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n. 1/2009 - © copyright

GIANDOMENICO D’URGOLO

Della legittima composizione delle commissioni di concorso per l’accesso ai ruoli dirigenziali,
con particolare riferimento alla figura dell’ “esperto di comprovata qualificazione”.

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1. La disciplina attuale.

La vigente disciplina in materia di accesso alla dirigenza pubblica consta sia di disposizioni contenute in norme di rango primario, sia di disposizioni, di carattere più specifico, contenute in norme di rango secondario.

Partendo dalle disposizioni di rango primario, vengono in rilievo quelle di carattere generale contenute negli artt. 28, comma 5, lett. c), e 35, comma 3 lett. c), D. Lgs. n. 165 del 2001 (“Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).

La prima delle citate norme, riguardante il reclutamento del personale dirigente nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici, non contiene disposizioni espresse in merito alla composizione delle commissioni esaminatrici, rinviando tout court per la definizione di essa alla fonte regolamentare (regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la Funzione Pubblica).

La seconda, dettata in via generale per il reclutamento di tutto il personale pubblico, sancisce genericamente che le commissioni siano composte “esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica” (tale previsione è  integrata dalle norme contenute nell’art. 9, D.P.R. n. 487 del 1994 che individua i requisiti soggettivi dei presidenti e dei componenti delle commissioni esaminatrici, graduandoli in ragione della differente qualifica funzionale o categoria del personale da reclutare).

Più dettagliata risulta la vigente disciplina regolamentare (art. 4, D.P.R. n. 272 del 2004 “Regolamento di disciplina in materia di accesso alla qualifica di dirigente, ai sensi dell’articolo 28, comma 5, del D. Lgs. 30 marzo 2001”), che prevede espressamente che la commissione esaminatrice del concorso sia nominata con decreto dell'organo di governo dell'amministrazione che indice il concorso e che sia composta da un numero dispari di membri, di cui uno con funzioni di presidente.

Il presidente della commissione è scelto tra magistrati amministrativi, ordinari, contabili, avvocati dello Stato, dirigenti di prima fascia, professori di prima fascia di università pubbliche o private designati nel rispetto delle norme dei rispettivi ordinamenti di settore  (art. 4, co. 2, D.P.R. n. 272 cit.).

I componenti della commissione sono scelti tra dirigenti di prima fascia delle amministrazioni pubbliche, professori di prima fascia di università pubbliche o private, nonché tra esperti di comprovata qualificazione nelle materie oggetto del concorso (art. 4, co. 3, D.P.R. n. 272 cit.).

2. L’evoluzione normativa.

Il sistema di accesso alla dirigenza pubblica statale ha visto il succedersi, nel corso dell’ultimo quindicennio, di vari interventi normativi, di seguito riassunti.

Il D. Lgs. n. 29 del 1993 (“Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della Legge 23 ottobre 1992, n. 421, come modificato ed integrato dai successivi DD. LLgs. n. 470 e 546 del 1993, ha ridisegnato il sistema di accesso alla dirigenza pubblica, basandosi sostanzialmente sul sistema del concorso per esami, riservato alla copertura del 70% dei posti disponibili (il cui 50% proveniente dalla stessa amministrazione banditrice del concorso) e sull’impiego del corso-concorso, destinato a selezionare il restante 30% dei posti disponibili. [1]

Il concorso per esami era aperto al personale, in possesso del diploma di laurea, proveniente dalla ex carriera direttiva o assunto nelle categorie o qualifiche corrispondenti, con almeno cinque anni di servizio in detta posizione, oppure ad esterni, laureati, in possesso della qualifica di dirigente in strutture pubbliche o private.

Il corso-concorso selettivo di formazione era invece destinato a laureati di età non inferiore a 35 anni (o non superiore a 45, se già in servizio presso pubbliche amministrazioni), i quali, superato un primo concorso di ammissione per titoli ed esami, avrebbero poi seguito un corso di formazione biennale presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e svolto un periodo semestrale di applicazione pratica e, infine, sostenuto un esame-concorso finale.

Detta seconda forma di accesso mirava a valorizzare il ruolo formativo della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione nonché ad assicurare un progressivo (seppur modesto) ricambio generazionale della dirigenza.

