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n. 9/2012 - © copyright

GUSTAVO CUMIN
(Magistrato del T.A.R. Sicilia - Catania)

Una prima valutazione del decreto del Ministro della giustizia n. 140 del 20 luglio 2012

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1

Cosa mai pensereste di un bizzarro venditore d’abiti il quale, portando voi la taglia 44, ritenesse calzarvi a pennello un abito di taglia 56, a condizione che voleste avere la cortesia di farvi amputare da quello stesso gli avambracci a colpi d’ascia, onde non rilevi la ridotta estensione delle maniche della giacca?

Il quesito sembrerebbe bizzarro: ma vi assicuro che tale non è, stante il perpetuarsi di un cattivo vezzo nella formulazione di norme le quali, riguardando in termini indifferenziati all’attività giurisdizionale, ed in modo più particolare alle voci di costo ad essa relative, operano una aberrante reductio ad unum rispetto a tipologie di giudizio nell’ambito delle quali, invece, un univoco riferimento al valore della res controversa genera soltanto dubbi, incertezze e risultati applicativi senz’altro discutibili – poiché, ad un primo esame, nettamente sbilanciati in favore dei professionisti legali; ma non è forse un caso che l’attuale Ministro della Giustizia provenga dalle loro fila...?

Poiché è difficile comprendere il presente e le sue criticità ignorando il passato, saremo costretti a fare un passo indietro, sino alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 115/2002, con il quale si è tentato, per la prima volta, di fornire un quadro completo ed esaustivo, con riguardo a ciascun tipo di attività giurisdizionale, delle spese ad essa relative. Tentando una sintesi, per via regolamentare, dell’assai complesso ed articolato quadro normativo prima esistente, si è individuato il cardine del nuovo sistema nel cd. contributo unificato per gli atti giudiziari, all’interno del quale erano destinate a venir riassorbite tutte le voci di spesa diverse quelle relative a taluni oneri tributari (in materia di imposta di Registro, più in particolare), alla remunerazione degli ausiliari del giudice e alla applicazione della disciplina in materia di patrocinio a carico dello Stato.

Nella sua originaria versione, il D.P.R. n. 115/2002 aveva tentato una completa omologazione della disciplina in materia di contributo unificato per gli atti giudiziari nell’ambito del giudizio amministrativo a quelle dettata per i giudizi civili. Nella prassi, tuttavia, era subito balzato agli occhi come il giudizio amministrativo avesse il suo proprium nella esigenza di tutela di beni/interessi non sempre suscettibili di una valutazione in termini puramente economici; con ciò ponendo in crisi un sistema costruito interamente sul criterio del "valore della causa".

Visti i guasti operati da una tanto incongrua parificazione, era il legislatore ad intervenire successivamente sul testo del D.P.R. in considerazione, dettando, con l’art. 21, quarto comma, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, una disciplina completamente autonoma per i giudizi che si svolgano dinnanzi agli organi della giurisdizione amministrativa, mediante l’inserimento di un comma 6-bis all’interno dell’art. 11 del D.P.R. n. 115/2002. Autonomia – quella del giudizio amministrativo dal giudizio civile – che, ancora, non veniva rinnegata neppure in sede di successivi interventi manipolativi, di ordine per lo più finanziario, operati sulla relativa disciplina prima dall’art. 1, comma 1307, della legge 27 dicembre 2oo6, n. 296, e poi dall’art. 37, comma sesto, lett. S), del D.L. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148.

Ma evidentemente non a tutti la storia – e quella del diritto in particolar modo – insegna qualcosa…

2

La liberazione delle attività professionali in materia forense, con l’abolizione del sistema dei minimi e massimi tariffari ad opera dell’art. 9 , comma 2, primo periodo, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si propone ambiziosamente di mettere al centro, nei rapporti fra clienti e professionisti legali, il valore dell’autonomia negoziale. Ciò risulta in modo esemplare dal primo comma dell’art. 1 del decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012, con il quale alla norma legislativa indicata in precedenza è stata data pratica attuazione, laddove si precisa che la disciplina ivi contenuta in materia di liquidazione dei compensi dei professionisti legali si applica soltanto "in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso".

Ora, mi chiedo, come si conciliano i "miracoli" della liberalizzazione con una situazione che una eccellente dottrina ha definito come di "asimmetria del potere contrattuale" (1)? Posto infatti che la asimmetria di potere contrattuale fra "consumatore" e "professionista" si radica, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale (2), ad deficit conoscitivo del primo nei confronti del secondo, come mai potrà il libero giuoco della contrattazione fra privati non avvantaggiare indebitamente il professionista legale – ovvero di un soggetto che della validità/invalidità degli atti negoziali e delle vicende dei relativi rapporti ha fatto il proprio pane quotidiano… – in danno del cliente?

