorso gerarchico, passiamo ad esporre alcune
peculiarità del ricorso in opposizione. Questo ricorso facoltativo impedisce
che la via giudiziaria possa essere avviata fin tanto che tale ricorso sia stato
deciso espressamente o sia stato rifiutato per silenzio; silenzio di significato
«negativo» che nel caso del ricorso in opposizione avverrà sempre in quanto
l’eccezione al silenzio «negativo» nell’ambito dei ricorsi contemplata
dall’art. 43.2 § 2º LAP, comprende solo il ricorso gerarchico.
Anche il termine per l’interposizione del ricorso in opposizione è
diverso a seconda che l’atto oggetto del ricorso sia espresso o fittizio:
rispettivamente uno e tre mesi. Dato che il ricorso in opposizione è
facoltativo, una volta trascorso il termine corrispondente senza che esso sia
stato interposto, l’atto diventa inoppugnabile
in via amministrativa, e l’unica possibilità che resta aperta è quella
del ricorso contenzioso-amministrativo o, in caso fosse pertinente, il ricorso
straordinario di revisione, senza che sia possibile, come già stabiliva la LPA
1958, proporre lo stesso ricorso contro la decisione dell’opposizione. Il
termine massimo per provvedere e notificare il ricorso in opposizione è di un
mese.
IV.1.d. Il recurso extraordinario de revisión
Come è già stato anticipato, il cosiddetto ricorso straordinario di
revisione è un mezzo autonomo di rescissione di provvedimenti inoppugnabili,
che può essere proposto solo quando interviene una delle circostanze che la LAP
stabilisce in modo tassativo. Questo rimedio è il riflesso di un meccanismo di
analoga funzionalità esistente, con identica denominazione e motivi simili, in
tutti gli ambiti giurisdizionali spagnoli e mediante il quale si può
“richiedere —per alcune cause specifiche e tassative— la «riapertura» di
un processo precedente già terminato, e una nuova analisi di un provvedimento
giudiziario che, per definizione, risulta inattaccabile: la sentenza passata in
giudicato”[69].
Anche se in alcune occasioni si è dubitato della loro giustificazione, i motivi
per i quali può essere proposto, come vedremo in seguito, presuppongono un
lodevole esempio di anteporre la giustizia materiale del caso alla certezza
giuridica che implica il carattere essenzialmente inattaccabile di certe
decisioni.
Il ricorso di revisione, da non confondersi con l’omonimo procedimento
che andiamo ad analizzare, può essere proposto contro atti inoppugnabili
in via amministrativa, cioè quelli contro i quali, per qualsiasi motivo,
non sia possibile nessun ricorso amministrativo ordinario. La redazione
originale della LAP 1992, consentiva questo ricorso contro gli atti che esauriscano la via amministrativa o contro i quali non sia stato
interposto ricorso amministrativo entro il termine, essendo stata adottata
dalla Legge di riforma una formula più semplice e comprensiva.
Il ricorso di revisione deve essere proposto e deciso dallo stesso organo
amministrativo che aveva dettato l’atto e per una delle cause indicate
all’art. 118.1 LAP: 1ª che nel dettare il provvedimento si fosse incorsi in un errore di
fatto, che risulti dai documenti facenti parte del procedimento; 2ª che
compaiano documenti di valore essenziale per la decisione della questione che,
anche se posteriori, mettano in evidenza l’errore del provvedimento impugnato;
3ª che sul provvedimento abbiano influito essenzialmente documenti o
testimonianze dichiarate false da una sentenza giudiziaria con forza di
giudicato, anteriore o posteriore a quel provvedimento; 4ª che il provvedimento
fosse stato dettato a conseguenza di una prevaricazione, corruzione, violenza,
macchinazione fraudolenta o altra condotta perseguibile e così sia stato
dichiarato in virtù della sentenza giudiziaria passata in giudicato.
I termini per la proposizione del ricorso variano a seconda del motivo
addotto dal ricorrente; se si tratta del primo, il termine sarà di quattro
anni; negli altri casi il termine sarà di tre mesi a partire dalla conoscenza
dei documenti o da quando la sentenza giudiziaria è diventata inoppugnabile. La
LAP dichiara espressamente la compatibilità di questa via con i procedimenti di
revisione d’ufficio e di rettificazione di errori materiali, di fatto o
aritmetici previsti dalla legge stessa.
Infine la LAP prevede la possibilità che venga accordata
l’inammissibilità del ricorso in limine litis, senza altre formalità, quando esso non è fondato
su una delle cause
menzionate sopra, così come nell’ipotesi che ricorsi sostanzialmente uguali
fossero stati rifiutati nel merito. In caso di dichiarazione dell’ammissibilità,
l’organo competente dovrà pronunciarsi nel merito della questione provveduta
dall’atto impugnato. Per il resto, il legislatore fa entrare in gioco in
questa materia il silenzio «negativo», di modo che, trascorsi tre mesi senza
che sia stato dettato o notificato alcun provvedimento espresso nel procedimento
del ricorso di revisione, esso si intenderà rifiutato, e per l’interessato
resterà aperta la via giurisdizionale contenzioso-amministrativa.
IV.2. La revisione d’ufficio dei
provvedimenti amministrativi e regolamenti nulli
La revisione è un procedimento formalizzato mediante il quale la
Pubblica Amministrazione, al dilà delle vie di ricorso, torna sui propri atti
favorevoli agli interessati (atti accrescitivi) per motivi di legalità e, se
pertinente, li annulla o li dichiara lesivi dell’interesse pubblico e li
impugna presso la giurisdizone contenzioso-amministrativa.
All’interno
del genus della revisione regolata al
Capitolo I del Titolo VII LAP, l’art. 102, riformato dalla Legge 4/99, prevede
la revisione di atti e disposizioni nulli di pieno diritto, cioè incorsi in uno
dei casi citati all’art. 62.1 e 2 LAP[70].
Il Diritto Amministrativo spagnolo cerca di distinguere chiaramente due specie
di invalidità negli atti amministrativi: la nullità radicale e
l’annullabilità, stabilendo un elenco di vizi che danno adito alla nullità e
configurando, invece, l’annullabilità con carattere aperto[71].
A differenza degli atti amministrativi, l’unica invalidità in cui possono
incorrere i regolamenti nel Diritto spagnolo è la nullità radicale, siano essi
interessati da vizi di procedimento o di contenuto. Le ragioni per cui è stata
stabilita una sanzione così severa in rapporto alle norme
dell’Amministrazione sta, tra altre di notevole trascendenza, nella redazione
stessa dell’art. 62 LAP, che separa chiaramente i regimi di invalidità degli
atti e dei regolamenti[72].
Tutto ciò, fermo restando che la regola generale d’invalidità per gli atti
amministrativi sia l’annullabilità, mentre la nullità si pone come categoria
di applicazione tassativa[73].
L’oggetto
della revisione sono atti amministrativi favorevoli agli interessati che abbiano
posto fine alla via amministrativa o non siano stati tempestivamente impugnati,
nonché disposizioni generali[74].
Il concetto stesso di atto favorevole merita un breve commento. Praticamente
fino alla LPA 1958 non venne riconosciuta legalmente all’Amministrazione
spagnola la possibilità di revisionare ex
se i suoi stessi atti dichiarativi di diritti per motivi di legalità. Essa
era obbligata, se voleva eliminarli, a dichiararli lesivi degli interessi
pubblici e ad impugnarli ulteriormente presso la Giurisdizione amministrativa,
di modo che il principio generale era quello dell’irrevocabilità degli atti
dichiarativi di diritti, mentre vi era una regola implicita intorno alla più o
meno libera revocabilità degli atti non dichiarativi di diritti o ablatori[75].
La LPA 1958 introdusse la possibilità di revisionare d’ufficio, e quindi di
annullare, gli atti dichiarativi di diritti che incorressero in vizi di nullità
o annullabilità —in quest’ultimo caso con infrazione manifesta della
legge—, mentre per i restanti atti favorevoli invalidi restava la necessità
di ricorrere al processo di lesività. La LAP 1992 confermava questa possibilità
di revisione degli atti dichiarativi di diritti nulli e gli annullabili con
infrazioni gravi[76]. Come vedremo, la
possibilità di revisione di atti favorevoli annullabili è stata eliminata
dalla Legge 4/99, che, in relazione a questo tipo di atti, ha mantenuto
unicamente la possibilità di ricorrere al processo di lesività.
Per quanto
riguarda l’iniziativa del procedimento, essa può provenire sia dalla stessa
Amministrazione autrice dell’atto o della disposizione, nel qual caso si parla
propriamente di revisione d’ufficio,
sia dagli interessati, attraverso quella che è stata denominata azione
di nullità. Tuttavia, nel caso delle disposizioni generali, l’iniziativa
potrà essere solo dell’Amministrazione, in quanto la Legge 4/99 non ha
previsto la possibilità di esercitare l’azione di nullità[77].
Questa facoltà
può essere esercitata in qualsiasi momento, anche se si deve tener conto dei
limiti stabiliti all’art. 106 LAP[78].
La possibilità di esercitare sempre la facoltà di revisione, sia d’ufficio o
per esercizio dell’azione imprescrittibile da parte del privato, è
conseguenza dell’impossibilità di rimediare ai vizi di nullità con il mero
scorrere del tempo (regola quod ab initium
nullum est, tractu tempore convalescere non potest); orbene, la possibilità
di agire contro gli atti nulli in qualsiasi momento viene ricondotta unicamente
a questa via, di modo che l’allegazione di un vizio di nullità attraverso un
ricorso amministrativo dovrà essere condotta entro i brevi termini di scadenza
previsti per la sua proposizione[79].
Per quanto riguarda il procedimento da seguire nella revisione, esso sarà il procedimento comune regolato al Titolo VI della LAP, nonostante che la Legge di riforma abbia soppresso il rimando a tale procedimento contenuto nella redazione originaria dell’art. 102.2 LAP. Sarà comunque precettiva l’udienza agli interessati ai sensi dell’art. 84 LAP. Più problematica si presenta invece l’udienza agli interessati al procedimento di revisione di regolamenti, a causa della rilevanza generale che generalmente hanno le loro norme, cosa che può rendere impraticabile l’udienza a tutti i singoli interessati, nei termini previsti dall’art. 84[80].
Per procedere all’annullamento è necessario il parere favorevole del Consiglio di Stato o dell’organo autonomico equivalente. Il riferimento all’equivalenza dell’organo consultivo regionale con il Consiglio di Stato è stato ugualmente introdotto dalla Legge 4/99. Si tratta, in ogni caso, di una questione polemica in cui si verifica una tensione tra le potestà di auto-organizzazione delle Comunità Autonome e la necessità di garantire agli amministrati uguale trattamento davanti a tutte le Pubbliche Amministrazioni, vera ratio del procedimento comune regolato dalla LAP 1992, secondo quanto consta espressamente nell’art. 149.1.18ª CE[81].
Nel caso della revisione di disposizioni generali, data la diversa redazione dell’art. 102.2 LAP —dove si dice “potranno”, invece di “dichiareranno” a cui fa riferimento l’art. 102.1 LAP riguardo alla revisione degli atti—, si è inteso che non vi è vincolo al parere dell’organo consultivo, di modo che anche se questo è favorevole all’annullamento, l’Amministrazione può decidere di non annullare il regolamento. La Legge 4/99 ha introdotto il vincolo al parere favorevole dell’organo consultivo in relazione alla revisione degli atti amministrativi e, introducendo espressamente la revisione delle disposizioni generali, sembra aver disposto il carattere ostativo, e non vincolante, di tale parere, di modo che, contrariamente a quanto accade con la revisione degli atti, in cui l’Amministrazione dovrà imperativamente annullare in caso di parere favorevole, quando si tratta di regolamenti, il suo annullamento sarà possibile, anche se non obbligatorio, solo in caso di parere favorevole. Riguardo agli atti intendiamo che non è possibile, pertanto, che emesso il parere consultivo favorevole alla nullità, l’Amministrazione decida di non dichiararla[82].
Per quanto concerne gli organi che, in ogni Amministrazione, sono competenti per la revisione, in quella dello Stato bisogna ricorrere alla disp. agg. 16ª LOFAGE, in cui si attribuisce detta competenza agli organi gerarchicamente superiori a quelli che emisero l’atto oggetto di revisione —salvo l’eccezione logica del Consiglio dei Ministri su cui ricade la competenza di revisionare i propri atti—. Viene così accantonata la possibilità per l’Amministrazione dello Stato che la revisione sia condotta dallo stesso organo che aveva emesso l’atto[83]. Riguardo alle Comunità Autonome, bisognerà attenersi alle loro norme sul governo e l’amministrazione che, in talune occasioni, contengono un regime di competenze non speculare rispetto a quello dello Stato[84]. Nel caso degli enti locali, la competenza spetta all’organo di natura assembleare (pleno), come stabilito all’art. 110.1 LBRL.
La Legge 4/99 introduce ex novo nell’art. 102.3 la possibilità che l’organo competente per la revisione possa, senza bisogno di chiedere il parere consultivo, dichiarare motivatamente in limine litis l’inammissibilità delle richieste di revisione in tre casi: quando non siano basate su una delle cause di nullità di cui all’art. 62 LAP, quando manchino manifestamente di fondamento o quando fossero state rifiutate nel merito richieste sostanzialmente uguali.
Per quanto riguarda la prima delle cause di inammissibilità, un’interpretazione eccessivamente rigorosa non pare conveniente. Se la revisione è un procedimento eseguito sotto gli auspici della potestà di autotutela dell’Amministrazione, il cui scopo sta, al dilà delle concrete posizioni soggettive dei singoli, nel vincolo al principio della legalità e la depurazione oggettiva delle illegalità a beneficio della comunità[85] e se, inoltre, intendiamo come nota caratteristica della nullità il suo riguardare beni giuridici riconducibili alla nozione di “ordine pubblico”, ossia di notevole trascendenza per l’interesse generale, dovremo per forza concludere che il mero appellarsi dell’interessato a un vizio altro che quello di nullità, non può esimere l’Amministrazione dal dovere di indagare l’effettiva natura del vizio allegato, sebbene esso non sia riconducibile, in virtù del solo contenuto formale dell’esposto dell’interessato, a una delle cause indicate all’art. 62.1 LAP[86]. Contro il provvedimento di inammissibilità si potranno proporre i ricorsi pertinenti, in quanto si tratta di atti endoprocedimentali qualificati[87].
L’art.
