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SALVATORE
CIMINI
(Collaboratore
alla cattedra di Contabilità di Stato
dell'Università di Teramo)
La
concertazione amministrativa:
note sugli accordi di programma (*)
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Sommario:
1. Premessa. - 2. Gli accordi di programma nella disciplina positiva statale. -
3. Segue: in particolare gli accordi
di programma ex art. 27, legge n. 142
del 1990. - 4. Natura giuridica degli accordi di programma. - 5. Procedimento di
formazione degli accordi di programma nella legislazione regionale. - 6.
Peculiarità del modello regionale: la partecipazione dei soggetti privati. - 7.
Considerazioni di sintesi.
1. Premessa
La locuzione “amministrazione consensuale e concertata” è una formula meramente descrittiva e non anche, per così dire, tecnica: è un’espressione d’insieme la quale - come ogni definizione che voglia compendiare il complesso dei modelli di amministrazione pattizia, negoziale e consensuale - non soddisfa sotto il profilo euristico e scientifico [1]. In termini molto generali, essa si riferisce a quell’attività della p.a. che non si attua mediante l’esercizio di poteri unilaterali. In un’attività, cioè, caratterizzata da comportamenti non giuridicamente doverosi ed in cui le parti sono libere di compiere o meno determinate azioni [2].
Invero,
l’attività amministrativa consensuale e concertata ha trovato delle iniziali
difficoltà ad affermarsi: fino alla prima metà del ’900, difatti, ha
prevalso una cultura giuspubblicistica che, in totale recepimento delle tesi
della dottrina tedesca di fine ’800 era, con il rifiuto del contratto “ad
oggetto pubblico”, nettamente orientata in senso anticontrattualistico. Il
Nigro affermava che se c’è una cosa per sua propria natura negoziabile è
l’esercizio del potere [3],
ma alla dottrina di inizio secolo ripugnava l’idea di poter mettere sullo
stesso piano i pubblici poteri e il privato [4].
Vi era, inoltre, una visione gerarchica e centralistica dell’Amministrazione
che condizionava anche la configurabilità di accordi tra soggetti pubblici.
Ma,
i profondi mutamenti dell’assetto sociale e istituzionale e, segnatamente, il
prevalere del principio pluralistico nell’Amministrazione, hanno determinato
negli ultimi decenni una decisa e repentina inversione di tendenza dei cennati
presupposti unilateralisti [5].
Inversione di rotta che si riscontra, peraltro, anche nell’ordinamento tedesco
ed in quello francese [6].
E’ compito oltremisura difficoltoso ed arduo ricondurre ad unità i variegati modelli e le diverse fattispecie di quello che viene definito il nuovo contrattualismo amministrativo. Sotto il profilo soggettivo, bisogna innanzitutto tenere distinti due precisi e differenziati modelli convenzionali: gli accordi stipulati tra pubblica amministrazione e privato, dagli accordi formalizzati tra soggetti pubblici[7]. Nel primo caso, la diffusione dei diversi modelli dell’amministrazione concertata ha comportato una progressiva recessione del principio di autorità della p.a. che denota un crescente convincimento del legislatore che il buon andamento dell’azione amministrativa possa essere meglio raggiunto con più flessibili strumenti consensuali piuttosto che con sovrabbondanti moduli autoritativi[8].
Per quanto attiene gli accordi fra amministrazioni pubbliche, solo sul piano funzionale può essere trovato un tratto comune ai vari tipi di intese: ci si riferisce alla generalizzata funzione di limitare gli effetti negativi intrinseci ad un eccessivo frazionamento delle competenze.
Fra le fattispecie di intesa e di accordi fra amministrazioni pubbliche è necessario operare una ulteriore summa divisio fra intese a carattere “endoprocedimentale” e quelle a natura “endoprovvedimentale” [9].
Nelle
intese o accordi c.d. “endoprocedimentali” l’assetto negoziale degli
interessi esaurisce la propria funzionalità nell’ambito del procedimento e
non ha effetti ultrattivi in ordine ai successivi rapporti tra le parti
contraenti [10].
In questo tipo di intese, cioé, si rimane sempre sic et simpliciter nel campo dei procedimenti amministrativi, sia
pure speciali ed originali, in quanto è sempre possibile individuare
un’amministrazione procedente a cui compete l’emanazione del provvedimento
finale e che si trova in una posizione di supremazia rispetto agli altri enti
con cui si deve cercare l’accordo [11].
Nelle intese a carattere “endoprovvedimentale”, invece, i rapporti fra i diversi enti pubblici sono, sia dal punto di vista formale, sia dal punto di vista sostanziale, paritari, posti su di un piano di equiordinazione. Queste intese esplicano i loro effetti organizzatori e programmatori anche al di fuori della sfera puramente procedimentale. Le amministrazioni hanno la facoltà, e non l’obbligo, di elaborare e concludere un’intesa anche al di fuori di un procedimento amministrativo tipizzato e disciplinato dal legislatore. In altri termini, le norme attribuiscono alle amministrazioni un potere, una facoltà di concludere intese, ovviamente finalizzate allo svolgimento di attività o di servizi di interesse pubblico e rientranti nei fini istituzionali dei soggetti partecipanti, lasciando le modalità del suo esercizio sostanzialmente libere [12].
Nell’ambito
dei moduli di intesa e di convenzione che vengono conclusi tra due o più
soggetti pubblici, gli accordi di programma ricoprono un posto di indiscutibile
rilievo ed originalità [13].
Questi strumenti di intesa - come si vedrà meglio in seguito - pur essendo
caratterizzati da una maggiore rigidità, pur avendo una
marcata tipizzazione legislativa rispetto agli altri moduli convenzionali
e, dunque, un diverso rapporto fra norme di attribuzione del potere e norme
relative alle modalità di esercizio del potere medesimo, rientrano, emergendo
per la loro peculiarità, nell’ambito dei moduli di intesa e di accordo a
struttura “endoprovvedimentale” [14].