Secondo una prima valutazione, se si ammette che il Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 ha tradotto in atto un vulnus che già in potenza era insito nell’art. 9 del D.L. n. 1/2012 così come successivamente convertito in legge n. 27/2012, si potrebbe fortemente dubitare che, pel suo tramite, si realizzi una situazione di eguaglianza sostanziale fra professionista legale e cliente, in violazione di quanto prescritto dall’art. 3 Cost. Ma poichè, nelle more di un giudizio incidentale di costituzionalità che ciascun organo della giurisdizione amministrativa credo possa fin da ora promuovere, utilizzando la disciplina posta dal D.Lgs. n. 206/2005 quale tertium comparationis per postulare la irragionevolezza della attuale disciplina normativa, così come derogatoria rispetto a quella preesistente dei minimi tariffari ex lege, mi pare sia comunque apprezzabile uno sforzo a prò dei pratici – fra i quali lo stesso scrivente si annovera - per garantire intanto una applicazione quanto meno distorsiva possibile della (cattiva) normativa in vigore.

3

E cominciamo dalla scelta di "costruire" il compenso del professionista legale per distinte fasi di giudizio.

Premessa l’esistenza, a norma del primo comma dell’art. 4 e 11, secondo comma, del Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012, di un sistema cumulativo "generale" pentapartito (ed articolato secondo le seguenti fasi: di studio della controversia; introduttiva del giudizio; istruttoria; di decisione; di esecuzione), nel giudizio amministrativo si pongono, in misura quantomeno problematica, i rapporti tra tale criterio generale di liquidazione ed i suoi seguenti tre peculiari "momenti":

- attività istruttoria (rispetto ad una più ampia configurazione, all’interno del Decreto, della "fase istruttoria";

- tutela cautelare;

- giudizio di ottemperanza.

Prima di passare all’esame di ciascuno dei singoli tre "momenti" del giudizio amministrativo in elenco, occorre tuttavia preliminarmente misurarsi con la difficoltà di tradurre in termini operativi una formula assai poco felice secondo la quale, ove non possano utilizzarsi i criteri di cui al vigente Codice di Procedura Civile (cui rinvia il secondo comma dell’art. 5 del Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012), "per le controversie di valore indeterminato od indeterminabile – che costituiscono, ahimè, la stragrande maggioranza di quelle affidate al G.A., in assenza di una correlata domanda di risarcimento del danno …! – si tiene particolare conto dell’oggetto e della complessità della stessa". Ma qui, secondo un duplice ordine di considerazioni, particolarmente problematico risulta la traduzione in pratiche regole operative di un tale precetto.

In primo luogo, con riguardo all’"oggetto" della controversia, è proprio il carattere dell’interesse affidato alla cura dei pubblici poteri (3) che non consente di circoscriverne la rilevanza soltanto alla sfera dei soggetti asseritamente avvantaggiati o pregiudicati dalla concreta adozione di un determinato atto espressione di poteri di amministrazione attiva, ed in forza del quale tali soggetti andranno ad assumere (quantomeno astrattamente) la posizione processuale, rispettivamente, di controinteressati e di ricorrenti. Proviamo a chiarire il discorso con un esempio. Ove venga impugnato un provvedimento di sospensione cautelare dal servizio adottato nei confronti di una appartenente alle forze armate impiegate a tutela dell’ordine pubblico interno, che precluda a quello stesso soggetto di partecipare ad una procedura selettiva per avanzamento di grado, l’"oggetto" della controversia potrà pure esser considerato minimo latere subiecti, stante la lesione di una mera chance piuttosto che di una posizione giuridica soggettiva già consolidata: e tuttavia l’allarme sociale causato dal cessare dell’effetto interdittivo in conseguenza dell’annullamento del provvedimento impugnato potrà essere massimo nella collettività degli amministrati, specie ove il soggetto in questione ricopra incarichi apicali nell’ambito dell’organizzazione dell’amministrazione di appartenenza. E’ evidente, quindi, la forbice che si apre fra l’interesse generale tutelato (ov’anche malamente…) dalla P.A. e quello, parziale e soggettivo, al ripristino di una legalità che si ritiene violata da parte di quella. Di conseguenza, posto che l’"oggetto" della controversia, nell’ambito del giudizio amministrativo, esonda inesorabilmente dall’alveo della proposta domanda di tutela giurisdizionale, è più che legittimo dubitare circa l’idoneità dello stesso a fornire un criterio inidoneo a parametrare la misura del compenso spettante al professionista legale per le prestazioni fornite in relazione ad essa.