102.4 LAP prevede la possibilità di risarcire i danni causati ai privati come
conseguenza dell’annullamento degli atti o disposizioni, sempre che
intervengano i requisiti che la stessa LAP esige per la determinazione della
responsabilità extracontrattuale delle Pubbliche Amministrazioni —artt. 139.2
e 141.1—, cioè: danno effettivo, valutabile economicamente e individualizzato
in relazione a una persona o ad un gruppo di persone, nonché la provenienza
della lesione obbligatoriamente da un danno che il soggetto non abbia il dovere
giuridico di sostenere secondo la legge. Si avverte infine che potranno sussistere gli atti inoppugnabili emessi in
applicazione di un regolamento annullato per questa via, cosa che costituisce
una novità solo parziale della Legge 4/99. Tale precisazione si trovava infatti
già nell’art. 120 LPA 1958, benché la legge di riforma la introduca per la
prima volta in sede di revisione. Ci soffermeremo ora su queste due
precisazioni.
Per quanto
concerne la determinazione dei risarcimenti pertinenti in caso di annullamento
dell’atto o disposizione, si è inteso che essi possono essere sia quelli che
spettano in funzione delle lesioni causate dall’atto o dalla disposizione
nulli, sia quelli pertinenti in ragione dell’annullamento dei suddetti atti o
disposizioni. Sembra infatti che la Legge si limiti a fare riferimento a questa
seconda possibilità, ma l’inclusione di un ultimo inciso relativo alla
sopravvivenza degli atti inoppugnabili emessi in applicazione di una
disposizione annullata avallano questa interpretazione[88].
La questione
della sussistenza degli atti inoppugnabili emessi sotto la vigenza di un
regolamento annullato, non è una questione del tutto indiscussa
nell’ordinamento spagnolo, fondamentalmente a causa delle ripetute ambiguità
del legislatore, che, in un primo momento equiparò la deroga e
l’annullamento, almeno in quanto a effetti[89].
Inoltre, le soluzioni legali a questa situazione non sono identiche rispetto a
tutte le istanze con competenze di annullamento di norme, per cui non è
possibile stabilire un criterio uniforme. Si tratta quindi di una vexata
quaestio, il cui studio dettagliato non è opportuno in questa sede[90].
L’art. 104 LAP stabilisce la possibilità di sospendere l’esecuzione dell’atto quando da essa potessero derivare danni difficili o impossibili a ripararsi, misura che si deve intendere estesa ai procedimenti di lesività di atti annullabili e, forse a maggior ragione, a quelli di revoca di provvedimenti sfavorevoli o ablatori, e che già si trovava nella redazione originaria della LAP.
Quanto agli effetti della mancanza di provvedimento espresso, l’art. 102.5 LAP dispone che il termine per decidere il procedimento è di tre mesi. Su questo punto la riforma ha inciso in modo sensibile. Prima che essa venisse attuata, la mancanza di provvedimento espresso entro il termine aveva sempre come conseguenza il silenzio rifiuto, indipendentemente dal modo di avvio del procedimento. Dopo la riforma, in caso che l’Amministrazione non avesse provveduto espressamente entro quel termine, se il procedimento era stato avviato d’ufficio —in ogni caso quello avente per oggetto disposizioni generali—, si verificherà la caducazione del medesimo; se invece fosse stato avviato ad istanza dell’interessato, si intenderà che è stato rifiutato per silenzio. Anche se tale precetto non fa riferimento alla notificazione, ma al provvedimento, come momento a partire dal quale bisogna intendere che si è verificato il silenzio, consideriamo che sia da applicarsi la nuova disciplina introdotta al riguardo dalla Legge 4/99, e pertanto sarà la mancanza di notificazione —non di provvedimento— in quei tre mesi a determinare la formazione del silenzio.
Infine, contro il provvedimento che conclude il procedimento di revisione, sia esso espresso o fittizio, si potrà proporre il ricorso amministrativo o contenzioso-amministrativo, a seconda dei casi. Su questo punto la Legge 4/99 ha eliminato il riferimento della redazione precedente all’impossibilità di ricorrere tale provvedimento in via amministrativa, mentre era possibile farlo in via giursdizionale. In questo modo adesso, a seconda che l’atto tramite il quale si provvede alla revisione esaurisca o meno la via amministrativa, si potrà sollevare contro lo stesso ricorso facoltativo in opposizione o contenzioso-amministrativo, oppure ricorso gerarchico rispettivamente.
IV.3. La dichiarazione di lesività
dei provvedimenti amministrativi annullabili
Nonostante
abbiamo incluso la dichiarazione di lesività degli atti annullabili
all’interno della categoria generica della revisione, e che lo stesso abbia
fatto la legislazione spagnola sul procedimento dal 1958 in avanti —e faccia
oggi la LAP dopo la riforma—, in senso stretto, la revisione di atti
annullabili non esiste più dopo la Legge 4/99. Precedentemente ad essa e dal
1958, la Pubblica Amministrazione poteva revisionare entro un termine di quattro
anni, e quindi annullare, gli atti dichiarativi di diritti viziati che
infrangessero gravemente norme di rango legale o regolamentare. Se
l’Amministrazione voleva eliminare quelli che non la infrangevano in tal modo,
invece, doveva procedere, entro lo stesso termine di quattro anni, a dichiarali
lesivi dell’interesse pubblico e a impugnarli ulteriormente presso la
Giurisdizione contenzioso-amministrativa[91].
In questo modo la legge di riforma torna al regime precedente alla LPA 1958, che
partiva dal principio generale dell’irrevocabilità degli atti favorevoli
invalidi, ad eccezione di quelli che fossero stati nulli a radice. In seguito alla Legge 4/99, nei confronti degli atti
annullabili favorevoli resta solo quest’ultima possibilità offerta dal
processo di lesività, indipendentemente dalla gravità dell’infrazione
commessa dall’atto annullabile. Questo procedimento per la dichiarazione di
lesività viene regolato all’art. 103 LAP. Prima di passare ad esporre il
regime del processo di lesività conviene fare alcune precisazioni sulla
revisione degli atti annullabili ora eliminata.
Il
procedimento di revisione di atti annullabili che regolava la LAP 1992,
presentava una fisionomia molto simile alla revisione degli atti nulli. Esso
poteva essere avviato d’ufficio da parte dell’Amministrazione o a richiesta
dell’interessato ed era obbligatorio il parere del Consiglio di Stato o, nel
caso, dell’organo consultivo della Comunità
Autonoma. Ma la LAP introdusse modifiche importanti in questa materia in
rapporto alla disciplina del 1958. Eliminò così il carattere ostativo del
parere dell’organo consultivo, relegandolo a una funzione meramente precettiva;
introdusse la possibilità di avvio del procedimento su istanza
dell’interessato —introducendo così una sorta di “azione di annullabilità”
che poteva essere esercitata in un termine molto superiore a quello dei
ricorsi— e ampliò le possibilità della revisione, a scapito del processo di
lesività, agli atti annullabili dichiarativi di diritti che infrangessero
“gravemente norme di rango legale o regolamentare”, quando la redazione
della LPA 1958 limitava tale revisione agli atti che infrangessero
“manifestamente la legge”. La maggior parte di queste modifiche furono
criticate dalla dottrina[92].
Questa
e altre circostanze, come la dichiarata intenzione di equiparare nella materia
le posizioni di Amministrazione e amministrato[93],
hanno deciso il legislatore del 1999 a eliminare la revisione di atti
annullabili, mantenendo esclusivamente la possibilità di dichiararli lesivi
dell’interesse pubblico e la sua ulteriore impugnazione presso la
Giurisdizione contenzioso-amministrativa.
L’oggetto della dichiarazione di lesività sono atti amministrativi “favorevoli” viziati di annullabilità, ossia incorsi in uno dei casi di cui all’art. 63 LAP[94]. La precedente redazione dell’art. 103 LAP esigeva come presupposto della revisione o dichiarazione di lesività di atti annullabili che essi fossero “dichiarativi di diritti”. Questo cambiamento terminologico presenta conseguenze significative a beneficio delle garanzie dell’amministrato nei confronti dell’esercizio delle facoltà di autotutela dell’Amministrazione. Con la precedente redazione, se l’atto era favorevole all’interessato, ma non riconosceva a suo favore un diritto soggettivo, poteva essere liberamente revocato dall’Amministrazione secondo l’art. 105 LAP[95]. A partire dalla riforma del 1999, si deve ritenere che qualsiasi atto favorevole invalido, riconosca esso o meno un diritto soggettivo al singolo, può solo essere sottoposto a uno dei procedimenti formalizzati previsti agli artt. 102 e 103 LAP. La revoca, come vedremo, resta riservata ai provvedimenti ablatori o sfavorevoli.
L’iniziativa del procedimento spetta in questo caso solo alla Pubblica Amministrazione. Detto procedimento sarà quello comune, in quanto l’art. 103.2 in fine LAP esige l’udienza precettiva di quanti compaiano come interessati. Anche se questa precisazione può in un certo modo essere considerata superflua, la giurisprudenza era venuta qualificando la dichiarazione di lesività come un atto interno, in cui non era precettiva l’udienza all’interessato, che già disponeva della possibilità di allegare quanto stimasse conveniente nell’ulteriore processo giurisdizionale[96].
Così come accadeva con la revisione d’ufficio di atti nulli —e specialmente di disposizioni generali, che non possono essere considerate oggettivamente come atti favorevoli né sfavorevoli—, la necessità dell’udienza agli interessati in tutti questi procedimenti —indipendentemente dal loro modo d’avvio—, intendendo per interessati sia coloro che sono beneficiati dall’atto o regolamento revisionato, sia chi abbia un interesse legittimo alla sua eliminazione, non trova un regime interamente simmetrico e coerente nella previsione della caducazione come conseguenza dell’inattività dell’Amministrazione durante il termine massimo stabilito per la dichiarazione espressa della lesività. In altre parole, la caducazione, come dichiarazione di effetti meramente procedimentali, impedisce che gli interessati, a cui era stata data udienza e che avevano un interesse nell’eliminazione dell’atto o norma, possano ricorrere. Ciò altro non è che la decisione tacita dell’Amministrazione di non annullare l’atto o disposizione o di non dichiararlo lesivo dell’interesse pubblico[97].
Il
termine per poter dichiarare lesivo un atto annullabile, è di quattro anni
dalla sua emissione —art. 103.2 LAP—, estremo in cui la riforma non ha
introdotto alcuna modifica. Tuttavia, prima della Legge 4/99, la revisione in
senso stretto degli atti annullabili che infrangessero gravemente norme legali o
regolamentari, poteva avere luogo una volta espirato il termine di quattro anni
dell’emissione dell’atto, dato che il suddetto termine si riferiva
all’avvio del procedimento e non alla sua conclusione[98].
Infine, una volta avviato il procedimento, il termine massimo per provvedere sarà
di tre mesi; decorsi infruttuosamente i quali si verificherà, come abbiamo
visto, la caducazione del procedimento.
Al
contrario di quanto succede con la revisione di atti nulli e disposizioni
generali, nella quale non è necessario giustificare la loro eliminazione con
una lesione all’interesse pubblico, essendo sufficiente la mera esistenza
della nullità, la dichiarazione di lesività esige non solo l’intervento
nell’atto di un vizio di annullabilità, ma anche che la permanenza di tale
atto provochi una lesione degli interessi pubblici che giustifichi la sua
eliminazione da parte della Giurisdizione contenzioso-amministrativa. Questo
fenomeno è stato denominato di “doppia lesione” (lesione dell’ordinamento
giuridico e dei pubblici interessi), e trova la propria giustificazione
nell’assimilazione della lesività alla figura della rescissione per lesione,
dalla quale trae la propria origine[99].
L’art.
103.4 e 5 LAP stabiliscono che se l’atto proviene dall’Amministrazione
Generale dello Stato o delle Comunità Autonome, la lesività sarà dichiarata dall’organo
competente e, nel caso degli enti locali, spetterà al Consiglio (Pleno),
o in sua mancanza, all’organo collegiale superiore dell’ente. Per quanto
riguarda l’Amministrazione Generale dello Stato, bisogna di nuovo ricorrere
alla disp. agg. 16ª LOFAGE. Tuttavia, come abbiamo visto, tale disposizione
stabilisce quali sono gli organi competenti per la revisione d’ufficio di atti
nulli e annullabili, per cui non è adattata alla Legge 4/99. La dottrina più
autorevole ha inteso, però, tenendo conto dell’art. 13.11 LOFAGE[100],
che stabilisce che i ministri sono competenti per la dichiarazione di lesività
quando gli spetta, che il regime di competenze in questa materia è lo stesso
che vigeva per la revisione d’ufficio di atti nulli[101].
Per quanto concerne le Comunità Autonome
bisognerà ricorrere alle loro rispettive normative che, nella maggior parte dei
casi, sono speculari a quella dello Stato[102].
Infine,
dichiarata espressamente la lesività dell’atto annullabile,
l’Amministrazione procedente dispone di un termine di due mesi per la
proposizione del corrispondente ricorso presso la giurisdizione
contenzioso-amministrativa —artt. 45.4 e 46.5 LJ—.
IV.4.
La revoca dei provvedimenti sfavorevoli o ablatori
Nel corso delle pagine precedenti abbiamo cercato di avvicinare il lettore italiano ad alcune delle novità più rilevanti presentate dalla riforma del procedimento in Spagna, operata, come sappiamo, dalla Legge 4/99. I due ambiti presi in esame —l’obbligo di provvedere e gli effetti che derivano dalla sua inadempienza (sezione III) e il regime dei procedimenti di secondo grado (sezione IV)— presentano numerosi punti di contatto con l’ordinamento italiano, e forse la conoscenza di entrambe le realtà potrebbe far luce sulla soluzione di alcuni problemi che ostacolano l’attività delle Pubbliche Amministrazioni, sia italiane che spagnole: la determinazione di un termine massimo per provvedere e notificare i procedimenti, lo stabilimento di una disciplina generale che dia coerenza alle facoltà di autotutela degli enti pubblici, sono estremi che, tra i molti altri, possono arricchire lo studio dottrinale sul procedimento amministrativo in Italia, soprattutto in un momento in cui si preannuncia la riforma della Legge 241/90. Allo stesso modo, l’evoluzione che l’ordinamento italiano presenta nel trattamento dei ricorsi amministrativi costituisce, di fatto, un punto di riferimento di prim’ordine per correggere una delle remore che continua a pesare sulla normativa spagnola in questa materia, in cui il recurso de alzada mantiene, come abbiamo visto, il suo carattere obbligatorio.
La Legge 4/99 offre, quindi, vari aspetti interessanti nell’ambito
della tematica che circonda l’ordo
productionis degli atti amministrativi. Non è tutto: gli spunti che da essa
possono essere tratti, spesso godono di supporti solidi, che possono senza
difficoltà essere ricollegati a una lunga e valida tradizione storica nella
regolazione del procedimento amministrativo che, da lungo tempo, ha
caratterizzato il Diritto Amministrativo spagnolo.
