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Articoli e note

 

 Carlo Di Marco
(Contrattista presso la cattedra di Istituzioni di diritto pubblico
- Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Teramo)

I rapporti Stato-Regioni nel sistema dell'amministrazione pattizia - Procedure e strumenti di raccordo (*)

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SOMMARIO: 1) Premessa. 2) - Il fenomeno della concertazione amministrativa. Gli orientamenti della dottrina. 3) - Le norme primarie d’attribuzione del potere. Le “norme di relazione”. 4) - (…segue) le norme di relazione attributive di poteri generali di concertazione. 5)- I più recenti provvedimenti legislativi nelle relazioni Stato – Regioni – enti locali. I problemi teorici ed applicativi. 6)- (…segue) gli strumenti ed i mezzi di relazione. 7)- Il D. lg. 28 agosto 1997, n. 281. 8)- Le Agenzie regionali. 9)- Alcune considerazioni di sintesi.

 

1. Le innovazioni legislative più recenti in materia di decentramento amministrativo - con riferimento particolare agli artt. 3 comma 1 lett. c) legge 15 marzo 1997, n. 59 e 3, comma 5 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 - ripropongono l’esame  delle relazioni Stato - Regioni  - Enti locali, riferite al tema dell’amministrazione concertata ed ai relativi vari profili.

Il problema che sembra porsi è, infatti, quello della collocazione di tali indirizzi normativi nel quadro dell’orientamento legislativo precedente in favore della concertazione in senso ampio - variamente strutturata e variamente espressa nelle sue molteplici forme, genericamente intesa come nuovo modo di esercitarsi del potere amministrativo, rispetto al suo carattere tradizionalmente autoritativo ed unilaterale – anche alla luce delle più recenti tendenze della dottrina e della giurisprudenza a favore del cosiddetto regionalismo cooperativo.

Il legislatore aveva da tempo creato istituti di cooperazione e di collaborazione, specie nei rapporti fra Stato/persona e Regioni, con l’intento di arginare un modello verticale e statalistico che nel tempo s’era andato affermando fra questi due livelli di governo [1] . Ciò anche con riguardo alla sussistenza di vari strumenti relazionali di tipo verticale previsti sia dalla Costituzione che dalla legislazione ordinaria i quali, in difetto di opportuni contrappesi, avrebbero finito, in qualche modo, per marginalizzare i principi costituzionali di valorizzazione delle autonomie [2] .

Senza la pretesa della puntuale ricognizione delle tappe dello sviluppo e con l’obiettivo di focalizzare solo gli aspetti salienti del processo, si può dire che la Commissione parlamentare per le questioni regionali prevista dall’art. 126 della Costituzione [3] costituì un riferimento di fonte superiore per la costruzione di istituti che avessero riguardo a nuovi modi di atteggiarsi del rapporto Stato - Regioni - enti locali. In seguito con il D.p.r. 24 luglio 1977, n.616, sembrò disegnarsi una svolta storica (definita “rivoluzionaria”) in questi rapporti [4] .

Nell’articolo 11 del provvedimento, infatti, si riproponeva un disegno generale di programmazione di cui si era a lungo parlato a metà degli anni sessanta, ma che era stato abbandonato con la nascita delle Regioni e con il ritorno agli interventi settoriali. Invero il confronto era fra due concezioni diverse: quella statalista, improntata da una direttrice rigidamente verticale presupponendo una configurazione gerarchica del rapporto medesimo, e quella che invece poneva i tre livelli di governo in una posizione tendenzialmente paritaria, equiordinata e di cooperazione [5] .

L’approdo alla programmazione regionale di sviluppo, aveva notoriamente interrotto il primato degli indirizzi dello Stato e la configurazione meramente attuativa dell’intervento regionale, pur determinando di riflesso la necessità di un chiarimento sui meccanismi ed istituti di collegamento fra piani regionali ed indirizzi dello Stato, nonché sui modi di realizzazione, nel territorio regionale, degli interventi statali. Infatti l’attuazione delle innovazioni risentiva della totale assenza di moduli procedimentali e organizzativi atti a realizzare un sistema di partecipazione e cooperazione (come quello configurato nel comma 3 dell’articolo 11) restando ancor fermi, sotto questo aspetto, ad una strutturazione istituzionale di egemonia/supremazia dello Stato.

L’istituto della Conferenza permanente Stato - Regioni - intervenuta con l’articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, rafforzatasi con il D. lg. n. 418/89, ulteriormente potenziata con il D. lg. 28 agosto 1997, n.281 - come meglio si vedrà in seguito - offriva i primi strumenti procedurali di raccordo fra i due livelli di governo. La Conferenza nasceva, infatti, con compiti di “ informazione, consultazione e raccordo” riferiti alle politiche di indirizzo dello Stato, genericamente intese, incidenti sulle materie di competenza regionale - con l’esclusione degli indirizzi di politica estera, difesa, sicurezza nazionale e giustizia - ma anche con compiti consultivi obbligatori, con espresso riguardo alla programmazione economica nazionale [6] .

Per altri versi ed in altre fonti [7] - in prospettiva parallela - il legislatore ha creato strumenti di relazione nuovi in coerenza con l’attuale fase della trasformazione dell’amministrazione. Questa diventa sempre meno autoritativa e sempre più pattizia: sia nel rapporto con gli amministrati, con i quali stabilisce progressivamente varie forme partecipative e concertate [8] , sia con altri soggetti del potere. Con riferimento a tale ultimo fenomeno, nell’ambito della legislazione settoriale è dato riscontrare una pluralità di fattispecie pattizie [9] sulle quali la dottrina ha avuto modo di soffermarsi piuttosto dettagliatamente [10] , ma le norme che maggiormente hanno segnato il cambiamento dei rapporti intersoggettivi in atto, sono riscontrabili senza dubbio negli artt. 3, 24, 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e nell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Prima di passare ad un’indagine indicativa sulla possibilità dell’inquadramento delle recenti scelte legislative nell’ambito del fenomeno più generale della concertazione, sembra quanto meno opportuno un riferimento alle recenti elaborazioni teoriche, pur se in maniera assai sintetica.

 

2. Avevamo fatto riferimento al profilo dei rapporti fra i soggetti istituzionali di governo in relazione ai concetti di cooperazione, coordinamento e collaborazione [11] , dal punto di vista delle relazioni fra soggetti titolari di vari livelli del potere amministrativo, dunque limitandoci alla tipologia di concertazione e di intese da indicare come concertazione istituzionale in senso ampio. Ma la complessità del fenomeno - che investe, si ricordava sopra, sia il versante delle relazioni fra cittadini ed istituzioni pubbliche, sia quello delle relazioni fra i vari livelli istituzionali stessi - ha portato la dottrina alla elaborazione di una ricostruzione teorica alquanto approfondita.

In termini descrittivi si potrebbe affermare che l’amministrazione concertata, si muove su due versanti fondamentali diversamente caratterizzati e disciplinati, determinati da norme primarie di attribuzione del potere. Infatti sia nel versante delle relazioni fra cittadini ed amministrazione pubblica che in quello delle relazioni fra soggetti titolati all’esercizio dei pubblici poteri (ad es. Stato - Regioni - enti locali), la concertazione avviene solo in virtù di disposizioni primarie di attribuzione. In riferimento al primo versante, ad esempio, gli accordi fra amministrazione e privati, sono previsti e disciplinati dall’articolo 11 della legge 241/90. In esso il legislatore ha conferito alle pubbliche amministrazioni, la possibilità di concludere accordi, con soggetti portatori di interessi, per la determinazione del contenuto del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione del provvedimento stesso. Per altro il legislatore ha disciplinato piuttosto puntualmente tale possibile rapporto [12] .

Parimenti sul versante delle relazioni intersoggettive fra i titolari dell’esercizio del potere, dunque in particolare nelle relazioni Stato - Regioni - enti locali, le fonti primarie di attribuzione sono varie, come meglio si vedrà, ma quella che maggiormente caratterizza in senso programmatico tale forma di concertazione è individuabile principalmente   nell’articolo 15 della legge 241/90. Qui la norma è talmente elastica da far ritenere che il legislatore abbia voluto generalizzare per le amministrazioni pubbliche, la possibilità di disciplinare, fra loro in collaborazione, tutte le attività che abbiano il carattere del comune interesse, senza porre altri limiti di materia, immettendole, per tal via, nella titolarità di un potere discrezionale di grand’estensione [13] .

Restando sul versante della concertazione dell’attività dei soggetti del potere amministrativo, si sono distinte varie fattispecie nei rapporti intersoggettivi. Pur nella consapevolezza che l’uso dei termini (intesa, concerto, accordo ecc.) non segue una classificazione concettuale sufficientemente chiara e definita, si è comunque tentata una ripartizione dei mezzi di relazione, indicando nel “concerto” il mezzo collaborativo che interviene nell’ambito di uno stesso livello di governo (si pensi alle concertazioni interministeriali) e nelle “intese” quelli che si verificano fra diversi livelli di governo [14] . Entrambi avrebbero un analogo fine nel promuovere e favorire la collaborazione fra le autorità, ma si differenzierebbero per il il diverso rapporto esistente fra i soggetti coinvolti: nel caso del concerto le soggettività coinvolte insisterebbero nell’ambito di uno stesso livello d’esercizio del potere, nel caso dell’intesa esse si troverebbero dislocate in vari livelli, quali potrebbero essere lo Stato, le Regioni e gli enti locali.