Ma ancora maggiori perplessità desta il ricorso al criterio della "complessità" della controversia. E’ infatti evidente, già dal punto di vista logico, che una "griglia" di valori economici cui parametrare il compenso del professionista legale in assenza di uno specifico accordo sul punto in tanto ha senso, in quanto si voglia garantire una certa uniformità di applicazione estesa a tutto il territorio nazionale. Obiettivo il cui raggiungimento non è tuttavia in alcun modo garantito dalla applicazione del criterio in questione. Si vuole forse tornare ai tempi – in una versione retrospettiva, ahimè davvero tristi… - della diatribe fra "punto milanese" e "punto pisano", o alle incertezze circa la applicabilità del criterio del reddito medio nazionale per la liquidazione del danno biologico (4)? Lo si dica allora chiaramente: la tutela dell’affidamento dei cittadini non vale un bel nulla: non c’è alcuna esigenza di garantire loro una prevedibilità della misura dei compensi da corrispondere ai professionisti legali di cui si siano serviti! Come si misura la "complessità" di una controversia? Avremo un "punto molisano" che attribuisce, ad esempio, 500,00 euro per la "complessità" della controversia ove in numero di due siano i controinteressati, ed un "punto sardo" in cui un medesimo grado di "complessità" della controversia ed un medesimo standard economico di remunerazione per il professionista legale ricorra soltanto ove siano tre o più i soggetti controinteressati da dovere evocare in giudizio? Avremo un "punto pugliese" - e "del nord" - che "pesi" la "complessità" della controversia in ragione di euro 300,00 per ogni soggetto interveniente, ed un "punto pugliese" – ma "del sud"! – che applichi invece una "tariffa" di euro 150,00 per ciascun soggetto interveniente presente in giudizio? E quanto "peserà" il numero dei motivi aggiunti proposti all’interno del medesimo procedimento ai fini della determinazione del compenso del professionista legale, distintamente, a Trieste, a Catania e a L’Aquila?

Lascio ai credenti la possibilità di confidare nell’esistenza in una armonia prestabilita; di certo, da uomo di scienza e non di fede quale sono, vedo soltanto profilarsi all’orizzonte un caos preordinato, in ordine al quale i decisori politici – e l’attuale Ministro della Giustizia in testa a tutti – hanno gravissime responsabilità.

Poiché tuttavia le norme di cui stiamo discutendo, per quanto censurabili, esistono, credo bisogni avere il coraggio di proporre delle più ardite ipotesi interpretative; anche a costo di giungere ad una applicazione delle stesse che, per quanto forse antiletterale, rimane comunque entro i limiti di un loro lecito utilizzo da parte degli organi giudicanti, stante la funzione meramente parametrica e non immediatamente precettiva da esse svolta.

Per affrontare e risolvere adeguatamente la questione credo allora opportuno tentar di ragionare in un’ottica che tenga conto della ratio complessiva sottesa all’intervento realizzato con il D.L. n. 1/2012. Ed a questo riguardo, se scopo delle nuove "liberalizzazioni" è quello di essere di stimolo ad una crescita dell’economia, favorendo il dispiegarsi della concorrenza anche nel settore, e vario titolo protetto, delle professioni liberali, la disciplina regolamentare in materia di compensi dei professionisti legali deve essere valutata come "rimedio" di second’ordine, e quindi "letta" quale strumento di incentivo al ricorso ad "accord(i)" fra professionisti legali e clienti, e per ciò stesso di indiretta sanzione ove tali "accord(i)" manchino nel caso concreto. Memori di ciò, ove manchi una espressa pattuizione fra professionista legale e cliente circa la misura del compenso spettante al primo, io credo che il giudice adito, in funzione latamente sanzionatoria, debba sempre fare applicazione degli importi previsti per lo scaglione di minor valore delle controversie individuate all’interno della tabella A allegata al Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012.

Secondo il medesimo ordine di idee – ed anzi esso uscendo semmai rafforzato propri0 dalle considerazioni a seguire -, temperato dal principio di tutela del legittimo affidamento (5), credo poi debba venir risolta la questione in ordine alla mancata allegazione del preventivo di massima al pertinente fascicolo processuale. Essendo proprio il preventivo di massima lo strumento precipuo per il raggiungimento di un accordo fra il cliente ed il professionista legale circa la misura del compenso spettante al secondo, la sua mancanza quale strumento per una "valutazione negativa" da parte del giudice adito a norma del sesto comma dell’art. 1 del Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 credo debba portare, per le procure rilasciate dopo il 23 agosto 2012 – e solo per esse: a pena, altrimenti, di violare il principio di tutela del legittimo affidamento in danno dei professionisti legali, in relazione ad incarichi assunti prima che quel provvedimento normativo entrasse in vigore – ad applicare sempre la riduzione nella misura del 50% degli importi liquidati per ciascuna delle fasi secondo cui è suddiviso il giudizio in conformità alle previsioni della tabella A allegata ad un tale Decreto.

Procediamo ora nell’analisi secondo l’ordine formulato in precedenza.