Siffatta figura di intesa, è un importante strumento per la realizzazione del raccordo, del coordinamento delle volizioni e delle attività tra pubbliche amministrazioni operanti in settori contigui, potenzialmente in grado di evitare interferenze, duplicazioni e permettendo il raggiungimento di risultati più efficacemente conseguibili viribus unitis.
Sono
numerose le leggi che disciplinano tali accordi, dall’art. 7 della legge 1
marzo 1986, n. 64 (relativa alla disciplina organica dell’intervento
straordinario nel Mezzogiorno) [15],
all’art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 che presenta una valenza
tendenzialmente generale e paradigmatica [16].
Anche
se dal punto di vista della “significatività giuridica” non si ha
un’unica figura di accordo di programma [17],
la moltiplicazione di tali modelli dell’amministrazione consensuale e
concertata risponde, sostanzialmente, a due ragioni: da un lato vi è la
necessità di coordinare un sistema amministrativo altamente frammentato sotto
il profilo delle competenze riconducendolo, con opportuni strumenti
convenzionali, ad unitarietà. Dall’altro lato, si vuole soddisfare
l’esigenza di dotare la p.a. di strumenti e mezzi in grado di assicurare una
sempre maggiore elasticità e flessibilità dell’azione amministrativa [18].
Tale
scopo di coordinamento dell’azione dei diversi soggetti pubblici, sia esso
rivolto ad una programmazione settoriale, sia esso rivolto alla definizione ed
attuazione “di opere, di interventi o di programmi di intervento” (art. 27,
l. n. 142/90) risponde sempre all’esigenza di coinvolgere preventivamente gli
enti interessati alla realizzazione della medesima funzione con l’obiettivo
precipuo di semplificare, razionalizzare e rendere più efficiente l’attività
amministrativa [19].
Dagli
accordi di programma bisogna distinguere le intese di programma ed i contratti
di programma. Con la prima figura si ha una mera e generica intesa a collaborare
tra le diverse amministrazioni pubbliche competenti, senza che ciò implichi
l’assunzione di impegni reciproci vincolanti. Sono accordi di carattere
politico, dichiarazione di intenti,
manifestazioni di una volontà collaborativa basati su di un piano di
correttezza e di affidamento reciproco e non su di un piano strettamente
giuridico. Il loro rispetto è subordinato al permanere dei vantaggi che
derivano dalla collaborazione e dal coordinamento delle rispettive attività [20].
I
contratti di programma sono, invece, vincolanti per le parti contraenti ma,
generalmente ed a differenza degli accordi di programma, si tratta di strumenti
attuativi di un provvedimento di pianificazione preesistente. Inoltre, sono
conclusi fra amministrazione e soggetti privati mentre gli accordi di programma
coinvolgono, almeno in linea di massima, soltanto soggetti pubblici [21].
I contratti di programma possono, dunque, essere ricondotti al modello generale
degli accordi procedimentali di cui all’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n.
241, sul procedimento amministrativo [22].
Si tratta di contratti di diritto comune, a prestazioni corrispettive, usati
dall’amministrazione con la consapevolezza che nella società economica
risulta essere più efficace uno strumento consensuale piuttosto che
un’imposizione posta dalla p.a. con un atto unilaterale ed autoritativo.
2. Gli accordi di programma nella disciplina positiva statale
Sono
numerose le leggi di settore le quali, pur con terminologie incerte, hanno
disciplinato gli accordi di programma e che, in questa sede, possono essere solo
schematicamente citate[23].
Esse denotano un marcato favor legis,
una sorta di “infatuazione ideologica” del legislatore nei confronti di
queste peculiari tipi di intese [24].
Si
consideri, indicativamente, l’art. 81, commi 2 e 3, del d.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616 [25]
in materia di intese tra Stato e regione rilevante ai fini urbanistici, in cui
l’accordo ha effetti “a contenuto autorizzatorio” in ordine
all’esecuzione dell’opera [26]; la figura dell’accordo
di programma statuita dall’art. 25 della legge 17 maggio 1985, n. 210
(istitutiva dell’ente Ferrovie dello Stato) [27]
relativamente ai progetti di opere ferroviarie previste nel piano generale dei
trasporti; l’art. 7 della legge n. 64/86 cit. in materia di interventi
straordinari nel Mezzogiorno, che disciplina un primo modello di accordo di
programma avente valore paradigmatico, realizzando, così, una attenuazione
della specialità di regime dei moduli convenzionali de quibus [28];
l’accordo disciplinato dall’art.1, n. 5, della legge 5 maggio 1989, n. 160
contenente disposizioni urgenti in materia di trasporti e di concessioni
marittime; l’art. 13, della legge 9 maggio 1989, n. 168 (legge istitutiva del
Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica) che
attribuisce al Ministro il potere di definire, d’intesa con altre
amministrazioni statali, con le università e gli enti interessati, iniziative
di ricerca di comune interesse e di promuoverne la coordinata attuazione
mediante la conclusione di specifici accordi di programma[29];
l’accordo statuito dall’art. 4, della legge 28 agosto 1989, n. 305 (recante
disposizioni sulla programmazione triennale per la tutela dell’ambiente) ove
viene riconosciuto un ruolo di preminenza al Ministro dell’ambiente per la
attività di promozione e di vigilanza sulla esecuzione di accordi ritenuti
necessari per l’attuazione coordinata ed integrata del programma triennale.
Ed
ancora, la legge 11 febbraio 1994, n. 109, disciplina quadro in materia di
lavori pubblici che prevede la possibilità di dar luogo ad accordi di programma
(legge novellata dalla l. 2 giugno 1995, n. 216 ed ancora dall’art. 59, l. 28
dicembre 1995, n. 549)[30];
le ipotesi disciplinate all’art. 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662, ove si definiscono, fra l’altro, gli “accordi di programma quadro”[31];
e così via.
Pur
se operazione non scevra da difficoltà, si possono in qualche modo individuare,
nelle varie tipologie di accordi introdotti dalle citate discipline di settore,
degli elementi comuni, quali la natura programmatoria dell’accordo, la
preminenza dell’amministrazione di governo del settore cui afferisce
l’accordo, un autocoordinamento di durata che impegna anche l’azione futura
delle parti contraenti[32].
