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CINZIA
DE MARCO
(Professore a contratto nell'Università di Catania)
In tema
di retribuibilità delle mansioni superiori
svolte dai pubblici dipendenti
(nota a TRIBUNALE DI TRIESTE - sent. 29 settembre 2000 n. 403*)
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La sentenza in commento affronta il problema della retribuibilità delle mansioni superiori dei pubblici dipendenti così come disciplinata dall’art. 56 del D.Lgv. 29/93, nel testo modificato dall’art. 25 del D. Lgs. 80/98 e dell’art. 15 del D. Lgs. 387/98.
Com’è noto la disciplina delle mansioni ha costituito da sempre un tema classico della contrapposizione tra lavoro pubblico e privato; le ragioni della diversità sono facilmente comprensibili e risiedono nei principii che sottendono i due universi del mondo del lavoro: il lavoro privato, infatti, trova il suo fondamento sul c.d. principio di effettività, sul prevalere dello stato di fatto sullo stato di diritto; il rapporto di pubblico impiego, invece, nasce(va) e si sviluppa(va) solo in funzione di atti amministrativi opportunamente formalizzati.
In tale contesto la disciplina delle mansioni introdotta dall’art.2103 cod. civ. per come riscritto dall’art.13 St.Lav., caratterizzata dal prevalere dell’effettività della prestazione sulla qualificazione formale era assolutamente inapplicabile al rapporto di pubblico impiego caratterizzato, in materia di classificazione del personale dalla presenza di una pianta organica rigida e immodificabile a fronte del divenire delle esigenze di servizio [1].
Con la riforma sulla privatizzazione del pubblico impiego ha trovato finalmente diritto di cittadinanza anche nel settore pubblico la disciplina delle mansioni, contenuta nell’art.56 D.Lgs. 29/93 per come rinnovato dall’art.25 del D. lgs. n°80/1998 e dall’art.15 del 387/1998: il lavoratore pubblico che svolga mansioni di qualifica superiore ha diritto, per ciò solo, al relativo trattamento stipendiale, indipendentemente dalla legittimità o illegittimità della adibizione.
La sentenza in commento riguarda, appunto, due punti fondamentali della norma. Innanzitutto si occupa dell’interpretazione da dare all’ultimo capoverso della disposizione in parola. Ed infatti, a fronte delle osservazioni sul punto sollevate dalla parte convenuta secondo cui fino al momento della stipulazione dei contratti collettivi non possa farsi questione di diritto a differenze retributive a seguito di svolgimento di attività inquadrabili in mansioni superiori, il G.L. correttamente sostiene che, a seguito della modifica dell’ultimo capoverso dell’art.56 D. Lgs. 29/93 operata dall’art’art.15 del D. Lgs.387/98, che, com’è noto, ha soppresso le parole “ a differenze retributive o”, si è pacificamente riconosciuto la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori anche nei rapporti di pubblico impiego.
La detta interpretazione è in linea con quanto affermato dall’Adunanza Plenaria del consiglio di Stato con le recentissime decisioni n°10 del 28 gennaio 2000 [2] e n. 12 del 23 febbraio 2000 secondo cui con la citata soppressione dell’inciso contenuto nell’ultimo capoverso dell’art.56 D. Lgs 29/93, il legislatore ha manifestato la volontà di rendere di immediata applicazione la disciplina dell’art.56 almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.
L’interpretazione data dal G.L. appare perfettamente in linea con la lettera e lo spirito della norma.
Ed infatti la sospensione degli effetti della disposizione, in attesa della nuova disciplina degli ordinamenti professionali da parte della contrattazione collettiva, riguarda esclusivamente le conseguenze dello svolgimento delle mansioni superiori ai fini dell’inquadramento professionale del lavoratore. A questo fine la contrattazione collettiva assume un ruolo esclusivo per definire, attraverso gli ordinamenti professionali, i nuovi criteri di classificazione del personale, e per introdurre forme legittime di progressione automatica basate sull’effettività della prestazione, alternative a quelle fondate su procedure concorsuali o selettive. Su tali punti la devoluzione normativa operata dalla legge alla contrattazione, implica la operatività differita e condizionata delle disposizioni richiamate al contrario non c’è alcun valido motivo per non considerare di immediata applicazione la parte della norma che consente di ottenere il relativo trattamento economico a seguito dell’espletamento di mansioni superiori..