3.1

La attività istruttoria, nell’ambito del giudizio amministrativo, mal si attaglia ad una autonoma considerazione quale sua "fase". Infatti, stante il carattere cartolare dell’intero procedimento, nonché la natura documentale delle prove offerte a suffragio del tesi svolte all’interno degli atti processuali di parte, la "fase istruttoria" tende a "dissolversi" in quelle temporalmente preliminari, e tuttavia consustanziali dal punto di vista logico - dello "studio della controversia" e della "introduzione del giudizio". Con riguardo alla prima, la attività di "studio degli atti" consuma quasi per intero la (falsamente autonoma, pertanto) "fase istruttoria" del giudizio, in quanto è al suo interno che si acquisisce, spesso esaustivamente, la documentazione che verrà successivamente utilizzata come prova dei fatti (6) rilevanti ai fini della decisione. Quella "prova" poi, perde di autonomia anche perché riassorbita nella attività di redazione degli atti di parte all’interno della "fase introduttiva del procedimento".

Al fine dunque di evitare una crescita esponenziale nella misura dei compensi esigibili dal professionista legale in assenza di uno specifico accordo, sono propenso a ritenere che, nel giudizio amministrativo, il ragguaglio del compenso ad una "fase istruttoria" possa avvenire solo in presenza di istanze proposte all’interno degli atti processuali di parte e positivamente vagliate dal giudice adito, perché solo in tali casi la investigazione preliminare alla formulata istanza e l’attività processuale da prestare per l’assunzione del mezzo di prova in seguito ad una adottata Ordinanza Collegiale Istruttoria ex art. 65, secondo comma, CPA rappresentano – a posteriori - un "costo", che il professionista legale può legittimamente pretendere di ribaltare sul proprio cliente.

Riportandoci alle valutazioni formulate a conclusione del paragrafo precedente, in assenza della specifica indicazione del valore della controversia, gli importi per la "fase istruttoria" nel giudizio amministrativo andranno liquidati (formula 1) facendo riferimento, piuttosto ad una apposita "fase istruttoria" – che credo possa rilevare autonomamente soltanto all’interno dei giudizi civili -, alla fase di "studio della controversia", e con riferimento allo scaglione di minor valore della tabella A allegata al Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012, e con ribasso pari al 50% dell’importo-base (formula 2) ove risulti la mancata acquisizione al fascicolo processuale del preventivo di massima, per procure alle liti conferite posteriormente al 23 agosto 2012, data di entrata in vigore di un tale Decreto. In formule:

[1] 550,00 + (550,00 : 100) x 20 = 660,00

[2] [[550,00 – (550,00 : 100) x 50] : 100] x 20 = 330,00.

3.2

Con riguardo alla fase cautelare, il provvedimento normativo in commento tradisce un’opzione tutta civilistica per la straordinarietà del ricorso ad essa. Mi vien da chiedere, però, se i suoi compilatori abbiano tenuto presente la differenza sostanziale esistente tra la via dell’autorità e quella del consenso dopo l’adamantina formulazione di cui al primo comma dell’art. 7 CPA, che fa del G.A., senza più ombra di dubbio, il giudice del "potere amministrativo".

Nell’ambito dei rapporti paritari di diritto privato il ricorso allo strumento cautelare è, in certo senso, quasi sempre "improprio". Con l’uso di questo termine si vuol significare la non necessità del ricorso allo strumento cautelare – tranne che nei pochi casi di azioni costitutive necessarie da proporsi dinnanzi al G.O. - per intervenire sull’avvenuta modificazione di un dato assetto di interessi, ed il suo impiego prevalente in ordine alla tutela della garanzia patrimoniale generica rappresentata dal patrimonio del debitore ex art. 2740 C.C.; in altri termini, se definiamo come primarie le norme poste a presidio di determinati assetti di interessi, e secondarie le norme che dettano misure ripristinatorie per la violazione di tali assetti, si vedrà che nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico, stante la unilateralità - nell’esercizio di un potere amministrativo appunto - delle modificazioni dell’altrui sfera giuridica soggettiva, i rimedi di legge – anche e soprattutto in ambito cautelare! - vengono in considerazione sempre con riguardo a norme di tipo primario, a differenza di quanto nell’ambito dei giudizi civili.

Tutto ciò trova un preciso riscontro in diritto positivo, con un intero titolo – il II° - del libro primo del Codice del Processo Amministrativo espressamente dedicato al procedimento cautelare.

Andando allora a tirare le fila del discorso, la inautonomia della fase cautelare all’interno del giudizio amministrativo risultante dal testo dell’art. 11 del Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 pare una scelta assai poco apprezzabile.