Fatta questa considerazione —che, in realtà vuol solo fa risaltare la
convenienza del riferimento spagnolo nell’analisi del fenomeno di
procedimentalizzazione dell’attività amministrativa—, non vogliamo
concludere questo lavoro senza prima realizzare una riflessione globale sul
senso e il significato della riforma del procedimento amministrativo in Spagna.
La lettura dei diversi commenti che la dottrina scientifica ha realizzato
recentemente sul contenuto della Legge 4/99, permette di intravedere
un’accoglienza favorevole e soddisfacente delle diverse modifiche apportate; i
vari studi coincidono nell’affermare la buona riuscita della nuova regolazione
introdotta in istituti centrali e fondamentali come il silenzio amministrativo.
Si può, tuttavia, avvertire una critica anche generalizzata: si sente la
mancanza della revisione di molte altre materie che oggi richiedono, con
maggiore o minore intensità, una nuova impostazione —pensiamo, ad esempio,
allo stabilimento di un procedimento sanzionatore comune[110]—.
Lasciando da parte questa circostanza, la valutazione positiva della
Legge 4/99 è condizionata, a nostro giudizio, dalla necessità di aspettare i
risultati dell’intenso processo di adeguamento che ora dovrà essere attuato[111]. Non bisogna dimenticare che questo testo legislativo obbliga a
revisionare l’ampio panorama procedimentale in vista di adattare, in
particolare, il nuovo regime del silenzio amministrativo. In modo illustrativo González
Navarro ha alluso alla Legge 4/99 come a una «Legge
pontifex», ossia come una legge ponte che pone le fondamenta per
raggiungere una meta più lontana[112]. È per questo che,
cosciente dell’importanza di questo processo che si sta aprendo, il
legislatore spagnolo ha previsto la creazione di un organo incaricato di
salvaguardare la materializzazione e la coerenza di questo processo e, al tempo
stesso, di promuovere decisamente una delle esigenze più pressanti delle nostre
Pubbliche Amministrazioni: la semplificazione
dei procedimenti amministrativi. A tale fine, la disposizione aggiuntiva 1ª
della Legge 4/99 prevede la creazione di una Commissione Interministeriale,
presieduta dal Ministro per le Pubbliche Amministrazioni, con lo scopo di
sostenere nello studio e nella formulazione di proposte di semplificazione dei
procedimenti esistenti nell’ambito dell’Amministrazione Generale dello Stato
e suoi organismi pubblici. La creazione di questa Commissione è stata resa
effettiva mediante il Decreto Reale del 23 aprile 1999 in cui viene definito con
maggior precisione lo statuto giuridico di questo organo[113].
La Commissione Interministeriale
per la Semplificazione Amministrativa trova un punto di riferimento
immediato nell’ordinamento italiano, giacchè, com’è noto, la Legge
50/1999, 8 marzo, sulla delegalizzazione e testi unici delle norme in materia di
procedimenti amministrativi —primo esponente delle Leggi annuali di
semplificazione— ha istituzionalizzato un’unità funzionale di appoggio al
Governo, destinata a dare consulenza e supporto tecnico nell’attuazione dei
processi di delegificazione, semplificazione e riordino dei procedimenti
amministrativi in Italia. Quest’unità riceve il nome di Nucleo per la semplificazione delle norme e dei procedimenti[114].
Si noti pertanto, come sorgono nuove interconnessioni tra la realtà spagnola e
quella italiana; entrambe devono affrontare l’arduo compito della
razionalizazzione del tessuto procedimentale che, al suo stato attuale, minaccia
seriamente di atrofizzare il funzionamento dell’apparato pubblico.
In conclusione, risulta prematuro definire un giudizio globale sulla
riforma introdotta dalla Legge 4/99 e, sebbene le premesse sembrino solide —e
le prime analisi lo confermano—, bisognerà aspettare maggiori approfondimenti
nell’adattamento delle sue misure all’esteso e prolisso spettro di
procedimenti amministrativi. Per il momento è stato fatto il primo passo. Ci
stiamo riferendo all’approvazione, da parte della Commissione
Interministeriale di Semplificazione Amministrativa degli Obbiettivi,
criteri e direttrici del Primo Piano Generale di Semplificazione Amministrativa[115].
![]()
[1] Per un’analisi più dettagliata di questa evoluzione storica si possono consultare, tra gli altri, i seguenti lavori: Jesús González Pérez, El procedimiento administrativo, Publicaciones Abella, Madrid, 1964, pp. 83-108; Francisco López Menudo, “Los principios generales del procedimiento administrativo”, Revista de Administración Pública, n. 129, 1992, pp. 38-50, e Martín Bassols Coma, “La significación de la legislación de procedimiento administrativo en el Derecho Administrativo español. Especial consideración de la LPA de 1958”, in Benigno Pendas García (a cura di), Administraciones Públicas y ciudadanos, Praxis, Barcelona, 1993, pp. 33 e ss.
[2] In Spagna, il principio del contraddittorio ha giocato un ruolo capitale fin dagli inizi nella costruzione del procedimento amministrativo. Buona prova ne è la precoce istituzionalizzazione nella base decima dell’art. 2 della LBPA del 1889 mediante il tramite dell’udienza agli interessati; una pratica che ha goduto da allora di una validità ininterrotta come momento precettivo e generale nell’iter dei procedimenti amministrativi (attualmente è prevista dall’art. 84 LAP). La costanza del legislatore spagnolo è stata accompagnata nel suo divenire dalla pertinace posizione della dottrina scientifica, sempre propensa a configurare la partecipazione degli interessati come tramite fondamentale ed essenziale del procedimento amministrativo; nonché dalla posizione mantenuta dalla giurisprudenza, che, allo stesso modo, non ha avuto esitazioni nell’appoggiare la trascendenza del contraddittorio amministrativo.
[3] Cfr. José Gascón y Marín, “Necesidad de un Código de procedimiento administrativo”, Revista de Estudios Políticos, n.48, 1949, pp. 11 e ss., e Narciso Amorós Rica, “El procedimiento administrativo español”, Revista General de Legislación y Jurisprudencia, t.185, 1949 (gennaio-giugno), p.733.
[4] Sui principi ispiratori della LPA, si veda Laureano López Rodó, “Directrices de la Ley de Procedimiento Administrativo”, Documentación Administrativa, n. 8-9, 1958, pp. 17 e ss.
[5] Si veda, ad esempio, Georges Langrod, “Quelques problèmes de la procédure administrative non contentieuse en droit administratif comparé”, Revue Internationale des Sciences Administratives, 1959, in particolare pp. 10-16.
[6] Cfr. Jesús González Pérez, “La revisión de la Ley de Procedimiento Administrativo”, in Libro Homenaje al Profesor José Luis Villar Palasí, Civitas, Madrid, 1989, p. 567, e José Luis Piñar Mañas, “Procedimiento administrativo y Comunidades Autónomas”, in AA.VV., Gobierno y Administración en la Constitución, vol. II, Instituto de Estudios Fiscales, Madrid, 1988, p. 1476.
[7] Jesús González Pérez, “Ante la nueva regulación del procedimiento administrativo”, Revista Española de Derecho Administrativo, n.77, 1993, pp. 27 e ss.; Sebastián Martín-Retortillo Baquer, “Acotaciones escépticas sobre la nueva regulación del procedimiento administrativo”, Revista Española de Derecho Administrativo, n.78, 1993, pp.213 e ss.; Eduardo García de Enterría, “La problemática puesta en aplicación de la LRJ-PAC: el caso del Real Decreto 1398/1993, de 4 de agosto, que aprueba el Reglamento de procedimiento para el ejercicio de la potestad sancionadora. Nulidad radical del Reglamento y desintegración general del nuevo sistema legal”, Revista Española de Derecho Administrativo, n.80, 1993, pp. 657 e ss., e, dello stesso autore, “Algunas reflexiones sobre el proyecto de Ley de régimen jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común”, Revista Española de Derecho Administrativo, n.75, 1992, pp. 325 e ss.; Laureano López Rodó, “El procedimiento administrativo, garantía de los administrados”, in Procedimiento Administrativo, ponencias del cuarto encuentro hispano-argentino sobre Derecho Administrativo, EGAP, Santiago de Compostela, 1994, p. 26.
[8] In particolare si vedano i lavori delle Giornate tenutesi a Siviglia il 23 e il 24 febbraio 1997 raccolti nel volume collettivo dal titolo Jornadas de estudio sobre la reforma de la Ley 30/1992, Ministerio de las Administraciones Públicas, Madrid, 1997.
[9] Vid. Il Decreto Reale 1259/1999, del 16 luglio, che regola le Carte dei Servizi Pubblici e i premi per la qualità nell’Amministrazione Generale dello Stato.
[10] Vid. art. 42.4 LAP —modificato dalla Legge 4/99—.
[11] El art. 3.5 LAP, introdotto dalla Legge 4/99, segnala che nei loro rapporti con i cittadini le Pubbliche Amministrazioni agiscono in conformità con i principi di trasparenza e di partecipazione.
[12] L’influenza del Diritto comunitario nella regolazione dei procedimenti amministrativi nazionali è stata avvertita anche dal legislatore italiano. Serva da riferimento l’art. 20.5 della Legge Bassanini uno —Legge 15 marzo 1997, n. 59— che include tra i principi che devono orientare la semplificazione e riordinazone dei procedimenti amministrativi, l’adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell’attività e degli atti amministrativi ai principi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio (questo principio, citato alla lettera g-quater fu introdotto dalla Legge Bassanini ter —Legge 16 giugno 1998, n. 191—).
[13] Vid. art. 3.1 LAP nella sua versione modificata.
[14] Un aspetto che, del resto, oggi è comune a qualsiasi tentativo di riforma amministrativa. Cfr. Feliciano Benvenuti, Il nuovo cittadino, tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, in particolare pp. 64-70.
[15] Si noti, del resto, che il Libro bianco per il miglioramento dei servizi pubblici —presentato dal Ministro delle Pubbliche Amministrazioni nel febbraio del 2000— ha per titolo, appunto, “Una Administración al servicio de los ciudadanos”.
[16] Cfr. Pascual Sala Sánchez (coord.), Comentarios a la reforma del Procedimiento Administrativo, Tirant lo Blanc, Valencia, 1999; José Luis Piñar Mañas (dir.), La reforma del Procedimiento Administrativo, Madrid, 1999; Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/1999, de 13 de enero, de modificación de la Ley 30/1992, Civitas, Madrid, 1999; José María Álvarez-Cienfuegos Suarez, Comentarios a la Reforma de la Ley del Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común, Aranzadi, Pamplona, 1999; e il numero monografico della rivista Documentación Administrativa, n. 254-255, 1999, dedicato a La reforma del régimen jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común.
Si possono ugualmente consultare alcuni interessanti lavori sul contenuto globale della riforma: Jaime Rodríguez-Arana Muñoz, “La reforma de la Ley 30/1992 y su incidencia en la Administración Local”, Revista de Estudios de la Administración Local y Autonómica, n. 277, 1998, pp. 11 e ss.; Jesús López-Medel Bascones, “La reforma del régimen jurídico y el procedimiento administrativo”, Poder Judicial, n. 52, pp. 321 e ss.; Manuel Martínez Bargueño, “La modificación de 1999 del Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas, con referencia especial a los procedimientos de gestión de personal”, Revista Aragonesa de Administración Pública, n. 15, 1999, pp. 139 e ss.
[17] Questa regola prosegue il tradizionale computo dei termini nell’ordinamento spagnolo, in cui è sempre stata mantenuta la regola per cui i termini per la realizzazione di azioni procedimentali o processuali, fossero essi espressi in giorni, mesi o anni, a seconda della norma, venivano calcolati a partire dal giorno seguente alla notificazione dell’atto o del provvedimento corrispondente. La LAP 1992 cambiò parzialmente questo panorama, nella misura in cui stabiliva che i termini espressi in mesi o anni fossero calcolati a partire dal giorno stesso della notificazione, ma non eliminava il riferimento al fatto che il calcolo sarebbe stato realizzato da “data a data” (de fecha a fecha), cosa che causò un effetto indesiderabile. Il calcolo da data a data era stato inteso dalla giurisprudenza come equivalente al computo per mesi naturali, cosicché, prima del 1992, ad esempio, un termine di un mese quando la notifica dell’atto si era verificata il tre marzo, cominciava il quattro marzo e si concludeva il tre aprile. Nel calcolare il termine non si teneva conto, cioè, del giorno della notificazione ed esso si concludeva sempre il giorno del mese di scadenza corrispondente al giorno prima di quello in cui si fosse cominciato a calcolare il termine. Questo sistema presupponeva un computo per mesi naturali, dato che il quattro aprile era già il primo giorno di un altro termine. La novità della LAP 1992 comportava che, nel nostro esempio, il termine cominciasse ad essere calcolato il tre marzo (giorno della notificazione e anche dies a quo), ma che si concludesse il due aprile (giorno del mese di scadenza equivalente al giorno precedente a quello in cui si era cominciato a calcolare il termine), cosicché i privati cittadini perdevano un giorno rispetto alla disciplina precedente.
[18] D’altra parte si tenga conto che, com’è previsto dall’art. 48.1 LAP, quando il termine è espresso in giorni, si intenderà che questi sono giorni feriali —vengono esclusi quindi le domeniche e i giorni ufficialmente festivi— mentre il termine verrà calcolato in giorni naturales solo in caso che ciò venga stabilito da una norma specifica.
[19]
Cfr. Jesús González
Pérez, Francisco González
Navarro e Juan José González
Rivas, Comentarios a la Ley 4/1999..., cit., pp. 396-398. Da parte sua,
l’art. 72.2 LAP stabilisce che prima
dell’inizio del procedimento amministrativo, l’organo competente,
d’ufficio o su istanza di parte, nei casi d’urgenza e per la protezione
provvisoria degli interessi coinvolti, potrà adottare le misure necessarie
nei casi previsti espressamente da una norma con rango di legge. Le misure
provvisorie dovranno essere confermate, modificate o sollevate nell’atto
d’avvio del procedimento, che dovrà essere effettuato entro i quindici
giorni seguenti la sua adozione, il quale potrà essere oggetto del ricorso
pertinente.
In ogni caso tali misure rimarranno senza effetto se il procedimento non verrà iniziato entro il termine o se l’atto d’avvio non si pronuncia espressamente al riguardo.