Già con le leggi n. 168/89 cit. e n. 305/89 cit. si è cominciato ad attuare il passaggio da un uso dell’istituto caratterizzato da peculiari profili di emergenzialità e derogatorietà, ad un uso di questa figura negoziale relativo a funzioni più “ordinarie” dello Stato [33]. Ma, è solo a far tempo dell’entrata in vigore dell’art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che si è delineato nel nostro ordinamento un modello di accordo di programma avente valenza generale, di sicuro valore paradigmatico ed in cui sono confluiti gli elementi caratterizzanti le precedenti fattispecie disciplinate dalla normativa di settore. Si è così istituzionalizzato come normale, un modello di amministrazione consensuale applicabile in quelle situazioni complesse ove la competenza fa capo a più soggetti pubblici. Nella legislazione statale precedente, invece, l’accordo di programma era generalmente concepito come una “misura speciale di risoluzione di situazioni urgenti ed emergenziali ovvero come strumento di definizione di pianificazioni di settore” [34].
Invero, però, se nei confronti della disciplina positiva di settore precedente la previsione della legge n. 142 del 1990 si caratterizza come un genus, non così può dirsi se raffrontata con il modello generale di accordo fra amministrazioni pubbliche introdotto dall’art. 15 della legge n. 241 del 1990, nei cui confronti, invece, si caratterizza come un’originale figura speciale.
L’art.
15 della legge n. 241/90, com’è noto, prevede un generale potere in capo a
tutte le amministrazioni pubbliche di concludere tra loro accordi per
disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
E’ questa una disposizione generale che disciplina una categoria polivalente
di patti, di intese e di accordi a contenuto sostanzialmente libero e
descrittivamente definibili come “endoprovvedimentali”, in cui i rapporti
fra i diversi enti pubblici sono, sia dal punto di vista formale, sia dal punto
di vista sostanziale, posti su di un piano di equiordinazione[35].
Queste intese ex art. 15, legge
procedimentale, possono rivolgersi a disciplinare una qualsivoglia attività di
interesse comune, a differenza degli accordi di programma che sono invece
finalizzati ad una programmazione settoriale o rivolti alla definizione ed
attuazione di opere, di interventi o programmi di intervento.
Inoltre, la disciplina degli accordi di programma è caratterizzata da un maggior grado di dettaglio in ordine alla procedura relativa alla loro conclusione, ai conseguenti effetti e al regime dei controlli. Le intese tra amministrazioni pubbliche sono, invece, disciplinate in maniera molto più generica dall’ampia formula iuris dell’art. 15, legge n. 241 del 1990. Vi è, in altre parole, una sostanziale atipicità delle intese previste dalla legge procedimentale, cui si contrappone una marcata tipizzazione positiva degli accordi di programma, ovvero un più “sofisticato” rapporto fra norme di attribuzione del potere (norme di relazione) e norme attinenti alle modalità di esercizio del potere medesimo. Tutto ciò, non può che far ritenere il modello generale di accordo di programma prefigurato dall’art. 27 della legge n. 142 del 1990, in un rapporto di species a genus rispetto agli accordi fra pubbliche amministrazioni disciplinati dalla legge procedimentale [36].
L’art. 15 della legge proc., statuisce, poi, al secondo comma, che per gli accordi fra amministrazioni pubbliche, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dai commi 2, 3 e 5 del precedente art. 11. Ovvero, la forma scritta ad substantiam, l’applicazione dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, i controlli previsti per gli accordi sostituivi di provvedimenti e la devoluzione delle controversie in materia di accordi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Non è richiamato il comma 4, dell’art. 11, l. n. 241/90 [37], che stabilisce il potere per l’amministrazione di recedere unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse. Ciò, probabilmente, perché non essendo l’accordo stipulato fra amministrazione e privato, ma tra due o più soggetti pubblici, non si può individuare una prevalenza dell’interesse che giustificherebbe il diritto di recesso unilaterale.
Per
quanto riguarda gli aspetti strutturali degli accordi di programma -
segnatamente nella normativa fondamentale di riferimento della legge sulle
autonomie locali, ma, tuttavia, anche nelle altre discipline di settore - si
possono individuare tre distinte fasi sul terreno dell’ordinazione
procedimentale. In primo luogo la fase della formazione e della conclusione
dell’accordo; in secondo luogo la fase relativa alle forme di esternazione
dell’accordo; infine, il momento attinente all’attuazione e all’esecuzione
dell’accordo[38].
3. Segue: in particolare gli accordi di programma ex art. 27, legge n. 142 del 1990.
Limitando in questa sede l’analisi agli aspetti strutturali della fattispecie paradigmatica e generale di accordo di programma delineato dall’art. 27, della l. n. 142/90, e volendo fare una ricognizione meramente descrittiva delle fasi, dei momenti e delle operazioni che portano alla conclusione dell’accordo, bisogna in primo luogo sottolineare come esso si riferisce a tutte quelle ipotesi di “definizione ed attuazione di opere, di interventi o programmi di intervento” che richiedono, per la loro completa attuazione, l’azione integrata di due o più soggetti pubblici (comuni, province, regioni, amministrazioni statali e altri soggetti pubblici). La formula usata dal legislatore per individuare l’oggetto dell’accordo di programma (opere, interventi o programmi di intervento) non brilla certo per chiarezza: è indubbiamente molto generica ed ampia prestandosi a diverse interpretazioni, ma non sembra introdurre alcuna limitazione di materia [39]. Il contenuto dell’accordo, ricomprende ogni adempimento connesso alla realizzazione delle opere, degli interventi e dei programmi di intervento che sono l’obiettivo dell’intesa, in particolare in relazione ai tempi, alle modalità e al finanziamento.