Dal punto di vista operativo, in assenza di una più puntuale indicazione, la fase cautelare non potrà superare, proprio in ragione del proprio carattere incidentale, le fasi dello "studio della causa" e degli "atti introduttivi del giudizio", e dunque divenire oggetto di una liquidazione limitata, per somma, ad entrambe tali fasi, secondo il distinguo prospettato al paragrafo precedente e con la consequenziale applicabilità, anche in tale caso, delle formule ivi contenute.

Occorre tuttavia considerare più attentamente i rapporti fra fase cautelare e fase di decisione. Nell’ottica di un criterio cumulativo per fasi, poiché ogni procedimento del G.A. che giunga a definizione presuppone il passare attraverso la fase introduttiva del giudizio, in assenza, come si è detto, di una autonoma rilevanza della fase cautelare entro tale ambito, si avrebbe un inammissibile "appiattimento" nella determinazione della misura del compenso del professionista legale, il quale verrebbe remunerato in modo eguale a prescindere dall’avere operato o meno a beneficio del proprio cliente utilizzando gli strumenti di cui all’art. 53 ss. CPA. Per evitare un tale iniquo risultato bisogna allora ripensare la regola generale come prima formulata, individuando nello svolgersi di una fase cautelare un quid pluris che arricchisce la fase "introduttiva del giudizio". Per rendere in termini economici questa differenza, potrà ricorrersi, in conformità a quanto prevista dalla tabella A allegata al Decreto del Ministro della Giustizia n.. 140 del 20 luglio 2012, alla misura - non integrale ma dimezzata, per la mancanza di un assorbimento totale della fase cautelare in quelle di studio della controversia e di introduzione del giudizio -, dell’incremento massimo della misura del compenso per di tale fase di giudizio. In formula:

[3] (300,00 + 300,00 : 100 x 30) : 100 x 20 = 468,00

Nell’ipotesi di ricorsi presentato dopo il 23/08/2012, in base alle ragioni già individuate potranno aversi le due seguenti formule

[4] (300,00 + 300,00 : 100 x 30) : 100 x 20 = 468,00

[5] [300,00 + 300,00 100 x 30) : 100 x 20] : 100 x 50 = 234,00

In relazione alle due formule indicate in precedenza, sarà quindi possibile passare ad individuare sei diverse formule per la determinazione dei compensi del professionista legale per un procedimento che giunga a definizione in fase di merito, rispettivamente passando o meno attraverso una autonoma fase cautelare, avendo o meno una propria fase istruttoria secondo le più restrittive condizioni fissate al paragrafo 3.1, ed all’ipotesi di esistenza o meno, in allegato al pertinente fascicolo processuale, di un preventivo di massima ad opera del professionista legale.

[6] 550,00 : 100 x 20 + 300,00 : 100 x 20 +700,00 : 100 x 20 = 1. 860,00 (processo di cognizione senza fase istruttoria autonoma e senza fase incidentale cautelare, e senza riduzione da assenza del preventivo di massima)

[7] 550,00 : 100 x 20 + 300,00 : 100 x 20 + [(300,00 + 300,00 : 100 x 30) : 100 x 20] + 700 : 100 x 20 = 2.328,00 (processo di cognizione con fase cautelare e senza fase istruttoria, e senza riduzione da assenza del preventivo di massima)

[8] 550,00 : 100 x 20 + 300 : 100 x 20 + [( 300,00 + 300,00 : 100 x 30) : 100 x 20] + []550,00 + (550,00 : 100) x 20] = 2.938,00 (processo di cognizione con fase cautelare e fase istruttoria, e senza riduzione da assenza del preventivo di massima)

[9] [550,00 : 100 x 20 + 300,00 : 100 x 20 +700,00 : 100 x 20] : 100 x 50 = 930,00 (processo di cognizione senza fase istruttoria autonoma e senza fase incidentale cautelare, e con riduzione da assenza del preventivo di massima)

[10] [550,00 : 100 x 20 + 300,00 : 100 x 20 + [(300,00 + 300,00 : 100 x 30) : 100 x 20] + 700 : 100 x 20] : 100 x50 = 1.164,00 (processo di cognizione con fase cautelare e senza fase istruttoria, e con riduzione da assenza del preventivo di massima)

[11] [550,00 : 100 x 20 + 300 : 100 x 20 + [( 300,00 + 300,00 : 100 x 30) : 100 x 20] + [550,00 + (550,00 : 100) x 20]] ; 100 x 50 = 1.467,00 (processo di cognizione con fase cautelare e fase istruttoria, e con riduzione da assenza del preventivo di massima)

3.3

E veniamo ora al giudizio di ottemperanza.