Tuttavia nell’ambito delle forme o mezzi di concertazione che sopra si sono definite “intese”, la dottrina ha isolato la fattispecie definibile “endoprocedimentale”, facendo riferimento a quelle che intervengono, facoltativamente ovvero obbligatoriamente - a seconda della disposizione stabilita nella norma che attribuisce tale potere pattizio in senso ampio - nell’ambito del procedimento, ma a fronte di un rapporto intersoggettivo che resta egemonico a favore del soggetto procedente. Si pensi ad esempio alle intese endoprocedimentali fra soggetti diversi il cui mancato intervento non ostacolerebbe il potere del soggetto titolare, di pervenire comunque alla emanazione del provvedimento finale [15] , per via del carattere dell’irrinunciabilità dell’esercizio del potere.

Si è anche individuata una fattispecie definita “endoprovvedimentale”, con riferimento a quelle intese che intervengono fra soggetti dell’amministrazione attiva, in posizione di pariordinazione, sia che tali intese siano imposte dalla norma primaria di attribuzione, sia che le stesse siano, più semplicemente, facoltizzate dalla norma stessa, per giungere ad un provvedimento finale, per così dire, “contrattato” [16] . Così nella forma associativa fra enti locali prevista dall’articolo 24 della legge 142/90, il legislatore ha voluto facoltizzare una possibilità di intesa fra soggetti pariordinati di amministrazione locale, definita “convenzione”, allo scopo di coordinare lo svolgimento di funzioni e servizi determinati. [17] .

Simile appare la previsione dell’articolo 8 del D.p.r. 616/77, nella quale il legislatore attribuisce il potere alle Regioni finitime - dunque a soggetti pariordinati nello stesso livello di governo - di addivenire a intese, per lo svolgimento di attività e servizi aventi il carattere del comune interesse territoriale, come piani di sviluppo su aree omogenee ancorché ricadenti su zone di confine fra regioni.

Nel quadro sopra brevemente riassunto, appare del tutto peculiare la collocazione di un’altra fattispecie pattizia, prevista dal legislatore: quella degli accordi di programma di cui all’articolo 27 della legge 142/90. Con riferimento ad essa, sono stati sottolineati i particolari caratteri desumibili da almeno due profili. Quello del favor legis – e infatti gli accordi di programma hanno avuto un percorso di elaborazione concettuale e di disciplina positiva maggiore che nelle altre fattispecie pattizie - quello dell’attinenza esclusiva alla funzione programmatoria [18] . Di conseguenza, tenendo conto dell’ampiezza delle fattispecie di cui all’articolo 15 della legge 241/90, che la configurano come norma fondamentale dell’amministrazione pattizia [19] , sia le intese che gli accordi di programma si collocano al cospetto dell’articolo 15 richiamato, come species  di un genus [20] .

 

3. Le finalità prefissate della nostra pur breve indagine, ci conducono ad un esame più ravvicinato di alcune di quelle fonti che determinano il nuovo sistema delle relazioni fra soggetti del potere.

Esse, sono caratterizzate da vari gradi di incidenza sulla fattispecie pattizia, per cui si hanno leggi di attribuzione le quali, oltre l’individuazione di forme, mezzi e strumenti di accordo (convenzioni e/o altri strumenti di natura contrattuale), ne stabiliscono direttamente anche parte dei contenuti, pur se in termini di indirizzo.

Il riferimento è alle varie leggi di relazione sin qui per sommi capi esaminate. Per portare alcuni esempi, infatti, nel caso dell’articolo 8 del D.p.r. 616/77, la formulazione autorizzativa della norma limita la possibilità delle intese fra Regioni finitime sia sotto il profilo organizzativo (esse devono disciplinare la costituzione di uffici o gestioni comuni possibilmente anche con la costituzione di consorzi) che sotto il profilo dell’ambito territoriale. Dette intese, infatti, sono possibili solo per le attività ed i servizi che interessano più Regioni confinanti. La norma primaria d’attribuzione del potere, determina le forme organizzative dell’intesa ed il suo ambito territoriale, senza spingersi a determinare anche la materia degli uffici e gestioni comuni.

Nella formula autorizzatoria di cui all’articolo 24 della legge 142/90, l’intesa consiste di una convenzione limitatamente allo svolgimento di funzioni e servizi determinati, ma il legislatore in questo caso ha voluto anche stabilire (comma 2) i contenuti essenziali della convenzione.

L’articolo 81 del D.p.r. 616/77, prevede l’intesa fra Stato e Regioni per l’accertamento della conformità delle prescrizioni delle norme urbanistiche ed edilizie locali, in riferimento ad opere dello Stato da eseguirsi  da amministrazioni statali, accertamento comunque effettuato dallo Stato. Qui la forma pattizia ha una configurazione endoprocedimentale che prescrive comunque la conclusione del procedimento entro un determinato tempo stabilito dalla stessa norma di relazione, restando, l’Amministrazione statale, in una posizione di primazia.

Nell’articolo 27 della legge 142/90, limitatamente all’attuazione e definizione di opere pubbliche (“….di opere, di interventi o di programmi di intervento...”), il legislatore ha attribuito il potere ai vari livelli di governo di iniziare e concludere una specifica e peculiare forma di amministrazione pattizia (l’accordo di programma), predeterminandone l’iter e la forma di relazione.

 

4. Gli esempi sull’amministrazione per accordi, specie nella legislazione di settore, potrebbero continuare, ma ciò che preme sottolineare, è che accanto a tali fonti che conferiscono ai soggetti poteri di relazione circoscritti - avendo essi riferimento a settori di materia ed a forme specifiche di intesa – se ne aggiunge una categoria che attribuisce ai soggetti, poteri di varia ampiezza - in posizione pariordinata o meno  - e potrebbe considerarsi categoria di fonti attributive di poteri pattizi generali, il cui esercizio non potrebbe essere circoscrivibile né a materie settoriali definite, né a allo svolgimento di servizi e funzioni determinati, pur se tale ultima specificazione potrebbe anche comprendere una gamma di attività dell’amministrazione pubblica di un’ampiezza pressoché indefinita.

Queste non prestabiliscono specifiche fattispecie di relazione, ma pongono principi destinati ad informare la successiva determinazione normativa di attuazione.

L’articolo 11 del D.p.r. 616/77 [21] , oltre che stabilire il metodo della programmazione come punto di riferimento di tutta la finanza pubblica (ultimo comma), istituzionalizza l’intesa fra i tre livelli di governo finalizzata alla programmazione generale dello Stato e delle Regioni. Evidentemente non siamo di fronte ad intese riferite a settori determinati dell’intervento pubblico bensì a rapporti pattizi concernenti l’intervento pubblico tout court.

Nel primo comma dell’articolo in esame, l’intesa che si prefigura fra lo Stato e le Regioni, è un “concorso” necessario e concomitante per la determinazione degli obiettivi della programmazione economica di cui lo Stato è titolare. Esso costituisce irrinunciabile attribuzione di un potere di intesa fra Stato/persona e Regioni. Ne discende che il mancato esercizio di tale potere renderebbe impossibile la determinazione degli obiettivi della programmazione statale. Ma la norma lascia indefinite forma e modalità dell’esercizio del concorso - senza alcun rinvio esplicito ad altre fonti inferiori o pariordinate - facendo ritenere che la determinazione delle stesse sia rilasciata alla successiva disciplina statale. Non così per la determinazione dei programmi regionali di sviluppo (comma 2). Infatti, per questi ultimi, anche se il concorso degli enti locali si profila irrinunciabile come per la programmazione statale/nazionale, il legislatore ha espressamente prevista la fonte statutaria (regionale) per la determinazione delle modalità di esercizio del concorso.

Nelle disposizioni del comma 3, oltre alla richiama concertazione concorsuale con gli enti locali territoriali, il legislatore ha imposto l’ “armonia” della programmazione regionale di sviluppo con la predeterminata, ma non meno “contrattata” - per così dire - programmazione economica nazionale.

In buona sostanza, secondo il sistema relazionale prefigurato dall’articolo 11 in esame, la programmazione economica nazionale passerebbe necessariamente attraverso una forma di intesa (il concorso) con le Regioni, ma anche la determinazione della programmazione regionale di sviluppo passerebbe attraverso intese (ancora il concorso) con gli enti locali territoriali ed in armonia con gli obiettivi della programmazione economica statale che dunque dovrebbero essere già stabiliti secondo il disposto del comma 1 dell’articolo in parola. In più sembrerebbe impossibile l’attuazione  degli interventi previsti dai programmi regionali di sviluppo di cui è competente la regione, senza la loro coordinazione con gli interventi di competenza statale e degli enti locali(comma 3).

Invero il sistema testé raffigurato prescrivendo forme di intesa - in realtà indefinite - fra soggetti non istituzionalmente pariordinati (Stato - Regioni - enti locali), stabilisce fra gli stessi relazioni sostanzialmente paritarie (il concorso, il coordinamento), non potendosi riscontrare fra i soggetti stessi - in riferimento alla programmazione - alcuna forma di relazione verticale [22] .

L’articolo 3 della legge 142/90 – prima che intervenissero le innovazioni contenute nella legge 3 agosto 1999, n.265, attualmente in fase di pubblicazione – conteneva indubbiamente notevoli innovazioni. La norma molto complessa e di non facile lettura, non stabiliva fra Regioni ed enti locali relazioni sostanzialmente paritarie come nell’articolo 11 del D.p.r. 616/77 [23] .