La legge non attribuisce ad alcun soggetto un ruolo di preminenza generalizzato, l’iniziativa è affidata, di volta in volta, al capo dell’ente territoriale (presidente della regione, presidente della provincia o sindaco) che possa essere considerato competente in via “primaria” o “prevalente” in ordine alla realizzazione dell’opera o dell’intervento. Si è così pervenuti ad una esclusione del potere di iniziativa e del ruolo di preminenza che prima spettava all’amministrazione di governo del settore cui afferiva l’accordo, e ciò anche quando si tratti di realizzazione di opere di competenza statale. Tuttavia, tale ruolo di preminenza e di autonomia degli enti locali è attenuato quando il programma di intervento comporta il concorso tra due o più regioni finitime: difatti, il comma 7 del citato art. 27, prevede, in tale ipotesi, che la conclusione dell’accordo sia promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri [40].
In
nessun caso possono essere promotori del procedimento volto al perfezionamento
di un accordo di programma, i privati. Essi vi potranno partecipare
informalmente, in via di fatto ed in modo persino rilevante, ma senza poter
determinare un qualche vincolo in senso tecnico-giuridico, sul piano formale,
nei confronti delle amministrazioni pubbliche interessate all’accordo [41].
Sotto questo profilo, l’accordo di programma si delinea come uno strumento
“fortemente direzionale” [42], nel senso che le
clausole in esso contenute si impongono in maniera unilaterale ed autoritativa
ai terzi, ai privati interessati dai progetti, dalle opere o dagli interventi
previsti e disciplinati dall’accordo [43].
Per
la realizzazione dell’intesa, la legge sulle autonomie locali prevede (art.
27, comma 3), una previa verifica della sua fattibilità attraverso la
convocazione di una conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni
interessate. La conferenza funge da struttura di riferimento del procedimento,
divenendo la sede di valutazione e di ponderazione dei vari interessi coinvolti,
in cui si definiscono le azioni ed il ruolo dei diversi soggetti[44].
Questa
conferenza di fattibilità rappresenta un importante momento prodromico
all’accordo, in cui spesso si registrano intese sostanziali nella
determinazione del contenuto di un futuro accordo di programma. Tuttavia, dato
il suo ruolo preliminare e preparatorio, il frutto della conferenza di servizi
non può che essere limitato all’an,
cioè ad una mera verifica della volontà di concludere un accordo di
programma. Non può vincolare le amministrazioni relativamente al quomodo,
ovvero alla concreta definizione delle clausole e del contenuto dell’accordo.
Si tratta, per così dire, di un “segmento endoprocedimentale” che
sostituisce - almeno per quanto previsto in questo modello generale e più
evoluto di accordo di programma disciplinato dall’art. 27, l. n. 142/90 - la
tradizionale fase preparatoria di un procedimento amministrativo[45].
In
questa fase, può richiedersi l’intervento chiarificatore o collaborativo non
solo di soggetti pubblici ma anche di soggetti privati, al fine di contribuire
ad una più consapevole formazione del consenso, anche se tale intervento non può
acquisire rilevanza formale ai fini del suo perfezionamento[46].
La partecipazione dei privati, pur se necessaria dal punto di vista sostanziale,
non è prevista in modo esplicito ed è negata dalla giurisprudenza. Nulla
quaestio, invece, in un coinvolgimento dei privati nella fase
dell’attuazione con la conseguenza che l’accordo di programma può
affievolire i loro diritti soggettivi (derivanti dalla proprietà delle aree o
da concessioni edilizie), poiché si presenta come espressione di poteri
pubblicistici delle amministrazioni nei loro confronti [47].
Questa è l’opinione della giurisprudenza, ma - sia qui rilevato solo
incidentalmente - la tesi che l’espressione di pubblici poteri nei confronti
degli amministrati sia inconciliabile con la possibilità di esistenza in capo a
quest’ultimi di diritti soggettivi è, come evidenziato da autorevole
dottrina, “priva di basi testuali, smentita dallo svolgimento della
legislazione e debole dogmaticamente”[48]. Con riferimento
all’accordo, i soggetti privati estranei hanno un mero interesse legittimo al
suo mantenimento e, pertanto, spetta alla giurisdizione amministrativa decidere
l’eventuale ricorso.
I
privati, dunque, almeno nella legislazione statale, non possono partecipare ed
essere parti contraenti dell’accordo di programma, anche se questo introduce
modificazioni in senso positivo o in senso negativo della loro sfera giuridica,
salvo che in casi eccezionali e tassativi disciplinati da norme specifiche [49].
La loro tutela è rimessa ad un momento successivo. Vi sono, però, delle
importanti aperture della legislazione regionale su cui ci si soffermerà nel
prosieguo del lavoro.
Il
comma 4, dell’art. 27, come novellato dall’art. 17, comma 9, della legge 15
maggio 1997, n. 127, (c.d. Bassanini bis)
afferma che l’accordo consiste nel “consenso unanime” del presidente della
regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre
amministrazioni interessate che ovviamente hanno partecipato alla procedura. A
differenza della vecchia disposizione, ove si parlava di consenso unanime delle
amministrazioni interessate, il legislatore sembra voler ora attribuire tale
potere ai titolari degli organi esecutivi (presidente della regione, della
provincia, sindaci) a prescindere dalla volontà degli organi collegiali
ordinariamente competenti. E’ difficile dire se tale interpretazione possa
ricevere il conforto della prassi, ma è fuor di dubbio che si tratta di una
novità di non poco conto.
Sempre
ai sensi del comma 4, art. 27 della legge n. 142/90, quando l’accordo viene
adottato con decreto del presidente della regione, esso produce gli effetti
dell’intesa prevista dall’art. 81 del d.P.R. n. 616/1977, determinando, in
particolare, variazioni agli strumenti urbanistici e sostituzioni alle
concessioni edilizie, laddove il comune abbia espresso il proprio assenso. In
questo caso, il successivo comma 5, precisa che l’adesione del sindaco
richiede espressa ratifica da parte del consiglio (che deve intervenire entro
trenta giorni a pena di decadenza) a cui è riservata ope legis l’adozione dei piani territoriali ed urbanistici. La
giurisprudenza ritiene, però, che nell’eventualità in cui spetti al sindaco
promuovere la procedura dell’accordo comportante la variazione del p.r.g.
vigente, non è necessario una ratifica del consiglio comunale, poiché il
sindaco in tale ipotesi può procedere solo sulla base di indirizzi specifici
dell’organo collegiale [50].