Com’è noto, sin dai suoi albori, il giudizio amministrativo nell’ordinamento giuridico interno non conosce un analogo dell’azione di esecuzione civilistica. All’obbligo di conformarsi, in via amministrativa, alle decisioni degli organi della giurisdizione amministrativa, in conformità a quanto prescritto un tempo dall’art. 88 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642 (ed oggi, invero con formula meno precipua, dal primo comma dell’art. 112 CPA), l’amministrazione renitente può invece essere costretta in esito ad un peculiare procedimento giurisdizionale: quello di ottemperanza. Sarebbe inutile soltanto voler tentare un approccio per sintesi alla ricchezza delle tesi prospettate dalla dottrina e dalla giurisprudenza intorno alla natura del giudizio di ottemperanza; e tuttavia da una presa di posizione non può prescindersi, ove si voglia intendere se e come, nella liquidazione cumulativa per fasi del compenso del professionista legale a norma del Decreto del Ministero della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012, il giudizio di ottemperanza possa venir ricondotto alla "fase esecutiva".

Esaminando il contenuto del settimo comma dell’art. 11 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012, appare palese la dimensione cognitoria ridotta prescelta per la "fase esecutiva". Tranne che per l’"esame del titolo esecutivo", una tale fase di giudizio si caratterizza per la realizzazione di mere operazioni e/o di atti dal contenuto precettivo assolutamente modesto rispetto alla ricchezza contenutistica del titolo da portare ad esecuzione, in particolare ove esso consti di un adottato provvedimento giurisdizionale.

Con quali conseguenze, in materia di liquidazione di compensi al professionista legale?

A mio giudizio, con esclusione della possibilità di prendere in parimenti considerazione, nella liquidazione cumulativa per fasi di giudizio, tanto la "fase decisoria" quanto la "fase esecutiva", e con possibilità di "addizionare" alle tre fasi invece sempre rilevanti (di "esame della controversia", "introduttiva del giudizio", ed alternativamente, "decisoria" o "esecutiva") quella "istruttoria" al ricorrere delle più restrittive condizioni individuate al paragrafo 3.1.

Com’è noto, la miglior dottrina ha individuato nel giudizio di ottemperanza il paradigma di un procedimento giurisdizionale di "natura mista", e con il prevalere del momento cognitorio su quelle esecutivo o viceversa in ordine al diverso plesso giurisdizionale cui sia riconducibile pronuncia cui si debba prestare ottemperanza (7). Ove si condivida la tesi degli autori indicati all’interno della nota precedente secondo cui, nel giudizio di ottemperanza alle sentenze emesse dal G.O. [ed alle quali andranno assimilati i lodi arbitrali esecutivi e le altre pronunce rese da organi giurisdizionali non appartenenti alla giurisdizione amministrativa, rispettivamente a norma delle lett. e) e d) del secondo comma dell’art. 112 CPA] – ovvero instaurato a norma della lettera c) del comma secondo dell’art. 112 CPA – prevalga il momento cognitorio su quello esecutivo, ed in assenza della specifica considerazione di una apposita "fase istruttoria" secondo i più restrittivi criteri da noi proposti, la formula della liquidazione del compenso del professionista legale secondo il criterio cumulativo per fasi sarà la seguente: "fase di studio della controversi" + "fase introduttiva del giudizio" + "fase decisoria". Sempre in conformità alla medesima tesi, prevalendo nel giudizio di ottemperanza alle sentenze rese dal G.A. – ovvero nell’ipotesi disciplinata dalle lettere a) e b) del comma secondo dell’art. 112 CPA - il momento esecutivo, ed in assenza della specifica considerazione di una apposita "fase istruttoria" secondo i più restrittivi criteri da noi proposti, la formula della liquidazione del compenso del professionista legale secondo il criterio cumulativo per fasi sarà la seguente: "fase di studio della controversi" + "fase introduttiva del giudizio" + "fase esecutiva". Fermo restando che, in particolari e verosimilmente non frequentissime ipotesi (che per ciò stesso trascureremo in questa sede quanto a formule di parametrazione economica…), stante il carattere soltanto "prevalente" della fase cognitoria su esecutiva, o viceversa, non si debba operare la somma di entrambe gli importi relativi a ciascuna di tali fasi ai fini di una "giusta" parametrazione del compenso del professionista legale.

Di conseguenza, tenuto ulteriormente conto, per i mandati defensionali conferiti dopo il 23 agosto 2012, della presenza o meno all’interno del pertinente fascicolo processuale del preventivo di massima di cui al sesto comma dell’art. 1 del Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012, e semplificando con considerazione esclusiva della ipotesi relativa all’esecuzione mobiliare all’interno della "fase esecutiva", sarà possibile individuare i seguenti quattro casi, e le seguenti formule per ciascuno di essi:

[12] ottemperanza a sentenze del G.A. con preventivo di massima:

550. 00 + 300,00 + 400,00 + (550,00 + 300,00 + 400,00) : 100 X 20 = 1.500,00

[13] ottemperanza a sentenze del G.A. senza preventivo di massima:

