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n. 9/2005 - ©
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GIUSEPPE FARINA
L’art. 21
octies della nuova legge 241/1990: la codificazione
della mera irregolarità del provvedimento amministrativo
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L’entrata in vigore della legge 11 febbraio 2005 n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”, segna un passo considerevole nel tentativo di costituire un organico complesso di norme sull’azione amministrativa.
Il legislatore della riforma, infatti, ha recepito in maniera massiccia storici istituti di derivazione dottrinale e giurisprudenziale e li ha trasfusi nel testo originario della legge generale sul procedimento, che oggi prevede un intero capo IV bis disciplinante in maniera minuziosa l’efficacia e l’invalidità del provvedimento amministrativo.
L’introduzione di questo articolato corpo di disposizioni ha già animato vivaci dibattiti interpretativi e suscitato le reazioni più disparate, ma ha anche trovato unanime consenso in chi attendeva dal legislatore un corpo normativo che non si limitasse a dettare solo alcuni principi guida.
Ed infatti, chi aveva autorevolmente sostenuto prima della novella del 2005 che la legge 241/1990 costituisse solo una legge sul procedimento amministrativo [1], afferma ora che il restyling attuato dal legislatore l’ha trasformata in legge del procedimento [2]. Alcuni Autori, poi, hanno financo sostenuto che la legge 241/1990, arricchita dal nuovo gruppo di disposizioni introdotte dal legislatore della novella, rappresenti, nel suo stato attuale, non più una mera legge di principi del procedimento bensì una legge sul provvedimento amministrativo [3].
Tra le disposizioni del nuovo complesso di norme, particolare interesse ha suscitato nei cultori della materia il nuovo art. 21 octies, esempio della predetta tendenza alla ordinazione sistematica manifestata dalla riforma.
Dedicato, come sottolinea la rubrica, all’annullabilità del provvedimento, reca:
1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il primo comma ripropone semplicemente la classica tripartizione dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo già contenuta nell’art. 26 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.
Maggiore interesse riveste certamente il secondo comma dell’articolo in esame e in relazione ad esso sono già scorsi fiumi d’inchiostro.
Tale disposizione è stata ritenuta immediatamente applicabile alle controversie pendenti in quanto considerata norma di natura processuale confermativa di regole già consolidate nella giurisprudenza amministrativa [4].
Ed infatti l’articolo in parola recepisce in via legislativa i principi della prova della resistenza, conservazione degli atti, strumentalità delle forme e raggiungimento dello scopo (teoria questa specificamente mutuata dall’art. 156, comma terzo, del codice di procedura civile) già elaborati dalla giurisprudenza, ed analizzati da attenta dottrina, i quali presentano come elemento comune la tendenza ad un’applicazione non meccanica e formalistica delle norme sul procedimento e sulla forma degli atti, nella convinzione che costituiscano mere irregolarità non invalidanti tutte quelle difformità degli atti dal paradigma normativo che si traducono in vizi meramente formali e di scarso valore sostanziale, tali, pertanto, da non avere una ragionevole incidenza causale sul contenuto del provvedimento finale e da non imporne l’annullamento.
Alla base della teoria dell’irregolarità non invalidante vi sono difatti ragioni di economia dell’azione amministrativa che impongono la necessità di non disperdere energie umane e denaro pubblico, ossia, di evitare di procedere ad un annullamento di provvedimenti affetti da vizi di natura formale, laddove l’interesse sostanziale perseguito sia stato comunque raggiunto ed una rinnovazione del procedimento, disposta al fine di formare un atto privo dai predetti vizi formali, condurrebbe poi all’adozione di un atto finale dallo stesso contenuto sostanziale [5].
La teoria dell’irregolarità trae origine dall’esperienza legislativa straniera, segnatamente dal paragrafo 45 della legge tedesca sul procedimento amministrativo del 1976 (Verwaltungsverfahrengesetz), che dispone che gli errori procedimentali e di forma sono irrilevanti e non rendono nullo l’atto finale nel momento in cui non sia dimostrato, almeno in teoria, che la decisione stessa sarebbe stata diversa ove si fossero rispettate appieno le norme procedimentali [6].
La giurisprudenza amministrativa formatasi sotto l’impero del vecchio testo della legge n.241/1990 (che, com’è noto, non individuava la figura dell’irregolarità) ha fatto grande applicazione della teoria in parola, giungendo ad individuare una vasta gamma di vizi procedimentali non invalidanti.