L’accordo
di programma deve essere adottato con un atto formale di approvazione (art. 27,
comma 4) che è di solito rimesso al soggetto promotore ed a cui fa seguito la
necessaria pubblicazione nel Bollettino
Ufficiale della Regione. E’ opinione diffusa che tale atto abbia il valore
di “novazione della fonte” ed estenda ai terzi l’efficacia dell’accordo,
già vincolante per coloro che lo hanno sottoscritto, determinandone la
giuridica effettività e la conseguente operatività. L’esistenza di un
provvedimento formale sottoposto a forme di pubblicità costitutiva è da
ritenersi una conseguenza necessaria della circostanza che al procedimento di
formazione non sono chiamati i soggetti privati, a cui l’accordo, in difetto
di un atto formale, non sarebbe altrimenti opponibile. Non sembra tuttavia
possibile ipotizzare che con tale provvedimento finale si possa andare ad
alterare il contenuto dell’intesa: questo provvedimento ha solo una funzione
di giuridicizzare l’accordo di programma, ma non ha una valenza di tipo
innovativo [51].
Il
comma 5-bis, dell’art. 27, l. n.
142/90, recentemente introdotto dall’art. 17, comma 8, della legge n. 127/97,
cit., prevede che l’approvazione dell’accordo comporta la dichiarazione di
pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere, la quale, però,
cessa di avere efficacia se le stesse non hanno avuto inizio entro tre anni.
Per
quanto concerne gli effetti giuridici, è certo che non si è in presenza di
impegni di carattere meramente politico (come le intese di programma) ma, per
effetto dell’accordo, vengono in essere posizioni di obbligo reciproco, di
impegni che devono essere assolti anche quando si concretano nello svolgimento
di funzioni amministrative che comportano l’emanazione di provvedimenti.
Questo è dimostrato dal fatto che il comma 2, dell’art. 27, l. n. 142/90,
prevede la possibilità di interventi surrogatori nelle ipotesi di eventuali
inadempienze dei soggetti partecipanti.
Inoltre,
sempre nella fase di esecuzione dell’accordo, il comma 6, dell’art. 27, l.
n. 142/90, prevede compiti di vigilanza ed eventualmente di sostituzione in caso di inerzia, demandati ad uno
specifico collegio presieduto dall’organo promotore e composto dai
rappresentanti degli enti locali e - se all’accordo partecipano
amministrazioni statali o enti pubblici nazionali - dal commissario di governo e
dal prefetto. Questo meccanismo contribuisce a rendere l’accordo un’intesa
sufficientemente seria, con un’effettiva possibilità di superare l’inerzia
di amministrazioni inadempienti. Si potrebbe ipotizzare, comunque, un
rafforzamento del ruolo svolto dal collegio di vigilanza per l’esecuzione e la
gestione dell’accordo, dotandolo - così come generalmente previsto dal
legislatore regionale (v. infra n. 5)
- di un potere di sospensione dei finanziamenti in caso di inadempimento[52].
In
dottrina, è stata sottolineata la circostanza che l’eventuale inadempienza
nell’esercitare le proprie attribuzioni amministrative secondo contenuti,
tempi e modalità prefissati, può far sorgere un diritto al risarcimento dei
danni subiti in capo alle amministrazioni partecipanti. Diritto che troverebbe
la sua legittimazione per l’affidamento fatto sul comportamento a cui
l’amministrazione inadempiente si era impegnata e che - non essendo
ipotizzabile una quantificazione economica del mancato raggiungimento di un
obiettivo di pubblico interesse - si limiterebbe ai soli oneri sopportati[53].
In
una prospettiva di sintesi, può dirsi che l’art. 27, della legge n. 142 del
1990, statuisce un modello paradigmatico di accordo di programma che consta di
un procedimento amministrativo fortemente “contrattualizzato”, preordinato
secondo scadenze e scansioni di tipo “negoziale”. Esso trova l’avvio in
una conferenza di servizi di cui non è normativamente prevista una qualche
ordinazione, e si conclude con un formale provvedimento amministrativo
costitutivo di effetti giuridici che attribuisce a tale originale modulo
dell’amministrazione consensuale e concertata un carattere “normativo”,
pur se la sua procedura di formazione negoziale non può essere ritenuta di tipo
autoritativo. Difatti, anche se nel quadro dei vincoli e dei limiti indicati
dalla norma di relazione di attribuzione del potere, l’accordo rappresenta
l’atto-fonte a cui si ricollegano gli obblighi e le obbligazioni che gravano
sui soggetti che hanno partecipato al procedimento[54].
Con
l’art. 27 della legge n. 142/90, gli accordi di programma sono divenuti moduli
di coordinamento non più utilizzabili esclusivamente in riferimento a
specifiche situazioni emergenziali, ma figure di intese tendenzialmente ordinari
per la realizzazione di iniziative di particolare complessità, in grado di
coinvolgere amministrazioni collocate su distinti livelli di governo “in una
vicenda di tendenzialmente paritaria autodefinizione delle linee di svolgimento
della futura azione integrata”[55].
Dalla procedura di formazione della figura negoziale de qua sono formalmente esclusi i privati, sia per il carattere
normativo dell’accordo, sia perché non appare plausibile l’applicabilità
delle forme di partecipazione procedimentale previste dagli artt. 7 e ss. della
legge n. 241 del 1990 a questo peculiare ed originale procedimento
amministrativo[56].
4. Natura giuridica degli accordi di programma.
Problema
centrale degli accordi di programma è quello relativo alla loro natura
giuridica: è questo un nodo gordiano non ancora completamente risolto in
dottrina e sul quale sembra opportuno fare alcune, sia pur brevi,
considerazioni.