La disposizione può essere suddivisa in due differenti parti normative. Nella prima parte – commi 1, 2 e 3 – si fissavano principi generali che investivano rispettivamente due campi:

1) la titolarità in capo alle Regioni del potere di individuare, con legge, gli interessi degli enti locali nelle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione, in rapporto alle loro caratteristiche di popolazione e territorio, finalizzata alla organizzazione e all’esercizio delle funzioni amministrative esercitate a livello locale;

2) la cooperazione (comma 3) come principio generale - che attiene cioè a tutti i rapporti fra livelli di governo, senza alcuna limitazioni di materia – finalizzato all’efficienza del sistema delle autonomie locali ed asservito allo sviluppo economico, sociale e civile.

In ambedue i campi sopra richiamati, era evidente la primazia della regione che esercitava un ruolo centrale e sovraordinato rispetto agli enti locali. Infatti è la legge regionale che primeggiava e dettava le regole, pur se, laconicamente, nel primo dei due campi, attraverso gli enti locali [24] .

La seconda parte normativa dell’articolo in rassegna (commi 4, 5, 6, 7, 8), ha riguardo alla programmazione economico - sociale e territoriale dell’intero territorio regionale. Era qui confermata la primazia della legge regionale per la definizione degli obiettivi e delle forme di collaborazione e partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani, dei programmi di sviluppo regionali e di “altri provvedimenti della regione”.

Mentre per la definizione degli obiettivi generali della programmazione economico - sociale e territoriale il legislatore non aveva previsto il concorso degli enti locali (comma 4) - come lo aveva previsto nel comma 2 dell'articolo 11 del D.p.r. n. 616/77 [25] - tale concorso, le cui forme e modalità sono stabilite dalla legge regionale, è invece voluto dal legislatore statale, con riguardo alla determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e programmi dello Stato e delle Regioni (commi 5 e 6). Piani e programmi dello Stato e delle Regioni costituiscono singole parti della programmazione generale. Obiettivi della programmazione economico-sociale statale o regionale, ed obiettivi di singoli piani e programmi, evidentemente sono riconducibili ad un complesso sistema programmatorio generale, ma non coincidono. Francamente non ci sembra che il legislatore del 1990 abbia voluto prevedere il concorso degli enti locali per la determinazione degli obiettivi generali della programmazione, sul piano regionale [26] .

L’articolo 2 comma 2 della recentissima legge n. 265/1999, così come ci appare a prima lettura, pur confermando la centralità della Regione nel complesso sistema di relazioni fra Regioni ed enti locali, ripropone il concorso degli enti locali per la determinazione degli obiettivi della programmazione regionale. Questi, infatti, non sono più fissati dalla Regione, ma, da essa, solo indicati, presupponendo per tal via il successivo concorso degli enti locali per la loro determinazione. Per altro la cooperazione degli stessi per la creazione di un efficiente sistema autonomistico, non sarà più disciplinata dalla Regione, dovendosi, questa, limitare ad indicare i principi generali di tale disciplina.

L’ampiezza della gamma di poteri di relazione pattizia che l’articolo 15 della legge 241/90 attribuisce alle amministrazioni – per altro ampiamente sottolineata dalla letteratura richiamata [27] - ha successivamente confermato una generale volontà del legislatore statale a stabilire un nuovo modus delle relazioni fra soggetti del potere amministrativo, basato sulla concertazione in senso generale.

L’articolo, inserito nel capo IV della legge 241/90 – dedicato alla semplificazione dell’azione amministrativa - fa riferimento esclusivamente ai rapporti fra soggetti titolari del potere amministrativo nei vari livelli istituzionali, per l’esercizio più semplificato della generalità delle loro funzioni. Trattasi pur sempre di funzioni amministrative, visto che la norma è rivolta alle amministrazioni ed alla semplificazione dell’azione amministativa. Pertanto non sembra che i principi di concertazione generale contenuti nell’articolo 15 in argomento possano valere per le funzioni legislative dello Stato e delle Regioni. Ne discende che la determinazione degli obiettivi e degli indirizzi della programmazione economica statale e di quella di sviluppo economico-sociale regionale, che è attività legislativa, non può essere informata ai principi di concertazione fissati nell’articolo 15 della legge 241/90, ma a quelli di cui alle fonti sulla programmazione statale e regionale sopra brevemente esaminate.

Volendo ora tentare una sintesi dell’esame, pur se descrittiva, di queste fonti, si potrebbe affermare che esse definiscano, in termini di principio, relazioni istituzionali fra soggetti del potere - non propriamente o necessariamente di carattere pattizio - che a volte ne comportano una sostanziale  pariordinazione, quando non fissano forme di imposizione verticale nell’esercizio dei poteri, caratterizzate da contenuti tipicamente di egemonia/supremazia da parte del superiore livello di governo.

Proprio perché le relazioni poste dalle fonti in argomento hanno il carattere della istituzionalità – potrebbero dunque essere modelli organizzativi generali – esse non hanno per oggetti settori di intervento circoscritti. Si riferiscono infatti, alla programmazione economica, a quella di sviluppo economico-sociale delle Regioni ed a volte – come nel caso dell’articolo 15 della legge 241/90 - ad attività di interesse comune fra le amministrazioni stesse, avendo riguardo ad una gamma pressoché indefinita di attività amministrative. Attengono dunque all’esercizio del potere, pur dovendo distinguere i casi in cui esso riguarda l’esercizio del potere amministrativo da quelli in cui riguarda l’esercizio del potere legislativo [28] .

Queste fonti non stabiliscono direttamente forme e modalità di svolgimento delle relazioni stabilite, ma talvolta rimandano la definizione di tali strumenti ad altre fonti (come la legislazione regionale o gli statuti), altre volte tacciono rilasciando alla discrezionalità dei soggetti preposti, l’individuazione e determinazione delle forme relazionali e/o pattizie necessarie per l’attuazione dei principi da esse stabiliti. Ad esempio il rinvio alla legislazione regionale fatto nell’articolo 3 della legge 142/90, per la disciplina delle relazioni stabilite fra Regioni ed enti locali e sopra brevemente esaminate, hanno avuto varie applicazioni e spesso diverse nelle varie leggi regionali di attuazione.

Pur nella sua apparente contraddittorietà, il sistema di fonti testé illustrato è orientato alla creazione di un sistema relazionale fra i tre livelli di governo, tendenzialmente cooperativistico e paritario la cui realizzazione, tuttavia, deve necessariamente avvalersi di successivi passaggi normativi da parte dei soggetti titolati.

Ma, oltre la legislazione regionale attuativa dei principi contenuti nell’articolo 3 della legge 142/90 e le varie forme pattizie informate ai principi dell’articolo 15 della legge 241/90, rilasciate, come evidente, alla libera determinazione dei soggetti interessati, mancavano, prima della più recente legislazione, come meglio si vedrà, strumenti, strutture e procedimenti atti a garantire questo nuovo sistema di relazioni. Ciò in quanto un modello relazionale di tipo, per così dire, orizzontale, s’impone con forza, solo a decorrere dall’apertura del processo di riforma delle autonomie iniziato da così poco tempo. E’ noto, infatti, che quasi due lustri hanno scalfito ben poco, specie sotto l’aspetto culturale, un antico sistema di relazioni istituzionali fortemente statalistico.

 

5. Con la disposizione di cui all’articolo 3 comma 1 lett. c) della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore ha riproposto i principi del modello cooperativistico, delegando il Governo per vari adempimenti di carattere applicativo di grande rilievo.

Secondo un’interpretazione letterale della norma, con i decreti delegati il Governo deve individuare “procedure e strumenti di raccordo” costituendo (ovvero modificando ove già in esistenza) “forme strutturali e funzionali di cooperazione” che consentano la “collaborazione” e “l’azione coordinata”  fra enti locali, tra Regioni e tra i diversi livelli di governo, nonché la “presenza”  e  “l’intervento”, anche unitario, di rappresentanti statali, regionali e degli enti locali nelle diverse “strutture”, necessarie per l’esercizio delle funzioni di raccordo [29] .

La norma rientra, con molta evidenza, in quel sistema di fonti attributive di poteri di relazione, per così dire, di carattere istituzionale. Essa, infatti, stabilisce un fondamentale rapporto di coordinazione e di tipo collaborativo fra i vari soggetti (enti locali, Regioni e Stato), che deve essere perseguita attraverso strumenti operativi di carattere organizzativo e funzionale, per l’individuazione dei quali è delegato il Governo.

La concertazione di tipo cooperativistico stabilita dalla legge di delega non si limita all’esercizio del potere amministrativo, ma ha una portata molto più ampia, riferendosi in generale all’esercizio delle funzioni pubbliche dei soggetti interessati (“…che consentano la collaborazione e l’azione coordinata tra enti locali, tra Regioni e tra i diversi livelli di governo e di amministrazione….”) [30] . Ma la norma richiamata deve comunque essere letta alla luce dei principi di sussidiarietà, enunciato nel comma 3, lett. a) del successivo articolo 4, e di cooperazione fra Stato Regioni ed enti locali di cui alla lett. b) del medesimo comma. Ciò potrebbe far ritenere che il legislatore delegante abbia voluto determinare un rapporto di tipo paritario fra i soggetti. Sembrerebbe, infatti, nel sistema che si configura, completamente assente qualsiasi forma di egemonia/supremazia fra i soggetti di governo. Ma la delega contenuta nel richianato art. 3 comma 1 lett. c) contiene una particolare direttiva al Governo: esso, onde garantire un rapporto cooperativistico e di collaborazione fra i soggetti di governo – dunque un rapporto sostanzialmente paritario – deve individuare procedure e strumenti funzionali di relazione, anche di carattere sostitutivo da parte dello Stato e delle Regioni nel caso di mancato esercizio delle funzioni conferite agli inferiori livelli di governo. Considerando che il conferimento delle funzioni realizzato dalla legge di delega secondo i principi di sussidiarietà e di cooperazione, come sopra ricordato, è volto alla valorizzazione delle autonomie locali e territoriali, il rapporto di supremazia che si manifesta nel potere sostitutivo conferito allo Stato ed alle Regioni, acquista una configurazione forse inedita, non essendo orientato all’imposizione di superiori determinazioni nell’esercizio dei pubblici poteri, bensì – paradossalmente - alla promozione ed alla garanzia della pariteticità delle relazioni Stato – Regioni – enti locali.