Riguardo, invece, il merito della controversia il G.L. avalla un orientamento già fatto proprio, per il lavoro privato, dalla giurisprudenza della Cassazione [3] secondo il quale perché maturi la promozione automatica occorre, e l’onere della prova, ovviamente, incombe sul ricorrente, che l’assegnazione delle mansioni superiori sia stata effettiva e piena, nel senso che deve comportare sia il concreto svolgimento di tutti e solo i compiti di contenuto qualitativo più elevato, sia l’assunzione di responsabilità e l’esercizio di quell’autonomia che connotano la qualifica superiore, se cosi è, il carattere semplicemente “vicario” delle mansioni svolte preclude il diritto del sostituto all’applicazione della tutela in tema di mansioni superiori.
Tale principio che era stato, originariamente, recepito dal legislatore della riforma del rapporto di lavoro nell’art.57 co.4 del D. Lgs. 29/93 secondo il quale l’attribuzione di “alcuni soltanto dei compiti propri” delle mansioni superiori, non costituiva “esercizio di mansioni superiori” trova accoglimento nel nuovo comma 3° dell’art.56 che in modo certamente più chiaro rispetto alla originaria formulazione indica quando lo svolgimento di determinati compiti costituisce esercizio di mansioni superiori: la fattispecie si verifica nell’ipotesi in cui il dipendente svolga in modo prevalente “sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, compiti propri di dette mansioni”.
Da ciò discende che il dipendente pubblico, per ottenere le differenze retributive dovute a seguito di svolgimento di mansioni superiori non può limitarsi a generiche allegazioni concernenti le modalità di svolgimento delle proprie attività ma deve procedere ad individuare, all’interno delle attività medesime, un grado di professionalità ed autonomia che le distingua dalla mansioni di categoria inferiore previste nelle declaratorie contrattuali, nè basta operare una comparazione soggettiva con altro o altri lavoratori svolgenti le medesime attività ma è necessario il raffronto delle esemplificazioni trascritte in calce alle declaratorie contrattuali con le mansioni in concreto espletate dal lavoratore.
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[1] Si registrava, infatti, una netta chiusura nei confronti delle conseguenze derivanti dal’espletamento delle mansioni superiori del dipendente da parte della giurisprudenza amministrativa che non esitava anche a svilire il precetto costituzionale contenuto nell’art.36 in materia di proporzionalità della retribuzione, sostenendo non soltanto il valore programmatico e non precettivo della norma, ma anche la sua derogabilità da parte delle norme regolamentari. Tale atteggiamento aveva subito, comunque, una attenuazione a seguito di alcuni interventi della Corte Costituzionale che aveva affermato la diretta applicabilità anche al rapporto di pubblico impiego dell’art.36 Cost. e dell’art.2126 cod. civ. (vedi Corte cost. 23 febbraio 1989 n. 57, in Foro it., 1989, I, c.1741 e Corte Cost., 19 giugno 1990, n296, ivi, 1990,I, c.3016; Corte cost., 27 maggio 1992, n.236, ivi, 1993,I, c.2453; Corte cost., 31 marzo 1995, n.101, in Giur. Cost., 1995, p.827 con nota di PALLADINI , Mansioni superiori del dipendente sanitario e del pubblico impiegato in genere: illegittima adibizione e diritto al trattamento economico corrispondente).
Anche il Consiglio di Stato aveva, con una serie di pronunce adottate in adunanza plenaria, recipito quanto statuito dalla Corte costituzionale ed aveva ritenuto doversi riconoscere il diritto del dipendente alla corresponsione del trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte, affermando che “indipendentemente dall’esistenza di un formale atto di assegnazione, spetta al prestatore di lavoro in via di applicazione diretta dell’art.36 Cost.e dell’art.2126 cod. civ. il trattamento economico corrispondente all’attività concretamente svolta” (Cons. Stato.Ad.plen. n°2/91 in Cons. Stato, 1991, I,p.825.).
[2] Sul punto v. la nota di G. VIRGA La retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti:una vicenda non del tutto conclusa, in http://www.lexitalia.it n. 2/2000.
[3] V. ad es. Cass.8 luglio 1992 n°8330, in Not. giur. lav., 1992, p.637.