Tuttavia, anche qui, in concreto, l’impatto della riforma era destinato a restare marginale, poiché, con disposizione transitoria, veniva previsto che, per i tre anni successivi alla sua entrata in vigore, la metà dei posti destinati al concorso pubblico per esami venisse assegnata a seguito di concorso interno per titoli di servizio e colloquio riservati a funzionari della carriera direttiva con almeno nove anni di servizio, salvaguardando, in tal modo, l’esigenza di garantire al personale interno con una certa anzianità uno sbocco ed uno sviluppo professionale.

Percorso diverso era previsto invece per l’accesso alla qualifica di dirigente generale, conferita con atto di alta amministrazione, ampiamente discrezionale, formalizzato in un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. 

La disciplina del sistema di reclutamento è stata di seguito modificata ad opera del D. Lgs. n. 387/1998.

Detto decreto ha previsto un’unica forma generale di reclutamento, ossia il concorso pubblico per esami, distinta secondo due procedure:

a) la prima, riservata al personale dipendente di pubbliche amministrazioni, munito del diploma di laurea, con cinque anni di anzianità in posizioni funzionali richiedenti per l’accesso il possesso della laurea oppure con due anni di svolgimento di incarichi dirigenziali;

b) la seconda, aperta anche a candidati esterni, richiedente, oltre al diploma di laurea, il possesso di diplomi di studio post-universitari (dottorato, specializzazione o altri titoli rilasciati da primarie istituzioni formative pubbliche o private) ovvero lo svolgimento di funzioni dirigenziali in strutture private per almeno cinque anni.

Il D.P.R. n. 324/2000 (“Regolamento recante disposizioni in materia di accesso alla qualifica di dirigente, a norma dell'articolo 28, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29”) , in ossequio ai nuovi criteri, ha disciplinato le prove d’esame in maniera praticamente identica per entrambe le categorie di aspiranti, limitandosi a prevedere, per il personale già dipendente dell’amministrazione, la possibilità di valutare, nell’ambito della prova orale, anche l’esperienza professionale posseduta.

In ogni caso si è previsto, per tutti i vincitori dei concorsi per dirigenti, un periodo formativo presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, anche in collaborazione con istituti universitari italiani o stranieri ovvero primarie istituzioni formative pubbliche o private. [2]

Il sistema di accesso è stato da ultimo nuovamente modificato ad opera dell’art. 3, comma 5 della legge n. 145 del 2002 (“Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato”)  che ha riscritto interamente il testo dell’art. 28 del D. Lgs. n. 165/2001 ed ha reintrodotto il sistema del corso-concorso, che era stato espunto nella seconda fase della riforma della materia.

Secondo il nuovo testo dell’art. 28, comma 1, del D. Lgs. n.165 cit., “l’accesso alla qualifica di dirigente, nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della Pubblica amministrazione”

Al concorso per esami (art. 28, comma 2, D. Lgs. n. 165 cit.) possono essere ammessi i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea e che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio svolti in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso  del diploma di laurea.

Detto periodo è stato ridotto a tre anni per i candidati in possesso di diploma di specializzazione conseguito presso le scuole individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministro dell’Istruzione, a seguito dell’ulteriore ritocco operato all’art. 28 D. Lgs. n. 165 cit. ad opera dell’art. 14, co. 1, della Legge n. 229 del 2003 (“Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. Legge annuale di semplificazione 2001”).

Al concorso per esami possono partecipare inoltre: i dipendenti delle amministrazioni statali reclutati a seguito di corso-concorso, con almeno quattro anni di servizio svolti in posizioni funzionali per le quali è richiesto il possesso del diploma di laurea; i soggetti in possesso della qualifica di dirigente in enti e strutture pubbliche non ricomprese nel campo di applicazione dell’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 165 del 2001, con almeno due anni di esperienza e muniti del diploma di laurea; i soggetti che hanno ricoperto incarichi dirigenziali in amministrazioni pubbliche per un periodo non inferiore a cinque anni, purchè muniti del diploma di laurea; i cittadini italiani, forniti di idoneo titolo di studio universitario, che abbiano maturato, con servizio continuativo di almeno quattro anni, esperienze lavorative presso enti od organismi internazionali in posizioni funzionali apicali. 