Si tratta di misure cautelari la cui presenza nell’ordinamento si fa sempre più crescente. Dal punto di vista del processo amministrativo italiano, il Disegno di Legge n. 2934 recante Disposizioni in materia di giustizia amministrativa, introduce, com’è noto, questa stessa possibilità all’art. 3.
[20] Per un commento più dettagliato si veda, oltre ai commenti generali, il lavoro di Oriol Mir Puigpelat, “La reforma del sistema de responsabilidad patrimonial de las administraciones públicas operada por la Ley 4/1999, de 13 de enero, de modificación de la LRJPAC”, Revista Jurídica de Catalunya, n. 4/1999, pp. 49-90.
[21] Una precisazione che non è stata ricevuta positivamente da parte di alcuni autori, in quanto —secondo quanto essi sostengono, a nostro avviso con ragione— non si tratta tanto di definire i casi di forza maggiore, quanto di includere una causa di esclusione della responsabiltà patrimoniale, contrariamente a quanto previsto dall’art. 106.2 della CE. Cfr. Jesús Jordano Fraga, “La reforma del artículo 141, apartado 1, de la Ley 30/1992, de 26 de noviembre, o el inicio de la demolición del sistema de responsabilidad objetiva de las Administraciones Públicas”, Revista de Administración Pública, n. 149, 1999, pp. 321-336.
[22] Vid. art. 42 LAP —modificato dalla Legge 4/99—.
[23] Il Consiglio di Stato spagnolo segnalava nel suo parere sul predisegno di Legge di modificazione della LAP (Parere del 22 gennaio 1998, n. 5356) che in tali casi il provvedimento deve avere un contenuto minimo in cui l’organo amministrativo esprima, da una parte —dice il Consiglio di Stato— “il fatto che prenda come base per l’apprezzamento della circostanza impeditiva del provvedimento nel merito di cui si tratta”; e dall’altra —sempre nelle parole dell’alto corpo consultivo— “la norma che fonde l’applicazione della citata circostanza ostativa del provvedimento nel merito”.
Questo parere è stato accolto dal legislatore nel secondo paragrafo dell’art. 42.1 LAP —modificato dalla Legge 4/99—, in cui viene stabilito che il provvedimento consisterà nella dichiarazione della circostanza che interviene in ogni caso, con indicazione dei fatti avvenuti e delle norme applicabili.
[24] La conclusione convenzionale è regolata dall’art. 88 LAP. In questo precetto vengono previste le due categorie o specie di conclusione convenzionale contemplate anche dall’art. 11 della Legge 241/90: l’accordo o contratto sostitutivo del provvedimento (accordi sostitutivi); e l’accordo o contratto previo al provvedimento, ma determinante del suo contenuto (accordi integrativi). Sulla conclusione convenzionale nell’ordinamento spagnolo si vedano Francisco Delgado Piqueras, La terminación convencional del procedimiento administrativo, Aranzadi, Pamplona, 1995, e AA.VV., La apertura del procedimiento administrativo a la negociación con los ciudadanos en la Ley 30/1992 de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común, IVAP, Oñati, 1995.
[25] Cfr. i pareri dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato del 23 febbraio 1995, n. 19 (in Cons. Stato 1995, I, p. 1463) e del 27 gennaio 1994, n. 12 (in Cons. Stato 1995, I, p. 452). In quest’ultimo, il Consiglio di Stato italiano segnala che il Regolamento in cui venga concretizzato il termine massimo per concludere il procedimento “non può stabilire termini per la definizione dei procedimenti così ampi da vanificare la finalità della legge ed eludere l’applicazione, avallando la lentezza dei procedimenti amministrativi, in contrasto con la finalità legislativa di garantire la speditezza dei procedimenti”.
[26] Vid. art. 42.2 LAP —modificato dalla Legge 4/99—.
[27] Naturalmente, quando la notificazione può essere validamente sostituita dalla pubblicazione (vid. art. 59.5 LAP), il riferimento al termine per provvedere e notificare si intenderà relativo al termine per provvedere e pubblicare. Cfr. Parere del Consiglio di Stato spagnolo del 22 gennaio 1998, n. 5356, sul predisegno di legge di modificazione della LAP.
[28] Cfr. Pascual Sala Atienza, Comentarios a la reforma del Procedimiento Administrativo, Tirant lo Blanc, Valencia, 1999, p. 131.
[29] Cfr. Luciano Parejo Alfonso, “La nueva regulación del llamado silencio administrativo”, Documentación Administrativa, n.254-255, 1999, p. 137.
[30] In quest’ultimo caso —quando il procedimento viene avviato su richiesta— la soluzione che la LAP originariamente stabiliva —nella sua versione del 1992— consisteva nel fissare come giorno iniziale del calcolo la data in cui la domanda fosse stata registrata da uno qualsiasi degli uffici di archiviazione degli atti amministrativi (registro) stabiliti dall’art. 38 LAP; a tenore di questo precetto —che in questo punto non ha subito modificazioni— gli interessati possono presentare le loro domande:
a)
Presso
gli uffici di registro degli organi amministrativi a cui esse sono rivolte.
b)
Presso
gli uffici di registro di qualsiasi organo amministrativo, che appartenga
all’Amministrazione Generale dello Stato, presso quella di qualsiasi
Amministrazione delle Comunità Autonome, o quella di uno degli Enti che
fanno parte dell’Amministrazione Locale, se, in quest’ultimo caso, sia
stato sottoscritto l’opportuno accordo.
c)
Presso
gli Uffici Postali, nel modo stabilito dal regolamento.
d)
Presso
le rappresentanze diplomatiche od uffici consolari di Spagna all’estero.
Quest’alternativa presentava non pochi problemi perché obbligava l’organo ricettore della istanza a trasmetterla senza dilazioni all’organo competente per il procedimento. Al fine di evitare che il lasso di tempo necessario per la comunicazione potesse tradursi in una riduzione del termine per decidere il procedimento, ma conservando allo stesso tempo la possibilità che l’interessato possa usare uno qualsiasi dei mezzi che abbiamo appena menzionato per presentare i suoi documenti all’Amministrazione, il legislatore ha deciso che il calcolo inizi dal momento in cui l’organo competente riceve nel proprio ufficio di registro la domanda in questione; un’opzione completata dall’obbligo di comunicare all’interessato la data in cui la sua domanda è entrata presso l’ufficio di registro dell’organo competente per il suo iter (vid. nota 32).
[31] In particolare, le cause di sospensione, previste dall’art. 42.5 LAP, sono le seguenti:
a)
Quando
si debba richiedere all’interessato di rimediare alle deficienze e di
apportare documenti e altri elementi di giudizio necessari, per il tempo che
intercorre tra la notificazione della richiesta e il suo effettivo
compimento da parte del destinatario, o, in sua mancanza, il decorso del
termine concesso, tutto ciò fermo restando quanto previsto dall’articolo
71 della presente Legge.
b)
Quando
si debba ottenere un parere previo e precettivo di un organo delle Comunità
Europee, per il tempo che intercorre tra la richiesta, che dovrà essere
comunicata agli interessati, e la notificazione del parere
all’Amministrazione procedente, che dovrà ugualmente esser loro
comunicata.
c)
Quando
debbano essere richiesti pareri che siano precettivi e determinanti del
contenuto del provvedimento a un organo della stessa o di altra
Amministrazione, per il tempo che intercorre tra la richiesta, che dovrà
essere comunicata agli interessati e il ricevimento del parere, che allo
stesso modo sarà loro comunicato. Questo termine di sospensione non potrà
in nessun caso superare i tre mesi.
d)
Quando
si debbano realizzare prove tecniche o analisi contraddittorie o dirimenti
proposte dagli interessati, per il tempo necessario perché i risultati
siano incorporati al procedimento.
e) Quando vengano iniziate negoziazioni in vista della conclusione di un accordo o contratto nei termini previsti dall’articolo 88 di questa legge, dalla dichiarazione formale al riguardo e fino alla conclusione senza effetto, se si verifica, delle suddette negoziazioni che si constaterà mediante dichiarazione formulata dall’Amministrazione o dagli interessati.
In generale, i primi commenti della dottrina concordano nel valutare positivamente queste ipotesi in quanto esse indicano atti che non giustificano una riduzione del termine per provvedere e notificare il procedimento. Cionondimeno, questo giudizio favorevole diventa meno inequivocabile nel caso previsto dalla lettera c) riguardante il tempo necessario ad evacuare un parere precettivo determinante. Questa causa di sospensione fu infatti oggetto di dibattito nel corso dei lavori parlamentari e la sua redazione attuale risponde, in realtà, alla ricerca di un consenso tra le diverse posizioni; al fine di conciliare la posizione di alcuni gruppi parlamentari, che invocavano la soppressione di questa disposizione per evitare che diventasse una misura di dilatazione sine die dei procedimenti, (vid. l’emendamento numero 42, presentato dal gruppo parlamentare di Izquierda Unida, nel Boletín Oficial de las Cortes Generales del 5 giugno 1998, Congreso de los Diputados, VI Legislatura, Serie A, n. 109-11, p. 48) venne aggiunta una postilla, secondo la quale la sospensione che provoca l’emissione del parere determinante non potrà in nessun caso superare i tre mesi. In questo modo la causa di sospensione viene mantenuta, ma la sua estensione temporale resta limitata, impedendo così, che la funzione consultiva possa differire indefinitamente la conclusione del procedimento.
[32] Quest’obbligo di notificare l’avvio del procedimento è indicato all’art. 42.4 § 2 LAP —modificato dalla Legge 4/99— ed è stato oggetto di sviluppo, nell’ambito dell’Amministrazione Generale dello Stato, mediante l’Ordinanza del 14 aprile 1999, in cui vengono definiti gli estremi che dovranno figurare nella comunicazione da trasmettere agli interessati. Nei procedimenti avviati d’ufficio la notifica avrà il seguente contenuto:
a) Denominazione e oggetto del procedimento avviato.
b) Codice o numero di identificazione del procedimento.
c) Specificazione del termine massimo per provvedere e notificare il provvedimento e data a partire dalla quale si inizia il calcolo di tale termine.
d) Mezzi (telefono, indirizzo postale, fax, posta elettronica,...) a cui si può ricorrere per ottenere informazioni sullo stato del procedimento.
Lo stesso contenuto dovrà figurare nella notifica che si effettui riguardo ai procedimenti avviati su istanza dell’interessato. In questo caso vi è però una serie di particolarità sulle quali conviene soffermarsi. Quando il procedimento è stato avviato su istanza dell’interessato, la comunicazione non ha, logicamente, lo scopo di informarlo dell’avvio del procedimento, ma di fargli conoscere il termine di cui l’Amministrazione dispone per provvedere e notificare il provvedimento; cosa che risulta particolarmente trascendentale se si considera il fatto che il dies a quo non è il giorno in cui l’interessato presenta la sua richiesta presso uno qualsiasi degli uffici precedentemente menzionati, ma il giorno in cui essa fa il suo ingresso presso l’ufficio di registro dell’organo competente. Di qui che il computo del termine richieda ineludibilmente che l’interessato sappia quando la sua richiesta ha fatto il proprio ingresso presso l’ufficio di registro dell’organo competente, e questo è lo scopo della notificazione in questione. Quando l’ufficio procedente riceva l’istanza, dovrà comunicarlo all’interessato entro i dieci giorni seguenti.
D’altra parte il contenuto della notifica sarà, come abbiamo appena segnalato, lo stesso rispetto ai procedimenti avviati d’ufficio. Vi è però una piccola differenza: bisognerà indicare, inoltre, quali sono gli effetti che derivano dal mancato rispetto del termine, ovverosia il senso di assenso o rifiuto che il silenzio dell’Amministrazione acquisirà.
[33] Sentenza del 5 novembre 1996 —consultabile in Foro Amministrativo, 1997, p. 724—. Sulla decisiva trascendenza di questa comunicazione nell’ambito della partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo, si veda, tra gli altri, Gianluca Gardini, La comunicazione degli atti amministrativi, Milano, 1996, p. 59.
[34] Vid., in particolare , le lettere b) e c) dell’art. 42.5 LAP —già riportato in precedenza—.
[35] Secondo quanto stabilito da questo precetto, la notificazione dovrà contenere il testo integrale del provvedimento, indicando se pone fine o meno alla via amministrativa, l’espressione dei ricorsi pertinenti, l’organo presso il quale essi possono essere presentati e il termine per proporli.
[36] L’art. 44.4 LAP —modificato dalla Legge 4/99— segnala che ai soli effetti di intendersi compiuto l’obbligo di notificare entro il termine massimo di durata dei procedimenti, sarà sufficiente la notificazione che contenga quanto meno il testo integrale del provvedimento, nonché il tentativo di notificazione debitamente accreditato.
[37] Il problema che sorge in relazione al trattamento delle infrazioni temporali nel procedimento deve essere affrontato da una premessa che è identica sia nel caso spagnolo che in quello italiano: il mancato rispetto del termine per provvedere non porta con sé effetti di carattere invalidante. La giurisprudenza italiana è chiara al riguardo quando indica che “il superamento dei termini previsti per la conclusione del procedimento amministrativo e l’adozione del provvedimento espresso non si riflette ex se sulla legittimità del provvedimento tardivamente adottato” (Sentenza T.A.R. Abruzzo, 18 febbraio 1997, n.43 —in Foro amministrativo, 1997, p. 2473—). Nello stesso senso, l’art. 63.3 LAP dispone che la realizzazione di atti amministrativi fuori dal tempo per essi stabilito implicherà l’annullabilità dell’atto solo quando così sia imposto dalla natura del termine.
Stando così le cose, il trattamento dei vizi di tempo deve venire trasferito verso l’ambito proprio di quelli effetti collegati alle irregolarità, cioè verso la responsabilità disciplinare e la responsabilità extracontrattuale dell’Amministrazione (cfr. l’eccellente lavoro di Antonio Romano Tassone, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrativi, Torino, 1993). Inoltre, le difficoltà pratiche della prima, fanno sì che tutti gli sguardi si volgano verso l’ambito della responsabilità extracontrattuale.
[38] La prima nota sulla quale vogliamo attirare l’attenzione sta nella natura giuridica di questa misura, in quanto non si adegua allo schema generale della responsabilità. Si tratta, infatti, di un risarcimento pecuniario che si attiva in modo automatico in caso di mancato rispetto del termine, indipendentemente dall’effettiva produzione di un danno. In altre parole, l’interessato non deve sostenere il peso di provare le ripercussioni lesive che il ritardo ha causato sul suo patrimonio giuridico.