Con riguardo ai vizi sulla forma degli atti, diversi casi di semplice irregolarità sono stati individuati in passato dalla giurisprudenza nei provvedimenti che non avessero osservato correttamente le norme prescritte dalla legge per il contenuto esteriore dello stesso provvedimento. All’uopo va segnalata particolarmente l’omessa indicazione nell’atto finale del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere, prevista dall’art. 3, comma quarto, della legge n. 241/1990, che la giurisprudenza ha considerato vizio non invalidante (specie laddove ciò non abbia impedito al privato di proporre ugualmente ricorso) [7]; inoltre, sempre in relazione alle irregolarità formali, una giurisprudenza risalente anche ad un momento precedente all’emanazione della legge n. 241/1990 si era già espressa nel senso di escludere ogni patologica ricaduta di vizi evidenti nella copia del provvedimento notificato all’interessato quali l’omissione del numero di protocollo [8] o della data del provvedimento medesimo [9] ed anche l’errore di trascrizione [10].
Per quanto attiene alle violazioni di norme sul procedimento non invalidanti occorre sottolineare che esse hanno assunto particolare rilevanza, sotto la vigenza dell’originario testo della legge n. 241/1990, soprattutto in relazione alle formalità previste a tutela delle garanzie partecipative del privato nel procedimento amministrativo [11].
In modo particolare la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che i provvedimenti non preceduti dalla comunicazione d’avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 della legge n. 241/1990 al fine di notiziare il privato interessato della pendenza del procedimento che lo interessi e di consentirgli pertanto di intervenire (nelle modalità indicate dal successivo art.10), non devono ritenersi illegittimi laddove tale omissione non concreti una lesione anche sostanziale degli interessi del privato che dalla comunicazione medesima non potrebbe trarre particolare vantaggio.
E così la giurisprudenza ha più volte ribadito che la norma contenuta nell’art. 7 non deve atteggiarsi a mero simulacro formale del sistema di “giusto procedimento” introdotto dal legislatore del 1990, considerando la comunicazione d’avvio superflua laddove il procedimento sia stato avviato su istanza del privato medesimo [12] (che per il semplice fatto di aver presentato egli stesso l’istanza è già edotto dell’avvio del procedimento), ovvero si tratti di procedimento vincolato, nel quale l’intervento del privato non potrebbe avere una concreta incidenza né in chiave partecipativa né oppositiva [13], ovvero, infine, nei casi in cui il cittadino, pur privato della predetta comunicazione, abbia avuto comunque conoscenza aliunde del procedimento amministrativo [14] o ad esso abbia comunque avuto modo di partecipare [15] dovendo ritenersi ugualmente raggiunto, in questi ultimi casi, lo scopo cui tende la comunicazione d’avvio del procedimento ex art.7. Parte della giurisprudenza, ha financo richiesto la c.d. prova dell’utilità della partecipazione al privato ricorrente in sede giurisdizionale per omessa comunicazione d’avvio: queste pronunce hanno imposto al privato l’obbligo di dimostrare in giudizio che la propria partecipazione, non avvenuta per l’omissione in parola, si sarebbe invero esplicata in un’attività rilevante e fruttuosa nel procedimento amministrativo [16].
Questa giurisprudenza, sensibile alle esigenze di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, ha inteso escludere l’annullabilità di quei provvedimenti che, ancorché affetti da violazioni formali di norme sul procedimento, non ledono interessi sostanziali del privato soggetto all’azione amministrativa: ed infatti l’annullamento per motivi eminentemente formali di un provvedimento sostanzialmente legittimo produrrebbe il solo effetto di aggravare l’azione dei pubblici uffici, costretti a rinnovare l’iter procedimentale per adottare un provvedimento dello stesso contenuto. Le teorie suesposte ben si conciliano pertanto con il principio di efficienza sancito dall’art. 1 della stessa legge n. 241/1990, e, più in generale con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione enunciato dall’art. 97 della Costituzione [17].
Detto ciò, appare evidente, nella formulazione del primo periodo del secondo comma dell’art. 21 octies, la volontà del legislatore della novella di aderire a questi corretti principi già consolidati nella giurisprudenza dei T.A.R. e del Consiglio di Stato attraverso un’apprezzabile opera di sintesi: la norma, infatti, dispone che il provvedimento amministrativo di natura vincolata non può essere annullato per i citati vizi attinenti alla forma o alla violazione di norme sul procedimento laddove sia palese che il provvedimento medesimo non avrebbe potuto avere contenuto diverso [18].
In ciò risulta corretto che pure l’assenza di motivazione (che ben può ascriversi alla violazione di norme sul procedimento, essendo l’obbligo di motivazione prescritto proprio dall’art. 3 della legge sul procedimento) si riduca a vizio formale non invalidante laddove operino puntualmente tutti i presupposti indicati dalla disposizione (atto vincolato e contenuto dispositivo che palesemente non potrebbe essere diverso) e la motivazione stessa si riduca pertanto a semplice “giustificazione” dell’esercizio del potere da parte della P.A. [19].
