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Carlo
Di Marco
(Contrattista
presso la cattedra di Istituzioni di diritto pubblico
- Facoltà di Scienze
politiche dell’Università di Teramo)
I rapporti Stato-Regioni nel sistema dell'amministrazione pattizia - Procedure e strumenti di raccordo (*)
![]()
SOMMARIO: 1) Premessa. 2)
- Il fenomeno della concertazione amministrativa. Gli orientamenti della
dottrina. 3) - Le norme primarie d’attribuzione del potere. Le “norme
di relazione”. 4) - (…segue) le norme di relazione attributive di poteri
generali di concertazione. 5)- I più recenti provvedimenti legislativi nelle
relazioni Stato – Regioni – enti locali. I problemi teorici ed
applicativi. 6)- (…segue) gli strumenti ed i mezzi di relazione. 7)- Il D.
lg. 28 agosto 1997, n. 281. 8)- Le Agenzie regionali. 9)- Alcune considerazioni
di sintesi.
1.
Le innovazioni legislative più recenti in materia di decentramento
amministrativo - con riferimento particolare agli artt. 3 comma 1 lett. c) legge 15 marzo 1997, n. 59 e 3, comma 5 del D. Lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 - ripropongono l’esame delle
relazioni Stato - Regioni - Enti
locali, riferite al tema dell’amministrazione concertata ed ai relativi vari
profili.
Il problema che sembra porsi è, infatti, quello della collocazione di
tali indirizzi normativi nel quadro dell’orientamento legislativo precedente
in favore della concertazione in senso ampio - variamente strutturata e
variamente espressa nelle sue molteplici forme, genericamente intesa come
nuovo modo di esercitarsi del potere amministrativo, rispetto al suo carattere
tradizionalmente autoritativo ed unilaterale – anche alla luce delle più
recenti tendenze della dottrina e della giurisprudenza a favore del cosiddetto
regionalismo cooperativo.
Il legislatore aveva da tempo creato istituti di cooperazione e di
collaborazione, specie nei rapporti fra Stato/persona e Regioni, con l’intento
di arginare un modello verticale e statalistico che nel tempo s’era andato
affermando fra questi due livelli di governo
[1]
. Ciò anche con riguardo alla sussistenza di vari strumenti
relazionali di tipo verticale previsti sia dalla Costituzione che dalla
legislazione ordinaria i quali, in difetto di opportuni contrappesi, avrebbero
finito, in qualche modo, per marginalizzare i principi costituzionali di
valorizzazione delle autonomie
[2]
.
Senza la pretesa della puntuale ricognizione delle tappe dello sviluppo e con l’obiettivo di focalizzare solo gli aspetti salienti del processo, si può dire che la Commissione parlamentare per le questioni regionali prevista dall’art. 126 della Costituzione [3] costituì un riferimento di fonte superiore per la costruzione di istituti che avessero riguardo a nuovi modi di atteggiarsi del rapporto Stato - Regioni - enti locali. In seguito con il D.p.r. 24 luglio 1977, n.616, sembrò disegnarsi una svolta storica (definita “rivoluzionaria”) in questi rapporti [4] .
Nell’articolo 11 del provvedimento, infatti, si riproponeva un disegno generale di programmazione di cui si era a lungo parlato a metà degli anni sessanta, ma che era stato abbandonato con la nascita delle Regioni e con il ritorno agli interventi settoriali. Invero il confronto era fra due concezioni diverse: quella statalista, improntata da una direttrice rigidamente verticale presupponendo una configurazione gerarchica del rapporto medesimo, e quella che invece poneva i tre livelli di governo in una posizione tendenzialmente paritaria, equiordinata e di cooperazione [5] .
L’approdo alla programmazione regionale di sviluppo, aveva notoriamente interrotto il primato degli indirizzi dello Stato e la configurazione meramente attuativa dell’intervento regionale, pur determinando di riflesso la necessità di un chiarimento sui meccanismi ed istituti di collegamento fra piani regionali ed indirizzi dello Stato, nonché sui modi di realizzazione, nel territorio regionale, degli interventi statali. Infatti l’attuazione delle innovazioni risentiva della totale assenza di moduli procedimentali e organizzativi atti a realizzare un sistema di partecipazione e cooperazione (come quello configurato nel comma 3 dell’articolo 11) restando ancor fermi, sotto questo aspetto, ad una strutturazione istituzionale di egemonia/supremazia dello Stato.
L’istituto
della Conferenza permanente Stato - Regioni - intervenuta con l’articolo 12
della legge 23 agosto 1988, n. 400, rafforzatasi con il D. lg. n. 418/89,
ulteriormente potenziata con il D. lg. 28 agosto 1997, n.281 - come meglio si
vedrà in seguito - offriva i primi strumenti procedurali di raccordo fra i
due livelli di governo. La Conferenza nasceva, infatti, con compiti di “
informazione, consultazione e raccordo” riferiti alle politiche di indirizzo
dello Stato, genericamente intese, incidenti sulle materie di competenza
regionale - con l’esclusione degli indirizzi di politica estera, difesa,
sicurezza nazionale e giustizia - ma anche con compiti consultivi obbligatori,
con espresso riguardo alla programmazione economica nazionale
[6]
.
Per
altri versi ed in altre fonti
[7]
- in prospettiva parallela - il legislatore ha creato strumenti di
relazione nuovi in coerenza con l’attuale fase della trasformazione dell’amministrazione.
Questa diventa sempre meno autoritativa e sempre più pattizia: sia nel
rapporto con gli amministrati, con i quali stabilisce progressivamente varie
forme partecipative e concertate
[8]
, sia con altri soggetti del potere. Con riferimento a tale ultimo
fenomeno, nell’ambito della legislazione settoriale è dato riscontrare una
pluralità di fattispecie pattizie
[9]
sulle quali la dottrina ha avuto modo di soffermarsi piuttosto
dettagliatamente
[10]
, ma le norme che maggiormente hanno segnato il cambiamento dei
rapporti intersoggettivi in atto, sono riscontrabili senza dubbio negli artt.
3, 24, 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e nell’articolo 15 della legge 7
agosto 1990, n. 241.
Prima
di passare ad un’indagine indicativa sulla possibilità dell’inquadramento
delle recenti scelte legislative nell’ambito del fenomeno più generale
della concertazione, sembra quanto meno opportuno un riferimento alle recenti
elaborazioni teoriche, pur se in maniera assai sintetica.
2. Avevamo
fatto riferimento al profilo dei rapporti fra i soggetti istituzionali di
governo in relazione ai concetti di cooperazione, coordinamento e
collaborazione
[11]
, dal punto di vista delle relazioni fra soggetti titolari di vari
livelli del potere amministrativo, dunque limitandoci alla tipologia di
concertazione e di intese da indicare come concertazione istituzionale in
senso ampio. Ma la complessità del fenomeno - che investe, si ricordava
sopra, sia il versante delle relazioni fra cittadini ed istituzioni pubbliche,
sia quello delle relazioni fra i vari livelli istituzionali stessi - ha
portato la dottrina alla elaborazione di una ricostruzione teorica alquanto
approfondita.
In termini descrittivi si potrebbe affermare che l’amministrazione concertata, si muove su due versanti fondamentali diversamente caratterizzati e disciplinati, determinati da norme primarie di attribuzione del potere. Infatti sia nel versante delle relazioni fra cittadini ed amministrazione pubblica che in quello delle relazioni fra soggetti titolati all’esercizio dei pubblici poteri (ad es. Stato - Regioni - enti locali), la concertazione avviene solo in virtù di disposizioni primarie di attribuzione. In riferimento al primo versante, ad esempio, gli accordi fra amministrazione e privati, sono previsti e disciplinati dall’articolo 11 della legge 241/90. In esso il legislatore ha conferito alle pubbliche amministrazioni, la possibilità di concludere accordi, con soggetti portatori di interessi, per la determinazione del contenuto del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione del provvedimento stesso. Per altro il legislatore ha disciplinato piuttosto puntualmente tale possibile rapporto [12] .
Parimenti
sul versante delle relazioni intersoggettive fra i titolari dell’esercizio
del potere, dunque in particolare nelle relazioni Stato - Regioni - enti
locali, le fonti primarie di attribuzione sono varie, come meglio si vedrà,
ma quella che maggiormente caratterizza in senso programmatico tale forma di
concertazione è individuabile principalmente
nell’articolo 15 della legge 241/90. Qui la norma è talmente
elastica da far ritenere che il legislatore abbia voluto generalizzare per le
amministrazioni pubbliche, la possibilità di disciplinare, fra loro in
collaborazione, tutte le attività che abbiano il carattere del comune
interesse, senza porre altri limiti di materia, immettendole, per tal via,
nella titolarità di un potere discrezionale di grand’estensione
[13]
.
Restando
sul versante della concertazione dell’attività dei soggetti del potere
amministrativo, si sono distinte varie fattispecie nei rapporti
intersoggettivi. Pur nella consapevolezza che l’uso dei termini (intesa,
concerto, accordo ecc.) non segue una classificazione concettuale
sufficientemente chiara e definita, si è comunque tentata una ripartizione
dei mezzi di relazione, indicando nel “concerto” il mezzo collaborativo
che interviene nell’ambito di uno stesso livello di governo (si pensi alle
concertazioni interministeriali) e nelle “intese” quelli che si verificano
fra diversi livelli di governo
[14]
. Entrambi avrebbero un analogo fine nel promuovere e favorire la
collaborazione fra le autorità, ma si differenzierebbero per il il diverso
rapporto esistente fra i soggetti coinvolti: nel caso del concerto le
soggettività coinvolte insisterebbero nell’ambito di uno stesso livello d’esercizio
del potere, nel caso dell’intesa esse si troverebbero dislocate in vari
livelli, quali potrebbero essere lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
Tuttavia
nell’ambito delle forme o mezzi di concertazione che sopra si sono definite
“intese”, la dottrina ha isolato la fattispecie definibile “endoprocedimentale”,
facendo riferimento a quelle che intervengono, facoltativamente ovvero
obbligatoriamente - a seconda della disposizione stabilita nella norma che
attribuisce tale potere pattizio in senso ampio - nell’ambito del
procedimento, ma a fronte di un rapporto intersoggettivo che resta egemonico a
favore del soggetto procedente. Si pensi ad esempio alle intese
endoprocedimentali fra soggetti diversi il cui mancato intervento non
ostacolerebbe il potere del soggetto titolare, di pervenire comunque alla
emanazione del provvedimento finale
[15]
, per via del carattere dell’irrinunciabilità dell’esercizio
del potere.