In secondo luogo, bisogna soffermarsi sui beneficiari di tale compensazione automatica. Il tenore letterale del precetto fa allusione ai soggetti richiedenti il provvedimento, e da ciò si deduce, ad avviso di alcuni autori, che l’ambito applicativo della norma resti circoscritto ai procedimenti amministrativi avviati mediante richiesta dell’interessato e suscettibili di concludersi mediante un provvedimento ampliativo della loro sfera giuridica (in questo senso, Francesco Mele, “La semplificazione del procedimiento amministrativo nelle leggi 15 marzo 1997, n. 59 e 15 maggio 1997, n. 127 (cd. riforma Bassanini)”, Diritto Processuale Amministrativo, n. 4/1997, p. 794). Anche se questa è un’interpretazione che già era stata avanzata in alcuni studi sull’infrazione dell’art. 2 della Legge 241/1990 (cfr. Marcello Clarich, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995, pp. 139-148) da parte nostra intendiamo che i termini del precetto ammettono un’interpretazione più ampia dei casi in cui l’indennizzo sia pertinente. Rifacendosi ad un’interpretazione teleologica del precetto, si potrebbe sostenere che la determinazione di tale indennizzo monetario costituisce un meccanismo che deve andare a beneficio del soggetto a cui interessa l’adozione del provvedimento o atto di cui si tratta, anche quando detto provvedimento, da una prospettiva obbiettiva, abbia un carattere restrittivo. Nei procedimenti possono intervenire diversi interessati con posizioni e pretese divergenti e anche antagonistiche; cosicché, mentre alcuni interessati volgeranno le loro pretese verso l’adozione concreta di un provvedimento, le pretese dei restanti partecipanti potranno essere dirette in senso opposto. Il carattere ampliativo o restrittivo del provvedimento finale dovrà, quindi, essere analizzato da una prospettiva soggettiva, in considerazione della posizione del soggetto di cui si tratta, e non del contenuto oggettivo dell’atto. E ciò al dilà del fatto che l’avvio del procedimento sia stata effettuata d’ufficio (attraverso atto d’avvio dell’organo competente) oppure su istanza o richiesta della persona interessata.
Vi sono, per il resto, anche altri estremi che non risultano
d’inequivocabile interpretazione. In questo senso Mele considera che ci troviamo davanti ad un indennizzo che
cede davanti alla presenza di una causa di giustificazione. La precisazione
di un risarcimento monetario, così, farebbe unicamente riferimento ai
ritardi ingiustificati (Francesco Mele,
“La semplificazione del procedimento amministrativo...”, cit., p. 807). Questa lettura interpretativa può comportare, a
nostro giudizio, uno svuotamento della misura in questione, in quanto si
apre la strada all’applicazione di criteri
giurisprudenziali sul carattere giustificato o meno del ritardo, che possono
sfociare in linee d’azione simili a quelle utilizzate in rapporto con il
diritto ad un processo giurisdizionale senza dilazioni indebite.
D’altra parte è necessario determinare se l’obbligo di provvedere entro il termine può essere assolto mediante un provvedimento formale che non arrivi a risolvere il fondo della questione. Accettando una risposta positiva, l’Amministrazione potrebbe schiavre il pagamento di questi indennizzi adottando sistematicamente provvedimenti vuoti di contenuto, ossia, provvedimenti che non prendano in considerazione la realtà soggiacente e gli interessi che concorrono nel caso concreto. Benchè la soluzione di questa questione risulti complessa, intendiamo che l’obbligo di provvedere non possa essere separato dal correlativo obbligo di motivare il provvedimento.
[39] Conviene chiarire che la comparsa del silenzio assenso non estingue l’obbligo di dettare il provvedimento espresso; l’Amministrazione continuerà ad avere l’obbligo di pronunciarsi in modo espresso sul procedimento, ma quando lo farà si troverà ad essere vincolata dal senso del silenzio, cosicché potrà solo adottare un provvedimento di segno favorevole alla pretesa sostenuta dall’interessato. Come segnala lo stesso art. 43.4.a LAP, nei casi di accoglimento per silenzio amministrativo, il provvedimento espresso posteriore alla produzione dell’atto potrà essere dettato solo se è confirmatorio dello stesso.
[40] Logicamente, il provvedimento espresso che venga adottato posteriormente alla produzione del silenzio non sarà condizionato —a differenza di quanto accade con il silenzio assenso— dal senso sfavorevole del silenzio. A tale effetto, l’art. 43.4.b LAP prevede che nei casi di rifiuto per silenzio amministrativo, il provvedimento espresso posteriore alla scadenza del termine sarà adottato dall’Amministrazione senza alcun vincolo al senso del silenzio.
[41] Nella dottrina italina, e seguendo le considerazioni che effettua Cerulli Irelli, possiamo differenziare, all’interno del silenzio significativo, da una parte il silenzio rifiuto, che dà all’interessato unicamente la facoltà di impugnare il diniego della sua pretesa tramite i ricorsi che ritiene opportuni —in altre parole, la scadenza del termine, lungi dall’acquisire un contenuto decisorio o sostantivo, passa ad essere una mera finzione che servirà a preservare l’esercizio del diritto di difesa dell’interessato—; e, dall’altra, il silenzio assenso in cui l’ordinamento giuridico, a differenza del precedente, attribuisce al decorso del termine stabilito un significato decisorio, integrando la volontà amministrativa attraverso la pretesa contenuta nella richiesta dell’interessato. È per questo che qui possiamo parlare di un vero atto amministrativo che potrà solo essere modificato attraverso i meccanismi di impugnazione e revisione d’ufficio. Il silenzio rifiuto, al contrario, non raggiungerà la considerazione di atto amministrativo, e pertanto in tal caso non cesserà l’obbligo di adottare un provvedimento espresso che concluda il procedimento (Vincenzo Cerulli Irelli, Corso di Diritto Amministrativo, Torino, 1997, pp. 479-486 e 489-496).
[42] Una relazione dell’Ispezione dei Servizi del Ministero delle Pubbliche Amministrazioni realizzato nel 1996 intorno all’attuazione regolamentare della LAP del 1992, mostrava cifre significative su questo particolare: nel 77,5 % dei procedimenti amministrativi veniva stabilito il carattere sfavorevole o «negativo» del silenzio, mentre il 22,5 % si avvaleva del regime del silenzio favorevole. Questi dati possono essere visti in Jaime Rodríguez-Arana Muñoz, “La reforma de la Ley 30/1992 y su incidencia en la Administración Local”, cit., p.25.
[43] Questo sistema di clausola generale contrasta con l’impostazione adottata dall’ordinamento italiano, secondo il quale, in virtù di quanto previsto dall’art. 20 della Legge 241/1990, i procedimenti nei quali si applicherà il silenzio assenso saranno quelli espressamente previsti dalla normativa regolamentare —attualmente, il d.p.r. del 26 aprile 1992, n. 300 e il d.p.r. 9 maggio 1994, n. 407—.
[44] In quest’ultimo caso vige una regola speciale secondo la quale, quando il procedimento d’impugnazione ha per oggetto il rifiuto di una richiesta per silenzio amministrativo, il decorso del termine per decidere il procedimento di ricorso, anche se in principio dovrebbe avere carattere di rifiuto, viene alterato e passerà ad avere carattere di assenso (vid. art. 43.2 in fine LAP).
[45] È dubbio che questa disposizione possa servire per conseguire che il silenzio assenso abbia un’effettiva portata generale. Come hanno segnalato García de Enterría e Fernández Rodríguez, sarebbe stato più prudente e giusto stabilire il carattere di rifiuto del silenzio come regola generale applicabile in mancanza di una disposizione che stabilisse espressamente il contrario (cfr. Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso de Derecho Administrativo, vol. I, 9ª ed., 1999, p. 593).
[46] Cfr. il recente lavoro di Luciano Parejo Alfonso, La nueva regulación del llamado silencio administrativo..., cit., pp. 111 e ss.
[47] Tra di essi si trova la possibilità di richiedere all’organo competente a provvedere un certificato accreditativo del silenzio, che dovrà essere emesso entro un termine massimo di quindici giorni (vid. art. 42.5 LAP —modificato dalla Legge 4/99—).
Nonostante che il legislatore abbia voluto lasciare la porta aperta alla possibilità di usare qualsiasi mezzo di prova al fine di provare l’esistenza del silenzio, bisogna convenire che con ciò non si risolvono i problemi che insorgono in questo ambito. È vero che l’accreditazione dell’esistenza del silenzio può essere superata mediante il ricorso a differenti formule o mezzi di prova, ma ciò non equivale a provare il contenuto che dobbiamo attribuire a tale silenzio. In altre parole, la prova dell’esistenza del silenzio —e del suo senso di assenso o rifiuto— non ci permette di scindere e profilare dettagliatamente qual è il contenuto sostantivo della volontà amministrativa che si presume. Cfr. al riguardo le considerazioni di Luciano Parejo Alfonso, La nueva regulación del llamado silencio administrativo..., cit., p. 153.
[48] Gli effetti che provoca la dichiarazione di caducazione sono regolati all’art. 92 LAP. In concreto, il comma terzo di questo precetto indica che la caducazione di per se stessa non provocherà la prescrizione delle azioni dell’interessato o dell’Amministrazione, ma i procedimenti caducati non interroperanno il termine di prescrizione. Un esame della figura della caducazione nel Diritto Amministrativo spagnolo può essere visto in Francisco Hernández González, La caducidad del procedimiento administrativo, Montecorvo, Madrid, 1998, e Rafael Cabellero Sánchez, Prescripción y caducidad en el ordenamiento administrativo, McGrawHill, Madrid, 1999.
D’altra parte bisogna segnalare che nei casi in cui la paralizzazione del procedimento può essere imputata all’azione stessa dell’interessato, non entrerà in gioco, com’è logico, la caducazione, ma il termine per provvedere e notificare il procedimento verrà interrotto (vid. art. 44.2 LAP —nella sua versione attuale—).
[49] Durante l’iter parlamentare della Legge 4/99, il gruppo parlamentare di Izquierda Unida discusse l’applicazione del silenzio rifiuto in questi casi, perché, come sosteneva questo gruppo, ciò può comportare alcune incongruenze se teniamo conto della circostanza che molti procedimenti possono venire avviati, indistintamente, a richiesta dell’interessato oppure tramite un atto dell’organo competente (cfr. emendamento numero 41 e la sua giustificazione sul Boletín Oficial de las Cortes Generales del 5 giugno 1998, Congreso de los Diputados, VI Legislatura, Serie A, n. 109-11, p. 48).
[50] Vid. Parere del Consiglio di Stato spagnolo del 22 gennaio 1998, n. 5356, sul predisegno di Legge di modificazione della LAP. Nella stessa linea del Consiglio di Stato, il gruppo parlamentare basco presentò senza successo un emendamento (emendamento numero 15, Boletín Oficial de las Cortes Generales del 5 giugno 1998, Congreso de los Diputados, VI Legislatura, Serie A, n.109-11, pag. 41) finalizzata a migliorare la redazione dell’art. 44 aggiungendo un nuovo comma del seguente tenore: “Nei casi in cui dal procedimento possono derivare effetti sfavorevoli per gli uni e favorevoli per gli altri, si applicherà unicamente la regola stabilita nel numero due pertinente”.
[51] La nozione di “procedimento di secondo grado”, di uso poco frequente nella dottrina spagnola, si trova invece in numerosi autori italiani; per tutti, Massimo Severo Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, 2ª ed., Milano, 1988, p. 542.
[52] Cfr. Vicenzo Cerulli Irelli, Corso..., cit., pp. 588-589 e 643. In Spagna la revisione d’ufficio, anche con estensione diseguale, era già regolata con carattere generale nell’art. 37 del Decreto del 26 luglio 1957, mediante il quale veniva approvato il testo unico della Legge di Regime Giuridico dell’Amministrazione dello Stato, così come agli artt. 109-112 LPA 1958.
[53] I ricorsi nell’ambito tributario sono stati espressamente esclusi dalla LAP dalla Legge 4/99 (art. 107.4 e disp. agg. 5ª), di modo che, in questo ambito, essi saranno guidati da disposizioni specifiche. All’interno dei metodi di impugnazione in questo ambito risalta il cosiddetto ricorso economico-amministrativo, che si propone presso organi amministrativi paragiurisdizionali detti Tribunali Economico-Amministrativi. Neppure le impugnazioni di atti della Previdenza Sociale e Disoccupazione sono guidate dal sistema di ricorsi della LAP (disp. agg. 6ª).
[54] Vi sono diversi tipi di reclami previ obbligatori nell’ordinamento spagnolo. I più caratteristici sono i reclami previ all’esercizio di azioni civili e di lavoro (artt. 120 e ss. LAP), i quali, da un lato presuppongono un privilegio a favore delle Pubbliche Amministrazioni, se teniamo conto che la fase di conciliazione previa nei litigi civili tra privati è meramente facoltativa e, dall’altro, si scostano dalla natura dei ricorsi amministrativi in quanto hanno per oggetto atti o comportamenti dell’Amministrazione basati su Diritti materiali diversi da quello Amministrativo. Ma, oltre a questi, vi sono altri reclami previ riferiti a questioni propriamente giuridico-amministrative, ma che non consistono nell’impugnazione di un’attività formale dell’Amministrazione, ma di una sua condotta attiva od omissiva. Si tratta dei reclami nei confronti delle attuazioni materiali costitutive di vie di fatto e nei confronti della cosiddetta inattività materiale (artt. 29 e 30 della Legge 29/1998, del 13 luglio, sulla Giurisdizione Contenzioso-Amministrativa —in seguito, LJ—).
[55]
L’art. 53 LJ del 1956 disponeva che saranno eccettuati dal ricorso in opposizione:
a)
Gli atti che implicassero la decisione di qualsiasi ricorso
amministrativo, compreso l’economico-amministrativo.
b)
Quelli dettati nell’esercizio della potestà di fiscalizzazione
sugli atti provenienti da un altro Organo, Corporazione o Istituzione se
fossero d’approvazione dell’atto fiscalizzato.
c)
Gli atti presunti, in virtù del silenzio amministrativo, regolato
all’art. 38.
d)
Gli atti non manifestati per iscritto.
e)
Le disposizioni di carattere generale, nel caso previsto all’art.
39, comma primo.