L’unica notazione ad una norma piuttosto chiara e giusta può concernere appunto la definizione di atto vincolato, essendo auspicabile che la giurisprudenza si orienti definitivamente nel ritenere i vizi formali non invalidanti solo nel caso di provvedimenti interamente vincolati, i cui presupposti di fatto e di diritto siano assolutamente pacifici e ed incontestati [20].
Maggiori dibattiti ha suscitato l’interpretazione della seconda parte del secondo comma dell’art. 21 octies.
La norma individua un’altra ipotesi di irregolarità stabilendo che non risulta comunque annullabile il provvedimento non preceduto da comunicazione d’avvio laddove l’Amministrazione resistente dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento stesso non sarebbe stato diverso ancorché privo di tale vizio.
Parte della dottrina e giurisprudenza hanno fin da subito evidenziato che la disposizione non distingue come nella prima parte tra provvedimenti vincolati e discrezionali e ben può riferirsi quindi ad entrambe le tipologie degli atti amministrativi [21].
Appare preferibile però sostenere, in una visione sistematica di tutto il secondo comma, che l’omissione della comunicazione d’avvio del procedimento costituisca una violazione di norme sul procedimento e pertanto ricada già, laddove si tratti di procedimento vincolato, nella previsione contenuta nel primo periodo; negli altri casi (provvedimenti discrezionali), invece, il vizio de quo non può comunque condurre all’annullamento del provvedimento laddove l’Amministrazione ne dimostri in giudizio l’irrilevanza. Ed infatti non dovrebbe essere necessario per l’Amministrazione fornire alcuna prova di tale genere in atti (interamente) vincolati, nei quali la scarsa incidenza della partecipazione del privato è evidente [22].
Detto ciò, occorre riflettere sulle numerose critiche che sono state elevate a carico dell’art. 21 octies.
Parte della dottrina ha evidenziato che la disposizione in esame è maturata facendo riferimento unicamente alla tutela di tipo costitutivo, tralasciando ogni riferimento in ordine alla possibilità di una tutela di tipo risarcitorio, ormai generalizzata anche innanzi al giudice amministrativo che viene pertanto negata nei casi contemplati dalla norma considerata [23]. In modo particolare questa dottrina ha ritenuto che la distinzione tra invalidità formale e sostanziale può assumere rilevanza allorché si discorra intorno all’annullamento del provvedimento ed alla sua eventuale rinnovazione, ma non deve operare in relazione alla tutela risarcitoria del privato, poiché l’atto irregolare viene considerato pur sempre illegittimo, ancorché non annullabile; in modo particolare viene preso in considerazione in questo senso il pregiudizio conseguente al silenzio-inadempimento serbato dalla P.A di cui all’art. 2 della legge n.241/1990.
Salvo il caso del silenzio-inadempimento, può osservarsi però che la stessa distinzione tra invalidità formale e sostanziale rileva nel momento in cui si afferma che esistono dei vizi che non arrecano un pregiudizio concreto alle ragioni del privato soggetto all’azione amministrativa e non rendono perciò annullabile un provvedimento sostanzialmente giusto, e pertanto non si deve neanche far luogo a risarcimento di un danno che effettivamente non sussiste.
Altri hanno tacciato il legislatore della novella di incoerenza, perché l’art. 21 octies, con le sue forti limitazioni, configgerebbe apertamente con il tentativo di potenziamento degli istituti di partecipazione esperito dalla stessa legge n. 15/2005 con altre disposizioni: segnatamente, secondo questo indirizzo, il nuovo art. 10 bis, che introduce l’obbligo, a carico dell’Amministrazione, di inviare nei procedimenti attivati ad istanza di parte il c.d. preavviso di rigetto [24] laddove intenda rigettare l’istanza stessa, detta una innovativa e lodevole norma sul procedimento volta ad estendere il contraddittorio tra P.A. ed interessati che però viene al contempo frustrata e svuotata di valore dalla compresenza dell’art. 21 octies, che può “giustificare” l’Amministrazione all’omissione di tale fase [25].
Se è vero però che l’istituto in parola risulta in effetti apprezzabile in quanto tendente ad incentivare il dialogo tra P.A. e privati soggetti all’azione amministrativa, è altrettanto vero che le considerazioni generali svolte a proposito della teoria del raggiungimento dello scopo devono trovare applicazione anche in questo specifico campo, non essendo ad esempio ammissibile che venga annullato un provvedimento per omissione del preavviso di rigetto, laddove il privato stesso nella fase successiva a tale comunicazione non potrebbe apportare alcun elemento a proprio favore, essendo il contenuto del provvedimento ineluttabilmente obbligato.