 

6. La delega al Governo per la individuazione degli strumenti organizzativi e funzionali tesi alla garanzia delle relazioni determinate, non è di facile lettura. In essa, infatti, si stabiliscono due diverse categorie di strumenti atti a garantire la collaborazione e l'azione coordinata fra i tre livelli di governo: l'una di tipo procedimentale e funzionale (procedure e forme di cooperazione funzionali) l'altra di tipo soggettivo e/o organizzativo (strutture, forme di cooperazione strutturali e strumenti di raccordo) ma la loro identificazione è problematica proprio per la novità delle funzioni cui sarebbero chiamate tali categorie di strumenti.

Invero si conoscono strumenti funzionali e strutturali di relazioni verticali che hanno in passato assolto - in parte ancora continuano ad assolvere - funzioni di indirizzo e controllo nel rapporto Stato-Regioni-enti locali secondo la direttrice statalista [31] , ma non per le prospettate nuove relazioni determinate dalla fonte primaria di relazione.

In sostanza, con un linguaggio non proprio scorrevole, il legislatore tenta di creare - delegandone il Governo per la definizione - meccanismi organizzativi e funzionali che superino l’ostacolo essenziale all’attuazione del disegno di cooperazione, determinato appunto dalla mancanza di strumenti di raccordo ovvero di “...moduli procedimentali e organizzativi capaci di configurare effettivamente i livelli inferiori come partecipi, oltre che come esecutori a maglie più o meno larghe, degli indirizzi provenienti dai livelli superiori.” [32] . Cioè, sembra di capire, soggetti istituzionali e attività procedimentali idonei allo svolgimento di una o più funzioni attuative del  nuovo rapporto fra i tre livelli di governo. Tali che ne assicurino la pariteticità, la cooperazione ed il raccordo, superando la concezione verticistica dello Stato centralista.

Una più attenta lettura dell' ultima parte della disposizione in esame, non chiarisce la materia della rappresentanza nelle strutture in argomento. Si direbbe, infatti, che il legislatore delegato debba anche individuare..."..la presenza e l'intervento, anche unitario, di rappresentanti statali, regionali e locali nelle diverse strutture..", ma oltre l'infelice uso del verbo “individuare”, il delegante non chiarisce minimamente né cosa possa intendersi per “unitarietà” - per altro eventuale - dell'intervento, né quali siano  caratteristiche e ruolo di tali rappresentanti.

La circostanza che tali procedure e strutture debbano consentire la collaborazione e l'azione coordinata tra enti locali, tra le Regioni e tra i tre livelli di governo e di amministrazione, ne configura essenzialmente un ruolo di impulso e di controllo. Pertanto le caratteristiche dei rappresentanti in dette strutture dovrebbero assicurarne quanto meno la neutralità.

In quest'ottica il rischio che si corre, data l' espressione usata dal legislatore delegante in riferimento alla composizione di detti organismi nell'art. 3 comma 1 lett c) della legge 59/97, è quello di dare vita a soggetti di alta qualificazione tecnica con funzioni di impulso, controllo ed ausilio, ostaggi però della politica. La rappresentanza dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, infatti, come configurata nel testo normativo in esame, è di natura politica in strutture che hanno funzioni non politiche. Detta  presenza ove non opportunamente delimitata dalla legge regionale, potrebbe malauguratamente far rientrare dalla finestra una concezione verticale delle relazioni Stato - Regioni - enti locali, che faticosamente si cerca di cacciare dalla porta.

L'articolo 3 del D. lgs. 31 marzo 1998, n. 112, fra le altre cose, al comma 5° rimanda molto opportunamente alla legislazione regionale il delicato compito di individuare tali soggetti istituzionali ed attività procedimentali, limitatamente al sistema delle relazioni Regioni - enti locali, ma su quelle fra Stato e Regioni e fra Stato ed enti locali, il legislatore delegato ha poi provveduto tout de suite con il D. lg. 28 agosto 1997, n. 281, allorché, ha definito ed ampliato le attribuzioni della Conferenza permanente Stato – Regioni ed unificato la stessa, per le materie ed i compiti di interesse comune, con la Conferenza Stato – città [33] .

 

7. Il D. lg. N.281/97, attua la delega di cui all’articolo 9 della legge 59/97 [34] . Questa deve essere letta anche in collegamento con quella di cui al precedente atricolo 3, comma 1 lett c) della stessa legge 59/97. Il comma 2 dell’articolo 1 del D. lg. N. 281/97, infatti, fa espresso riferimento alla delega in questione, rinviando l’eventualità di ulteriori compiti e funzioni da attribuire alla Conferenza, in sede di individuazione, da parte del Governo, delle procedure e degli strumenti di raccordo di cui trattiamo.

Il legislatore delegato ha così modellato due importanti soggetti istituzionali di raccordo: la Conferenza Stato-Regioni (capo II) e la Conferenza unificata (capo III). Ad esse ha conferito funzioni e compiti ripartiti per materia. Alla prima sono conferiti limitatamente alle materie di interesse regionale, interregionale ed infraregionale, allo scopo di garantire la partecipazione delle Regioni e delle province autonome, a tutti i processi decisionali. Alla seconda, con lo stesso scopo, funzioni e compiti sono conferiti con riguardo alle materie di interesse comune fra Stato, Regioni ed enti locali.

La Conferenza Stato-Regioni, con la finalità sopra ricordate, oltre i compiti e le funzioni stabiliti dall’articolo 12 della legge 400/88, acquisisce una fondamentale funzione di impulso che determina un peso notevole di questa struttura sui rapporti istituzionali. Si pensi – per portare solo alcuni esempi - al fondamentale ruolo di promozione del coordinamento della programmazione dello Stato e delle Regioni, del raccordo della stessa con le attività di soggetti gestori di pubblici interessi rilevanti sul piano territoriale [35] ; agli inviti e proposte che la Conferenza può formulare nei confronti di soggetti pubblici o privati che gestiscono pubbliche funzioni [36] ; alle intese ed agli accordi promossi dalla Conferenza ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 3 e 4.

      A fianco di siffatte prerogative, il legislatore delegato conferisce alla Conferenza anche:

a)   funzioni di controllo successivo, sul conseguimento degli obiettivi e dei risultati raggiunti, limitatamente agli atti di pianificazione e di programmazione, sui quali si sia precedentemente pronunciata [37] ;

b)   funzioni di carattere direttivo (deliberativo), con riferimento all’applicazione uniforme degli indirizzi diagnostici e terapeutici, sul piano locale, e delle eventuali misure sanzionatorie, nonché in riferimento ai protocolli di intesa dei progetti sperimentali ai sensi dell’articolo 9/bis del D. lg. 30 dicembre 1992, n. 502 [38] .

       Di notevole interesse, rispetto alle finalità della nostra indagine, sono le forme pattizie denominate “intese” e “accordi” nel comma 1 dell’articolo 2 del provvedimento in rassegna. Le prime hanno riferimento al procedimento; si configurano come incontro delle volontà del Governo e dei presidenti (tutti) delle Regioni e delle province autonome nella Conferenza. Esse, tuttavia, sono limitate ai procedimenti per i quali la legge ha espressamente previsto un’intesa nella Conferenza [39] . Per altro hanno un tempo massimo di realizzazione (trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza) passato il quale provvede il Consiglio dei Ministri con atto motivato. Nei casi di urgenza motivata, il Consiglio dei Ministri adotta i relativi provvedimenti riservandosi di sottoporli all’esame della Conferenza nei quindici giorni successivi.

       Queste forme pattizie, dunque, hanno un carattere endoprocedimentale, si svolgono fra soggetti non pariordinati (lo Stato e le Regioni), sono sottoposte al potere sostitutivo del soggetto sovraordinato in caso di mancata intesa, e possono intervenire anche successivamente all’adozione di un provvedimento emanato, in casi d’urgenza, dal Consiglio dei Ministri.

       Diverse sono le altre forme pattizie previste dall’articolo 4 dello stesso D. lg. 281/97. Queste sono definite “accordi” e non devono essere espressamente previste dalla legge: esse possono, infatti, intercorrere fra lo Stato e le Regioni – oltre che fra lo Stato e le province autonome – in qualsiasi momento i soggetti interessati lo ritengano opportuno, con la condizione della ricorrenza dell’interesse comune e con la finalità di coordinare l’esercizio delle rispettive competenze, nel perseguimento degli obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, in osservanza del principio di leale collaborazione [40] . In buona sostanza una norma generale di relazione priva di limiti di materia, la cui portata innovativa si accosta a quella che si è sottolineata per l’articolo 15 della legge 241/90 [41] . La peculiarità è tuttavia nel fatto che la norma è riferita a soggetti destinatari esattamente individuati: in questo caso sono lo Stato, le Regioni e le province autonome - nell’ambito della Conferenza permanente.