In tutti questi casi il ricorso in
opposizione era facoltativo. Bisogna considerare, per quanto riguarda
il comma a)
dell’articolo riprodotto che, se la decisione era di un ricorso di
reposición, non era possibile, secondo la logica, proporlo nuovamente, come
sarebbe stato chiarito in seguito dall’art. 126.3 LPA 1958. Per quanto
concerne l’eccezione citata nel comma e)
relativa alle disposizioni generali, il rinvio che conteneva permise di
intendere, in una prima analisi, che le uniche disposizioni generali
sottoposte all’obbligo di ricorso in opposizione erano quelle denominate
“autoapplicative” (art. 39.3 LJ 1956). L’opposizone di parte della
dottrina a questa esclusione selettiva delle disposizioni generali in
relazione al ricorso in opposizione, intendendo, tra le altre cose, che le
norme regolamentari non danno luogo, in nessun caso, alla nascita di un
rapporto giuridico tra l’Amministrazione e l’amministrato, della quale
essa possa disporre per via di ricorso (Eduardo García
de Enterría, “Recurso contencioso directo contra disposiciones
reglamentarias y recurso previo de reposición”, Revista de Administración Pública, nº 29, 1959, pp. 161 e ss.),
così come la posteriore conferma tramite il Tribunale Costituzionale (TC)
—STC 32/1991, del 14 febbraio— che non era possibile esigere il ricorso
in opposizione in relazione a disposizioni generali, determinò infine che
detto rimedio passasse ad essere facoltativo in relazione con tutte loro.
L’esclusione dei ricorsi amministrativi diretti contro i regolamenti è
stata generalizzata, come vedremo, nella legislazione sul procedimento
posteriore al 1958.
[56] Cfr. Sebastiano Cassarino, Manuale di Diritto processuale amministrativo, Milano, 1990, pp. 279-281.
Tuttavia, la LPA 1958 (art. 122.3) introdusse un altro ricorso speciale che, con il nome di recurso de súplica, poteva essere proposto presso i massimi organi del Governo della nazione: il Consiglio dei Ministri, le Commissioni Delegate del Governo e il Presidente del Consiglio. I suoi tratti caratteristici consistevano nel fatto che la risoluzione del ricorso era affidata a un organo che non era in senso stretto, superiore gerarchico di quello che aveva emesso l’atto impugnato, e, inoltre, la sua proposizione era possibile solo quando una norma legale lo avesse previsto.
[57] Cfr. Preambolo (13).
[58] In realtà questa comunicazione previa non ha assolto lo scopo conciliatore che le si voleva assegnare, dato che non era necessario aspettare una risposta dell’Amministrazione, e nenache è servita come ultima via perché questa tornasse sui propri atti prima dell’inzio della litis vera e propria, nella misura in cui non esisteva un termine concreto per la previa presentazione di detta comunicazione, che poteva essere effettuata lo stesso giorno della interposizione del ricorso giurisdizionale e, anche, la giurisprudenza ha considerato che la sua mancanza, una volta proposto il ricorso, fosse perfettamente sanabile (STS de 22 aprile 1996; STC 76/1996, del 30 aprile). In ogni caso, la norma che conteneva detto dovere (art. 110.3 LAP) è stata espressamente derogata dalla LJ 1998.
[59]
Per segnalare solo alcuni esempi, García
de Enterría e Fernández Rodríguez
in proposito affermano che “ancora più grave da tutti i punti di vista
era l’eliminazione pura e semplice da parte della LPC del vecchio ricorso
in opposizione contro gli atti dettati dagli organi e autorità che ultimano
la via amministrativa. Dal punto di vista costituzionale, ciò lasciava
tutti i cittadini senza alcuna garanzia negli affari di scarsa entità
economica, nei quali l’accesso ai tribunali risulta sproporzionato e
antieconomico” (Eduardo García de
Enterría e Tomás Ramón Fernández,
Curso..., cit.,
vol. II, 6ª ed., 1999, p. 510); si mostrano critici anche Ramón Parada
Vázquez, Régimen Jurídico de
las Administraciones Públicas y Procedimiento Administrativo Común (Estudio,
comentarios y texto de la Ley 30/1992, de 26 de noviembre), Marcial Pons,
Madrid, 1999, p. 383; Jesús González
Pérez, Francisco González
Navarro e Juan José González
Rivas, Comentarios a la Ley
4/1999..., cit., p. 53.
[60] Gli enti locali spagnoli hanno tradizionalmente affidato la soluzione dei ricorsi amministrativi ai loro stessi servizi attivi, i quali, più prossimi alla realtà su cui incide l’atto impugnato e agli interessi implicati, presentavano una disponibilità alla rettificazione delle loro decisioni più elevata delle altre Pubbliche Amministrazioni, disponibilità ancora maggiore nei tempi in cui la difesa processuale dell’Amministrazione locale fu affidata all’Avvocatura dello Stato, formata da avvocati in principio estranei alla problematica e agli interessi locali.
[61] In realtà, il ricorso in opposizione è stato reintrodotto nel nostro ordinamento poco prima della Legge 4/99, dalla LJ 1998 —art. 46.4— che, in un impeto di fiducia nell’inalterabilità in sede parlamentare del disegno di legge di riforma del procedimento amministrativo, riconobbe la sua esistenza vari mesi prima che fosse approvato definitivamente.
[62] Cfr. Juan Pemán Gavín, “Vía administrativa previa y derecho a la tutela judicial”, Revista de Administración Pública, n. 127, 1992, pp. 145 e ss.; Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. II, pp. 507-511.
[63] Il suddetto precetto stabilisce, dopo il 1999, che la stessa possibilità di sostituzione operi in relazione al ricorso in opposizione, e dispone che l’applicazione di questi procedimenti nell’ambito dell’Amministrazione Locale non potrà comportare la non conoscenza delle facoltà risolutorie riconosciute agli organi rappresentativi eletti stabiliti dalla Legge, affermazione che di certo viene a ridurre l’efficacia della norma.
[64] Lo riconoscono, tra gli altri, Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. II, p. 534; Ramón Parada Vázquez, op. cit., p. 384; Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, Comentarios a la Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y Procedimiento Administrativo Común (Ley 30/1992, de 26 de noviembre), vol. II, 2ª ed., Civitas, Madrid, 1999, pp. 2296 e 2297. I motivi della mancata operatività sono diversi; tra cui che essi devono essere instaurati da una norma con rango di Legge, cosicché le esigenze stabilite all’art. 107.2 (che si tratti di organi collegiali o commissioni specifiche non sottoposte ad istruzioni gerarchiche, nonché il necessario rispetto da parte di detti meccanismi sostitutivi ai principi, garanzie e termini che la LAP riconosce ai cittadini e interessati in qualsiasi procedimento amministrativo) possono essere perfettamente ovviate dal legislatore futuro.
[65] Tale articolo stabilisce che l’interposizione del ricorso dovrà esprimere:
a)
Nome e cognome del ricorrente, nonché la sua identificazione
personale.
b)
L’atto che viene impugnato e la ragione dell’ impugnazione.
c)
Luogo, data, firma del ricorrente, identificazione del mezzo e, se
necessario, del luogo segnalato agli effetti della notificazione.
d)
Organo, centro o unità amministrativa a cui si rivolge.
e) Altre peculiarità eventualmente richieste da disposizioni specifiche.
[66] La stessa LAP contiene alcune precisazioni al riguardo; l’art. 138.3, ad esempio, dispone che gli atti mediante i quali vengono decisi i procedimenti sanzionatori, saranno esecutivi solo quando mettono fine alla via amministrativa, dimodoché, se contro tale atto risolutorio è possibile un ricorso gerarchico, la sua efficacia si vedrà rinviata finchè questo non sarà deciso (nello stesso senso l’art. 21.2 del Decreto Reale 1398/1993, del 4 agosto, mediante il quale viene approvato il Regolamento del procedimento per l’Esercizio della Potestà Sanzionatrice). Sembra che il legislatore del 1999 non abbia tenuto in gran conto in questa materia la reintroduzione del ricorso facoltativo de reposición. Nella misura in cui tale ricorso viene proposto contro provvedimenti che abbiano posto fine alla via amministrativa, forse sarebbe stato conveniente prevedere anche il ritardo dell’efficacia del provvedimento sanzionatore in caso l’interessato avesse optato per interporre tale ricorso: in altre parole, forse sarebbe stato conveniente subordinare in ogni caso l’esecutività dell’atto al suo carattere inoppugnabile in via amministrativa, cosa che di certo non ha lo stesso significato.
[67] Cfr. Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2321.
[68] Questo regime così progressivo non è stato giudicato positivamente da tutta la dottrina. È stato detto, infatti, che “da questo regime di silenzio amministrativo risulta senza dubbio una contrapposizone irragionevole, giacché non si capisce come condizioni estremamente rigorose richieste per concedere la sospensione di atti espressi, si riducano a niente quando si tratta di atti presunti; e null’altro che scandalo deve suscitare il fatto che l’esecutività degli atti amministrativi, blindata da tutto quanto detto nei confronti dell’atto espresso resti così facilmente disarmata nei confronti degli atti presunti e nonostante i danni all’interesse pubblico o a terzi che potrebbero essere causati dalla mancata esecuzione dell’atto, cosa che viene dimenticata per il semplice fatto di punire a scapito altrui la negligenza di non rispondere a una richiesta di sospensione entro sì breve termine” (Ramón Parada Vázquez op. cit., p. 388).
[69] Andrés de la Oliva e Miguel Ángel Fernández, Derecho Procesal civil, vol. II, 3ª ed., Ed. Centro de Estudios Ramón Areces, Madrid, 1994, p. 561.
[70] L’art. 102.1 stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni, in qualsiasi momento, per iniziativa propria o su richiesta dell’interessato, e previo parere favorevole del Consiglio di Stato o organo consultivo equivalente della Comunità Autonoma, qualora esistesse, dichiareranno d’ufficio la nullità degli atti amministrativi che abbiano messo fine alla via amministrativa o che non siano stati impugnati entro i termini, nei casi previsti dall’articolo 62.1. Da parte sua, il comma 2 dello stesso articolo 62 dispone che allo stesso modo, in qualsiasi momento, le Pubbliche Amministrazioni d’ufficio, e previo parere favorevole del Consiglio di Stato od organo consultivo equivalente della Comunità Autonoma qualora esistesse, potranno dichiarare la nullità delle disposizioni amministrative nei casi previsti all’articolo 62.2. Quest’ultimo comma prevede in modo espresso e definitivo, la possibilità di rivedere d’ufficio le disposizioni generali, possibilità che è stata discussa dottrinalmente dalla LPA 1958 fino alla riforma del 1999.
[71]
L’art. 62.1 LAP stabilisce che gli
atti delle Pubbliche amministrazioni sono nulli di pieno diritto nei
seguenti casi:
a)
quelli che ledono i diritti e le libertà suscettibili di
“amparo” costituzionale;
b)
quelli dettati da un organo manifestamente incompetente in ragione
della materia o del territorio;
c)
quelli che hanno un contenuto impossibile;
d)
quelli che siano costitutivi di infrazione penale o siano dettati a
conseguenza di quest’ultima;
e)
quelli dettati prescindendo totalmente e assolutamente dal
procedimento legalmente stabilito o dalle norme che contengono le regole
essenziali per la formazione della volontà degli organi collegiali;
f)
gli atti espressi o presunti contrari all’ordinamento giuridico per
mezzo dei quali vengono acquisiti facoltà o diritti quando non si
possiedono i requisiti essenziali per la loro acquisizione;
g)
qualsiasi altro che stabilisca espressamente una disposizione di
rango legale.
Si può accennare che il comma a) di questo articolo è stato modificato dalla Legge 4/99, che ha soppresso l’espressione “contenuto essenziale” come oggetto della lesione dei diritti e delle libertà, ma questa non sembra la sede adeguata per approfondire le varie differenze di regime giuridico tra i due tipi di invalidità nell’ordinamento spagnolo, regime che si scosta sensibilmente da quello proprio degli atti amministrativi nel suo omologo italiano. A proposito della soppressione da parte della Legge 4/99 dell’espressione riferita nell’art. 62.1.a LAP e alle critiche dottrinali che suscitò la redazione originaria del precetto, vid. Tomás de la Quadra-Salcedo, “La revisión de los actos y disposiciones nulos y anulables y la revocación de actos”, Documentación Administrativa, nº 254-255, 1999, pp. 199-203. Sulla distinzione tra la nullità e l’annullabilità nel Diritto pubblico spagnolo, vid., ex plurimis, Margarita Beladíez Rojo, Validez y eficacia de los actos administrativos, Marcial Pons, Madrid, 1994 e Juan Alfonso Santamaría Pastor, La nulidad de pleno derecho de los actos administrativos. Contribución a una teoría de la ineficacia en el Derecho público, 2ª ed., Instituto de Estudios Administrativos, Madrid, 1975, i quali, trovano la differenza accennata nell’imprescrittibilità dell’azione per far valere la nullità, cosa che si riflette precisamente nella possibilità di procedere alla revisione d’ufficio degli atti nulli in qualsiasi momento, al contrario di quanto avviene con la dichiarazione di lesività degli atti annullabili. L’unica diffrenza legale tra i due istituti, consistente nel fatto che solo gli atti annullabili possono essere convalidati —art. 67 LAP—, è stata criticata da una certa dottrina come irragionevole, in quanto impedisce all’amministrazione precisamente di rimediare ai vizi più gravi; cfr. Carmen Chinchilla Marín, “Nulidad y anulabilidad”, in Jesús Leguina Villa e Miguel Sánchez Morón (dir.), La nueva Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común, Tecnos, Madrid, 1993, p. 212.
[72] L’art. 62.2 LAP dispone che saranno ugualmente nulle di pieno diritto le disposizioni amministrative che vulnerano la Costituzione, le leggi o altre disposizioni amministrative di rango superiore, che regolino materie riservate alla Legge, e quelle che stabiliscono la retroattività di disposizioni sanzionatrici non favorevoli o restrittive dei diritti individuali. Come si avverte, per la speciale trascendenza dei regolamenti sulla comunità, il legislatore spagnolo ha voluto separare chiaramente il sistema di invalidità degli atti amministrativi e dei regolamenti, stabilendo che, in rapporto a questi ultimi, l’unica possibile conseguenza invalidante è la nullità di pieno diritto. La redazione del precetto fa sì che esso venga interpretato nel senso che tale grado di invalidità sia pertinente sia per vizi di contenuto che di procedimento, giacché in definitiva, le disposizioni sul procedimento e la competenza nell’elaborazione dei regolamenti sono indicate in norme con rango legale; cfr. Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 214-217.
[73] L’art. 63 LAP stabilisce che 1. Sono annullabili gli atti dell’Amministrazione che incorrono in qualsiasi infrazione dell’ordinamento giuridico, compreso lo sviamento di potere. 2. Tuttavia, il difetto di forma determinerà l’annullabilità solo quando l’atto non possegga i requisiti formali indispensabili per raggiungere il proprio fine o dia adito alla indifensione degli interessati. 3. La realizzazione di attuazioni amministrative fuori dai tempi per esse stabiliti, implicherà l’annullabilità dell’atto solo quando ciò sia imposto dalla natura del tempo o termine.