Al “corso-concorso selettivo di formazione” (art. 28, comma 3) possono essere ammessi i “soggetti muniti del diploma di laurea, nonché di uno dei seguenti titoli: laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca, o altro titolo post-universitario rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri ovvero da primarie istituzioni formative pubbliche o private, secondo modalità di riconoscimento disciplinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca e la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione”.

Inoltre, al suddetto corso-concorso possono partecipare i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea ed i dipendenti di strutture private, “collocati in posizioni professionali equivalenti a quelle indicate nel comma 2 per i dipendenti pubblici”, “muniti del diploma di laurea” e con “almeno cinque anni di esperienza lavorativa in tali posizioni professionali”.

Come può evincersi dalle citate disposizioni normative, solo nell’ipotesi di corso-concorso è prevista la possibilità di reclutare soggetti completamente esterni alle pubbliche amministrazioni, mentre entrambe le modalità concorsuali sono aperte al personale che già sia dipendente pubblico.

L’individuazione del numero dei posti destinati, rispettivamente, al concorso per esami ed al corso-concorso, nonché il numero dei posti riservati al personale di ciascuna amministrazione che indice i concorsi, nonché i criteri per la composizione e la nomina delle commissioni giudicatrici e le modalità di svolgimento delle selezioni, sono demandati ad un regolamento governativo - da emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 1 della Legge n. 400/1988, su proposta del Ministro della Funzione Pubblica, sentita la Scuola Superiore della Pubblica amministrazione (art. 28, comma 5). [3]

Detto regolamento è stato emanato con  il sopra citato D.P.R. n. 272 del 2004. [4]

3. La sentenza n. 1218/07 del Consiglio di Stato.

Nella recente sentenza 12 marzo 2007, n. 1218, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, è stata chiamata a risolvere la questione concreta circa la possibilità che un dirigente di seconda fascia dell’amministrazione statale (nella specie, del Ministero degli Affari Esteri), in stato di quiescenza, possa essere nominato componente di commissione esaminatrice del concorso per l’accesso alla dirigenza, a titolo di “esperto di comprovata qualificazione” nella materia oggetto di prova (nella specie, Diritto amministrativo).

In particolare, le questioni poste all’attenzione della quarta sezione del Consiglio di Stato, sono sostanzialmente tre:

a) se l’art. 4 , co. 3, D.P.R. n. 272 cit. consenta di ricomprendere nella categoria residuale degli esperti di comprovata qualificazione soggetti in rapporto di servizio con la P.A. che non appartengono alle categorie tipizzate (dirigenti di amministrazioni pubbliche di prima fascia e professori di prima fascia di università pubbliche e private, fermo restando che sono sicuramente nominabili, a titolo di  esperti, i soggetti individuati dalla norma per ricoprire la carica di presidente);

b) in caso di risposta affermativa, quali siano le concrete esperienze professionali, culturali e scientifiche ulteriori che debba possedere il nominando e quale sia l’ambito della discrezionalità esercitabile dall’amministrazione;

c) se il personale dirigenziale non appartenente alla prima fascia e collocato in quiescenza e dunque estraneo all’amministrazione al momento della nomina, possa essere considerato come esperto di comprovata qualificazione senza essere in possesso di oggettivi ulteriori titoli rispetto alla semplice esperienza professionale maturata nell’esercizio dei compiti propri.

La sezione, rispettando fedelmente il dato normativo, ritiene preliminarmente che l’amministrazione non possa nominare un dirigente di seconda fascia, quale esperto di comprovata qualificazione, nell’ipotesi che sia all’attualità legato da un rapporto di servizio con la P.A., stante l’espressa tipizzazione di categorie professionali operata dall’art. 4, co. 3, D.P.R. n. 272 cit.

Per il caso, specificamente oggetto di controversia, del dirigente di seconda fascia in stato di quiescenza nominato componente di commissione di concorso per l’accesso ai ruoli dirigenziali occorre, secondo i giudici di Palazzo Spada, che quest’ultimo possieda titoli ulteriori (di carattere accademico, scientifico ovvero comprovato da pubblicazioni pertinenti le materie oggetto delle prove concorsuali) rispetto a quelli discendenti dal mero esercizio pregresso delle funzioni inerenti la qualifica di dirigente di seconda fascia.