Si
è anche individuata una fattispecie definita “endoprovvedimentale”, con
riferimento a quelle intese che intervengono fra soggetti dell’amministrazione
attiva, in posizione di pariordinazione, sia che tali intese siano imposte
dalla norma primaria di attribuzione, sia che le stesse siano, più
semplicemente, facoltizzate dalla norma stessa, per giungere ad un
provvedimento finale, per così dire, “contrattato”
[16]
. Così nella forma associativa fra enti locali prevista dall’articolo
24 della legge 142/90, il legislatore ha voluto facoltizzare una possibilità
di intesa fra soggetti pariordinati di amministrazione locale, definita “convenzione”,
allo scopo di coordinare lo svolgimento di funzioni e servizi determinati.
[17]
.
Simile
appare la previsione dell’articolo 8 del D.p.r. 616/77, nella quale il
legislatore attribuisce il potere alle Regioni finitime - dunque a soggetti
pariordinati nello stesso livello di governo - di addivenire a intese, per lo
svolgimento di attività e servizi aventi il carattere del comune interesse
territoriale, come piani di sviluppo su aree omogenee ancorché ricadenti su
zone di confine fra regioni.
Nel
quadro sopra brevemente riassunto, appare del tutto peculiare la collocazione
di un’altra fattispecie pattizia, prevista dal legislatore: quella degli
accordi di programma di cui all’articolo 27 della legge 142/90. Con
riferimento ad essa, sono stati sottolineati i particolari caratteri
desumibili da almeno due profili. Quello del favor
legis – e infatti gli accordi di programma hanno avuto un percorso di
elaborazione concettuale e di disciplina positiva maggiore che nelle altre
fattispecie pattizie - quello dell’attinenza esclusiva alla funzione
programmatoria
[18]
. Di conseguenza, tenendo conto dell’ampiezza delle fattispecie
di cui all’articolo 15 della legge 241/90, che la configurano come norma
fondamentale dell’amministrazione pattizia
[19]
, sia le intese che gli accordi di programma si collocano al
cospetto dell’articolo 15 richiamato, come species
di un genus
[20]
.
3.
Le finalità prefissate della nostra pur breve indagine, ci conducono ad un
esame più ravvicinato di alcune di quelle fonti che determinano il nuovo
sistema delle relazioni fra soggetti del potere.
Esse,
sono caratterizzate da vari gradi di incidenza sulla fattispecie pattizia, per
cui si hanno leggi di attribuzione le quali, oltre l’individuazione di
forme, mezzi e strumenti di accordo (convenzioni e/o altri strumenti di natura
contrattuale), ne stabiliscono direttamente anche parte dei contenuti, pur se
in termini di indirizzo.
Il
riferimento è alle varie leggi di relazione sin qui per sommi capi esaminate.
Per portare alcuni esempi, infatti, nel caso dell’articolo 8 del D.p.r.
616/77, la formulazione autorizzativa della norma limita la possibilità delle
intese fra Regioni finitime sia sotto il profilo organizzativo (esse devono
disciplinare la costituzione di uffici o
gestioni comuni possibilmente anche con la costituzione di consorzi) che
sotto il profilo dell’ambito territoriale. Dette intese, infatti, sono
possibili solo per le attività ed i servizi che interessano più Regioni
confinanti. La norma primaria d’attribuzione del potere, determina le forme
organizzative dell’intesa ed il suo ambito territoriale, senza spingersi a
determinare anche la materia degli uffici e gestioni comuni.
Nella
formula autorizzatoria di cui all’articolo 24 della legge 142/90, l’intesa
consiste di una convenzione limitatamente allo svolgimento di funzioni e
servizi determinati, ma il legislatore in questo caso ha voluto anche
stabilire (comma 2) i contenuti essenziali della
convenzione.
L’articolo
81 del D.p.r. 616/77, prevede l’intesa fra Stato e Regioni per l’accertamento
della conformità delle prescrizioni delle norme urbanistiche ed edilizie
locali, in riferimento ad opere dello Stato da eseguirsi
da amministrazioni statali, accertamento comunque effettuato dallo
Stato. Qui la forma pattizia ha una configurazione endoprocedimentale che
prescrive comunque la conclusione del procedimento entro un determinato tempo
stabilito dalla stessa norma di relazione, restando, l’Amministrazione
statale, in una posizione di primazia.
Nell’articolo
27 della legge 142/90, limitatamente all’attuazione e definizione di opere
pubbliche (“….di opere, di interventi o di programmi di intervento...”),
il legislatore ha attribuito il potere ai vari livelli di governo di iniziare
e concludere una specifica e peculiare forma di amministrazione pattizia (l’accordo
di programma), predeterminandone l’iter e la forma di relazione.
4.
Gli esempi
sull’amministrazione per accordi, specie nella legislazione di settore,
potrebbero continuare, ma ciò che preme sottolineare, è che accanto a tali
fonti che conferiscono ai soggetti poteri di relazione circoscritti - avendo
essi riferimento a settori di materia ed a forme specifiche di intesa – se
ne aggiunge una categoria che attribuisce ai soggetti, poteri di varia
ampiezza - in posizione pariordinata o meno
- e potrebbe considerarsi categoria di fonti attributive di poteri
pattizi generali, il cui esercizio non potrebbe essere circoscrivibile né a
materie settoriali definite, né a allo svolgimento di servizi e funzioni
determinati, pur se tale ultima specificazione potrebbe anche comprendere una
gamma di attività dell’amministrazione pubblica di un’ampiezza pressoché
indefinita.
Queste
non prestabiliscono specifiche fattispecie di relazione, ma pongono principi
destinati ad informare la successiva determinazione normativa di attuazione.
L’articolo
11 del D.p.r. 616/77
[21]
, oltre che stabilire il metodo della programmazione come punto di
riferimento di tutta la finanza pubblica (ultimo comma), istituzionalizza l’intesa
fra i tre livelli di governo finalizzata alla programmazione generale dello
Stato e delle Regioni. Evidentemente non siamo di fronte ad intese riferite a
settori determinati dell’intervento pubblico bensì a rapporti pattizi
concernenti l’intervento pubblico tout
court.
Nel
primo comma dell’articolo in esame, l’intesa che si prefigura fra lo Stato
e le Regioni, è un “concorso” necessario e concomitante per la
determinazione degli obiettivi della programmazione economica di cui lo Stato
è titolare. Esso costituisce irrinunciabile attribuzione di un potere di
intesa fra Stato/persona e Regioni. Ne discende che il mancato esercizio di
tale potere renderebbe impossibile la determinazione degli obiettivi della
programmazione statale. Ma la norma lascia indefinite forma e modalità dell’esercizio
del concorso - senza alcun rinvio esplicito ad altre fonti inferiori o
pariordinate - facendo ritenere che la determinazione delle stesse sia
rilasciata alla successiva disciplina statale. Non così per la determinazione
dei programmi regionali di sviluppo (comma 2). Infatti, per questi ultimi,
anche se il concorso degli enti locali si profila irrinunciabile come per la
programmazione statale/nazionale, il legislatore ha espressamente prevista la
fonte statutaria (regionale) per la determinazione delle modalità di
esercizio del concorso.
Nelle
disposizioni del comma 3, oltre alla richiama concertazione concorsuale con
gli enti locali territoriali, il legislatore ha imposto l’ “armonia”
della programmazione regionale di sviluppo con la predeterminata, ma non meno
“contrattata” - per così dire - programmazione economica nazionale.
In
buona sostanza, secondo il sistema relazionale prefigurato dall’articolo 11
in esame, la programmazione economica nazionale passerebbe necessariamente
attraverso una forma di intesa (il concorso) con le Regioni, ma anche la
determinazione della programmazione regionale di sviluppo passerebbe
attraverso intese (ancora il concorso) con gli enti locali territoriali ed in
armonia con gli obiettivi della programmazione economica statale che dunque
dovrebbero essere già stabiliti secondo il disposto del comma 1 dell’articolo
in parola. In più sembrerebbe impossibile l’attuazione
degli interventi previsti dai programmi regionali di sviluppo di cui è
competente la regione, senza la loro coordinazione con gli interventi di
competenza statale e degli enti locali(comma 3).
Invero
il sistema testé raffigurato prescrivendo forme di intesa - in realtà
indefinite - fra soggetti non istituzionalmente pariordinati (Stato - Regioni
- enti locali), stabilisce fra gli stessi relazioni sostanzialmente paritarie
(il concorso, il coordinamento), non potendosi riscontrare fra i soggetti
stessi - in riferimento alla programmazione - alcuna forma di relazione
verticale
[22]
.
L’articolo
3 della legge 142/90 – prima che intervenissero le innovazioni contenute
nella legge 3 agosto 1999, n.265, attualmente in fase di pubblicazione –
conteneva indubbiamente notevoli innovazioni. La norma molto complessa e di
non facile lettura, non stabiliva fra Regioni ed enti locali relazioni
sostanzialmente paritarie come nell’articolo 11 del D.p.r. 616/77
[23]
.