Non sono assolutamente da trascurare, invece, i profili di incompatibilità con i principi di tutela degli interessi legittimi, contraddittorio procedimentale e diritto alla difesa desumibili dagli artt. 24 e 113 Cost. che sono stati dedotti dalla dottrina prevalente [26]. Ed infatti questi rilievi emergono in modo particolare laddove si consideri poi che la tutela nei confronti degli atti della P.A. lesivi di diritti soggettivi ed interessi legittimi non può essere preclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (art. 113, comma secondo, Cost.) poiché la c.d. dequotazione dei vizi formali (per usare un’espressione suggerita da certa dottrina [27]) si eleva a strumento di difesa dei provvedimenti amministrativi a discapito delle pretese dei privati ricorrenti e addirittura con notevole compressione del diritto di azione per la tutela degli interessi legittimi.
Tali critiche sono forti ma non insuperabili.
In primis, occorre considerare che, così come il diritto di difesa e le garanzie procedimentali, deve trovare tutela anche il principio di buon andamento della P.A. sancito dall’art.97 Cost., dal quale discendono direttamente il principio di efficienza e non aggravio dell’azione amministrativa, che come detto costituiscono la ratio dell’art.21 octies, e quindi se anche l’articolo che ci occupa si pone in contrasto con alcuni precetti costituzionali, ne soddisfa nel contempo altrettanti [28].
Parte della dottrina [29] ha acutamente osservato, poi, che il legislatore della novella, nel dettare la norma contenuta nel secondo periodo del comma secondo dell’articolo 21 octies avrebbe posto una disciplina per certi versi migliorativa della posizione del privato nell’ordinamento: ed infatti già sotto l’impero del vecchio testo della legge la giurisprudenza si era orientata nel senso di richiedere la c.d. prova dell’utilità della partecipazione [30]al privato ricorrente per omessa comunicazione d’avvio del procedimento; ora tale requisito dell’utilità dell’apporto partecipativo è formalizzato in legge, ma l’onere della prova (ora dell’inutilità) è ora a carico dell’Amministrazione resistente che appunto deve dimostrare in giudizio che, ancorché sia stata omessa la comunicazione d’avvio, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [31].
Se quindi non si erano affacciati dubbi concreti sull’incostituzionalità dell’originario sistema partecipativo della legge n.241/1990, non sembra che tali dubbi possano sorgere ora che il legislatore ha di fatto migliorato la posizione del privato nel procedimento depurandola di limitazioni individuate dalla giurisprudenza.
Ad ogni modo, tanto nell’opera di risoluzione della questione di costituzionalità quanto nel fornire delle linee-guida interpretative di questo controverso articolo va segnalato un manipolo di sentenze che, affrontando per la prima volta apertamente i problemi connessi all’art. 21 octies, è pervenuto a delle conclusioni che io condivido pienamente, e che nella loro apparente semplicità offrono una chiave di lettura appagante [32].
Queste pronunce, infatti, non ignorano le summenzionate critiche dottrinali a cui è stato sottoposto l’art. 21 octies, soprattutto in relazione alla presunta incompatibilità con i principi di cui agli artt. 24 e 113 Cost.. A proposito di quest’ultimo articolo, poi, esse hanno affermato che “il potere della legge ordinaria di individuare i casi e gli effetti dell’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo deve essere, infatti, esercitato in modo da garantire al soggetto leso, quanto meno nella sede contenziosa, il sostanziale esercizio di difesa nei confronti di un’attività discrezionale che abbia determinato violazione delle regole”.
E così, rebus sic stantibus, alla nuova norma dell’art. 21 octies, così come ad ogni altra, deve essere attribuito il significato che la renda coerente con i principi costituzionali; essa deve essere pertanto interpretata in maniera restrittiva e rigorosa, nel senso che l’onere della prova di cui al secondo periodo deve incombere sempre sull’Amministrazione, dandosi comunque al privato sempre “la possibilità di controdedurre a sua volta sugli elementi di prova esibiti, in modo da assicurare in giudizio quella tutela che consenta di ritenere sanato il vizio originario”e, soprattutto, “ in modo da garantire al soggetto leso, quanto meno nella sede contenziosa, il sostanziale esercizio di difesa nei confronti di un’attività discrezionale che abbia determinato violazione delle regole.”