Secondo il collegio, premesso che è indubbio che tutti i membri della commissione da nominare debbano possedere doti culturali specifiche nelle materie nelle quali sono chiamati a svolgere il proprio munus (cfr. CdS, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5325), quella degli esperti di comprovata qualificazione è una categoria autonoma e residuale, che si affianca alle altre due espressamente nominate e per lo più costituita da soggetti non legati da rapporto di servizio con l’amministrazione.

La ratio della disposizione normativa in esame (art. 4, co. 3, D.P.R. n. 272 cit.) viene individuata in ragioni di prudenza ed efficienza dell’azione amministrativa che impongono di prescindere, per evitare la paralisi in presenza di carenze di personale, dal rigido riferimento a specifiche categorie professionali, per cui l’amministrazione gode di ampi margini di discrezionalità nella scelta dei componenti esperti, margini tuttavia comunque sussistenti e più puntuali e limitanti rispetto alla disciplina anteriore al D.P.R. n. 272 del 2004 (contenuta nell’art. 4, comma 3 del D.P.R. n. 324 del 2000, richiedente, quali categorie di personale idonee, “dirigenti dello Stato e di enti pubblici non economici, professori di ruolo di università statali o equiparate, anche straniere, nonché esperti nelle materie di esame oggetto dei concorsi”), in quanto implicanti l’innalzamento dei livelli attitudinali richiesti per la nomina a componente e dai logici corollari applicativi espressione del principio di non contraddizione.

Ai sensi dell’art. 4, comma 3, D.P.R. n. 272 del 2004, il dirigente in servizio di seconda fascia delle amministrazioni pubbliche, non rientrando nella categoria degli esperti di comprovata qualificazione, non può, in quanto tale, essere nominato componente della commissione esaminatrice del concorso per l’accesso alla dirigenza statale.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, la lettera della norma in commento presume in via assoluta la specifica idoneità solo nei confronti di personale dirigenziale di prima fascia.

Quanto ai dirigenti di seconda fascia in quiescenza, sarà necessario che il soggetto in concreto prescelto possieda titoli ulteriori e di spiccata rilevanza rispetto al mero esercizio delle funzioni corrispondenti alla propria originaria qualifica dirigenziale.

Conseguentemente, allo stato attuale della normativa ed in via  generale, i dirigenti di seconda fascia in servizio o in quiescenza non possono essere chiamati a comporre le commissioni per l’accesso ai ruoli dirigenziali delle amministrazioni pubbliche, con l’unica eccezione del dirigente di seconda fascia in quiescenza che possieda titoli professionali, scientifici o accademici di tale rilievo da poterlo annoverare fra gli esperti di comprovata qualificazione, titoli, peraltro, necessariamente estranei all’esercizio pregresso di funzioni svolte nell’ambito del rapporto di impiego.

4. Illegittima composizione della commissione esaminatrice e sue conseguenze. Questioni connesse e correlate.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, l’illegittimità della composizione della commissione giudicatrice di una commissione di pubblico concorso vizia tutte le operazioni del concorso ed il risultato finale di esso (v. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5325 in www. giustizia-amministrativa.it) [5].

Inoltre, la presenza in una commissione esaminatrice di concorso pubblico anche di un solo componente nominato illegittimamente determina l’illegittimità della composizione dell’intera commissione e delle operazioni da essa compiute e l’annullamento dell’atto che ha determinato la composizione della commissione ha effetto, oltre che ex tunc anche erga omnes, essendo assurdo ed illogico ritenere che l’atto annullato, che ha contenuto unitario ed inscindibile, non esista più solo per taluni, rimanendo in vita, invece, per tutti gli altri soggetti (v. Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 1996, n. 264, in Cons. Stato, 1996, I, 409, TAR Lazio, Roma, sez. III, 2 novembre 2004, n. 12234, in Foro amm., TAR, 2004, 3367).