[(550,00 + 300,00 + 400,00) : 100 x 50] +[(550,00 + 300,00 + 400,00) : 100 x 50] : 100 X 20 = 750,00

[14] ottemperanza a sentenze del G.O. con preventivo di massima:

550. 00 + 300,00 + 700,00 + (550,00 + 300,00 + 700,00) : 100 x 20 = 1.860,00

[15] ottemperanza a sentenze del G.O. senza preventivo di massima:

[(550,00 + 300,00 + 700,00) : 100 x 50] +[(550,00 + 300,00 + 700,00) : 100 x 50] : 100 X 20 = 930,00

In presenza di una autonoma fase istruttoria – individuata secondo i più restrittivi criteri di cui al paragrafo 3.1 - che si addizioni alla precedente, e distinguendo in base alla presenza o meno di un preventivo di massima in allegato al pertinente fascicolo processuale, si perverrà a quattro differenziate ipotesi di tariffazione secondo le formule appresso indicate:

[12] ottemperanza a sentenze del G.A. con preventivo di massima:

550. 00 + 300,00 + 400,00 + 660,00 + (550,00 + 300,00 + 400,00) : 100 X 20 = 2.160,00

[13] ottemperanza a sentenze del G.A. senza preventivo di massima:

[(550,00 + 300,00 + 400,00) : 100 x 50] + 330,00 + [(550,00 + 300,00 + 400,00) : 100 x 50] : 100 X 20 = 1.080,00

[14] ottemperanza a sentenze del G.O. con preventivo di massima:

550. 00 + 300,00 + 660,00 + 700,00 + (550,00 + 300,00 + 700,00) : 100 x 20 = 2.520,00

[15] ottemperanza a sentenze del G.O. senza preventivo di massima:

[(550,00 + 300,00 + 700,00) : 100 x 50] + 330,00 + [(550,00 + 300,00 + 700,00) : 100 x 50] : 100 X 20 = 1.200,00

 

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NOTE

1) "Se è così, il dato unificante dei contratti le cui discipline definiscono il nuovo paradigma contrattuale non può identificarsi, riduttivamente, in una rigida caratterizzazione socio-economica delle parti contraenti, bensì va cercati in un elemento più generale. E’ l’elemento che una volta si sarebbe definito come "debolezza" di una parte rispetto all’altra, e che in un linguaggio più moderno può oggi denominarsi come asimmetria di potere contrattuale. C’è asimmetria di potere contrattuale fra consumatori e professionisti, ma non solo: anche relazioni non riconducibili ad una tale coppia – come quelle fra subfornitori e committenti, fra agenti e preponenti, fra banche e clienti, fra intermediari finanziari a investitori, fra conduttori e locatori –contrappongono una parte dotata di superiore potere contrattuale a una parte con potere contrattuale inferiore. E in ragione di tale asimmetria – ovunque si manifesti – il legislatore introduce, a protezione della parte che la patisce, quelle regole che si sono indicate come costitutive del nuovo paradigma contrattuale": V. Roppo, "Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppo di un nuovo paradigma contrattuale", in "Rivista di diritto privato", anno 2001, fasc. 4, paragrafo 17.

2) Come risulta, in particolare, dal seguente passo della nota sentenza 22 novembre 2002, n. 469, della Corte Costituzionale: "La preferenza nell'accordare particolare protezione a coloro che agiscono in modo occasionale, saltuario e non professionale si dimostra non irragionevole allorché si consideri che la finalità della norma è proprio quella di tutelare i soggetti che secondo l'id quod plerumque accidit sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare; onde la logica conseguenza dell'esclusione dalla disciplina in esame di categorie di soggetti - quali quelle dei professionisti, dei piccoli imprenditori, degli artigiani - che proprio per l'attività abitualmente svolta hanno cognizioni idonee per contrattare su un piano di parità".

3) "Anche nel giudizio dinnanzi al giudice amministrativo non può farsi questione della presenza di interessi soltanto privati Al contrario, affinchè si radichi la giurisdizione di quello occorre sempre che l’atto contestato sia stato posto in essere nell’esercizio di un munus pubblicistico… Pur senza voler rabbassare gli interessi privati vantati dalla parte ricorrente al rango di "interessi occasionalmente protetti" (6), ovvero di meri fatti di legittimazione per l’esercizio di una funzione di controllo svolta secondo canoni processuali (7), occorre comunque tener presente come, per il tipo stesso di giurisdizione intestata al giudice amministrativo, specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, la tutela investa l’in se del munus pubblicistico esercitato, e per ciò stesso gli interessi della intera collettività umana di riferimento la cui cura è commessa al soggetto pubblico (o privato, ma ad esso equiparato) che abbia concretamente agito – ovvero quelli del "popolo", cui substanzialiter appartiene la sovranità, anche se non il suo esercizio, a mente di quanto previsto dal c. 2° dell’art. 1 della Costituzione.": G. Cumin,, "L’applicabilità dell’art. 115 c.p.c. nuovo testo al processo contabile", in Rivista della Corte dei Conti, anno 2010, n. 4, pp. 211-212.