Ed ancora, questo indirizzo ritiene che la prova che l’Amministrazione è tenuta ad esibire deve essere tale da introdurre nel giudizio elementi di fatto, prevalentemente di natura tecnica ed oggettivamente verificabili, idonei a dimostrare in concreto che in nessun altro modo non lesivo per la posizione del ricorrente si sarebbe potuto raggiungere lo scopo.
Con queste poche righe, quindi, questa giurisprudenza riesce nell’arduo compito di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, favorevole al contemperamento delle solite esigenze di buona amministrazione e rispetto del contraddittorio e ad individuare anche i tratti essenziali della prova che l’Amministrazione deve allegare per scongiurare l’annullamento di un proprio provvedimento in cui sia mancata la fase partecipativa.
Ed anche, queste considerazioni rivelano che il giudizio a cui è tenuto il giudice nelle fattispecie individuate, tanto dal primo quanto dal secondo periodo del comma secondo dell’art. 21 octies, è destinato a sfociare in una valutazione del merito amministrativo, che nel caso dei provvedimenti vincolati si limita all’esame dell’atto in sè considerato, mentre nel caso di provvedimenti discrezionali affetti da omissione della comunicazione di avvio si estende altresì all’esame dei fatti introdotti in giudizio dall’Amministrazione resistente a sostegno della non annullabilità del provvedimento [33].
La tendenza legislativa attuale ad estendere la giurisdizione di merito del giudice amministrativo è poi confermata dal nuovo comma quinto dell’art. 2, della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge 14 maggio 2005 n. 80 (legge di conversione dell’ormai noto “decreto sulla competitività”), che consente ora esplicitamente al giudice amministrativo, in sede di giudizio avverso il silenzio-inadempimento serbato dalla P.A. sull’istanza del privato, di conoscere anche della fondatezza della pretesa dedotta nell’istanza stessa, con ciò disattendendo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 1/2002, che invece, nel vigore del vecchio testo della legge 241/1990 (che su questo specifico punto taceva), si era espressa nel senso che il sindacato del giudice non si potesse estendere anche alla definizione nel merito della questione sulla quale l’Amministrazione aveva omesso di pronunciarsi, ma solo all’accertamento di tale omissione [34].
Risulta evidente che il legislatore della riforma così facendo ha voluto “codificare” anche dei principi inediti, volti ad estendere i poteri del G.A. anche al fine di ottenere meccanismi processuali aderenti ai principi di speditezza ed economia dell’agire amministrativo e giudiziario.
Descritto così per sommi capi il regime dell’irregolarità del provvedimento amministrativo, al fine di individuare ulteriori conseguenze che potranno discendere dall’applicazione dell’art. 21 octies occorrerà solo attendere l’opera ermeneutica dei T.A.R. e del Consiglio di Stato, perchè, come giustamente insegna un attento Autore, l’ultima parola sulle leggi spetta sempre alla giurisprudenza [35].
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[1] Cfr. VIRGA G., La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998, 4.
[2] Cfr. VIRGA G. Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate.Osservazioni derivanti da una prima lettura, in www.LexItalia.it, n. 1/2005.
[3] Sul punto si veda FRANCARIO F., Dalla legge sul procedimento amministrativo alla legge sul provvedimento amministrativo, in www.Giustamm.it, n.2/2005; DE FELICE S., Della nullità del provvedimento amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it.
[4] Cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 11 marzo 2005, n.935; T.A.R. Sardegna, sez. II, 25 marzo 2005, n.483; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 4 maggio 2005,n.760; T.A.R. Liguria, sez. I, 17 maggio 2005, n.676; T.A.R. Puglia, Lecce, sez.II, 24 maggio, 2005, n. 2913; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez.II, 3 giugno 2005, n.941; T.A.R. Lazio, Roma. Sez.I quater, 30 agosto 2005, n.6359; Consiglio di Stato, sez.VI, ordinanza 19 aprile 2005, n.1950; Consiglio di Stato, sez. IV, 14 giugno 2005, n.3124. In dottrina si sono espressi nel senso della natura processuale della norma anche GRASSO G., Spunti di riflessione sull’art.21 octies, secondo comma l.n. 241/90, in www.LexItalia.it n. 7-8/2005 e CALEGARI A., Sulla natura sostanziale o processuale e sull’immediata applicabilità ai giudizi pendenti delle disposizioni concernenti l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi contenute nell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, in www.Giustamm.it, n.7/2005, il quale, invero, adotta una posizione molto originale, che lo conduce a individuare la natura processuale del precetto in parola pur muovendo da premesse assai diverse rispetto a quelle elaborate dalla dottrina prevalente; secondo questa ricostruzione la natura processuale della norma si dedurrebbe dalla circostanza che esso pone un limite processuale al potere del giudice di annullare atti illegittimi.