       Una prima valutazione - certo non conclusiva – cui è dunque possibile pervenire, con riferimento agli accordi di cui all’articolo 4 del D. lg. 281/97, assumendo la considerazione già formulata dalla dottrina sulla generalità dell’articolo 15 della legge 241/90 è che tali forme pattizie, promosse dalla Conferenza permanente Stato-Regioni, nell’ambito delle sue funzioni di impulso possano rientrare nella categoria generale e polivalente dei patti, delle intese e degli accordi di cui all’articolo 15 richiamato, secondo un rapporto di species a genus.

      La Conferenza unificata, di cui al capo III del D. lg. 281/97 in rassegna, così denominata perché unifica la Conferenza Stato – città ed autonomie locali alla Conferenza Stato – Regioni, per le materie ed i compiti di comune interesse, si configura anch’essa come organismo propositivo, di impulso e di consultazione [42] , anche se il tenore degli articolo 8 e 9 potrebbero far pensare, a prima lettura, ad un organismo meramente consultivo, meno influente della Conferenza Stato – Regioni.

     In realtà, come d’altra parte stabilito nel comma 1 dell’articolo 9, la Conferenza unificata promuove intese ed accordi non meno della Conferenza Stato – Regioni, assume deliberazioni e promuove accordi e contratti. Semmai  un rilievo di notevole importanza andrebbe formulato proprio con riferimento a tale profilo. Dalle  intese e dagli accordi di cui agli artt. 3 e 4, infatti, il legislatore delegato ha escluso la Conferenza unificata: negli articoli in parola è fatto espresso riferimento alla Conferenza Stato – Regioni. Per cui, oltre che nel richiamato articolo 9, comma 1, anche in quei casi in cui il D. lg. N.112/98 ha previsto intese con la Conferenza unificata senza nel contempo prevedere poteri sostitutivi [43] , ci sarebbe da chiedersi se per essi, in caso di mancata intesa, valga o meno il potere sostitutivo di cui è rivestita la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il comma 3 dell’articolo 3 e se valgano le altre disposizioni in esso contenute.

           

8. Abbiamo sopra ricordato che sul versante delle relazioni fra Regioni ed enti locali, il legislatore delegato ha opportunamente rinviato alla legislazione regionale il compito di prevedere strumenti e procedure di raccordo e concertazione, finalizzati alla creazione di forme di cooperazione strutturali e funzionali [44] . Tale “invenzione” – per così dire – di quei soggetti istituzionali e di quelle attività procedimentali da parte delle Regioni, costituisce un interessante esercizio de iure condendo e ci sembra di poter sottoporre ad un primo esame, limitandoci a delle osservazioni di carattere descrittivo ed operativo, l'idea di recente avanzata della creazione di agenzie regionali per la collaborazione e l'azione coordinata con gli enti locali [45] .

Si tratterebbe di strutture non portatrici degli indirizzi della regione, ma garanti della concertazione, della cooperazione e del coordinamento funzionale fra Regioni ed enti locali, sulla base di regole definite. In concreto tali agenzie, svolgerebbero attività per il miglioramento dei rapporti fra Regioni ed enti locali, azioni di controllo in senso ampio, formulerebbero gli standard operativi, risolverebbero problemi gestionali e funzionali, proporrebbero linee di indirizzo e di coordinamento, fornirebbero assistenza agli enti in difficoltà.

Si potrebbe così configurare un'interessante soluzione organizzativa e strutturale, trattandosi di organi di collegamento intersoggettivo con funzioni di controllo e di impulso, nonché di consulenza e di assistenza agli enti locali [46] .

I componenti di tale organo non potrebbero che avere caratteristiche neutrali e di alta preparazione tecnica, dovendo collocarsi, nella loro attività, in un ambito intermedio fra i soggetti del governo locale e territoriale. In questo ambito sarebbe di notevole importanza potersi avvalere di nuove professionalità particolarmente orientate nel settore del management pubblico, considerando che la preparazione giuridica non basta più nel processo di trasformazione dell'amministrazione per atti in un'amministrazione per progetti e obiettivi [47] .

Ma tale settore che oramai si propone in sviluppo a partire dalla riforma del pubblico impiego, iniziata con il D. lgs. 3  febbraio 1993, n. 29 e proseguita con il recentissimo D. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, stenta a compiere passi in avanti di reale entità. Il sistema formativo (dalle università ai centri privati, a quelli regionali sino alla scuola superiore della pubblica amministrazione) registra ancora un forte ritardo rispetto alle innovazioni legislative. Si pensi allo scarso successo avuto, specie nei comuni e negli enti locali di dimensioni medio piccole, dalla figura del direttore generale [48] introdotto nell'ordinamento delle autonomie locali dalla legge 127/97. Questo è dovuto a varie ragioni e non ultime quelle della titubanza e qualche diffidenza degli amministratori locali, ma fra dette ragioni v'è sicuramente la mancanza, nel mercato delle alte specializzazioni, di soggetti dotati di valida preparazione manageriale pubblicistica che non sia quella tipica del settore privato e della produzione. Anche quest' ultima, infatti, risulterebbe da sola affatto insufficiente.

 

9. Il legislatore statale è chiaramente orientato verso un sistema di esercizio concertato del potere. Ciò sia nelle relazioni fra soggetti del potere e i destinatari delle pubbliche funzioni, sia in quelle che intercorrono fra i soggetti stessi.

Questo complesso sistema pattizio, procede in due direzioni fondamentali: da una parte quella che riguarda i rapporti fra potere e cittadini, dall’altra quella che riguarda i rapporti intersoggettivi fra i diversi livelli di governo. Esso si configura con varie forme a volte determinate direttamente dalla legge di relazione, altre volte rilasciate all’autonoma decisione delle parti, altre ancora tale determinazione è rinviata ad altre fonti.

Nella creazione di questo sistema il legislatore statale ha essenzialmente due scopi: l’uno è di favorire e promuovere la semplificazione dei rapporti fra cittadini e pubblici poteri, oltre che l’accelerazione e lo snellimento dell’azione dei pubblici poteri stessi; l’altro è di promuovere un sistema cooperativistico nelle relazioni fra i vari livelli di esercizio del potere (Stato – Regioni - enti locali); un sistema tendenzialmente paritario, portato a favorire e promuovere le autonomie locali e territoriali, in quanto livelli del potere più prossimi alle collettività dei cittadini.

Con riferimento all’argomento che ha maggiormente interessato il nostro lavoro (quello delle relazioni Stato – Regioni – enti locali), v’è da evidenziare che l’orientamento del legislatore, sopra richiamato, non è recentissimo. Esso si era manifestato già negli anni settanta (art. 11, D.p.r. 616/77) come un’ambiziosa e coraggiosa manifestazione di intenti; acquistava, molti anni dopo, alcune forme operative di realizzazione degli auspicati nuovi rapporti di tipo cooperativistico( Art. 12 L. 400/88) con la Conferenza permanente Stato – Regioni; con le riforme amministrative del 1990, la tendenza del legislatore statale al regionalismo cooperativo ed alla concertazione fra soggetti titolari di pubbliche funzioni, diventava una scelta. Tardava, tuttavia, l’individuazione delle forme pattizie, degli strumenti relazionali idonei a rendere concreto tale nuovo sistema di rapporti. Solo con la legge delega n.59/97 e con i provvedimenti delegati sopra esposti, il legislatore giunge a completare questo percorso, potenziando gli strumenti relazionali in esistenza, creandone altri e delegando il legislatore regionale per la creazione di ulteriori strumenti relazionali, riferiti ai rapporti fra Regioni ed enti locali.

Su tale ultimo adempimento, la legislazione regionale è chiamata ad esprimersi in maniera compiuta e l’idea della costituzione di agenzie regionali, garanti di un rapporto di concertazione in senso generale, di cooperazione e di raccordo fra Regioni ed enti locali, sembra, al momento, sufficientemente opportuno, fatte salve le riserve ed i ritardi sopra segnalati sulla costruzione di tali organismi e, soprattutto, sul coinvolgimento di nuove professionalità tutte da formare.

In sintesi è possibile  affermare che le più recenti scelte del legislatore statale – a Costituzione invariata - informano a favore della concertazione e della cooperazione gli ambiti relazionali dei rapporti fra Stato/persona - società civile e di quelli istituzionali fra diversi livelli di governo. Ciò anche in virtù del  principio di sussidiarietà sulla ripartizione delle funzioni. Invero tale principio, pur se per alcuni già presente ante litteram nell’articolo 5 della Costituzione, attendeva un’imminente revisione costituzionale che poi non è giunta [49] . Ciò nondimeno quelle scelte legislative, pur se rimaste un po’ “orfane” di una revisione costituzionale purtroppo al momento fallita, costituiscono ugualmente un orientamento ed una tappa di notevole rilevanza, nel percorso della trasformazione delle relazioni istituzionali e sociali.

Carlo Di Marco

(*) Il presente saggio sarà pubblicato nel n. 3 della rivista "Le Regioni" della Casa editrice Il Mulino.

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[1] Cfr. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1993,279 e ss.