L’assegnazione attuata dal legislatore tra infrazioni e grado di invalidità, a volte è stata giudicata poco ragionevole. È stato inteso, così, che il vizio di sviamento, tenendo conto delle cause di nullità, meriterebbe di essere annoverato tra di esse e non tra i casi di annullabilità, dato che presuppone una delle più gravi illegalità che l’Amministrazione possa commettere, in quanto implica una perversione dell’elemento teleologico della potestà; cfr. Carmen Chinchilla Marín, op. cit., p. 205. D’altra parte, il caso di nullità di cui all’art. 62.1.f LAP, grazie ad un’interpretazione ampia del termine “requisiti essenziali”, ha portato a che l’Amministrazione abbia tentato di revisionare senza vincoli a termini, atti amministrativi semplicemente annullabili —che, in seguito alla Legge 4/99, in ogni caso devono essere dichiarati lesivi e impugnati presso la giurisdizione amministrativa—, pratica che ha condotto il Consiglio di Stato spagnolo a segnalare che tale caso di nullità deve essere interpretato in senso restrittivo (tra gli altri, Parere dell’11 dicembre 1997, n. 5.380).
[74] In relazione agli atti “che non sono stati impugnati entro i termini”, si tratta di una nuova redazione apportata dalla Legge 4/99. La redazione originaria della LAP faceva riferimento agli atti “contro i quali non sia stato proposto ricorso amministrativo entro i termini”. Bisogna tuttavia considerare che la riforma non altera nulla, giacché se si intendesse la non interposizione del ricorso entro i termini come comprensiva del ricorso contenzioso, non avrebbe senso il riferimento alla possibilità di revisionare gli atti che abbiano posto fine alla via amministrativa, i quali non implicano di per sé l’esaurimento dei termini per l’interposizione del ricorso contenzioso; cfr. Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, op. cit., pp. 412-414.
Il Consiglio di Stato spagnolo, tuttavia, ha inteso, ragionevolmente, che non è possibile revisionare atti amministrativi confermati da sentenza inoppugnabile (tra gli altri, Parere dell’8 maggio 1997, n. 838).
[75] Cfr. Ernesto García-Trevijano Garnica, “Consideraciones sobre la revocación de los actos administrativos no declarativos de derechos y de gravamen”, Revista Española de Derecho Administrativo, nº 91, 1996, p. 418.
[76] Per quanto concerne il concetto di “atto dichiarativo di diritti”, esso può prestarsi a varie interpretazioni. Il Consiglio di Stato spagnolo ha considerato tali quelli “che abbiano arricchito il patrimonio dei destinatari con un diritto prima inesistente o che abbiano liberato un diritto effettivo preesistente da un limite di esercizio”. Tale espressione, però, è stata intesa in senso convenzionale come equivalente a “atto favorevole”, ovverosia ad atti che “generino o riconoscano una situazione giuridica soggettiva di vantaggio” (Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 428). Bisogna considerare che, in rapporto alla revisione di atti nulli, la legislazione spagnola non ha mai specificato che si debba trattare di atti dichiarativi di diritti o favorevoli, nonostante che così sia stato interpretato da gran parte della dottrina. È stato considerato che l’eliminazione di atti nulli non dichiarativi di diritti o ablatori, possa essere operata attraverso la revoca prevista all’art. 105 LAP (Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2247). Tale specificazione è stata invece fatta, come vedremo, in relazione alla dichiarazione di lesività di atti annullabili, anche se la nuova Legge 4/99 ha modificato la terminologia in modo significativo.
[77] Il Preambolo della Legge 4/99, stabilisce che si introduce la revisione d’ufficio di disposizioni generali nulle, che non opera, in nessun caso, come azione di nullità. La ragione per cui l’iniziativa dei privati è stata esclusa da questa materia in concreto è basata, secondo le argomentazioni dello stesso fautore della riforma, sul fatto che “si considera che il privato dispone già di strumenti sufficienti per reagire nei confronti di disposizioni di carattere generale che consideri nulle, come l’interposizione di un ricorso contro un atto amministrativo che sia fondato sulla nullità di una disposizione amministrativa” (Jaime Rodríguez-Arana Muñoz, “La reforma del procedimiento administrativo y del régimen procesal contencioso-administrativo: presupuestos y objetivos”, Revista Aragonesa de Administración Pública, nº 14, 1999, pp. 412 e 413). L’autore fa riferimento alla possibilità del cosiddetto ricorso amministrativo indiretto per saltum regolato all’art. 107.3 LAP, che stabilisce che contro le disposizioni amministrative di carattere generale non sarà possibile il ricorso in via amministrativa... I ricorsi contro un atto amministrativo che siano fondati unicamente sulla nullità di disposizioni amministrative di carattere generale potranno essere proposti direttamente presso l’organo che dettò tale disposizione. A dire il vero la giustificazione riportata non sembra del tutto convincente per due motivi: in primo luogo perché i rimedi amministrativi di cui il privato dispone per far fronte agli atti sono di gran lunga più numerosi che quelli offerti dalla Legge nei confronti dei regolamenti, rispetto ai quali viene mantenuta l’impossibilità di ricorso amministrativo diretto; in secondo luogo perché è considerazione dottrinale diffusa che tale ricorso per saltum non permetta l’annullamento della disposizione generale, ma solo quella dell’atto applicativo, cosicché, a rigor di termini, non si tratta di un rimedio contro la norma. Tenendo conto della nuova disciplina, alcuni autori, come ad esempio Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 220 e 221, sostengono, tuttavia, la necessità di intendere che l’azione di nullità nei confronti dei regolamenti sia sussistente.
[78] Esso stabilisce che le facoltà di revisione non potranno essere esercitate quando per prescrizione di azioni, per il tempo trascorso o per altre circostanze, il suo esercizio risulti contrario all’equità, alla buona fede, al diritto dei singoli o alle leggi. A causa della loro collocazione sistematica, tali limiti operano in relazione a tutti i procedimenti regolati in questo capitolo: revisione degli atti nulli e delle disposizioni generali, processi di lesività e revoca di provvedimenti non favorevoli o ablatori.
[79] In questo senso, Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, pp. 2228 e 2229.
[80] In questo senso, alcuni autori hanno postulato la necessità di ricorrere alle norme che disciplinano l’udienza nel procedimento di elaborazione delle disposizioni generali: art. 24 della Legge 50/1997, del 27 novembre, del Governo, nel caso delle norme emanate dall’Esecutivo statale, nel quale si prevede l’alternativa tra l’udienza ai singoli interessati o alle associazioni rappresentative di interessi che si vedano toccate dalla disposizione (Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, op. cit., p. 416). In Spagna, soprendentemente, il procedimento di elaborazione di disposizioni generali non viene regolato dalla LAP, di modo che è materia di competenza esclusiva delle Comunità Autonome, per cui, riguardo alla disciplina del tramite di udienza, bisognerà ricorrere alle rispettive norme di governo e amministrazione. L’udienza nel procedimento di elaborazione di regolamenti locali è prevista all’art. 49 della Legge 7/1985, del 2 aprile, contenente le basi del regime locale (LBRL).
Non bisogna tuttavia dimenticare che, contrariamente all’ordinamento italiano, in cui non è previsto un meccanismo di partecipazione generale al procedimento di elaborazione delle norme amministrative, in Spagna l’udienza in tale procedimento è prevista espressamente all’art. 105 CE, che dispone che la Legge regolerà: a) l’udienza dei cittadini, direttamente o attraverso organizzazioni riconosciute dalla legge, nel procedimento di elaborazione delle disposizioni amministrative che li riguardano.
[81] In seguito alla conferma da parte del TC (STC 204/92, del 26 novembre) della possibilità per le Comunità Autonome di creare organi consultivi analoghi al Consiglio di Stato, la maggior parte di esse dispone attualmente di tali organi. La determinazione dell’“equivalenza” è però, come abbiamo segnalato nel testo, problematica. Ciò è dovuto fondamentalmente al fatto che lo stesso TC non ha stabilito uno standard di equivalenza. In ogni caso, sembra vero che questi organi autonomici non presentano un’identità strutturale e funzionale con il Consiglio di Stato che permetta di trarre da essi un livello equivalente di garanzia. L’esistenza nel Consiglio di Stato di un corpo di giuristi di notevole prestigio, il carattere vitalizio dei suoi membri permanenti e la necessità della sua regolazione tramite legge orgánica, sono tutti indici che sono stati giudicati sufficienti per criticare severamente l’alternativa contenuta all’art. 102.1 LAP (Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 641 e 642).
Sembra che la via più efficace per dare una certa effettività all’espressione “equivalente” contenuta nell’art. 102.1 LAP, sia la possibilità che i singoli, nel ricorso contenzioso che eventualmente possono proporre contro il provvedimento conclusivo del procedimento di revisione, richiedano all’organo giurisdizionale le motivazioni del corrispondente ricorso incidentale di incostituzionalità contro la Legge regionale che regola l’organo consultivo e prevede, tra le sue funzioni quella di pronunciarsi sui procedimenti di revisione d’ufficio istruiti dagli organi amministrativi di tale Comunità Autonoma, intendendo che tale organo consultivo non è, di fatto, equivalente al Consiglio di Stato (cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 223-227).
[82] In senso contrario, ultimamente, Consuelo Alonso García, “La revisión de oficio de los actos administrativos tras la Ley 4/1999, de 13 de enero”, Justicia Administrativa, nº 6, 2000, p. 40.
[83] Principio che, in generale, non vige nell’ordinamento italiano, in cui si riconosce la facoltà di annullamento d’ufficio rispetto ai propri atti a qualsiasi organo, anche se con la condizione che, al momento di esercitare tale facoltà, l’organo continui ad essere competente nella materia su cui versa l’atto da annullare. Ciò è stato riconosciuto dalla giurisprudenza maggioritaria: Consiglio Stato, sez. V, 30 giugno 1995, n. 955; Consiglio Stato, sez. VI, 14 novembre 1992, n. 876; Consiglio Stato, sez. V, 26 ottobre 1990, n. 731; T.A.R. Campania, sez. III, Napoli, 18 dicembre 1986, n. 238; T.A.R. Campania, sez. Salerno, 15 giugno 1984, n. 204.
Per il resto la disp. agg. 16ª LOFAGE fa riferimento agli organi competenti per la revisione degli atti amministrativi, ma non delle disposizioni generali. Come hanno segnalato alcuni autori, si tratta di una circostanza idonea per l’applicazione analogica del precetto (cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., p. 233).
[84] Ad esempio l’art. 25.1 della Legge 2/1995, del 13 marzo, del Regime Giuridico dell’amministrazione del Principato delle Asturie stabilisce, precisamente, la competenza dell’organo autore dell’atto; o l’art. 6.4 della Legge 8/1999, del 9 aprile, di adeguamento della normativa della Comunità di Madrid alla Legge statale, 4/1999, del 13 gennaio, di Modifica della Legge 30/1992, del 26 novembre, di Regime Giuridico delle Pubbliche Amministrazioni e del Procedimento Amministrativo Comune, in cui si attribuisce competenza ai Consiglieri —membri del esecutivo regionale— per la revisione dei loro stessi atti.
[85] Cfr. Montserrat Cuchillo Foix, “La revisión de oficio y la revocación en la LRJPAC”, in Joaquín Tornos Mas (coord.), Administración pública y procedimiento administrativo. Comentarios a la Ley 30/1992, Ed. Bosch, Barcelona, 1994, pp. 353 e 354.
[86] Il suddetto dovere ci sembra chiaro, tenuto conto dell’obbligo che tradizionalmente è stato predicato per gli organi giurisdizionali di apprezzare ex officio iudicis i vizi costitutivi di nullità radicale, al dilà dei motivi effettivamente addotti dagli interessati, senza che, in tal caso, l’errore di questi nella qualificazione formale del vizio, esima l’organo dall’apprezzare la sua vera natura. Altre interpretazioni su questa e altre cause di inammissibilità, in Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 233-237.
[87] Cfr. Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, Comentarios a la Ley..., cit., vol. II, p. 2231. Sia la LAP —art. 107.1—, che la LJ —art. 25.1—, permettono l’impugnazione autonoma di certi atti endoprocedimentali qualificati, tra essi quelli che determinano “l’impossibilità di continuare il prcedimento”.
[88] Cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 237-239.
[89] Così fece l’art. 120.1 LPA, che stabiliva che l’accoglimento di un ricorso proposto contro una disposizione di carattere generale —ricorso allora possibile— implicherà la deroga o riforma di tale disposizione, fermo restando che sussistono gli atti inoppugnabili dettati in applicazione della medesima (l’inciso è nostro). Com’è noto, la deroga, al contrario dell’annullamento, ha un’efficacia meramente prospettica in relazione agli effetti prodotti durante la vigenza della norma derogata, cosicché, a rigor di termini, anche gli atti non inoppugnabili dovrebbero sopravvivere. A ciò bisogna unire che l’espressione “sin perjuicio de” (fermo restando che), reiterata dalla Legge 4/99, non ha nella lingua spagnola la connotazione imperativa che la maggior parte della dottrina ha voluto assegnarle, sicchè la riforma sarebbe stata una magnifica occasione per chiarire se la sopravvivenza di detti atti inoppugnabili deve verificarsi o meno in tutti i casi.