[5] Un deciso apprezzamento per l’introduzione della figura dell’irregolarità nella legge 241/1990 è espresso da LUMETTI M.V., in A.A.V.V., L’atto amministrativo. Vizi di legittimità e nuove anomalie dopo la l. n. 15/2005, Rimini, 2005, p. 386 e ss.
[6] Per un’interessante trattazione del procedimento amministrativo tedesco si veda CIMINI S., in A.A.V.V., Procedimento amministrativo e partecipazione, Padova, 2002, 37 ss.
[7] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 25 febbraio 1998, n. 707; T.A.R. Sardegna, 5 marzo 1996, n. 343; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 1 aprile 1998, n. 299; T.A.R. Valle d’Aosta, 22 gennaio 1999, n. 6; Consiglio di Stato, Sez. V, 31 gennaio 2003 n.501.
[8] T.A.R. Lazio Latina, 2 dicembre 1989 n. 998
[9] T.A.R. Basilicata 29 dicembre 1982 n. 204
[10] T.A.R. Sicilia Sezione I, Palermo, 2 novembre 1991 n. 566; Corte Conti, Sezione Controllo, 21 maggio 1998, n. 56.
[11] Non determina l’illegittimità dell’atto finale la mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento che dovrebbe essere contenuta nella comunicazione d’avvio a norma dell’art. 8, comma secondo, lettera c) della legge 241/1990 alla quale è possibile supplire considerando responsabile il funzionario preposto alla competente unità organizzativa. Sul punto si vedano T.A.R. Lazio, Roma, sez.II, 20 novembre 2002, n.10155; T.A.R. Campania, Napoli, sez.IV, 7 novembre 2002, n.6896. Da ultimo T.A.R. Lazio, Roma, sez.I quater, 30 agosto 2005, n. 6359.
[12] Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3709; Consiglio di Stato, sez. V, 23 maggio 2001, n.2849; Consiglio di Stato, sez.V, 28 maggio 2004, n. 3467; da ultimo anche Consiglio di Stato, sez. IV, 14 giugno 2005, n. 3124.
[13] Sul punto si veda T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 15 gennaio 2000, n.102; T.A.R. Piemonte, sez. II, 2 marzo 2000, n. 223; Consiglio di Stato, sez. IV, 24 giugno 2003, n.3813; Consiglio di Stato, sez.IV, 4 febbraio 2004, n.395.
[14] In questo senso T.A.R. Liguria, sez. I, 29 ottobre 2002, n. 1065; Consiglio di Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 6342; Consiglio di Stato, sez.IV, 31 maggio 2003, n. 3037; Consiglio di Stato, sez. IV, 15 giugno 2004, n. 4018; Consiglio di Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7405.
[15] T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 19 settembre 2003, n. 901; Consiglio di Stato, sez. VI, 5 marzo 2002, n. 1325; Consiglio di Stato, sez. V, 26 febbraio 2003, n. 1095; Consiglio di Stato, sez. VI, 20 giugno 2003, n. 3684.
[16] Cfr. T.A.R. Puglia, sez. I, 15 settembre 1997, n. 546.
[17] In questo senso la figura dell’irregolarità del provvedimento discendente dalla teorie predette è stata autorevolmente esaminata e teorizzata anche in dottrina. Sul punto si vedano ROMANO TASSONE A., Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrativi, Torino, 1993; VIRGA G., op. cit; VIPIANA P. M., Gli atti amministrativi: vizi di legittimità e vizi di merito, cause di nullità ed irregolarità, Padova, 2003; LUCIANI F., Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa , Torino, 2003; POLICE A., L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi c.d. formali e vizi sostanziali, in Diritto Processuale Amministrativo, 2003, 735 ss, GALETTA D.U., Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, Milano, 2003; CARINGELLA F., Corso di diritto amministrativo, Tomo II, Milano, 2004, 1450; VILLATA R., L’irregolarità in A.A.V.V., Diritto Amministrativo, Bologna, 2005, 838.. Da ultimo si segnalano MARRAMA D., Brevi riflessioni sul tema dell’irregolarità e dell’invalidità dei provvedimenti amministrativi, in Diritto processuale amministrativo, 2005, il cui contributo, ultimato prima dell’entrata in vigore della legge 15/2005, risulta apprezzabile per un accurato inquadramento teorico delle teorie dell’irregolarità, raggiungimento dello scopo e strumentalità delle forme e LUMETTI M.V., in A.A.V.V., op. cit., p. 386 e ss, per un’acuta riflessione sulle medesime costruzioni.