[2] Si pensi al potere statale sostitutivo nei casi previsti dall’articolo 126 della Costituzione ed in alcuni statuti delle Regioni speciali il quale, tuttavia non si è mai esercitato; al il sistema dei controlli ex artt. 125 e 127 della Costituzione nonché alla relativa legislazione ordinaria. Ciò in materia di garanzia della legalità, ma si ponga mente ai discussi poteri di direzione e di indirizzo dello Stato sulle Regioni, come ad esempio la fattispecie delle direttive impartite dal Governo nell’articolo 4 del D. P.r. 24 luglio 1977, n 616; alla funzione direttiva sulle Regioni attribuita al Governo nella L. 16 maggio 1970, n.281, art. 17, comma 1, lett. a) ecc. Su tali aspetti si veda più diffusamente CERULLI IRELLI, op. Cit., 281 e ss.

[3] Commissione  bicamerale, per le relazioni fra Stato e Regioni, con funzioni precipuamente consultive ed in parte politiche. In seguito disciplinata dall’articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 e dagli artt. 21 e 32 della legge 28 ottobre 1970, n. 775.

[4] ..”..E’ il caso di sottolineare in questa sede la portata rivoluzionaria, per quanto concerne la determinazione del ruolo delle Regioni e degli enti locali e la disciplina dei loro rapporti con gli organi centrali dello Stato, che possono assumere, se correttamente applicati, i principi contenuti nell’articolo 11 del DPR n. 616: il legislatore esprime qui, nel modo più netto, la stretta connessione che sussiste tra espansione delle autonomie e programmazione democratica, sancisce l’adozione del metodo della programmazione nell’attività dell’organizzazione  dei pubblici poteri ad ogni livello, identifica nella programmazione decentrata e partecipata lo strumento fondamentale di coordinamento e di raccordo tra i diversi livelli di governo(escludendo per ciò stesso il ricorso a strumenti di supremazia gerarchica), riconosce il fondamentale ruolo politico delle Regioni e degli enti locali, in quanto enti esponenziali chiamati ad esprimere e rappresentare l’intera gamma degli interessi e delle esigenze delle collettività locali[....]BASSANINI, in BARBERA - BASSANINI (a cura di) I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, Bologna 1978,327.

Ancora:  ..”..Non si può dimenticare, tuttavia, che l’art. 11 ha una portata meramente programmatica; esige, per essere correttamente attuato, non soltanto la definizione di procedure di formazione ed attuazione dei piani e programmi nazionali e regionali coerenti con i suoi principi ispiratori [....] ma, prima ancora, richiede la realizzazione di quel radicale rinnovamento di comportamenti  e di moduli di azione politica e amministrativa che esso indica e presuppone[...]”, ibid., 328.

[5] Con riferimento alle relazioni fra Stato Regioni, ad esempio, il dibattito sulla politicità delle Regioni si orientava verso una direttrice di pariordinazione una volta definito che sia le Regioni che gli enti locali sono enti esponenziali e dunque per ciò stesso politici non meno dello Stato. .."..La Regione - sia chiaro -  era tale fino da quando la Costituzione fu scritta, ma i giuristi ci avevano detto che la sua politicità era il portato dell'attribuzione ad essa di competenze legislative ed era per conseguenza delimitata, nelle sue potenzialtià espressive, dagli ambiti di tali competenze...impostazione...la quale, correlando la politicità alla titolarità di funzioni legislative, presume in linea di principio che essa non via sia negli enti, come i comuni, che hanno solo competenze non legislative..." AMATO in BARBERA - BASSANINI (a cura di) I nuovi poteri delle Regioni e degli entio locali, Bologna 1978, 149.

[6] Cfr. art. 12 L. 23 agosto 1988, n. 400, rispettivamente commi 1 e 5. Sulla Conferenza Stato – regioni, v. : MARTINES –RUGGERI, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 1997, 121, e ss.

[7] Ci si riferisce agli artt. 8, 64,66 ed 81 dello stesso D.p.r. 616/77, ma anche a varie leggi di settore come ad es. La legge 8 luglio 1986, n. 349 istitutiva del Ministero dell’ambiente, la legge 28 agosto 1989, n.305 in materia di programmazione triennale per la tutela dell’ambiente, la legge 6 dicembre 1991, n. 394, legge quadro sulle aree protette, solo per riportare alcuni esempi, visto che il legislatore ha poi proseguito sualla strada della concertazione in maniera molto elastica.

[8] Sulla materia degli accordi fra privati ed amministrazione la letteratura è molto ampia. Per tutti: FERRARA, Gli accordi tra i privati e la pubblica amministrazione, Milano, 1985; id. Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Digesto pubbl.,Torino 1993,VIII, 543 e ss. per una panoramica generale e completa sulla materia; CASETTA, Profili dell’evoluzione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in Dir.amm., 1/93, 3 ss.. In materia di accordo sostitutivo si veda il recentissimo FRACCHIA, L’accordo sostitutivo, Padova, 1998.

[9] Per alcuni esempi cfr. nota n. 7.

[10] FERRARA, Gli accordi di programma, Padova 1993, passim.; id. Intese, convenzioni e accordi amministrativi, cit.; STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992.

[11] Si vedano: BACHELET, Coordinamento, ad vocem, Enc. del dir.; AA.VV., Coordinamento e collaborazione nella vita degli enti locali, Atti del VII convegno di studi di Scienza dell’Amministrazione, Varenna, 17 - 20 settembre 1959; BARBERA , Regioni ed interesse nazionale, Milano, 1973, 283 e ss.; CHELI, Il coordinamento delle attività di governo nell’attuale sistema italiano, in St.parl., 1969, 4, 7 e ss., CORREALE, Contributo allo studio del concerto, Padova, 1974; BRIGNOLA, Il coordinamento dell’attività amministrativa nell’ambito del procedimento, Roma, 1978; RIZZA, Collaborazione tra enti territoriali, in Enc. giur. Treccani, 1988; BARTOLE, Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971; CARROZZA, Principi di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali(la via italiana al regionalismo cooperativo), in Le Regioni, 2, 1989, 480 e ss.

[12] In materia di accordi sostitutivi e segnatamente sulla codificazione legislativa, FRACCHIA, op. cit., 74 e ss.; STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992; PERICU, L’attività consensuale della pubblica amministrazione, in MAZZAROLLI – PERICU – ROMANO – ROVERSI MONACO – SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, II, Bologna, 1993, 1348 e ss.

[13] FERRARA, Gli accordi di programma, cit. 63 ss. Il riferimento all’articolo 14 contenuto nel primo comma dell’articolo 15 in argomento, è alla forma della conferenza di servizio, prevista per sopperire alla possibile esigenza dell’esame comune e contestuale dei vari interessi fra diverse amministrazioni ma, al di fuori di tale ipotesi, è dato alle amministrazioni un potere pressoché illimitato di concertazione e conclusione sostitutiva di provvedimenti finali.

[14] Su tale argomento si veda: FERRARA, Gli accordi di programma, cit. 35 e ss; TORCHIA, Accordi di programma e ricerca scientifica, in Pol. Dir. 1991; id., la conferenza di servizi e l’accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, in Giornale di dir, amm., 1997; BUCCISANO, Intesa e concerto: analogie e differenze, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1982, 139 ss.; ROFFI, Concerto e intesa nell’attività amministrativa: spunti ricostruttivi, in Giur. It., 1988, IV, 414 e ss.; CORREALE, Contributo allo studio del concerto, Padova, 1974; STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano 1992.

[15] FERRARA, Gli accordi di programma, cit., 63 ss.; id. Intese, convenzioni e accordi amministrativi, cit. passim. A titolo di esempio si potrebbe fare riferimento, nella più recente legislazione, al mancato raggiungimento dell’intesa prevista nel comma 3 dell’articolo 3, D. lg. 28 agosto 1997, n. 281 di cui si tratta più avanti nel presente lavoro.

[16] Sulla natura giuridica delle intese e sui rapporti fra norma primaria di attribuzione e rapporto contrattuale, nonché su quelli concernenti l’atto c.d. di adesione successivo, cfr. ancora FERRARA. op. cit. nella nota precedente.

[17] Nello stesso articolo, ha anche previsto, per lo Stato e le regioni, nelle materie di propria competenza, la possibilità ch’essi prevedano, con legge, convenzioni obbligatorie per la gestione, ma ponendo il limite della temporaneità nel caso di un servizio o per la realizzazione di un’opera “…a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un’opera….” Cfr. art. 24 comma 3, L. 142/90.

[18] Per un approfondimento su tali aspetti concernenti la peculiarità degli accordi di programma, cfr. per tutti il più volte richiamato FERRARA, Gli accordi di programma,cit., 86 ss.

[19] La norma, come si sottolineava (cfr. nota n. 13), non limita l’esercizio del potere conferito sotto il profilo soggettivo (riferendosi astrattamente alle amministrazioni pubbliche) e limita molto blandamente il profilo di materia (facendo riferimento a tutte le attività che abbiano il carattere del comune interesse fra le amministrazioni interessate).

[20] “...nel senso che entrambe le fattispecie dell’amministrazione concertata e consensuale sono caratterizzate da una dinamica di tipo negoziale e tutte e due sono finalizzate ad incrementare l’efficacia e l’efficienza dell’azione dei pubblici poteri grazie all’attivazione di forme associate e collaborative di (co)gestione del potere in vista del raggiungimento di obiettivi comuni.” , FERRARA, op. ult. cit. 101.

[21] Per un commento dell’articolo 11 si rinvia a  AMATO:, cit. passim.