[90] La competenza sull’annullamento delle norme risiede, oltre che nell’Amministrazione, nel Tribunale Costituzionale e negli organi della Giurisdizione contenzioso-amministrativa. Ora, mentre l’art. 73 LJ stabilisce che le sentenze passate in giudicato che annullano un precetto di una dispozione generale non riguarderanno di per sé l’efficacia delle sentenze o atti amministrativi inoppugnabili che l’abbiano applicata prima che l’annullamento avesse effetti generali, eccetto nel caso in cui l’annullamento del precetto presupponesse l’esclusione o la riduzione delle sanzioni non ancora completamente eseguite, l’art. 40.1 della Legge Orgánica 2/1979, del 3 ottobre, del Tribunale Costituzionale (LOTC), dispone che le sentenze dichiarative dell’incostituzionalità di Leggi, disposizioni o atti con forza di legge non permetteranno di revisionare processi terminati mediante sentenza con forza di giudicato in cui si sia fatta applicazione di Leggi, disposizioni o atti incostituzionali, eccetto che nei casi dei processi penali o contenzioso-amministrativi riferiti a un procedimento sanzionatore in cui, come conseguenza della nullità della norma applicata, risulti una riduzione della pena o della sanzione o un’esclusione, esenzione o limitazione della responsabilità. Come si può avvertire, le sentenze del TC non hanno come limite alla naturale retroattività della pronuncia di nullità gli atti amministrativi inoppugnabili, a meno che essi siano stati confermati da sentenza con forza di giudicato. Tuttavia il TC ha esteso loro l’inattaccabilità in ogni caso, invocando genericamente il principio di certezza giuridica e argomentando che, in caso contrario, si sarebbe verificata una discriminazione ingiustificata tra coloro che hanno lasciato trascorrere il termine senza impugnare, che sarebbero stati favoriti, e coloro che, avendo fatto ricorso, si fossero visti confermare l’atto da una sentenza con forza di giudicato. Per una panoramica su questa questione nel Diritto spagnolo, vid., tra gli altri, Eduardo García de Enterría, “Un paso importante para el desarrollo de nuestra justicia constitucional: la doctrina prospectiva en la declaración de ineficacia de las Leyes inconstitucionales”, Revista Española de Derecho Administrativo, nº 61, 1989, pp. 5 e ss.; Avelino Blasco Esteve, “Efectos de la Sentencia constitucional sobre la Ley del Suelo respecto de planes urbanísticos y sus actos de ejecución”, Revista de Estudios de la Administración Local y Autonómica, nº 273, 1997, pp. 7 e ss.; Margarita Beladíez Rojo, Validez y eficacia..., cit., pp. 321-361; Ricardo Alonso García, “El Tribunal Constitucional y la eficacia temporal de sus sentencias anulatorias”, Revista de Administración Pública, nº 119, 1989, pp. 255 e ss.; A. Calonge Velázquez e J.A. García de Coca, “Nulidad de pleno derecho y derogación de las normas: reciente doctrina sobre el artículo 120 de la LPA del Tribunal Supremo”, Revista Española de Derecho Administrativo, nº 73, 1992, pp. 89 e ss.
[91] Nella sua redazione originaria, l’art. 103.1 e 2 LAP disponeva che 1. Potranno essere annullati dall’Amministrazione, su iniziativa propria o a richiesta dell’interessato, previo parere del Consiglio di Stato od organo consultivo della Comunità Autonoma, qualora vi fosse, gli atti dichiarativi di diritti quando intervengono le seguenti circostanze: a) Che tali atti infrangano gravemente norme di rango legale o regolamentare. b) Che il procedimento di revisione venga avviato prima che siano trascorsi quattro anni da quando furono emessi. 2. Negli altri casi, l’annullamento degli atti dichiarativi di diritti richiederà la dichiarazione previa di lesività dell’interesse pubblico e l’ulteriore impugnazione presso la Giurisdizione Contenzioso-Amministrativa.
Il Consiglio di Stato, riguardo alla gravità dell’infrazione, ha considerato che “il concetto di infrazione grave deve essere inteso in consonanza col senso che ha la revisione d’ufficio, che viene a significare una prerogativa della Pubblica Amministrazione per annullare da sé i propri atti (dichiarativi di diritti) e che per ciò si deve adeguare a un procedimento in cui si rispetti e garantisca la situazione giuridica dell’interessato da tale modo di procedere. Attenendosi a questa configurazione, l’art. 106 della LAP impone limiti di esercizio a questa potestà che vengono formulati con maggiore ampiezza di quanto prima non facesse l’articolo 112 della Legge di Procedimento Amministrativo del 1958.
D’altra parte, la revisione d’ufficio viene prevista dalla LAP in modo diverso per gli atti nulli che per gli atti annullabili. Riguardo ai primi la LAP definisce in modo concreto e tassativo i casi in cui è pertinente (quelli in cui l’atto sia nullo in conformità all’articolo 62.1 della LAP), mentre rispetto ai secondi si impiega la generica formulazione riportata più sopra, che sussista un’infrazione grave della norma (legale o regolamentare).
Così, perché l’infrazione sia grave agli effetti della revisione d’ufficio, deve avere sufficiente entità per:
— Giustificare l’esercizio della facoltà di revisione d’ufficio, tenendo conto del suo carattere esorbitante dei limiti ad esso imposti legalmente.
— Autorizzare la revisione di un tipo concreto di atti annullabili, quelli la cui contrarietà all’ordinamento giuridico sia tale che, senza farli incorrere nella nullità di pieno diritto, presupponga una lesione grave della norma. Sono annullabili gli atti che incorrono in qualsiasi infrazione dell’ordinamento giuridico (articolo 63.1 della LAP), ma tali atti annullabili possono essere revisionati d’ufficio solo quando l’infrazione è grave, e riferita ad una norma di rango legale o regolamentare.
Non essendo, quindi, qualsiasi atto annullabile revisionabile d’ufficio conformemente all’articolo 103, e dato che l’Amministrazione non può in nessun modo esercitare questa facoltà in ogni caso, si dovrà attribuire al termine grave un contenuto proprio che dovrà essere esaminato caso per caso, in funzione del tipo di norma presuntamente infranta, e della garanzia giuridica che debba essere conferita alla situazione giuridica dell’interessato dall’atto” (Parere del 9 gennaio 1997, n. 4.079).
A complemento di questa dottrina, il Consiglio di Stato ricordò che la determinazione di quando un atto infrange gravemente una norma legale o regolamentare non è stata lasciata all’arbitrio dell’Amministrazione agente, ma deve rispondere a presupposti oggettivi. Inoltre —ha segnalato—, “la gravità dell’infrazione non dipenderà dalle apparenze né dal loro carattere evidente. Per meritare tale qualificazione, è necessario che l’infrazione sia rilevante, che riguardi elementi essenziali della norma trasgredita, alterando sostanzialmente lo scopo che con essa si persegue, nel suo presupposto o nelle sue conseguenze” (Parere del 31 luglio 1997, n. 3.789).
[92] Le critiche furono specialmente intense nei confronti della soppressione del carattere ostativo del parere consultivo, che mancava di giustificazione in confronto alla revisione degli atti nulli, così come in rapporto all’estensione della revisione agli atti che infrangono norme regolamentari, tutte circostanze che riducevano le garanzie di coloro che erano beneficiati dagli atti revisionati. Un riassunto delle critiche alla revisione degli atti annullabili nella LAP, si trova in Consuelo Alonso García, op. cit., pp. 43-45.
[93] Così viene stabilito nel Preambolo (V).
[94] L’art. 103.1 LAP dispone dopo la riforma che le Pubbliche Amministrazioni potranno dichiarare lesivi dell’interesse pubblico gli atti favorevoli agli interessati che siano annullabili conformemente a quanto disposto nell’articolo 63 di questa Legge, al fine di procedere alla sua ulteriore impugnazione presso la Giurisdizione Contenzioso-Amministrativa.
[95] Tale articolo disponeva che le Pubbliche Amministrazioni potranno revocare in qualsiasi momento i propri atti, espressi o presunti, non dichiarativi di diritti e i provvedimenti ablatori, sempre che tale revoca non sia contraria all’ordinamento giuridico.
[96] Cfr. Ramón Parada Vázquez, op. cit, p. 372. D’altra parte, l’uguaglianza tra Amministrazione e amministrato cui mirava la riforma, non si raggiunge con il processo di lesività. Anche quando l’eliminazione della possibilità di revisionare e annullare atti annullabili ha determinato che, davanti a tali atti sia l’Amministrazione che l’amministrato debbano ricorrere ai Tribunali —cosa che presuppone un’approssimazione delle posizioni dei due soggetti—, a dire il vero il rifiuto che la dichiarazione di lesività possa essere adottata su istanza dei soggetti interessati presuppone una chiara disuguaglianza: mentre l’Amministrazione ha un termine di quattro anni per decidere la proposizione del ricorso presso i Tribunali, i privati dovranno reagire contro l’atto annullabile entro i brevi termini di decadenza dei ricorsi (ibidem, p. 371).
[97] In questo senso, Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 239-241, 254 e 255.
[98] Su questo punto la Legge 30/92 aveva modificato in peius la regolazione della LPA 1958 per i soggetti beneficiati dall’atto. In quest’ultima legge, il termine di quattro anni faceva riferimento a la conclusione e non all’avvio del procedimento.
[99] In questo senso, Ramón Parada Vázquez, op. cit., p. 370; Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 244-246.
[100] Questo comma è stato introdotto dalla Legge 50/1998, del 30 dicembre, di Misure Fiscali, Amministrative e di Ordine Sociale (collegata alla Finanziaria).
[101] Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2241.
[102] Anche se non è sempre così. In questo senso l’art. 23.j della Legge 3/1995, dell’8 marzo, di Regime Giuridico del Governo e Pubblica Amministrazione della Comunità Autonoma di La Rioja, o l’art. 77.2 della Legge 2/1997, del 28 aprile, di Regime Giuridico del Governo e Amministrazione della Diputación Regional di Cantabria, che attribuiscono in ogni caso la competenza al Consejo de Gobierno —massimo organo esecutivo—.
[103] Il fatto che la LAP non disponga in generale la possibilità di revocare atti favorevoli per motivi di opportunità —avvertendo, in questo modo, sul suo carattere eccezionale, a beneficio dei titolari di situazioni soggettive riconosciute dall’atto—, tale possibilità è stata pienamente riconosciuta sia in sede scientifica (tra gli altri, Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 651 e ss.; Ramón Parada Vázquez, op. cit., pp. 373-376) come normativa il cui esempio paradigmatico è l’art. 16 del Regolamento dei Servizi delle Corporazioni Locali del 1955, che prevede la revoca di licenze municipali, tra gli altri, per due motivi: il cambiamento nei criteri di apprezzamento dell’interesse pubblico, revoca che resta vincolata al dovere di risarcimento; e il cambiamento delle circostanze che avevano motivato la concessione, che invece non implica dovere di risarcimento. Si tratta, in definitiva, di un regime molto simile a quello esistente nel Diritto italiano; vid. Vincenzo Cerulli Irelli, Corso.., cit., pp. 592 e 593.
[104] Si deve considerare che l’espressione “non dichiarativi di diritti” aveva un fondamento che, si condivida o meno, non mancava di razionalità. Così, secondo la redazione iniziale dell’art. 105 LAP, non era necessario ricorrere al procedimento di revisione contro gli atti che non dichiaravano o costituivano un diritto a favore di un soggetto, ma che si limitavano a creare un’aspettativa. Tale espressione, d’altra parte, permetteva la revoca di atti che, in un certo modo, avevano un’efficacia “neutra” per gli interessati —atti interni di ogni Amministrazione—, revoca che, con l’attuale redazione del precetto non potrà verificarsi (cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 258 e 259).
[105] In modo implicito, Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 429. Lo stesso autore da un chiarimento intorno a cosa deve intendersi per atto sfavorevole o ablatorio (ibidem, pp. 427-430).
[106] Riconoscono tuttavia azione al privato per l’avvio del procedimento di revoca, Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/1999, de 13 de enero..., cit., p. 426, e anche Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 435.
[107] Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2248.
[108] Cfr. Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 419-423.
[109] Così, Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. I, p. 1189-1195; anche Ernesto García-Trevijano Garnica, El silencio administrativo en la nueva Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común, Civitas, Madrid, 1994, pp. 24 e ss.
[110] Cfr., tra gli altri, José Luis Piñar Mañas, “Justificación y alcance de la reforma”, in AA.VV., La reforma del procedimiento administrativo, Dykinson, Madrid, 1999, pp. 15-23, e Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/99..., cit., pp. 64-67.
[111] Senza dimenticare i problemi che sorgeranno in occasione dell’applicazione del regime transitorio. Cfr. al riguardo Jesús González Pérez, “Disposiciones transitorias de la Ley 4/1999”, Revista Española de Derecho Administrativo, n. 101, 1999, pp. 25 e ss., e Rafael Fernández y Acevedo, “La Ley 4/1999, de 13 de enero, de modificación de la Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común: régimen transitorio y adaptación de procedimientos”, Revista Vasca de Administración Pública, n. 54, 1999, pp. 43 e ss.
[112] Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/99..., cit., pp. 51 e 68.
[113] I lavori della Commissione Interministeriale di Semplificazione Amministrativa si cristallizzeranno nell’elaborazione e approvazione del Piano Generale di Semplificazione nell’Amministrazione Generale dello Stato. Facendo uso della stessa definizione normativa, si può dire che tale Piano Generale costituisce “lo strumento di base in cui si concretizza l’azione del Governo in materia di semplificazione amministrativa” (art. 8 del Decreto Reale del 23 aprile 1999). Il contenuto del Piano si instrada in una doppia direzione: stabilire le misure d’adattamento della regolazione dei procedimenti amministrativi alla recente modifica della LAP —specialmente per quanto riguarda la disciplina del silenzio assenso e del silenzio rifiuto—, e analizzare la realtà procedimentale per segnalare, sulla base di tale analisi, le possibili misure di soppressione, modificazione o sostituzione nella struttura sequenziale dei procedimenti amministrativi.
L’art. 9 del succitato Decreto Reale concretizza il contenuto minimo che dovrà essere plasmato nel Piano Generale di Semplificazione e che si orienta, come abbiamo detto, in queste due direzioni. È vero, tuttavia, che, così come le coordinate di semplificazione, il contenuto di questo Piano non possiede contorni molto precisi. Basti segnalare che la caratterizzazione del contenuto si conclude con una clausola aperta secondo la quale nel Piano si potrà includere “qualsiasi altra azione che contribuisca a facilitare il rapporto dei cittadini con l’Amministrazione Generale dello Stato”.
[114]
Il Nucleo per la semplificazione delle norme e dei procedimenti è formato
da un totale di venticinque esperti, vincolati e no alla Pubblica
Amministrazione, ma in qualsiasi caso dotati di un’alta qualificazione in
materia di redazione di testi normativi, analisi economica, valutazione
dell’impatto delle norme, analisi costi-benefici, diritto comunitario,
diritto pubblico comparato, linguistica, scienze e tecniche
dell’organizzazione e analisi delle politiche pubbliche (art. 3 Legge
50/1999). In definitiva, un corpo tecnico specializzato incaricato di
promuovere e garantire un controllo adeguato dei lavori di semplificazione.
Dobbiamo anche segnalare che le funzioni di controllo e valutazione che il Nucleo deve svolgere, sono state rafforzate grazie all’integrazione della sua Segreteria all’interno del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi. Questo Dipartimento, introdotto dal recente riordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri —Decreto Legislativo del 30 luglio 1999, n. 303, emesso in applicazione degli articoli da 11.1.a 12 della Legge Bassanini uno— annovera tra le sue funzioni il compito di valutare l’impatto della semplificazione dei procedimenti amministrativi.
[115] In questo documento si possono trovare le direttrici generali che dovranno guidare il processo di semplificazione procedimentale che si dovrà compiere in Spagna.