4) Dopo lo "sdoganamento" del danno biologico ad opera della sentenza n, 184 del 1986 della Corte Costituzionale, è noto quanto travagliato sia stato il passaggio dal suo astratto riconoscimento alla individuazione di convergenti parametri per la individuazione del valore economico della prestazione da erogare al soggetto danneggiato. Ad una stagione di infinite certezze si è posto termine soltanto con la adozione del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, il cui articolo 13 ha fornito la base giuridica per la adozione, inizialmente ad opera del D.M. del 12 luglio 2000, di una tabella - da potersi infine applicare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale! – per la valutazione degli importi da corrispondersi a titolo di risarcimento del danno biologico.

5) Sarebbe infatti davvero curioso che lo Stato-legislatore si arrogasse il diritto di cambiare impunemente le regole del giuoco in corso d’opera – in violazione del legittimo affidamento maturato nei professionisti legali per incarichi dagli stessi assunti anteriormente all’entrata in vigore del Decreto del Ministro della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 - mentre quella stessa condotta, nei rapporti fra consumatori e professionisti, ov’anche legittimata da preesistenti clausole contrattuali, viene stigmatizzato da una presunzione di loro vessatorietà a norma della lettera m) del secondo comma dell’art. 33 del D.Lgs. n. 205/2006…

6) Quantomeno a far data dall’entrata in vigore della legge n. 241/1990, il "dialogo" procedimentale precedente all’adozione dell’atto autoritativo da parte della P.A. – viepiù dopo l’introduzione dell’istituto del preavviso di rigetto nel corpo di quella stessa legge, ad opera della legge n. 15/2005 -, anche in considerazione della possibilità di accesso agli atti dello stesso garantita dal suo art. 10, lett. a), consente al soggetto di poi ricorrente di venire in possesso della documentazione anteriormente all’inizio del procedimento contenzioso, e quindi di poter tramutare la stessa in offerta di prova all’interno del proprio libello. In proposito non si può che rinviare a quanto espresso da un autorevole studioso del processo amministrativo quale V. Caianiello, che in un articolo dal titolo "Rapporti tra procedimento amministrativo e processo", apparso sul fasc. 2 dell’anno 1992 della rivista "Diritto Processuale Amministrativo", a pag. 265-266, lo concludeva con le seguenti considerazioni: "Il rapporto tra processo amministrativo di legittimità e procedimento amministrativo è invece di interdipendenza, perché il giudice amministrativo, chiamato a sindacare un atto amministrativo per soddisfare l’interesse sostanziale del ricorrente, deve ripercorrere l’iter seguito dall’amministrazione nel procedimento verificandone i risultati se esso risulti difettoso o comunque non idoneo a consentire il sacrificio dell’interesse particolare del privato. E, reciprocamente, l’amministrazione che debba ripercorrere la fase procedimentale dopo l’annullamento di quella precedente da parte del giudice amministrativo è condizionata dalle risultanze del processo che ha condotto a quell’annullamento".

7) Il teorizzare in questione annovera fra i suoi massimi esponenti M. Nigro, che ha ampiamente svolto il tema nella sua opera "Giustizia amministrativa". Ma più di recente, muovendosi lungo la stessa lunghezza d’onda anche R. Garofoli e G. Ferrari, in "Manuale di Diritto Amministrativo", Nel Diritto Editore, Roma, anno 2009, dalla cui p. 1808 si riporta il seguente brano: "La natura mista del giudizio di ottemperanza si atteggerebbe poi diversamente a seconda che sia richiesta la esecuzione di una sentenza del G.O. ovvero quella del G.A. Nel primo caso, infatti, il giudizio sarebbe necessariamente cognitorio ed eventualmente di esecuzione. In siffatta ipotesi, la funzione essenziale del G.A. è quella di verificare ed assicurare l’eliminazione o la modificazione, ad opera della P.A., dell’atto amministrativo, la cui illegittimità è stata dichiarata incidenter tantum dal G.O., carattere eventuale ricoprendo la fase esecutiva ovvero l’adeguamento della situazione di fatto al giudicato… Diversamente, il giudizio di ottemperanza alle sentenze del G.A. è "necessariamente di esecuzione ed eventualmente di cognizione", la funzione essenziale del giudice essendo quella di dare attuazione alla pronuncia giurisdizionale amministrativa; eventuale, in questo caso, la valutazione della effettiva conformità dell’attività amministrativa al vincolo nascente dal giudicato. Ciò, in ragione del fatto che l’oggetto del provvedimento giurisdizionale è, generalmente, meglio definito rispetto a quello della sentenza civile".


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