La
disposizione può essere suddivisa in due differenti parti normative. Nella
prima parte – commi 1, 2 e 3 – si fissavano principi generali che
investivano rispettivamente due campi:
1)
la titolarità in capo
alle Regioni del potere di individuare, con legge, gli interessi degli enti
locali nelle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione, in rapporto
alle loro caratteristiche di popolazione e territorio, finalizzata alla
organizzazione e all’esercizio delle funzioni amministrative esercitate a
livello locale;
2)
la cooperazione (comma
3) come principio generale - che attiene cioè a tutti i rapporti fra livelli
di governo, senza alcuna limitazioni di materia – finalizzato all’efficienza
del sistema delle autonomie locali ed asservito allo sviluppo economico, sociale e civile.
In
ambedue i campi sopra richiamati, era evidente la primazia della regione che
esercitava un ruolo centrale e sovraordinato rispetto agli enti locali.
Infatti è la legge regionale che primeggiava e dettava le regole, pur se,
laconicamente, nel primo dei due campi, attraverso
gli enti locali
[24]
.
La
seconda parte normativa dell’articolo in rassegna (commi 4, 5, 6, 7, 8), ha
riguardo alla programmazione economico - sociale e territoriale dell’intero
territorio regionale. Era qui confermata la primazia della legge regionale per
la definizione degli obiettivi e delle forme di collaborazione e
partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani, dei programmi di
sviluppo regionali e di “altri provvedimenti della regione”.
Mentre
per la definizione degli obiettivi generali della programmazione economico -
sociale e territoriale il legislatore non aveva previsto il concorso degli
enti locali (comma 4) - come lo aveva previsto nel comma 2 dell'articolo 11
del D.p.r. n. 616/77
[25]
- tale concorso, le cui forme e modalità sono stabilite dalla
legge regionale, è invece voluto dal legislatore statale, con riguardo alla
determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e programmi dello Stato e
delle Regioni (commi 5 e 6). Piani e programmi
dello Stato e delle Regioni costituiscono singole parti della
programmazione generale. Obiettivi della
programmazione economico-sociale statale o regionale, ed obiettivi di singoli
piani e programmi, evidentemente sono riconducibili ad un complesso sistema
programmatorio generale, ma non coincidono. Francamente non ci sembra che il
legislatore del 1990 abbia voluto prevedere il concorso degli enti locali per
la determinazione degli obiettivi generali della programmazione, sul piano
regionale
[26]
.
L’articolo
2 comma 2 della recentissima legge n. 265/1999, così come ci appare a prima
lettura, pur confermando la centralità della Regione nel complesso sistema di
relazioni fra Regioni ed enti locali, ripropone il concorso degli enti locali
per la determinazione degli obiettivi della programmazione regionale. Questi,
infatti, non sono più fissati dalla
Regione, ma, da essa, solo indicati,
presupponendo per tal via il successivo concorso degli enti locali per la loro
determinazione. Per altro la cooperazione degli stessi per la creazione di un
efficiente sistema autonomistico, non sarà più disciplinata dalla Regione, dovendosi, questa, limitare ad indicare
i principi generali di tale disciplina.
L’ampiezza
della gamma di poteri di relazione pattizia che l’articolo 15 della legge
241/90 attribuisce alle amministrazioni – per altro ampiamente sottolineata
dalla letteratura richiamata
[27]
- ha successivamente confermato una generale volontà del
legislatore statale a stabilire un nuovo modus
delle relazioni fra soggetti del potere amministrativo, basato sulla
concertazione in senso generale.
L’articolo, inserito nel capo IV della legge 241/90 – dedicato alla semplificazione dell’azione amministrativa - fa riferimento esclusivamente ai rapporti fra soggetti titolari del potere amministrativo nei vari livelli istituzionali, per l’esercizio più semplificato della generalità delle loro funzioni. Trattasi pur sempre di funzioni amministrative, visto che la norma è rivolta alle amministrazioni ed alla semplificazione dell’azione amministativa. Pertanto non sembra che i principi di concertazione generale contenuti nell’articolo 15 in argomento possano valere per le funzioni legislative dello Stato e delle Regioni. Ne discende che la determinazione degli obiettivi e degli indirizzi della programmazione economica statale e di quella di sviluppo economico-sociale regionale, che è attività legislativa, non può essere informata ai principi di concertazione fissati nell’articolo 15 della legge 241/90, ma a quelli di cui alle fonti sulla programmazione statale e regionale sopra brevemente esaminate.
Volendo
ora tentare una sintesi dell’esame, pur se descrittiva, di queste fonti, si
potrebbe affermare che esse definiscano, in termini di principio, relazioni
istituzionali fra soggetti del potere - non propriamente o necessariamente di
carattere pattizio - che a volte ne comportano una sostanziale
pariordinazione, quando non fissano forme di imposizione verticale nell’esercizio
dei poteri, caratterizzate da contenuti tipicamente di egemonia/supremazia da
parte del superiore livello di governo.
Proprio
perché le relazioni poste dalle fonti in argomento hanno il carattere della
istituzionalità – potrebbero dunque essere modelli organizzativi generali
– esse non hanno per oggetti settori di intervento circoscritti. Si
riferiscono infatti, alla programmazione economica, a quella di sviluppo
economico-sociale delle Regioni ed a volte – come nel caso dell’articolo
15 della legge 241/90 - ad attività di interesse comune fra le
amministrazioni stesse, avendo riguardo ad una gamma pressoché indefinita di
attività amministrative. Attengono dunque all’esercizio del potere, pur
dovendo distinguere i casi in cui esso riguarda l’esercizio del potere
amministrativo da quelli in cui riguarda l’esercizio del potere legislativo
[28]
.
Queste fonti non stabiliscono direttamente forme e modalità di
svolgimento delle relazioni stabilite, ma talvolta rimandano la definizione di
tali strumenti ad altre fonti (come la legislazione regionale o gli statuti),
altre volte tacciono rilasciando alla discrezionalità dei soggetti preposti,
l’individuazione e determinazione delle forme relazionali e/o pattizie
necessarie per l’attuazione dei principi da esse stabiliti. Ad esempio il
rinvio alla legislazione regionale fatto nell’articolo 3 della legge 142/90,
per la disciplina delle relazioni stabilite fra Regioni ed enti locali e sopra
brevemente esaminate, hanno avuto varie applicazioni e spesso diverse nelle
varie leggi regionali di attuazione.
Pur nella sua apparente contraddittorietà, il sistema di fonti testé
illustrato è orientato alla creazione di un sistema relazionale fra i tre
livelli di governo, tendenzialmente cooperativistico e paritario la cui
realizzazione, tuttavia, deve necessariamente avvalersi di successivi passaggi
normativi da parte dei soggetti titolati.
Ma, oltre la legislazione regionale attuativa dei principi contenuti
nell’articolo 3 della legge 142/90 e le varie forme pattizie informate ai
principi dell’articolo 15 della legge 241/90, rilasciate, come evidente,
alla libera determinazione dei soggetti interessati, mancavano, prima della
più recente legislazione, come meglio si vedrà, strumenti, strutture e
procedimenti atti a garantire questo nuovo sistema di relazioni. Ciò in
quanto un modello relazionale di tipo, per così dire, orizzontale,
s’impone con forza, solo a decorrere dall’apertura del processo di
riforma delle autonomie iniziato da così poco tempo. E’ noto, infatti, che
quasi due lustri hanno scalfito ben poco, specie sotto l’aspetto culturale,
un antico sistema di relazioni istituzionali fortemente statalistico.
5. Con
la disposizione di cui all’articolo 3 comma 1 lett. c) della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore ha riproposto i
principi del modello cooperativistico, delegando il Governo per vari
adempimenti di carattere applicativo di grande rilievo.
Secondo
un’interpretazione letterale della norma, con i decreti delegati il Governo
deve individuare “procedure e strumenti di raccordo” costituendo (ovvero
modificando ove già in esistenza) “forme strutturali e funzionali di
cooperazione” che consentano la
“collaborazione” e “l’azione coordinata”
fra enti locali, tra Regioni
e tra i diversi livelli di governo, nonché la “presenza”
e “l’intervento”,
anche unitario, di rappresentanti statali, regionali e degli enti locali nelle
diverse
“strutture”, necessarie per l’esercizio delle funzioni di raccordo
[29]
.
La
norma rientra, con molta evidenza, in quel sistema di fonti attributive di
poteri di relazione, per così dire, di carattere istituzionale. Essa,
infatti, stabilisce un fondamentale rapporto di coordinazione e di tipo
collaborativo fra i vari soggetti (enti locali, Regioni e Stato), che deve
essere perseguita attraverso strumenti operativi di carattere organizzativo e
funzionale, per l’individuazione dei quali è delegato il Governo.
La
concertazione di tipo cooperativistico stabilita dalla legge di delega non si
limita all’esercizio del potere amministrativo, ma ha una portata molto più
ampia, riferendosi in generale all’esercizio delle funzioni pubbliche dei
soggetti interessati (“…che consentano la collaborazione e l’azione
coordinata tra enti locali, tra Regioni e tra i diversi livelli di governo e
di amministrazione….”)
[30]
. Ma la norma richiamata deve comunque essere letta alla luce dei
principi di sussidiarietà, enunciato nel comma 3, lett. a)
del successivo articolo 4, e di cooperazione fra Stato Regioni ed enti locali
di cui alla lett. b) del medesimo
comma. Ciò potrebbe far ritenere che il legislatore delegante abbia voluto
determinare un rapporto di tipo paritario fra i soggetti. Sembrerebbe,
infatti, nel sistema che si configura, completamente assente qualsiasi forma
di egemonia/supremazia fra i soggetti di governo. Ma la delega contenuta nel
richianato art. 3 comma 1 lett. c)
contiene una particolare direttiva al Governo: esso, onde garantire un
rapporto cooperativistico e di collaborazione fra i soggetti di governo –
dunque un rapporto sostanzialmente paritario – deve individuare procedure e
strumenti funzionali di relazione, anche di carattere
sostitutivo da parte dello
Stato e delle Regioni nel caso di mancato esercizio delle funzioni conferite
agli inferiori livelli di governo. Considerando che il conferimento delle
funzioni realizzato dalla legge di delega secondo i principi di sussidiarietà
e di cooperazione, come sopra ricordato, è volto alla valorizzazione delle
autonomie locali e territoriali, il rapporto di supremazia che si manifesta
nel potere sostitutivo conferito allo Stato ed alle Regioni, acquista una
configurazione forse inedita, non essendo orientato all’imposizione di
superiori determinazioni nell’esercizio dei pubblici poteri, bensì –
paradossalmente - alla promozione ed alla garanzia della pariteticità delle
relazioni Stato – Regioni – enti locali.