[18] In modo particolare la maggior parte dei primi commentatori ha qualificato le fattispecie delineate nell’art. 21 octies come irregolarità del provvedimento amministrativo. In questo senso si vedano tra i tanti VIRGA G., Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate.Osservazioni derivanti da una prima lettura, op. cit; VAGLI M., La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati tra evoluzione giurisprudenziale e novità legislative, in www.LexItalia.it, n. 4/2005; CERULLI IRELLI V., op. cit., da ultimo CIRILLO GIANPIERO PAOLO, L’azione amministrativa sospesa tra regole d’invalidità e regole di responsabilità. La riforma del procedimento e la risarcibilità degli interessi legittimi, in www.giustizia-amministrativa.it. Secondo OLIVERI L., L’irregolarità del provvedimento amministrativo nell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990, novellata, in www.LexItalia.it, n. 4/2005, il primo periodo dell’art.21 octies tratterebbe appunto della figura dell’irregolarità, mentre il secondo si ricollegherebbe piuttosto alla teoria del raggiungimento dello scopo. Non riconoscono la figura dell’irregolarità, e oltre ad essa contestano sotto vari profili altresì le teorie di raggiungimento dello scopo e strumentalità delle forme CALEGARI A., op.cit, GALETTA D., op.cit.. Invero, al di là delle disquisizioni sulla qualificazione formale delle figure giuridiche individuate dall’art. 21 octies, resta incontestabile la ratio di fondo della disposizione, che, come detto, è da rinvenirsi nella esigenza di distinguere tra vizi formali e vizi sostanziali del provvedimento, e nella conseguente necessità di annullare quei provvedimenti che pregiudichino illegittimamente non solo gli interessi procedimentali, ma anche situazioni giuridiche sostanziali del privato soggetto all’azione amministrativa.
[19] Cfr. T.A.R. Sardegna, sez. I, 15 luglio 2005, n. 1653, che afferma l’irrilevanza del difetto di motivazione nei provvedimenti vincolati a mente del nuovo art. 21 octies; nello stesso senso si è espresso MONTEDORO G., Potere amministrativo, sindacato del giudice e difetto di motivazione, in www.Giustamm.it. Sul punto si veda anche SILVIS C., Riforma della 241/90 e modifica della motivazione dei provvedimenti della P.A., in www.altalex.com, che considera l’ assenza di motivazione quale violazione della forma sugli atti, giungendo a sua volta comunque alla conclusione dell’irrilevanza di tale vizio negli atti vincolati ed alla conseguente applicabilità dell’art. 21 octies, comma secondo; nel senso di ritenere il difetto di motivazione quale vizio attinente alla forma dell’atto si è espresso altresì T.A.R. Abruzzo, Pescara, 13 giugno 2005, n.394. Nel vigore del vecchio testo della legge n. 241/1990 la giurisprudenza si era già espressa nel senso dell’irrilevanza del difetto di motivazione nei provvedimenti vincolati, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 settembre 1994, n. 1461; id., 14 ottobre 1999, n. 1369; id., 17 luglio 2001, n. 3965; id, 14 gennaio 2002, n. 167; sez. IV, 12 febbraio 2002, n. 3539.
[20] Cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 15 gennaio 2000, n. 102; T.A.R. Piemonte, sez.II, 2 marzo 2000, n.223; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 28 ottobre 2003, n. 13141; Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2000, n. 948; Consiglio di Stato, sez. VI, 14 gennaio 2002, n. 167; Consiglio di Stato, sez. IV, 24 giugno 2003, n. 3813; Consiglio di Stato, sez. IV, 4 febbraio 2004, n. 395.
[21] Cfr GRASSO G., op.cit.; CERULLI IRELLI V., Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, in www.Giustamm.it; T.A.R. Sardegna, sez.II, 25 marzo 2005, n. 483.
[22] Cfr T.A.R. Sardegna, sez. I, 20 giugno 2005, n.1435, nella parte in cui si chiarisce che “l’art. 21-octies, 2° comma della L. n°241/1990 e succ. mod. debba essere interpretato nel senso che laddove l’atto sia di natura vincolata, la violazione delle norme sulla forma o di quelle procedimentali, ivi inclusa l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, non determini l’annullamento del provvedimento ove appaia palese che il contenuto di quest’ultimo non avrebbe potuto essere diverso, mentre ove l’atto sia di natura discrezionale, il mancato invio della suddetta comunicazione, può essere ininfluente sul giudizio di legittimità del provvedimento impugnato, solo ove l’amministrazione provi quanto stabilito dalla disposizione in esame”. In questo senso si veda anche T.A.R. Puglia, Lecce, sez.II, 24 maggio 2005, n.2913. In dottrina sembra accedere a questa tesi, ad un attento esame del testo anche ROMANO TASSONE A., op.cit.