Già
il Giannini, nel 1950, riferendosi più genericamente agli accordi tra enti
pubblici, si chiedeva se essi “vadano assimilati ai provvedimenti
amministrativi, costituiscano categoria a sé o vadano assimilati ai contratti
privati” [57]. A queste possibilità è stata aggiunta una
ulteriore eventuale riconduzione ai c.d. contratti di diritto pubblico dalla
dottrina più recente che ammette l’esistenza
di questo tertium genus in
grado di affiancare il contratto di diritto comune e il provvedimento.
Il
supremo organo di giustizia amministrativa, ritiene che gli accordi di programma
possono, dal punto di vista funzionale, essere ricondotti agli “accordi
organizzativi” in quanto ciascuna amministrazione limita “la propria
discrezionalità in vista di ottenere che la sua competenza si sviluppi in
armonia con quelle parallele”[58].
Questa definizione giurisprudenziale, però, non riesce a mettere in luce tutti
i profili dell’istituto per una sua esaustiva qualificazione giuridica.
Anzitutto,
sembra opportuna una prima osservazione: non si può ritenere di far confluire
l’accordo di programma nell’ambito dei c.d. “atti complessi”, i quali,
com’é noto, sono definiti in dottrina come quegli atti che constano di più
volontà, tendenti ad un fine comune, che si fondono in modo da formarne una
sola [59].
Negli accordi di programma, invece, la comunanza dello scopo perseguito dalle
parti lascia inalterata la situazione dei soggetti coinvolti tutti depositari di
un interesse pubblico distinto che trova, attraverso la paritetica interazione
effettuata nell’intesa, una propria collocazione in funzione dell’obiettivo
comune da realizzare [60].
In altre parole, non si è in presenza di un insieme di atti unilaterali, ma di
più volontà, ciascuna portatrice di un interesse pubblico distinto, che
convergono su un atto giuridico plurilaterale, l’accordo [61].
Ma, non si può neanche spiegare la natura giuridica di questa figura negoziale, ricorrendo alla, per dirla con il Nigro, “infatuazione contrattualistica” [62], ovvero alla categoria del contratto di diritto comune o a quella del c.d. contratto di diritto pubblico [63].
Numerose
sono le questioni sorte in dottrina, sia sotto il profilo soggettivo che
oggettivo, relative all’ammissibilità di questa figura, non solo per quanto
riguarda gli accordi stipulati tra amministrazione e privati, ma anche
relativamente agli accordi posti in essere tra amministrazioni pubbliche.
In
primo luogo, la distinzione e la contrapposizione, concettuale e giuridica,
delle due entità dell’autonomia negoziale e della discrezionalità
amministrattiva [64].
Ma,
anche l’evidente stridore con un’eventuale vincolo contrattuale del
principio fondamentale che regola l’attività della p.a., ovvero quello del
costante e precipuo perseguimento dell’interesse pubblico; così come pure la
circostanza che l’attività e i beni di diritto pubblico non possono
costituire oggetto di un contratto di diritto comune [65].
Inoltre,
si pensi ai casi in cui sono disciplinati dei procedimenti “succedanei”
previsti per le ipotesi in cui l’accordo di programma non venga concluso e
volti a conseguirne comunque gli effetti[66].
In tal caso, qualora non si acceda alla proposta del promotore, si è ugualmente
obbligati ad eseguire sostanzialmente la prestazione che avrebbe dovuto essere
oggetto dell’accordo, così che sembra difficile rinvenire nell’intesa i due
elementi tipici dei contratti di diritto comune, ovvero la parità e la
consensualità [67].
Ed ancora, anche a voler prescindere dalla questione relativa alla patrimonialità della prestazione, ovvero alla circostanza che l’art. 1321 c.c. dispone che il contenuto patrimoniale è elemento essenziale che deve caratterizzare il rapporto oggetto del contratto [68] - mentre, invece, l’accordo di programma coinvolge profili diversi da quelli patrimoniali, ossia l’esercizio di funzioni pubbliche per le quali non ricorre il carattere della patrimonialità e che viene qualificato come bene sottratto alla comune circolazione giuridica - rimane un altro punto nodale che deve essere sottolineato, cioè la natura di strumento procedimentale che inerisce agli accordi di programma.
Essi,
difatti, pur presentando una fisionomia marcatamente “contrattuale” e pur
avendo ad oggetto profili essenzialmente negoziali, hanno sempre un procedimento
preordinato e finalizzato alla loro costituzione. Procedimenti amministrativi
speciali e fortemente tipizzati ai quali si applicano regole e principi
particolari statuiti dalla disciplina positiva di settore diversi da quelli
fissati in via generale dalla legge n. 241 del 1990 [69].
Permane, comunque, una coincidenza degli elementi che caratterizzano il
procedimento de quo, con quelli del
procedimento tipico preordinato all’emanazione di un provvedimento
amministrativo. Anche in questo procedimento è necessario prendere in
considerazione tutti gli interessi pubblici di cui sono depositari gli enti
coinvolti, assorbendoli e ridefinendoli in funzione dell’obiettivo comune da
realizzare. Questo confronto negoziale trova il suo momento di svolgimento nella
conferenza di servizi in quanto fase procedimentale introduttiva dell’accordo.
E’ in questa fase che deve essere effettuato il coordinamento delle attività
amministrative necessarie per la realizzazione del programma, attraverso la
giusta collocazione, entro l’economia del piano, di tutti gli interessi
pubblici e privati interessati convocando, se necessario, anche più conferenze
prima di arrivare alla decisione finale di aderire o meno all’accordo di
programma, nonché di precisare i contenuti dell’atto finale [70].
Ed ancora, l’accordo di programma, a differenza dei contratti di diritto comune, è caratterizzato da un’accentuata formalizzazione e procedimentalizzazione delle trattative. L’art. 27, legge n. 142/90, difatti, disciplina in maniera dettagliata e marcata il procedimento finalizzato alla conclusione degli accordi in parola relativamente ai tempi, alle modalità, e così via. Fissa, inoltre, una serie di meccanismi obbligatori e necessari quali la previa convocazione di una conferenza di servizi, l’atto formale di approvazione, la ratifica del consiglio, forme e strumenti del controllo, ecc. Tutti elementi che denotano una stridente contraddizione con i principi tipici di natura contrattuale.