[22] Per certi profili – non perfettamente attinenti alla nostra ricerca, ma ad essa collegati -  il tema della pariordinazione dei diversi livelli di governo (Stato-Regioni-enti locali), si è riproposto recentemente nella sentenza della Corte costituzionale n. 408/1998, su ricorso delle Regioni Sicilia e Puglia. In tale sentenza la Corte ha distinto in quattro gruppi le censure contenute nei ricorsi (due della Regione Sicilia e due della Regione Puglia) proponendo essi questioni fra loro analoghe. Nel primo gruppo la Regione Puglia ritiene illegittimamente equiparata la posizione costituzionale delle Regioni a quella degli enti locali, attraverso una decostituzionalizzazione delle garanzie a favore delle Regioni, ridotte “…alla mercè della legge ordinaria...”. Ciò in ragione del generico “conferimento” di funzioni a Regioni ed enti locali, di cui all’articolo 1 comma 1 della legge 59/97. Tale “conferimento” di funzioni e compiti, infatti, unificherebbe il “trasferimento” e la “delega” riferiti rispettivamente, in Costituzione, l’uno  alle Regioni (artt. 117 e 118), l’altra agli enti locali (art. 118 primo comma e 128). La Corte ha ritenuto infondata la questione. Richiamando molto opportunamente i principi di cui all’articolo 5 della Costituzione, infatti, ritiene la delega di cui alla legge 59/97, molto più ampia di quella relativa alle Regioni di cui alla all’articolo 17 della legge 281 del 1970 e successivamente in base all’articolo1 della legge 382 del 1975. Tale  ampiezza della delega, secondo la Corte, “…comporta l’impiego, da parte del legislatore delegato, di tutta la gamma di strumenti costituzionalmente ammessi per il decentramento delle funzioni…”. E’ solo per comodità espressiva che l’articolo 1 comma 1 della legge 59/97 usa il termine di “conferimento”, distinguendo espressamente, la norma, i diversi strumenti per il decentramento. Non v’è dunque confusione. Anzi la legge distingue fra materie spettanti alle Regioni ex art. 117 nel cui ambito devono essere le stesse Regioni ad compiere distinzione fra funzioni da decentrare agli enti locali e quelle che invece richiedono l’unitario intervento legislativo delle Regioni.

[23] Si veda, in proposito, CREA, Il sistema delle autonimie territoriali come coordinamento dei poteri. La programmazione come ipotesi per l’attuazione dell’articolo 3 della l. n. 142 del 1990 in regione e riforma delle autonomie, Collana C.N.R., Milano, 1995.

[24] La formulazione dei primi due commi dell’articolo 3 della legge 142/90, lascia percepire la volontà del legislatore di conservare in testa alla Regione il potere di individuare gli interessi degli enti locali nelle materie dell’articolo 117 della Costituzione, riservando un blando riferimento alla partecipazione degli enti locali interessati a tale individuazione. In questo senso la Corte costituzionale, nella recente sentenza già richiamata n. 408/1998, ritiene che, con la legge 59/97, il legislatore abbia amplificato la centralità della Regione, “…sottolineando così un ruolo della Regione come centro propulsore e di coordinamento dell’intero sistema delle autonomie locali – la Corte qui richiama la precedente sentenza n. 343 del 1991 – La legge n. 59 del 1997 va oltre, ma nella stessa direzione , chiamando le Regioni, nell’ambito delle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione, a definire il riparto delle funzioni al proprio interno con criteri analoghi a quelli seguiti dallo stesso legislatore statale, e cioè identificando le funzioni che richiedono, l’unitario esercizio a livello regionale e devolvendo tutte le altre ai comuni, alle province ed agli altri enti locali (art. 4, comma 1), in conformità al principio di sussidiarietà..”.

[25] Cfr. supra pg. 9. Ci sarebbe qui da domandarsi se non sussista un’abrogazione tacita della disposizione contenuta nel richiamato comma 2 dell’art. 11 del D.p.r. 616/77. Si direbbe di si, tenuto conto che la materia è disciplinata, rispetto al D.p.r. 616/77, successivamente e con legge di principio. Per altro, in maniera affatto difforme, omettendo sia il necessario concorso degli enti locali, che la riserva di statuto regionale per la definizione delle modalità di esercizio di tale concertazione.

[26] l’espressione altri provvedimenti della Regione, usata nel comma 6, appare tutt’altro che chiara. Verrebbe da chiedersi se il legislatore, riferendosi agli altri provvedimenti non abbia inteso, in effetti, generalizzare la forma di intesa di tipo partecipativo con gli enti locali - ferma restando la riserva a favore della legge regionale per la definizione delle forme e dei modi della partecipazione stessa – alla generalità delle funzioni regionali espresse in provvedimenti di diversa natura (legislativi ed amministrativi). Se così fosse il comma 6 dell’articolo in argomento, presupponendo un principio generale di partecipazione degli enti locali a tutte le attività della Regione, potrebbe riammettere tale partecipazione  – secondo le forme ed i modi stabiliti con legge regionale – alla determinazione degli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e di sviluppo regionale.

[27] FERRARA, Gli accordi di programma cit.31 e ss.; id. Intese,convenzioni..cit., passim.

[28] Nel caso della concertazione prescritta nell’articolo 11 del D.p.r. 616/77, come si sottolineava già nel testo, le materie investite dal sistema concertato delle relazioni istituzionali, sono quella della determinazione degli obiettivi della programmazione economica nazionale e quella della determinazione dei programmi regionali di sviluppo. Si tratta di materie disciplinate con legge dello Stato e dalla legislazione regionale. L’osservazione non sembra di poco conto e ci induce ad ipotizzare un’altra classificazione fondamentale nell’ambito delle norme primarie di attribuzione del potere pattizio. Da un lato quelle che attribuiscono poteri di concertazione, più o meni ampi, a soggetti titolari del potere amministrativo per l’esercizio delle loro tipiche funzioni – come nell’articolo 15 della legge 241/90 – dall’altro quelle che attribuiscono poteri di relazione ai soggetti titolari del potere legislativo, come nel caso dell’articolo 11 del D.p.r. 616/77. Nella seconda ipotesi le fattispecie non sarebbero riconducibili al fenomeno dell’amministrazione concertata, investendo una funzione preordinata a quella amministrativa, ma l’interesse di tale tematica – non da esaminare nel presente lavoro – risiede nella circostanza che, secondo la formulazione dell’articolo 11 in argomento, l’attività legislativa sulla programmazione economica nazionale e sui programmi di sviluppo regionali, appare necessariamente concertata. Quasi che, in mancanza della concertazione prevista, essa potrebbe risultare inibita.

[29] Il legislatore delegato sembra voler rispondere alla quella carenza, nella legislazione, di forme e tipi organizzativi della cooperazione, che ha indotto la dottrina, per fantasia istituzionale, a creare figure originali. Si veda in proposito AMBROGETTI, Sulle intese (effettive o apparenti) nei rapporti Stato e Regioni, in  Le Regioni, 4, 1990, 1173 e ss.

Per altro verso, con riferimento alla richiamata sentenza della Corte costituzionale n.408/1998, la Regione Puglia ha impugnato, fra l’altro, la disposizione di cui alla lettera c), comma 1 dell’articolo 3 in argomento, ritenendo che la previsione di tali strumenti di raccordo, da un lato sarebbe in contrasto con l’articolo 9, comma 1 lett. b) della stessa legge 59/97, in cui il legislatore delegante aveva posto il criterio della concentrazione nella conferenza Stato - Regioni delle funzioni di raccordo, dall’altro la norma apparirebbe di dubbia costituzionalità in quanto l’individuazione delle forme di collaborazione fra Regioni o infraregionali, spetterebbe alle Regioni stesse. La Corte ha ritenuto infondata la questione. Infatti  non è vietato “…al legislatore statale – si legge nel punto n. 8 delle considerazioni di diritto – prevedere e disciplinare forme di collaborazione anche fra Regioni o fra queste e gli enti locali, negli ambiti e con modalità che non ledano la fondamentale autonomia organizzativa delle Regioni…”. Per altro non v’è contrasto, secondo la Corte, con le norme costituzionali nella generica previsione di forme di cooperazione “strutturali e funzionali” e di interventi sostitutivi. Infatti, il principio di leale cooperazione, opportunamente richiamato, “…implica proprio la ricerca di tali forme là dove s’intersecano competenze ed interessi afferenti a diversi livelli di governo.”

[30] Legge n. 59/97, art. 3 comma 1, lett. c).

[31] Si pensi al vecchio ruolo dei comitati regionali di controllo con funzioni di controllo preventivo di legittimità su tutti gli atti degli enti locali, oggi quasi completamente marginalizzato pur restando fermi i principi di cui all’articolo 130 della Costituzione. L'esempio riportato sul ruolo dei comitati regionali di controllo, è significativo in quanto apre un doppio binario di riflessioni. Da un lato, infatti, il legislatore ha provveduto ad una decisa marginalizzazione del controllo in argomento, incorrendo in qualche rischio di incostituzionalità - si pensi al conferimento al difensore civico di poteri di controllo preventivo di legittimità, seppur blandi, a fronte del dettato costituzionale (Art. 130) – pur restando inopinatamente in vigore norme come l’articolo 6 del R.D. n. 383/1934 che conserva in capo al Governo la facoltà di annullamento d’ufficio o su denunzia, degli atti delle amministrazioni viziati da incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge o di regolamenti generali o speciali. Dall'altro il fallimento della bicamerale per le riforme costituzionali, allontana sensibilmente una pur auspicata prospettiva di revisione di strumenti di controllo non più del tutto adatti ad un sistema di relazioni istituzionali di tipo tendenzialmente cooperativistico.