[23] Cfr. FRANCARIO F., op. cit.
[24] L’efficace espressione è stata coniata da TARULLO S., L’art.-10 bis della legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in www.Giustamm.it., 2005 ed accolta anche da LUCCA M., Il c.d. preavviso di rigetto tra buona fede e legittima aspettativa del privato, in www.LexItalia.it, n.6/2005.
[25] Cfr. CHINELLO D., Portata e limiti della partecipazione al procedimento amministrativo dopo la legge n.15/2005, in www.LexItalia.it, n.5/2005; CERULLI IRELLI V., op.cit.
[26] Cfr. BACOSI G.-LEMETRE F., La legge n.15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”, in www.giustizia-amministrativa.it; FRACCHIA F.-OCCHIENA M, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, in www.Giustamm.it, n.4/2005; GALETTA D.U. ,op.cit;
[27] Cfr. GRASSO G, op cit., CIVITARESE MATTEUCCI S., La comunicazione di avvio del procedimento dopo la L. n. 15/2005. Potenziata nel procedimento, dequotata nel processo, in www.amministrazioneincammino.luiss.it.
[28] Il problema è invero “atavico”.Già la storica sentenza dell’Adunanza Plenaria 15 settembre 1999, n.14, ha sottolineato che il nostro sistema amministrativo, fin dalla sua origine, è sempre stato oscillante “tra i due poli contrapposti delle garanzie e della celerità”.
[29] Cfr. VIRGA G., Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, cit.; VAGLI M., op. cit.
[30] Cfr. T.A.R. Puglia, sez.I, 15 settembre 1997, n. 546.
[31] E così la legge n. 15/2005 ha prodotto l’inversione di quell’onere diabolico di cui ha parlato CARINGELLA F., op. cit., 1454.
[32] Cfr. T.A.R. Sardegna, sez. II, 25 marzo 2005; n. 483; ma, soprattutto, T.A.R. Sardegna, sez.II, 27 maggio 2005, n.1272; Id, 10 giugno 2005, n.1386;
[33] Cfr. FOLLIERI E., La giurisdizione del giudice amministrativo a seguito della sentenza della Corte costituzionale 6.7.2004 n.204 e dell’art. 21 octies della legge 7.8.1990, n. 241, in www.giustamm.it; LONGOBARDI N., La legge n. 15/2005 di riforma della legge n. 241 del 1990. Una prima valutazione. in www.Giustamm.it.; contra: GRASSO G., op. cit., il quale non ravvisa i presupposti per tale estensione del sindacato al merito amministrativo né nei provvedimenti vincolati, né tantomeno per quanto concerne i provvedimenti discrezionali, riguardo ai quali la legge riconosce all’Amministrazione la facoltà di introdurre in giudizio proprie valutazioni nell’ambito di un’integrazione postuma della motivazione. A questo proposito, alcune pronunce, segnatamente T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 4 maggio 2005, n. 760 e T.A.R. Abruzzo, Pescara, 13 giugno 2005, n.394, hanno affermato che dal testo del secondo periodo del comma secondo dell’art. 21 octies discenderebbe la generale ammissibilità della integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento. In realtà, se un difetto di motivazione può essere irrilevante negli atti vincolati, tale non può essere nei provvedimenti discrezionali, nei quali la completezza motivazionale deve sussistere già nell’atto finale al fine di rendere edotto il privato interessato dell’iter logico seguito dall’Amministrazione e, inoltre, allo scopo di fornire al privato stesso tutti gli strumenti necessari a garantirgli la tutela del diritto di difesa nell’eventuale impugnazione giurisdizionale. Inoltre, alla generale ammissibilità di una sanatoria del difetto di motivazione nei provvedimenti discrezionali osta il dato letterale della stessa norma richiamata che consente all’Amministrazione di allegare nuovi fatti in giudizio solo nel caso di provvedimento affetto da omessa comunicazione d’avvio. In questo senso si sono espressi apertamente anche SANDULLI M.A., Riforma della L. 241/1990 e processo amministrativo:introduzione al tema, in www.Giustamm.it, n. 7/2005; MONTEDORO G., op. cit.
[34] In relazione a tale questione si veda GIARDETTI M., Poteri cognitori del g.a. in materia di silenzio inadempimento, in www.Giustamm.it, n.7/2005.
[35] DE FELICE S., op.cit..