6. La
delega al Governo per la individuazione degli strumenti organizzativi e
funzionali tesi alla garanzia delle relazioni determinate, non è di facile
lettura. In essa, infatti, si stabiliscono due diverse categorie di strumenti
atti a garantire la collaborazione e l'azione coordinata fra i tre livelli di
governo: l'una di tipo procedimentale e funzionale (procedure e forme di
cooperazione funzionali) l'altra di
tipo soggettivo e/o organizzativo (strutture, forme di cooperazione strutturali e strumenti di raccordo) ma la loro identificazione è
problematica proprio per la novità delle funzioni cui sarebbero chiamate tali
categorie di strumenti.
Invero
si conoscono strumenti funzionali e strutturali di relazioni verticali che
hanno in passato assolto - in parte ancora continuano ad assolvere - funzioni
di indirizzo e controllo nel rapporto Stato-Regioni-enti locali secondo la
direttrice statalista
[31]
, ma non per le prospettate nuove relazioni determinate dalla fonte
primaria di relazione.
In
sostanza, con un linguaggio non proprio scorrevole, il legislatore tenta di
creare - delegandone il Governo per la definizione - meccanismi organizzativi
e funzionali che superino l’ostacolo essenziale all’attuazione del disegno
di cooperazione, determinato appunto dalla mancanza di strumenti di raccordo
ovvero di “...moduli procedimentali e organizzativi capaci di configurare
effettivamente i livelli inferiori come partecipi, oltre che come esecutori a
maglie più o meno larghe, degli indirizzi provenienti dai livelli superiori.”
[32]
. Cioè, sembra di capire, soggetti istituzionali e attività
procedimentali idonei allo svolgimento di una o più funzioni attuative del nuovo rapporto fra i tre livelli di governo. Tali che ne
assicurino la pariteticità, la cooperazione ed il raccordo, superando la
concezione verticistica dello Stato centralista.
Una più attenta lettura dell' ultima parte della disposizione in
esame, non chiarisce la materia della rappresentanza nelle strutture in
argomento. Si direbbe, infatti, che il legislatore delegato debba anche
individuare..."..la presenza e l'intervento, anche unitario, di
rappresentanti statali, regionali e locali nelle diverse strutture..", ma
oltre l'infelice uso del verbo “individuare”, il delegante non chiarisce
minimamente né cosa possa intendersi per “unitarietà” - per altro
eventuale - dell'intervento, né quali siano
caratteristiche e ruolo di tali rappresentanti.
La circostanza che tali procedure e strutture debbano consentire la
collaborazione e l'azione coordinata tra enti locali, tra le Regioni e tra i
tre livelli di governo e di amministrazione, ne configura essenzialmente un
ruolo di impulso e di controllo. Pertanto le caratteristiche dei
rappresentanti in dette strutture dovrebbero assicurarne quanto meno la
neutralità.
In
quest'ottica il rischio che si corre, data l' espressione usata dal
legislatore delegante in riferimento alla composizione di detti organismi
nell'art. 3 comma 1 lett c) della
legge 59/97, è quello di dare vita a soggetti di alta qualificazione tecnica
con funzioni di impulso, controllo ed ausilio, ostaggi però della politica.
La rappresentanza dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, infatti,
come configurata nel testo normativo in esame, è di natura politica in
strutture che hanno funzioni non politiche. Detta
presenza ove non opportunamente delimitata dalla legge regionale,
potrebbe malauguratamente far rientrare dalla finestra una concezione
verticale delle relazioni Stato - Regioni - enti locali, che faticosamente si
cerca di cacciare dalla porta.
L'articolo
3 del D. lgs. 31 marzo 1998, n. 112, fra le altre cose, al comma 5° rimanda
molto opportunamente alla legislazione regionale il delicato compito di
individuare tali soggetti istituzionali ed attività procedimentali,
limitatamente al sistema delle relazioni Regioni - enti locali, ma su quelle
fra Stato e Regioni e fra Stato ed enti locali, il legislatore delegato ha poi
provveduto tout de suite con il D.
lg. 28 agosto 1997, n. 281, allorché, ha definito ed ampliato le attribuzioni
della Conferenza permanente Stato – Regioni ed unificato la stessa, per le
materie ed i compiti di interesse comune, con la Conferenza Stato – città
[33]
.
7. Il
D. lg. N.281/97, attua la delega di cui all’articolo 9 della legge 59/97
[34]
. Questa deve essere letta anche in collegamento con quella di cui
al precedente atricolo 3, comma 1 lett c)
della stessa legge 59/97. Il comma 2 dell’articolo 1 del D. lg. N. 281/97,
infatti, fa espresso riferimento alla delega in questione, rinviando l’eventualità
di ulteriori compiti e funzioni da attribuire alla Conferenza, in sede di
individuazione, da parte del Governo, delle procedure e degli strumenti di
raccordo di cui trattiamo.
Il
legislatore delegato ha così modellato due importanti soggetti istituzionali
di raccordo: la Conferenza Stato-Regioni (capo II) e la Conferenza unificata
(capo III). Ad esse ha conferito funzioni e compiti ripartiti per materia.
Alla prima sono conferiti limitatamente alle materie di interesse regionale,
interregionale ed infraregionale, allo scopo di garantire la partecipazione
delle Regioni e delle province autonome, a tutti i processi decisionali. Alla
seconda, con lo stesso scopo, funzioni e compiti sono conferiti con riguardo
alle materie di interesse comune fra Stato, Regioni ed enti locali.
La
Conferenza Stato-Regioni, con la finalità sopra ricordate, oltre i compiti e
le funzioni stabiliti dall’articolo 12 della legge 400/88, acquisisce una
fondamentale funzione di impulso che determina un peso notevole di questa
struttura sui rapporti istituzionali. Si pensi – per portare solo alcuni
esempi - al fondamentale ruolo di promozione del coordinamento della
programmazione dello Stato e delle Regioni, del raccordo della stessa con le
attività di soggetti gestori di pubblici interessi rilevanti sul piano
territoriale
[35]
; agli inviti e proposte che la Conferenza può formulare nei
confronti di soggetti pubblici o privati che gestiscono pubbliche funzioni
[36]
; alle intese ed agli accordi promossi dalla Conferenza ai sensi
delle disposizioni di cui agli artt. 3 e 4.
A fianco di siffatte prerogative, il legislatore delegato conferisce
alla Conferenza anche:
a)
funzioni di controllo successivo, sul conseguimento degli obiettivi e
dei risultati raggiunti, limitatamente agli atti di pianificazione e di
programmazione, sui quali si sia precedentemente pronunciata
[37]
;
b)
funzioni di carattere direttivo (deliberativo), con riferimento all’applicazione
uniforme degli indirizzi diagnostici e terapeutici, sul piano locale, e delle
eventuali misure sanzionatorie, nonché in riferimento ai protocolli di intesa
dei progetti sperimentali ai sensi dell’articolo 9/bis del D. lg. 30 dicembre 1992, n. 502
[38]
.
Di notevole interesse, rispetto alle finalità della nostra indagine,
sono le forme pattizie denominate “intese” e “accordi” nel comma 1
dell’articolo 2 del provvedimento in rassegna. Le prime hanno riferimento al
procedimento; si configurano come incontro delle volontà del Governo e dei
presidenti (tutti) delle Regioni e delle province autonome nella Conferenza.
Esse, tuttavia, sono limitate ai procedimenti per i quali la legge ha
espressamente previsto un’intesa nella Conferenza
[39]
. Per altro hanno un tempo massimo di realizzazione (trenta giorni
dalla prima seduta della Conferenza) passato il quale provvede il Consiglio
dei Ministri con atto motivato. Nei casi di urgenza motivata, il Consiglio dei
Ministri adotta i relativi provvedimenti riservandosi di sottoporli all’esame
della Conferenza nei quindici giorni successivi.
Queste forme pattizie, dunque, hanno un carattere endoprocedimentale,
si svolgono fra soggetti non pariordinati (lo Stato e le Regioni), sono
sottoposte al potere sostitutivo del soggetto sovraordinato in caso di mancata
intesa, e possono intervenire anche successivamente all’adozione di un
provvedimento emanato, in casi d’urgenza, dal Consiglio dei Ministri.
Diverse sono le altre forme pattizie previste dall’articolo 4 dello
stesso D. lg. 281/97. Queste sono definite “accordi” e non devono essere
espressamente previste dalla legge: esse possono, infatti, intercorrere fra lo
Stato e le Regioni – oltre che fra lo Stato e le province autonome – in
qualsiasi momento i soggetti interessati lo ritengano opportuno, con la
condizione della ricorrenza dell’interesse comune e con la finalità di
coordinare l’esercizio delle rispettive competenze, nel perseguimento degli
obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell’azione
amministrativa, in osservanza del principio di leale collaborazione
[40]
. In buona sostanza una norma generale di relazione priva di limiti
di materia, la cui portata innovativa si accosta a quella che si è
sottolineata per l’articolo 15 della legge 241/90
[41]
. La peculiarità è tuttavia nel fatto che la norma è riferita a
soggetti destinatari esattamente individuati: in questo caso sono lo Stato, le
Regioni e le province autonome - nell’ambito della Conferenza permanente.