In senso parzialmente differente, vedasi, tuttavia, la giurisprudenza per la diversa ipotesi di illegittima composizione della commissione giudicatrice di un pubblico concorso a causa dell’accertata situazione di incompatibilità esistente tra un componente la commissione ed un candidato: detta situazione comporta come conseguenza obiettiva l’invalidità dell’operato dell’organo e l’annullamento degli atti procedimentali successivi e conseguenti alla nomina viziata, ma opera limitatamente alla parte relativa alla posizione del candidato nei cui confronti sussiste la situazione di incompatibilità, con l’ulteriore conseguenza della necessità della nomina di una nuova commissione per la rivalutazione del candidato interessato (v. TAR Lazio, sez. I, 26 febbraio 2003, n. 1551, in www. giustizia-amministrativa.it).

Secondo l’orientamento prevalente, la tempestiva contestazione, a cura di un candidato, della composizione della commissione esaminatrice, non esenta il candidato stesso dal partecipare alle prove concorsuali, per cui, la mancata partecipazione ad esse, comporta carenza di interesse in ordine all’impugnativa proposta avverso gli atti del concorso stesso (Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2005, n. 138, in Foro Amm., CdS, I, 114;  TAR Puglia, Bari, sez. II, 9 aprile 2003, n. 1658, in Foro Amm., TAR,  2003, 1367)

Sulla necessità di dar conto, nella motivazione della delibera di nomina della commissione di concorso, del titolo in base al quale sia stata riconosciuta ad uno dei componenti la qualità di “esperto”, v. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giurisd., 18 ottobre 1996, n. 344, Foro It., Rep. 1997, voce Concorso a pubblico impiego, n. 93, la quale esclude, altresì, che tale omissione possa essere superabile sulla base di un implicito rinvio al fascicolo personale dell’interessato; in senso analogo, v. Tar Sicilia, sez. II, 29 maggio 1991, n. 315, Foro It., Rep. 1991, voce cit., 87.

In materia di interesse a ricorrere avverso l’atto conclusivo di una procedura concorsuale per un motivo attinente all’illegittima composizione della commissione di concorso, v. Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2005, n. 138, in Foro Amm., CdS, I, 114, secondo cui  l’eventuale illegittima composizione della commissione esaminatrice di concorso non è idonea di per sé ad arrecare nella sfera del candidato una lesione immediata e diretta, che potrà aversi solo nell’ipotesi in cui l’esito dovesse risultare sfavorevole per lui, come nel caso di mancato inserimento nella graduatoria dei vincitori o nel caso di esclusione dal concorso per mancato superamento delle prove scritte o orali; in senso analogo v. ulteriormente Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2006, n. 6984, in Foro Amm., CdS, 2006, 11, 3129, secondo cui sussiste l’interesse dell’appellato, che anzi diviene attuale, ad impugnare l’atto conclusivo della procedura concorsuale per un motivo attinente l’illegittima composizione della commissione, pur non avendo egli impugnato l’elenco contenente la composizione della commissione precedentemente pubblicato. Difatti, tale possibilità costituisce solamente uno strumento di tutela aggiuntivo a disposizione del candidato, che non esclude la possibilità di ricorrere avverso l’atto conclusivo, ove lesivo di un interesse che, all’epoca della pubblicazione della composizione della commissione, era suscettibile di una lesione solo potenziale.

L’illegittima composizione della commissione giudicatrice di un concorso a pubblico impiego a causa dell’illegittimità di una disposizione del bando può essere eccepita dall’interessato mediante impugnazione degli atti conclusivi del procedimento concorsuale - nel cui ambito il bando si configura come provvedimento preparatorio - e la mancata impugnazione del provvedimento di nomina della commissione, con la partecipazione del candidato alla prova d’esame, non importa acquiescenza alla irregolare costituzione della commissione stessa: in tal senso v. Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 1982, n. 563, in Foro Amm., 1982, I, 1939; in senso analogo v. Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 1986, n. 400, in Cons. Stato, I, 1166, Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2005, n. 138, in Foro Amm., CdS, 2005, 114, nonché, in termini più netti, Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5279, in www. giustizia-amministrativa.it, secondo cui, il provvedimento di nomina della commissione giudicatrice può essere impugnato dal candidato che si ritenga leso nei propri interessi solo nel momento in cui, con l’approvazione delle operazioni concorsuali e la nomina del vincitore, si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dell’interessato.