[32] AMATO, op ult. cit. 150 e ss.

[33] Le Regioni  Sicilia e Puglia, nei loro quattro ricorsi di cui alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 408/1998 hanno mosso varie censure alla unificazione delle Conferenze Stato – Regioni e Stato – città, “..sostenendo – si legge nel punto n. 18 delle considerazioni di diritto – che l’unificazione delle due conferenze realizzerebbe una incostituzionale equiparazione di Regioni ed enti locali, che godono invece di statuto costituzionale differenziato; mentre la sede naturale per la cooperazione fra Regioni ed enti locali si troverebbe a livello regionale……..i rappresentanti delle autonomie locali verrebbero a partecipare a processi decisionali di alta amministrazione in cui si realizza la collaborazione fra Stato e Regioni..”. Per altro, per la Regione Siciliana, nella Conferenza unificata non sarebbe prevista alcuna forma di  “preminenza” delle Regioni nei processi decisionali. La Corte ha ritenuto infondate le questioni argomentando che  “… Le Regioni potrebbero lamentare una lesione della loro posizione costituzionale se l'unificazione delle due conferenze desse luogo ad un organismo indifferenziato, nel cui ambito i rappresentanti regionali mescolassero il loro voto con quello degli altri rappresentanti, così che non emergesse distintamente il punto di vista delle Regioni…….. Ma la legge di delega non prevede affatto il venir meno dell'identità delle due conferenze, e delle rappresentanze in esse presenti, bensì solo il loro congiunto operare "per le materie e i compiti di interesse comune delle Regioni, delle Province e dei Comuni" (art. 9, comma 1)……Non hanno dunque ragion d'essere le censure secondo le quali, con l'unificazione delle conferenze, i rappresentanti delle autonomie locali verrebbero a partecipare a procedimenti di raccordo fra lo Stato e le Regioni, o addirittura a poter vincolare la volontà della Regione in ordine ai rapporti con i rispettivi enti locali……Infatti, come si è detto, non si ha affatto una commistione delle rappresentanze, ma solo una unificazione funzionale, nell'ambito di un sistema in cui i Presidenti delle Regioni conservano la loro esclusiva rappresentanza delle istanze regionali ed esprimono distintamente la volontà delle Regioni medesime, mentre è solo la rappresentanza governativa ad essere propriamente unificata.”

[34] La delega di cui all’articolo 9 richiamato nel testo, conferisce al Governo il potere per l’adozione di un provvedimento delegato teso alla definizione e l’ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente Stato-Regioni sulle quali abbiamo fatto cenno. V. supra, pg. 3.

[35] Art.2, comma 1 lett.c), D. lg. 281/97.

[36] Art.2, comma 1 lett. h), D. lg. 281/97.

[37] Art.2, comma 7, D. lg. 281/97.

[38] Art.2, comma 8, D. lg. 281/97.

[39] Lo stesso legislatore delegato ha previsto una serie di fattispecie pattizie di questo genere. Solo per portare alcuni esempi, si pensi alla materia della concessione di contributi, agevolazioni, incentivi ecc. alle industrie per alcune attività identificate con D.p.c.m., d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, di cui all’articolo 18, comma 1 lett. o); alla individuazione delle riserve statali, non collocate nei parchi, la cui gestione viene affidata alle Regioni od agli enti locali, da effettuarsi con atto di indirizzo dello Stato d’intesa con la Conferenza, come nella disposizione di cui all’articolo 78, comma 2; alla definizione della programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del suolo, da effettuarsi di intesa con la Conferenza, come nella disposizione di cui all’articlo 86 comma 3 ecc…..

[40] Su tal principio: Corte cost. 12 aprile 1989, n. 180, annotata in Le Regioni, 1990, 1173, nota di AMBROGETTI; Corte cost. 27 dicembre 1991, n. 482, ivi, 1992, 1407, note di MEZZETTI, BIANCO, BIN; Corte cost. 27 luglio 1992, n. 366, in G.U. s.spec. n. 33 del 5 agosto 1992. Riflessioni di grande rilievo sono contenute in BARTOLE, la Corte costituzionale e la ricerca di un contemperamento fra supremazia  e collaborazione nei rapporti fra Stato e Regioni, in Le Regioni, 1988, 563 ss.; CARROZZA, Principio di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali (la via italiana al regionalismo cooperativo), cit.

[41] “E' la disposizione più generale con la quale si disciplina una categoria multipla, polivalente e a contenuto aperto di patti, di intese e di accordi descrittivamente definibili come endoprovvedimentali …”, FERRARA , Gli accordi di programma, cit. 96 ss.

[42] Cfr. Art.9 comma 1, D. lg. 281/97.

[43] Come ad es. – con riferimento al D. lg. 112/98 - per l’intesa prevista per l’esercizio dei compiti di rilievo nazionale in materia di territorio e ambiente, di cui all’articolo 52, comma 3; per l’intesa prevista nell’esercizio delle funzioni mantenute allo Stato ancora in materia di territorio ed ambiente, di cui all’articolo 54, comma 2; per le intese con la Conferenza unificata per i criteri di cui all’articolo 78, comma 2 per la individuazione delle riserve statali non collocate nei parchi ecc…

[44] Il comma 5 dell’articolo 3 del D. lg. N. 112/98, così recita: “ Le Regioni, nell’ambito della propria autonomia legislativa, prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l’azione coordinata far Regioni ed enti locali nell’ambito delle rispettive competenze”.

[45] In un interessante articolo di EDUARDO RACCA, Enti e autonomie, la scommessa dell'intesa, in Guida agli enti locali de Il sole 24 ore, dossier n. 1 maggio 1998, 115 e ss., si ipotizza la creazione, da parte delle Regioni con legge, di agenzie regionali ...."...a elevata caratura tecnica, in grado di catalizzare il cambiamento, costituite innanzi tutto da esperti in management pubblico, nelle quali dovrà essere assicurata la presenza anche di rappresentanti locali.".

[46] Essendo organi regionali dotati anche di funzioni di controllo, potrebbero assolvere alle funzioni che, a Costituzione invariata (Art. 130),  restano irrinunciabili. I comitati regionali di controllo potrebbero essere privati della loro persistente connaturazione politica e riassorbiti nelle agenzie.

[47] La insufficienza della preparazione giuridica sia per i soggetti di cui nel testo, sia anche per le nuove figure manageriali create dal legislatore nella riforma dell'amministrazione per atti, è del tutto evidente. Si pensi alla figura del Direttore generale nella gestione dei servizi pubblici locali, ma anche ai compiti dei nuovi istituti di controllo interno di gestione. Questi, secondo quanto disposto dalla legge, hanno compiti di controllo concomitante e successivo, sulla legalità, sul buon amdamento e sull'imparzialità dell'attività dei servizi, ma anche sulla economicità, sull'efficacia e sull'efficineza degli stessi.

[48] secondo un'inchiesta di ANCITEL il grado di attuazione della legge n. 127/97 sarebbe notevolmente basso, anche se la figura del Direttore generale sembrerebbe aver avuto successo particolarmente nei comuni del nord. Cfr. Il sole 24 ore 06/07/1998.

[49] Si veda FALCON, Lo Stato autonomista (a cura di) introduzione. Bologna 1998. X e ss. Ci sembra per altro opportuno riportare un breve stralcio della relazione D’Onofrio (relazione forma di Stato) al progetto di revisione del 4 novembre 1997: “… il testo che si propone alla Vostra attenzione non si intende dissolvere l'unità politica della Repubblica, ma più semplicemente, seppur molto significativamente, affermare che non vi è più identificazione tra la Repubblica intesa come comunità nazionale e lo Stato inteso come apparato centrale. Il principio di sussidiarietà, che diventa il fondamento del nuovo modello di Repubblica, parte pertanto dai Comuni per giungere allo Stato ed oltre, traendo tutte le conclusioni possibili dal principio contenuto nell'articolo 5 della Costituzione, in base al quale la Repubblica «riconosce le autonomie locali». ……

c) La centralità del Comune nel nuovo ordinamento veniva affermata con l'esplicita indicazione che è attribuita ai Comuni la generalità delle funzioni regolamentari e amministrative, anche nelle materie nelle quali spetta allo Stato o alle Regioni la potestà legislativa, salve le funzioni espressamente attribuite alle Province, alle Regioni o allo Stato dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali o dalla legge.

e) Se l'originaria proposta prevedeva che la ripartizione delle funzioni legislative tra Stato e Regioni avvenisse negli Statuti speciali di ciascuna Regione, sì che l'elenco delle materie di competenza statale sarebbe stato definito appunto da ciascuno Statuto in modo anche potenzialmente diverso da Regione a Regione, l'articolo 59 del Titolo I, invece, una volta scelto il modello della ripartizione nazionale uniforme delle competenze legislative, conteneva la definizione delle materie di competenza legislativa statale, tutte le altre essendo rimesse alla potestà legislativa delle Regioni.

Si trattava del rovesciamento del principio di ripartizione delle funzioni legislative tra Stato e Regioni operato dall'attuale articolo 117 della Costituzione. Pur non potendo affermarsi che questo rovesciamento configuri di per sé solo la realizzazione del principio federalistico, è certamente vero che un ordinamento non potrebbe essere ritenuto federale se non vi fosse affermato il principio della attribuzione allo Stato di potestà legislativa specifica.


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