Una prima valutazione - certo non conclusiva – cui è dunque
possibile pervenire, con riferimento agli accordi di cui all’articolo 4 del
D. lg. 281/97, assumendo la considerazione già formulata dalla dottrina sulla
generalità dell’articolo 15 della legge 241/90 è che tali forme pattizie,
promosse dalla Conferenza permanente Stato-Regioni, nell’ambito delle sue
funzioni di impulso possano rientrare nella categoria generale e polivalente
dei patti, delle intese e degli accordi di cui all’articolo 15 richiamato,
secondo un rapporto di species a genus.
La Conferenza unificata, di cui al capo III del D. lg. 281/97 in
rassegna, così denominata perché unifica la Conferenza Stato – città ed
autonomie locali alla Conferenza Stato – Regioni, per le materie ed i
compiti di comune interesse, si configura anch’essa come organismo
propositivo, di impulso e di consultazione
[42]
, anche se il tenore degli articolo 8 e 9 potrebbero far pensare, a
prima lettura, ad un organismo meramente consultivo, meno influente della
Conferenza Stato – Regioni.
In realtà, come d’altra parte stabilito nel comma 1 dell’articolo
9, la Conferenza unificata promuove intese ed accordi non meno della
Conferenza Stato – Regioni, assume deliberazioni e promuove accordi e
contratti. Semmai un rilievo di
notevole importanza andrebbe formulato proprio con riferimento a tale profilo.
Dalle intese e dagli accordi di
cui agli artt. 3 e 4, infatti, il legislatore delegato ha escluso la
Conferenza unificata: negli articoli in parola è fatto espresso riferimento
alla Conferenza Stato – Regioni. Per cui, oltre che nel richiamato articolo
9, comma 1, anche in quei casi in cui il D. lg. N.112/98 ha previsto intese
con la Conferenza unificata senza nel contempo prevedere poteri sostitutivi
[43]
, ci sarebbe da chiedersi se per essi, in caso di mancata intesa,
valga o meno il potere sostitutivo di cui è rivestita la Presidenza del
Consiglio dei Ministri con il comma 3 dell’articolo 3 e se valgano le altre
disposizioni in esso contenute.
8. Abbiamo
sopra ricordato che sul versante delle relazioni fra Regioni ed enti locali,
il legislatore delegato ha opportunamente rinviato alla legislazione regionale
il compito di prevedere strumenti e procedure di raccordo e concertazione,
finalizzati alla creazione di forme di cooperazione strutturali e funzionali
[44]
. Tale “invenzione” –
per così dire – di quei soggetti istituzionali e di quelle attività
procedimentali da parte delle Regioni, costituisce un interessante esercizio de iure condendo e ci sembra di poter sottoporre ad un primo esame,
limitandoci a delle osservazioni di carattere descrittivo ed operativo, l'idea
di recente avanzata della creazione di agenzie regionali per la collaborazione
e l'azione coordinata con gli enti locali
[45]
.
Si
tratterebbe di strutture non portatrici degli indirizzi della regione, ma
garanti della concertazione, della cooperazione e del coordinamento funzionale
fra Regioni ed enti locali, sulla base di regole definite. In concreto tali
agenzie, svolgerebbero attività per il miglioramento dei rapporti fra Regioni
ed enti locali, azioni di controllo in senso ampio, formulerebbero gli
standard operativi, risolverebbero problemi gestionali e funzionali,
proporrebbero linee di indirizzo e di coordinamento, fornirebbero assistenza
agli enti in difficoltà.
Si potrebbe così configurare un'interessante soluzione organizzativa e strutturale, trattandosi di organi di collegamento intersoggettivo con funzioni di controllo e di impulso, nonché di consulenza e di assistenza agli enti locali [46] .
I componenti di tale organo non potrebbero che avere caratteristiche neutrali e di alta preparazione tecnica, dovendo collocarsi, nella loro attività, in un ambito intermedio fra i soggetti del governo locale e territoriale. In questo ambito sarebbe di notevole importanza potersi avvalere di nuove professionalità particolarmente orientate nel settore del management pubblico, considerando che la preparazione giuridica non basta più nel processo di trasformazione dell'amministrazione per atti in un'amministrazione per progetti e obiettivi [47] .
Ma
tale settore che oramai si propone in sviluppo a partire dalla riforma del
pubblico impiego, iniziata con il D. lgs. 3
febbraio 1993, n. 29 e proseguita con il recentissimo D. lgs. 31 marzo
1998, n. 80, stenta a compiere passi in avanti di reale entità. Il sistema
formativo (dalle università ai centri privati, a quelli regionali sino alla
scuola superiore della pubblica amministrazione) registra ancora un forte
ritardo rispetto alle innovazioni legislative. Si pensi allo scarso successo
avuto, specie nei comuni e negli enti locali di dimensioni medio piccole,
dalla figura del direttore generale
[48]
introdotto nell'ordinamento delle autonomie locali dalla legge
127/97. Questo è dovuto a varie ragioni e non ultime quelle della titubanza e
qualche diffidenza degli amministratori locali, ma fra dette ragioni v'è
sicuramente la mancanza, nel mercato delle alte specializzazioni, di soggetti
dotati di valida preparazione manageriale pubblicistica che non sia quella
tipica del settore privato e della produzione. Anche quest' ultima, infatti,
risulterebbe da sola affatto insufficiente.
9. Il
legislatore statale è chiaramente orientato verso un sistema di esercizio concertato
del potere. Ciò sia nelle relazioni fra soggetti del potere e i destinatari
delle pubbliche funzioni, sia in quelle che intercorrono fra i soggetti
stessi.
Questo complesso sistema pattizio, procede in due direzioni
fondamentali: da una parte quella che riguarda i rapporti fra potere e
cittadini, dall’altra quella che riguarda i rapporti intersoggettivi fra i
diversi livelli di governo. Esso si configura con varie forme a volte
determinate direttamente dalla legge di relazione, altre volte rilasciate all’autonoma
decisione delle parti, altre ancora tale determinazione è rinviata ad altre
fonti.
Nella
creazione di questo sistema il legislatore statale ha essenzialmente due
scopi: l’uno è di favorire e promuovere la semplificazione dei rapporti fra
cittadini e pubblici poteri, oltre che l’accelerazione e lo snellimento dell’azione
dei pubblici poteri stessi; l’altro è di promuovere un sistema
cooperativistico nelle relazioni fra i vari livelli di esercizio del potere
(Stato – Regioni - enti locali); un sistema tendenzialmente paritario,
portato a favorire e promuovere le autonomie locali e territoriali, in quanto
livelli del potere più prossimi alle collettività dei cittadini.
Con riferimento all’argomento che ha maggiormente interessato il
nostro lavoro (quello delle relazioni Stato – Regioni – enti locali), v’è
da evidenziare che l’orientamento del legislatore, sopra richiamato, non è
recentissimo. Esso si era manifestato già negli anni settanta (art. 11,
D.p.r. 616/77) come un’ambiziosa e coraggiosa manifestazione di intenti;
acquistava, molti anni dopo, alcune forme operative di realizzazione degli
auspicati nuovi rapporti di tipo cooperativistico( Art. 12 L. 400/88) con la
Conferenza permanente Stato – Regioni; con le riforme amministrative del
1990, la tendenza del legislatore statale al regionalismo cooperativo ed alla
concertazione fra soggetti titolari di pubbliche funzioni, diventava una
scelta. Tardava, tuttavia, l’individuazione delle forme pattizie, degli
strumenti relazionali idonei a rendere concreto tale nuovo sistema di
rapporti. Solo con la legge delega n.59/97 e con i provvedimenti delegati
sopra esposti, il legislatore giunge a completare questo percorso, potenziando
gli strumenti relazionali in esistenza, creandone altri e delegando il
legislatore regionale per la creazione di ulteriori strumenti relazionali,
riferiti ai rapporti fra Regioni ed enti locali.
Su tale ultimo adempimento, la legislazione regionale è chiamata ad
esprimersi in maniera compiuta e l’idea della costituzione di agenzie
regionali, garanti di un rapporto di concertazione in senso generale, di
cooperazione e di raccordo fra Regioni ed enti locali, sembra, al momento,
sufficientemente opportuno, fatte salve le riserve ed i ritardi sopra
segnalati sulla costruzione di tali organismi e, soprattutto, sul
coinvolgimento di nuove professionalità tutte da formare.
In sintesi è possibile affermare
che le più recenti scelte del legislatore statale – a Costituzione
invariata - informano a favore della concertazione e della cooperazione gli
ambiti relazionali dei rapporti fra Stato/persona - società civile e di
quelli istituzionali fra diversi livelli di governo. Ciò anche in virtù del
principio di sussidiarietà sulla ripartizione delle funzioni. Invero
tale principio, pur se per alcuni già presente ante
litteram nell’articolo 5 della Costituzione, attendeva un’imminente
revisione costituzionale che poi non è giunta
[49]
. Ciò nondimeno quelle scelte legislative, pur se rimaste un po’
“orfane” di una revisione costituzionale purtroppo al momento fallita,
costituiscono ugualmente un orientamento ed una tappa di notevole rilevanza,
nel percorso della trasformazione delle relazioni istituzionali e sociali.
Carlo
Di Marco
(*) Il presente saggio sarà pubblicato nel n. 3 della rivista "Le Regioni" della Casa editrice Il Mulino.
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[1]
Cfr. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino,
1993,279 e ss.