Il termine per impugnare gli atti di concorso in materia di pubblico impiego decorre dalla data in cui l’interessato ha notizia del risultato del concorso stesso, mediante la deliberazione con la quale gli atti concorsuali vengono approvati, facendosi sovente anche luogo alla nomina dei vincitori, poiché tale deliberazione rende l’atto perfetto ed efficace e, quindi, idoneo a produrre una concreta lesione della sfera soggettiva del ricorrente (cfr. da ultimo C.d.S. sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1906).

In ordine alla necessità di dare conto, nella motivazione della delibera di nomina della commissione di concorso, della qualità di membro esperto v. Cons.giust.amm. Reg. Sicilia, sez. giurisd., 18 ottobre 1996, n. 344, in Giur. amm. sic., 1997, 45,  in Foro Italiano, Repertorio, 1997, Concorso a pubblico impiego (1530), n. 93, il quale ha sancito l’illegittimità di una delibera di nomina dal cui tenore testuale non risultava in base a quale titolo venisse riconosciuta la qualità di esperto e che tale omissione non è superabile sulla base di un implicito rinvio al fascicolo personale dell’interessato (in senso analogo v. anche TAR Sicilia, sez. II, 29 maggio 1991, n. 315, in Giur. Amm. Reg. Sic, 1991,33, Foro It., Repertorio, 1991, Concorso a pubblico impiego (1530), n. 87).

Quanto al rinnovo delle procedure concorsuali oggetto di annullamento da parte del giudice amministrativo a causa della riscontrata illegittimità della nomina di uno dei membri della commissione di concorso, v. TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 25 agosto 1998, n. 1009, in Giur. merito, 1999, 874, il quale ha affermato che non è illegittimo da parte della P.A. affidare le operazioni concorsuali alla stessa commissione originariamente designata, sebbene modificata, nella sua composizione, limitatamente al membro poi risultato nominato illegittimamente.

 

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[1] Sulla centralità del concorso pubblico quale forma di accesso al pubblico impiego, con particolare riferimento alla dirigenza pubblica, v. Corte Cost., sent. 29 maggio 2002, n. 218, in www.giurcost.org/decisioni/2002/0218s-02.html, nonché, in dottrina, M. D’APONTE, La centralità del concorso pubblico quale unica modalità di accesso all’impiego: una rassegna di giurisprudenza, in Il lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2004, 2, 475 ss.

[2] Per un riepilogo sulla recente e più significativa evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di concorsi pubblici, con particolare riferimento alla dirigenza pubblica, v. M. MONTINI, Concorsi pubblici: una rassegna giurisprudenziale, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, 7, 719 ss.,  L. ZOPPOLI, Dieci anni di riforma del lavoro pubblico (1993-2003), in Il lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni., 2003, 5, 751 ss.. Con specifico riferimento alla dirigenza nell’amministrazione statale v. M. RUSCIANO, La dirigenza nell’amministrazione centrale dello Stato, in Il lavoro nelle P. A.,2001, 501 ss.

[3] Più in particolare, sulle modifiche introdotte dalla L. n. 145 cit. sul sistema di accesso alla dirigenza pubblica v. E. GRAGNOLI, L’accesso alla dirigenza, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2002, 6, 993 ss., il quale evidenzia, nel sistema creato dalla riforma, l’indebolimento delle aspettative dei candidati esterni all’accesso, che di fatto restano tutelate attraverso il solo meccanismo della selezione tramite corso-concorso.

[4] Sulla centralità del concorso pubblico quale forma di accesso al pubblico impiego, con particolare riferimento alla dirigenza pubblica, v. Corte Cost., sent. 29 maggio 2002, n. 218, in www.giurcost.org/decisioni/2002/0218s-02.html, nonché, in dottrina, M. D’APONTE, La centralità del concorso pubblico quale unica modalità di accesso all’impiego: una rassegna di giurisprudenza, in Il lavoro nelle P.A., 2004, 2, 475 ss.

 [5]  Analogamente v. Cons.Stato, sez.V, 12 marzo 1996, n. 264, in Cons. Stato, 1996, I, 264, Cons. Stato, Sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5279, in Giur. it., 2003,591, Foro. It., Repertorio, 2003, Concorso a pubblico impiego (1530), 91).


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