Un’ulteriore
importante elemento allontana la figura de
qua dai contratti, ovvero la circostanza che il punto di approdo della
peculiare procedura di formazione dell’accordo, risulta essere un atto
amministrativo di approvazione (posto in essere dall’ente che ha la competenza
primaria o prevalente) che dà esecutività e giuridicità all’intesa
raggiunta.
Dunque,
il carattere di atto amministrativo rivestito dal provvedimento finale di
approvazione che condiziona la conseguente attività amministrativa dei soggetti
che sono stati parti dell’intesa, e l’iter
di formazione e costituzione dell’accordo riconducibili all’idealtipo del
procedimento amministrativo (pur se speciale e fortemente tipizzato) hanno
indotto la più autorevole dottrina a
considerare gli accordi di programma come fattispecie procedimentale
“sicuramente e incontestabilmente di matrice pubblicistica” [71].
Questi accordi, al pari delle intese di cui all’art. 8 del d.P.R. n. 616/1977 e di quelle ex art. 15 della l. n. 241/90 e, comunque, di tutte quelle intese a carattere “endoprovvedimentale”, si profilano come “accordi organizzativi a carattere normativo”, come fonti normative subprimarie con valenza regolamentare aventi ad oggetto la disciplina delle modalità di esercizio di un potere pubblico. Pur collocandosi in una relazione di species a genus rispetto alla più generale figura di accordo disciplinata dall’art. 15, l. n. 241/90, malgrado, cioé, la loro marcata rigidità e tipizzazione positiva rispetto agli altri moduli di intesa a carattere “endoprovvedimentale”, può essere ugualmente ipotizzata una loro inserzione nel sistema delle fonti subprimarie del diritto [72]. Questa natura di atti amministrativi generali a contenuto normativo riconducibili alla categoria del regolamento, spiega anche perché i privati non sono generalmente ammessi a partecipare alla procedura finalizzata alla loro elaborazione.
Pertanto, questi accordi organizzativi sembrano riconducibili all’area del diritto pubblico e, dunque, alle regole e ai principi propri degli atti di diritto pubblico. La loro natura è indissolubilmente connessa con quella dei procedimenti che sono preordinati e finalizzati alla loro costituzione[73].
La
caratterizzazione “contrattuale” e “negoziale” della procedura
preordinata alla formazione e costituzione degli accordi di programma, non
sembra essere un ostacolo per la riconduzione di questa figura all’idealtipo
del procedimento amministrativo. La “contrattualizzazione” della procedura
si risolve, infatti, in una mera adozione di metodo, in un valido ed efficace
strumento di perseguimento di una programmazione per la definizione ed
attuazione di “opere, di interventi o di programmi di intervento” che
richiedono, per la loro realizzazione, l’azione integrata di amministrazioni
pubbliche diverse [74].
5. Procedimento di formazione degli accordi di programma nella legislazione regionale
Al pari della disciplina positiva statale, anche le leggi regionali in materia di accordi di programma sono numerose [75]. La loro più importante peculiarità, risulta essere sicuramente l’originale previsione della partecipazione di soggetti privati alla formazione dell’accordo (v. infra n. 6).
Volendo
fare una panoramica della normativa regionale - molto schematica e senza nessuna
pretesa di completezza - bisogna da subito sottolineare come il legislatore
locale abbia provveduto a disciplinare solo alcune delle fasi della procedura di
formazione dell’accordo, in particolare la fase dell’iniziativa e quella
dell’approvazione, lasciando all’autonomia delle parti la scelta delle
modalità del consenso [76].
Il
potere di iniziativa risulta essere spesso formalmente affidato all’autorità
regionale nella persona dell’Assessore competente per materia o del Presidente
della Regione[77]. In altri casi, invece,
l’attività propulsiva è affidata agli enti minori, come ad esempio è
previsto all’art. 8, comma 5, della l.r. Friuli-Venezia Giulia, n. 10 del 1988
(così come sostituito dall’art. 4, l.r. Friuli-Venezia Giulia del 9 febbraio
1998, n.1), in cui il ruolo di predisporre gli accordi di programma spetta alle
Comunità montane limitatamente agli interventi di loro competenza. Il
successivo art. 10, statuisce poi un potere di proposta delle provincie
interessate nella realizzazione di interventi che ineriscono solo ad una parte
del territorio. L’art. 8 bis della
l.r. Abruzzo 12 aprile 1983, n. 18 (articolo aggiunto dall’art. 6 della l.r.
Abruzzo del 27 aprile 1995, n. 70), dispone che l’iniziativa spetta al Sindaco
o al Presidente della Provincia, solo qualora l’attuazione di opere, di
interventi e programmi di intervento non siano di prevalente interesse
regionale, nel qual caso l’iniziativa torna all’organo superiore [78].
Ed
ancora, recentemente, l’art. 27 della l.r. Valle d’Aosta n. 11 del 1998
statuisce che l’iniziativa che prospetta il ricorso all’accordo di programma
può essere assunta da qualsiasi soggetto pubblico o privato permanendo, però,
la competenza del Presidente della
Giunta regionale o del Sindaco per l’effettiva promozione dell’accordo.
Molte
leggi regionali omettono una formale regolamentazione della fase centrale
attinente alle modalità di acquisizione del consenso rendendo questo
procedimento, rispetto all’accordo di programma disciplinato dalla normativa
statale di riforma sulle autonomie locali, più libero [79].
Vi è, quindi, nella legislazione regionale, una attenuazione della marcata
“tipicità” che caratterizza il modello di accordo di programma più
generale e paradigmatico delineato dall’art. 27 della legge n. 142 del 1990.
In
alcune disposizioni regionali, è prevista la sottoscrizione per adesione
all’ipotesi di accordo elaborata dal soggetto regionale [80].