[2]
Si pensi al potere statale sostitutivo nei casi previsti dall’articolo
126 della Costituzione ed in alcuni statuti delle Regioni speciali il quale,
tuttavia non si è mai esercitato; al il sistema dei controlli ex
artt. 125 e 127 della Costituzione nonché alla relativa legislazione
ordinaria. Ciò in materia di garanzia della legalità, ma si ponga mente ai
discussi poteri di direzione e di indirizzo dello Stato sulle Regioni, come
ad esempio la fattispecie delle direttive impartite dal Governo nell’articolo
4 del D. P.r. 24 luglio 1977, n 616; alla funzione direttiva sulle Regioni
attribuita al Governo nella L. 16 maggio 1970, n.281, art. 17, comma 1,
lett. a) ecc. Su tali aspetti si
veda più diffusamente CERULLI IRELLI, op. Cit., 281 e ss.
[3]
Commissione
bicamerale, per le relazioni fra Stato e Regioni, con funzioni
precipuamente consultive ed in parte politiche. In seguito disciplinata dall’articolo
52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 e dagli artt. 21 e 32 della legge 28
ottobre 1970, n. 775.
[4]
..”..E’
il caso di sottolineare in questa sede la portata rivoluzionaria, per quanto
concerne la determinazione del ruolo delle Regioni e degli enti locali e la
disciplina dei loro rapporti con gli organi centrali dello Stato, che
possono assumere, se correttamente applicati, i principi contenuti nell’articolo
11 del DPR n. 616: il legislatore esprime qui, nel modo più netto, la
stretta connessione che sussiste tra espansione delle autonomie e
programmazione democratica, sancisce l’adozione del metodo della
programmazione nell’attività dell’organizzazione
dei pubblici poteri ad ogni livello, identifica nella programmazione
decentrata e partecipata lo strumento fondamentale di coordinamento e di
raccordo tra i diversi livelli di governo(escludendo per ciò stesso il
ricorso a strumenti di supremazia gerarchica), riconosce il fondamentale
ruolo politico delle Regioni e degli enti locali, in quanto enti
esponenziali chiamati ad esprimere e rappresentare l’intera gamma degli
interessi e delle esigenze delle collettività locali[....]”
BASSANINI, in BARBERA - BASSANINI (a cura di) I
nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, Bologna 1978,327.
Ancora:
..”..Non si può dimenticare,
tuttavia, che l’art. 11 ha una portata meramente programmatica; esige, per
essere correttamente attuato, non soltanto la definizione di procedure di
formazione ed attuazione dei piani e programmi nazionali e regionali
coerenti con i suoi principi ispiratori [....]
ma, prima ancora, richiede la
realizzazione di quel radicale rinnovamento di comportamenti
e di moduli di azione politica e amministrativa che esso indica e
presuppone[...]”,
ibid., 328.
[5]
Con riferimento alle relazioni fra Stato Regioni, ad esempio, il
dibattito sulla politicità delle Regioni si orientava verso una direttrice
di pariordinazione una volta definito che sia le Regioni che gli enti locali
sono enti esponenziali e dunque per ciò stesso politici non meno dello
Stato. .."..La Regione - sia
chiaro - era tale fino da
quando la Costituzione fu scritta, ma i giuristi ci avevano detto che la sua
politicità era il portato dell'attribuzione ad essa di competenze
legislative ed era per conseguenza delimitata, nelle sue potenzialtià
espressive, dagli ambiti di tali competenze...impostazione...la quale,
correlando la politicità alla titolarità di funzioni legislative, presume
in linea di principio che essa non via sia negli enti, come i comuni, che
hanno solo competenze non legislative..." AMATO in BARBERA -
BASSANINI (a cura di) I nuovi poteri
delle Regioni e degli entio locali, Bologna 1978, 149.
[6]
Cfr. art. 12 L. 23 agosto 1988, n.
400, rispettivamente commi 1 e 5. Sulla Conferenza Stato – regioni, v. :
MARTINES –RUGGERI, Lineamenti di
diritto regionale, Milano, 1997, 121, e ss.
[7]
Ci si riferisce agli artt. 8, 64,66 ed
81 dello stesso D.p.r. 616/77, ma anche a varie leggi di settore come ad es.
La legge 8 luglio 1986, n. 349 istitutiva del Ministero dell’ambiente, la
legge 28 agosto 1989, n.305 in materia di programmazione triennale per la
tutela dell’ambiente, la legge 6 dicembre 1991, n. 394, legge quadro sulle
aree protette, solo per riportare alcuni esempi, visto che il legislatore ha
poi proseguito sualla strada della concertazione in maniera molto elastica.
[8]
Sulla materia degli accordi fra
privati ed amministrazione la letteratura è molto ampia. Per tutti: FERRARA,
Gli accordi tra i privati e la
pubblica amministrazione, Milano, 1985; id. Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Digesto
pubbl.,Torino 1993,VIII, 543 e ss. per una panoramica generale e
completa sulla materia; CASETTA, Profili
dell’evoluzione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in
Dir.amm., 1/93, 3 ss.. In materia di accordo sostitutivo si veda il
recentissimo FRACCHIA, L’accordo
sostitutivo, Padova, 1998.
[9]
Per alcuni esempi cfr. nota n. 7.
[10]
FERRARA, Gli accordi di programma, Padova 1993, passim.; id. Intese,
convenzioni e accordi amministrativi, cit.; STICCHI DAMIANI, Attività
amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992.
[11]
Si vedano: BACHELET, Coordinamento,
ad vocem, Enc. del dir.; AA.VV., Coordinamento
e collaborazione nella vita degli enti locali, Atti del VII convegno di
studi di Scienza dell’Amministrazione, Varenna, 17 - 20 settembre 1959;
BARBERA , Regioni ed interesse
nazionale, Milano, 1973, 283 e ss.; CHELI, Il
coordinamento delle attività di governo nell’attuale sistema italiano, in
St.parl., 1969, 4, 7 e ss.,
CORREALE, Contributo allo studio del
concerto, Padova, 1974; BRIGNOLA, Il
coordinamento dell’attività amministrativa nell’ambito del
procedimento, Roma, 1978; RIZZA, Collaborazione
tra enti territoriali, in Enc.
giur. Treccani, 1988; BARTOLE, Supremazia
e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971; CARROZZA, Principi di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali(la via
italiana al regionalismo cooperativo), in Le Regioni, 2, 1989, 480 e ss.
[12]
In materia di accordi sostitutivi e segnatamente sulla
codificazione legislativa, FRACCHIA, op. cit., 74 e ss.; STICCHI DAMIANI, Attività
amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992; PERICU,
L’attività consensuale della
pubblica amministrazione, in MAZZAROLLI – PERICU – ROMANO –
ROVERSI MONACO – SCOCA (a cura di), Diritto
amministrativo, II, Bologna, 1993, 1348 e ss.
[13]
FERRARA, Gli accordi di programma, cit. 63 ss. Il riferimento all’articolo
14 contenuto nel primo comma dell’articolo 15 in argomento, è alla forma
della conferenza di servizio, prevista per sopperire alla possibile esigenza
dell’esame comune e contestuale dei vari interessi fra diverse
amministrazioni ma, al di fuori di tale ipotesi, è dato alle
amministrazioni un potere pressoché illimitato di concertazione e conclusione
sostitutiva di provvedimenti finali.
[14]
Su tale argomento si veda: FERRARA, Gli
accordi di programma, cit. 35 e ss; TORCHIA, Accordi
di programma e ricerca scientifica, in Pol.
Dir. 1991; id., la conferenza di
servizi e l’accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, in
Giornale di dir, amm., 1997;
BUCCISANO, Intesa e concerto: analogie
e differenze, in Riv. Trim. dir.
Pubbl., 1982, 139 ss.; ROFFI, Concerto
e intesa nell’attività amministrativa: spunti ricostruttivi, in Giur.
It., 1988, IV, 414 e ss.; CORREALE, Contributo
allo studio del concerto, Padova, 1974; STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano
1992.
[15]
FERRARA, Gli accordi di programma, cit., 63 ss.; id. Intese, convenzioni e accordi amministrativi, cit.
passim. A titolo di esempio si potrebbe fare riferimento, nella più
recente legislazione, al mancato raggiungimento dell’intesa prevista nel
comma 3 dell’articolo 3, D. lg. 28 agosto 1997, n. 281 di cui si tratta
più avanti nel presente lavoro.
[16]
Sulla natura giuridica delle intese e
sui rapporti fra norma primaria di attribuzione e rapporto contrattuale,
nonché su quelli concernenti l’atto c.d. di adesione successivo, cfr.
ancora FERRARA. op. cit. nella nota precedente.
[17]
Nello stesso articolo, ha anche previsto, per lo Stato e le
regioni, nelle materie di propria competenza, la possibilità ch’essi
prevedano, con legge, convenzioni obbligatorie per la gestione, ma ponendo
il limite della temporaneità nel caso di un servizio o per la realizzazione
di un’opera “…a tempo
determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un’opera….”
Cfr. art. 24 comma 3, L. 142/90.
[18]
Per un approfondimento su tali
aspetti concernenti la peculiarità degli accordi di programma, cfr. per
tutti il più volte richiamato FERRARA, Gli
accordi di programma,cit., 86 ss.
[19]
La norma, come si sottolineava (cfr.
nota n. 13), non limita l’esercizio del potere conferito sotto il profilo
soggettivo (riferendosi astrattamente alle amministrazioni pubbliche) e
limita molto blandamente il profilo di materia (facendo riferimento a tutte
le attività che abbiano il carattere del comune interesse fra le
amministrazioni interessate).
[20]
“...nel senso che entrambe le
fattispecie dell’amministrazione concertata e consensuale sono
caratterizzate da una dinamica di tipo negoziale
e tutte e due sono finalizzate ad incrementare l’efficacia e l’efficienza
dell’azione dei pubblici poteri grazie all’attivazione di forme
associate e collaborative di (co)gestione del potere in vista del
raggiungimento di obiettivi comuni.” , FERRARA, op. ult. cit. 101.
[21]
Per un commento dell’articolo 11 si rinvia a
AMATO:, cit. passim.
[22]
Per certi profili – non
perfettamente attinenti alla nostra ricerca, ma ad essa collegati -
il tema della pariordinazione dei diversi livelli di governo (Stato-Regioni-enti
locali), si è riproposto recentemente nella sentenza della Corte
costituzionale n. 408/1998, su ricorso delle Regioni Sicilia e Puglia. In
tale sentenza la Corte ha distinto in quattro gruppi le censure contenute
nei ricorsi (due della Regione Sicilia e due della Regione Puglia)
proponendo essi questioni fra loro analoghe. Nel primo gruppo la Regione
Puglia ritiene illegittimamente equiparata la posizione costituzionale delle
Regioni a quella degli enti locali, attraverso una decostituzionalizzazione
delle garanzie a favore delle Regioni, ridotte “…alla mercè della legge
ordinaria...”. Ciò in ragione del generico “conferimento” di funzioni
a Regioni ed enti locali, di cui all’articolo 1 comma 1 della legge 59/97.
Tale “conferimento” di funzioni e compiti, infatti, unificherebbe il “trasferimento”
e la “delega” riferiti rispettivamente, in Costituzione, l’uno
alle Regioni (artt. 117 e 118), l’altra agli enti locali (art. 118
primo comma e 128). La Corte ha ritenuto infondata la questione. Richiamando
molto opportunamente i principi di cui all’articolo 5 della Costituzione,
infatti, ritiene la delega di cui alla legge 59/97, molto più ampia di
quella relativa alle Regioni di cui alla all’articolo 17 della legge 281
del 1970 e successivamente in base all’articolo1 della legge 382 del 1975.
Tale ampiezza della delega,
secondo la Corte, “…comporta l’impiego, da parte del legislatore
delegato, di tutta la gamma di strumenti costituzionalmente ammessi per il
decentramento delle funzioni…”. E’ solo per comodità espressiva che l’articolo
1 comma 1 della legge 59/97 usa il termine di “conferimento”,
distinguendo espressamente, la norma, i diversi strumenti per il
decentramento. Non v’è dunque confusione. Anzi la legge distingue fra
materie spettanti alle Regioni ex art. 117 nel cui ambito devono essere le
stesse Regioni ad compiere distinzione fra funzioni da decentrare agli enti
locali e quelle che invece richiedono l’unitario intervento legislativo
delle Regioni.
[23]
Si veda, in proposito, CREA, Il
sistema delle autonimie territoriali come coordinamento dei poteri. La
programmazione come ipotesi per l’attuazione dell’articolo 3 della l. n.
142 del 1990 in regione e riforma delle autonomie, Collana C.N.R., Milano, 1995.
[24]
La formulazione dei primi due commi
dell’articolo 3 della legge 142/90, lascia percepire la volontà del
legislatore di conservare in testa alla Regione il potere di individuare gli
interessi degli enti locali nelle materie dell’articolo 117 della
Costituzione, riservando un blando riferimento alla partecipazione degli
enti locali interessati a tale individuazione. In questo senso la Corte
costituzionale, nella recente sentenza già richiamata n. 408/1998, ritiene
che, con la legge 59/97, il legislatore abbia amplificato la centralità
della Regione, “…sottolineando così un ruolo della Regione come centro propulsore e di coordinamento dell’intero sistema delle
autonomie locali – la Corte qui richiama la precedente sentenza n. 343
del 1991 – La legge n. 59 del 1997 va oltre, ma nella stessa direzione ,
chiamando le Regioni, nell’ambito delle materie di cui all’articolo 117
della Costituzione, a definire il riparto delle funzioni al proprio interno
con criteri analoghi a quelli seguiti dallo stesso legislatore statale, e
cioè identificando le funzioni che richiedono,
l’unitario esercizio a livello regionale e devolvendo tutte le altre
ai comuni, alle province ed agli altri enti locali (art. 4, comma 1), in
conformità al principio di sussidiarietà..”.
[25]
Cfr. supra pg. 9. Ci sarebbe qui da domandarsi se non sussista un’abrogazione
tacita della disposizione contenuta nel richiamato comma 2 dell’art. 11
del D.p.r. 616/77. Si direbbe di si, tenuto conto che la materia è
disciplinata, rispetto al D.p.r. 616/77, successivamente e con legge di
principio. Per altro, in maniera affatto difforme, omettendo sia il
necessario concorso degli enti locali, che la riserva di statuto regionale
per la definizione delle modalità di esercizio di tale concertazione.
[26]
l’espressione altri
provvedimenti della Regione, usata nel comma 6, appare tutt’altro che
chiara. Verrebbe da chiedersi se il legislatore, riferendosi agli altri
provvedimenti non abbia inteso, in effetti, generalizzare la forma di
intesa di tipo partecipativo con gli enti locali - ferma restando la riserva
a favore della legge regionale per la definizione delle forme e dei modi
della partecipazione stessa – alla generalità delle funzioni regionali
espresse in provvedimenti di diversa natura (legislativi ed amministrativi).
Se così fosse il comma 6 dell’articolo in argomento, presupponendo un
principio generale di partecipazione degli enti locali a tutte le attività
della Regione, potrebbe riammettere tale partecipazione
– secondo le forme ed i modi stabiliti con legge regionale – alla
determinazione degli obiettivi generali della programmazione
economico-sociale e di sviluppo regionale.
[27]
FERRARA, Gli
accordi di programma cit.31 e ss.; id. Intese,convenzioni..cit.,
passim.
[28]
Nel caso della concertazione
prescritta nell’articolo 11 del D.p.r. 616/77, come si sottolineava già
nel testo, le materie investite dal sistema concertato delle relazioni
istituzionali, sono quella della determinazione degli obiettivi della
programmazione economica nazionale e quella della determinazione dei
programmi regionali di sviluppo. Si tratta di materie disciplinate con legge
dello Stato e dalla legislazione regionale. L’osservazione non sembra di
poco conto e ci induce ad ipotizzare un’altra classificazione fondamentale
nell’ambito delle norme primarie di attribuzione del potere pattizio. Da
un lato quelle che attribuiscono poteri di concertazione, più o meni ampi,
a soggetti titolari del potere amministrativo per l’esercizio delle loro
tipiche funzioni – come nell’articolo 15 della legge 241/90 – dall’altro
quelle che attribuiscono poteri di relazione ai soggetti titolari del potere
legislativo, come nel caso dell’articolo 11 del D.p.r. 616/77. Nella
seconda ipotesi le fattispecie non sarebbero riconducibili al fenomeno dell’amministrazione
concertata, investendo una funzione preordinata a quella amministrativa, ma
l’interesse di tale tematica – non da esaminare nel presente lavoro –
risiede nella circostanza che, secondo la formulazione dell’articolo 11 in
argomento, l’attività legislativa sulla programmazione economica
nazionale e sui programmi di sviluppo regionali, appare necessariamente
concertata. Quasi che, in mancanza della concertazione prevista, essa
potrebbe risultare inibita.
[29]
Il legislatore delegato sembra voler
rispondere alla quella carenza, nella legislazione, di forme e tipi
organizzativi della cooperazione, che ha indotto la dottrina, per fantasia
istituzionale, a creare figure originali. Si veda in proposito
AMBROGETTI, Sulle intese (effettive o
apparenti) nei rapporti Stato e Regioni, in Le
Regioni, 4, 1990, 1173 e ss.
Per
altro verso, con riferimento alla richiamata sentenza della Corte
costituzionale n.408/1998, la Regione Puglia ha impugnato, fra l’altro, la
disposizione di cui alla lettera c), comma 1 dell’articolo 3 in argomento, ritenendo che la
previsione di tali strumenti di raccordo, da un lato sarebbe in contrasto
con l’articolo 9, comma 1 lett. b)
della stessa legge 59/97, in cui il legislatore delegante aveva posto il
criterio della concentrazione nella conferenza Stato - Regioni delle
funzioni di raccordo, dall’altro la norma apparirebbe di dubbia
costituzionalità in quanto l’individuazione delle forme di collaborazione
fra Regioni o infraregionali, spetterebbe alle Regioni stesse. La Corte ha
ritenuto infondata la questione. Infatti
non è vietato “…al legislatore statale – si legge nel punto n.
8 delle considerazioni di diritto – prevedere e disciplinare forme di
collaborazione anche fra Regioni o fra queste e gli enti locali, negli
ambiti e con modalità che non ledano la fondamentale autonomia
organizzativa delle Regioni…”. Per altro non v’è contrasto, secondo
la Corte, con le norme costituzionali nella generica previsione di forme di
cooperazione “strutturali e funzionali” e di interventi sostitutivi.
Infatti, il principio di leale cooperazione, opportunamente richiamato,
“…implica proprio la ricerca di tali forme là dove s’intersecano
competenze ed interessi afferenti a diversi livelli di governo.”
[30]
Legge n. 59/97, art. 3 comma 1, lett.
c).
[31]
Si pensi al vecchio ruolo dei comitati regionali di controllo con
funzioni di controllo preventivo di legittimità su tutti gli atti degli
enti locali, oggi quasi completamente marginalizzato pur restando fermi i
principi di cui all’articolo 130 della Costituzione. L'esempio riportato
sul ruolo dei comitati regionali di controllo, è significativo in quanto
apre un doppio binario di riflessioni. Da un lato, infatti, il legislatore
ha provveduto ad una decisa marginalizzazione del controllo in argomento,
incorrendo in qualche rischio di incostituzionalità - si pensi al
conferimento al difensore civico di poteri di controllo preventivo di
legittimità, seppur blandi, a fronte del dettato costituzionale (Art. 130)
– pur restando inopinatamente in vigore norme come l’articolo 6 del R.D.
n. 383/1934 che conserva in capo al Governo la facoltà di annullamento d’ufficio
o su denunzia, degli atti delle amministrazioni viziati da incompetenza,
eccesso di potere o violazione di legge o di regolamenti generali o
speciali. Dall'altro il fallimento della bicamerale per le riforme
costituzionali, allontana sensibilmente una pur auspicata prospettiva di
revisione di strumenti di controllo non più del tutto adatti ad un sistema
di relazioni istituzionali di tipo tendenzialmente cooperativistico.
[32]
AMATO, op ult. cit. 150 e ss.
[33]
Le Regioni Sicilia e Puglia, nei loro quattro ricorsi di cui alla
recente sentenza della Corte costituzionale n. 408/1998 hanno mosso varie
censure alla unificazione delle Conferenze Stato – Regioni e Stato –
città, “..sostenendo – si legge nel punto n. 18 delle considerazioni di
diritto – che l’unificazione delle due conferenze realizzerebbe una
incostituzionale equiparazione di Regioni ed enti locali, che godono invece
di statuto costituzionale differenziato; mentre la sede naturale per la
cooperazione fra Regioni ed enti locali si troverebbe a livello regionale……..i
rappresentanti delle autonomie locali verrebbero a partecipare a processi
decisionali di alta amministrazione in cui si realizza la collaborazione fra
Stato e Regioni..”. Per altro, per la Regione Siciliana, nella Conferenza
unificata non sarebbe prevista alcuna forma di
“preminenza” delle Regioni nei processi decisionali. La Corte ha
ritenuto infondate le questioni argomentando che
“… Le Regioni potrebbero lamentare una lesione della loro
posizione costituzionale se l'unificazione delle due conferenze desse luogo
ad un organismo indifferenziato, nel cui ambito i rappresentanti regionali
mescolassero il loro voto con quello degli altri rappresentanti, così che
non emergesse distintamente il punto di vista delle Regioni…….. Ma la
legge di delega non prevede affatto il venir meno dell'identità delle due
conferenze, e delle rappresentanze in esse presenti, bensì solo il loro
congiunto operare "per le materie e i compiti di interesse comune delle
Regioni, delle Province e dei Comuni" (art. 9, comma 1)……Non hanno
dunque ragion d'essere le censure secondo le quali, con l'unificazione delle
conferenze, i rappresentanti delle autonomie locali verrebbero a partecipare
a procedimenti di raccordo fra lo Stato e le Regioni, o addirittura a poter
vincolare la volontà della Regione in ordine ai rapporti con i rispettivi
enti locali……Infatti, come si è detto, non si ha affatto una
commistione delle rappresentanze, ma solo una unificazione funzionale,
nell'ambito di un sistema in cui i Presidenti delle Regioni conservano la
loro esclusiva rappresentanza delle istanze regionali ed esprimono
distintamente la volontà delle Regioni medesime, mentre è solo la
rappresentanza governativa ad essere propriamente unificata.”
[34]
La delega di cui all’articolo 9
richiamato nel testo, conferisce al Governo il potere per l’adozione di un
provvedimento delegato teso alla definizione e l’ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente Stato-Regioni sulle quali abbiamo
fatto cenno. V. supra, pg. 3.
[35]
Art.2, comma 1 lett.c),
D. lg. 281/97.
[36]
Art.2, comma 1 lett. h),
D. lg. 281/97.
[37]
Art.2, comma 7, D. lg. 281/97.
[38]
Art.2, comma 8, D. lg. 281/97.
[39]
Lo stesso legislatore delegato ha
previsto una serie di fattispecie pattizie di questo genere. Solo per
portare alcuni esempi, si pensi alla materia della concessione di
contributi, agevolazioni, incentivi ecc. alle industrie per alcune attività
identificate con D.p.c.m., d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, di
cui all’articolo 18, comma 1 lett.
o); alla individuazione delle riserve statali, non collocate nei parchi,
la cui gestione viene affidata alle Regioni od agli enti locali, da
effettuarsi con atto di indirizzo dello Stato d’intesa con la Conferenza,
come nella disposizione di cui all’articolo 78, comma 2; alla definizione
della programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del
suolo, da effettuarsi di intesa con la Conferenza, come nella disposizione
di cui all’articlo 86 comma 3 ecc…..
[40]
Su tal principio: Corte cost. 12
aprile 1989, n. 180, annotata in Le
Regioni, 1990, 1173, nota di AMBROGETTI; Corte cost. 27 dicembre 1991,
n. 482, ivi, 1992, 1407, note di
MEZZETTI, BIANCO, BIN; Corte cost. 27 luglio 1992, n. 366, in G.U. s.spec.
n. 33 del 5 agosto 1992. Riflessioni di grande rilievo sono contenute in
BARTOLE, la Corte costituzionale e la
ricerca di un contemperamento fra supremazia
e collaborazione nei rapporti fra Stato e Regioni, in Le Regioni, 1988, 563 ss.; CARROZZA, Principio di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali (la via
italiana al regionalismo cooperativo), cit.
[41]
“E' la disposizione più generale
con la quale si disciplina una categoria multipla, polivalente e a contenuto
aperto di patti, di intese e di accordi descrittivamente definibili come endoprovvedimentali
…”, FERRARA , Gli accordi di
programma, cit. 96 ss.
[42]
Cfr. Art.9 comma 1, D. lg. 281/97.
[43]
Come ad es. – con riferimento al D.
lg. 112/98 - per l’intesa prevista per l’esercizio dei compiti di
rilievo nazionale in materia di territorio e ambiente, di cui all’articolo
52, comma 3; per l’intesa prevista nell’esercizio delle funzioni
mantenute allo Stato ancora in materia di territorio ed ambiente, di cui all’articolo
54, comma 2; per le intese con la Conferenza unificata per i criteri di cui
all’articolo 78, comma 2 per la individuazione delle riserve statali non
collocate nei parchi ecc…
[44]
Il comma 5 dell’articolo 3 del D.
lg. N. 112/98, così recita: “ Le Regioni, nell’ambito della propria
autonomia legislativa, prevedono strumenti e procedure di raccordo e
concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione
strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l’azione
coordinata far Regioni ed enti locali nell’ambito delle rispettive
competenze”.
[45]
In un interessante articolo di EDUARDO RACCA, Enti
e autonomie, la scommessa dell'intesa, in Guida
agli enti locali de Il sole 24
ore, dossier n. 1 maggio 1998, 115 e ss., si ipotizza la creazione, da
parte delle Regioni con legge, di agenzie regionali ...."...a
elevata caratura tecnica, in grado di catalizzare il cambiamento, costituite
innanzi tutto da esperti in management pubblico, nelle quali dovrà essere
assicurata la presenza anche di rappresentanti locali.".
[46]
Essendo organi regionali dotati anche di funzioni di controllo,
potrebbero assolvere alle funzioni che, a Costituzione invariata (Art. 130),
restano irrinunciabili. I comitati regionali di controllo potrebbero
essere privati della loro persistente connaturazione politica e riassorbiti
nelle agenzie.
[47]
La insufficienza della preparazione giuridica sia per i soggetti
di cui nel testo, sia anche per le nuove figure manageriali create dal
legislatore nella riforma dell'amministrazione per atti, è del tutto
evidente. Si pensi alla figura del Direttore generale nella gestione dei
servizi pubblici locali, ma anche ai compiti dei nuovi istituti di controllo
interno di gestione. Questi, secondo quanto disposto dalla legge, hanno
compiti di controllo concomitante e successivo, sulla legalità, sul buon
amdamento e sull'imparzialità dell'attività dei servizi, ma anche sulla
economicità, sull'efficacia e sull'efficineza degli stessi.
[48]
secondo un'inchiesta di ANCITEL il
grado di attuazione della legge n. 127/97 sarebbe notevolmente basso, anche
se la figura del Direttore generale sembrerebbe aver avuto successo
particolarmente nei comuni del nord. Cfr. Il sole 24 ore 06/07/1998.
[49]
Si veda FALCON, Lo
Stato autonomista (a cura di) introduzione. Bologna 1998. X e ss. Ci
sembra per altro opportuno riportare un breve stralcio della relazione D’Onofrio
(relazione forma di Stato) al progetto di revisione del 4 novembre 1997:
“… il testo che si propone alla Vostra attenzione non si intende
dissolvere l'unità politica della Repubblica, ma più semplicemente, seppur
molto significativamente, affermare che non vi è più identificazione tra
la Repubblica intesa come comunità nazionale e lo Stato inteso come
apparato centrale. Il principio di sussidiarietà, che diventa il fondamento
del nuovo modello di Repubblica, parte pertanto dai Comuni per giungere allo
Stato ed oltre, traendo tutte le conclusioni possibili dal principio
contenuto nell'articolo 5 della Costituzione, in base al quale la Repubblica
«riconosce le autonomie locali». ……
c)
La centralità del Comune nel nuovo ordinamento veniva affermata con
l'esplicita indicazione che è attribuita ai Comuni la generalità delle
funzioni regolamentari e amministrative, anche nelle materie nelle quali
spetta allo Stato o alle Regioni la potestà legislativa, salve le funzioni
espressamente attribuite alle Province, alle Regioni o allo Stato dalla
Costituzione, dalle leggi costituzionali o dalla legge.
e)
Se l'originaria proposta prevedeva che la ripartizione delle funzioni
legislative tra Stato e Regioni avvenisse negli Statuti speciali di ciascuna
Regione, sì che l'elenco delle materie di competenza statale sarebbe stato
definito appunto da ciascuno Statuto in modo anche potenzialmente diverso da
Regione a Regione, l'articolo 59 del Titolo I, invece, una volta scelto il
modello della ripartizione nazionale uniforme delle competenze legislative,
conteneva la definizione delle materie di competenza legislativa statale,
tutte le altre essendo rimesse alla potestà legislativa delle Regioni.
Si
trattava del rovesciamento del principio di ripartizione delle funzioni
legislative tra Stato e Regioni operato dall'attuale articolo 117 della
Costituzione. Pur non potendo affermarsi che questo rovesciamento configuri
di per sé solo la realizzazione del principio federalistico, è certamente
vero che un ordinamento non potrebbe essere ritenuto federale se non vi