In tal caso, è la Regione a provvedere in via unilaterale ad elaborare la
proposta di accordo da sottoporre agli altri soggetti contraenti i quali possono
solo accettarla o rifiutarla. Questo comporta una deroga al principio di
equiordinazione fra le parti negoziali, poiché i soggetti diversi dal promotore
non hanno possibilità di incidere sul contenuto della proposta [81].
Altre
leggi regionali omettono ogni riferimento alle modalità di conclusione
dell’accordo[82]. In questa ipotesi,
sembra potersi ammettere un’adesione all’intesa da parte degli altri
soggetti contraenti, condizionata all’introduzione di modifiche al testo
proposto dal soggetto promotore e, dunque, consequenzialmente, una maggiore
eguaglianza contrattuale tra le parti che intervengono alla procedura
finalizzata all’elaborazione dell’accordo[83].
Ma,
il pieno concorso paritario tra i soggetti contraenti l’accordo di programma,
si raggiunge solo quando è prevista l’istituzione di una conferenza che
assicuri la contestuale valutazione di tutti gli interessi coinvolti nella
futura attività amministrativa [84].
E’ questo il caso della l.r. Abruzzo n. 18/1983 (così come modificata dalla
l.r. n. 70/1995) che, all’art 8 bis,
comma 5, prevede la convocazione di una conferenza di servizi per verificare la
possibilità di conclusione dell’accordo, e, in caso di esito positivo, la
possibilità di formare un “Comitato dei rappresentanti delle
amministrazioni” [85].
A questo Comitato possono aderire, non solo i rappresentanti di tutte le
amministrazioni che partecipano alla conferenza di servizi, ma anche gli
eventuali soggetti privati interessati che devono essere dal presidente invitati
a partecipare. E’ questa, senza dubbio, la novità di maggior rilievo rispetto
alla disciplina generale statuita dall’art. 27 della legge n. 142 del 1990 a
cui chiaramente questa normativa regionale si ispira. Inoltre, è espressamente
previsto che al Comitato possono aderire, senza interrompere il corso del
procedimento, anche altri soggetti pubblici interessati.
Per
quanto attiene al contenuto dell’accordo di programma, questo generalmente si
riferisce alla definizione e realizzazione di interventi o programmi di
intervento che per la loro attuazione richiedono l’esercizio congiunto di
competenze regionali e di altre amministrazioni pubbliche, anche statali, e,
eventualmente, di soggetti privati. Esso è teso ad assicurare il coordinamento
delle azioni, determinando tempi, modalità e finanziamento degli interventi,
nonché i destinatari e le forme della gestione [86].
Come
nella disciplina statale, pure nel modello regionale è previsto un atto formale
di approvazione dell’accordo di competenza del Presidente della giunta
regionale (o, per delega, l’assessore competente per materia) a cui fa seguito
la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale
della Regione [87]. Si ha, dunque, anche in
questa ipotesi l’effetto di “novazione della fonte”, nel senso che
l’atto formale di approvazione rende l’accordo già vincolante per le parti
contraenti, efficace anche per i terzi determinandone così la giuridica
effettività e la conseguente operatività.
Sono,
altresì, previsti dei meccanismi sanzionatori nell’ipotesi di inadempienze
degli obblighi derivanti dall’intesa. Pertanto, anche l’accordo di programma
disciplinato dal legislatore regionale, non comporta tra le parti contraenti
l’adozione di impegni meramente politici, ma fa nascere obblighi reciproci
vincolanti giuridicamente i soggetti pubblici che lo hanno sottoscritto, a cui
fa riscontro l’esistenza di una responsabilità contrattuale in capo
all’ente inadempiente [88]. Segnatamente, sono
disciplinate azioni surrogatorie attuate anche attraverso la nomina di un
Commissario ad acta, ed è inoltre
generalmente stabilita la sospensione dei finanziamenti[89].
Spesso, le leggi regionali non prevedono espressamente le azioni surrogatorie o
sanzionatorie ma rinviano all’accordo, statuendo che siano le parti contraenti
stesse, in sede negoziale, a stabilire e prevedere le azioni sanzionatorie e
surrogatorie indispensabili in caso di eventuali inadempienze dei soggetti
partecipanti[90].
Tranne
alcuni casi, non è individuato il soggetto pubblico titolare del potere di
vigilanza sull’accordo [91].
Nel silenzio della legge, questo potere sembra spettare all’ente regionale,
considerata anche la posizione di supremazia che ricopre nell’ambito di questo
modulo convenzionale [92].
La
disciplina regionale fa riferimento alle inadempienze senza specificare, però,
se queste sono da riferirsi ai soggetti pubblici o anche ai soggetti privati
intervenuti nella formazione dell’accordo [93].
Sotto questo profilo, bisogna anzitutto distinguere all’interno della
procedura i soggetti coinvolti a seconda che assumano la qualifica di
“parti”, “interessati” o “destinatari” dell’accordo [94].
Sembra pacifico ritenere che la qualifica di “parti” dell’accordo possa
essere riconosciuta esclusivamente ai soggetti pubblici, pertanto solo una loro
eventuale inosservanza dell’accordo può dar luogo a procedimenti surrogatori.
Il privato, difatti, nell’ipotesi di inerzia di un ente territoriale, non può
sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio di una funzione pubblica[95].
Da
questa sommaria panoramica della disciplina positiva regionale, un elemento
sembra emergere con evidenza, ovvero la non significativa portata innovativa
della legge n. 142 del 1990 rispetto alla legislazione regionale precedente.
Sotto alcuni profili, difatti, emerge un rilevante grado di conformità delle
due discipline, in particolare per quanto concerne la sfera di regolamentazione
dell’accordo. Invero, pur se con delle importanti accentuazioni del ruolo
delle autonomie locali, ed importanti omissioni (si pensi alla mancanza di ogni
riferimento ad una possibile partecipazione dei soggetti privati), la disciplina
statale pare sostanzialmente attingere agli schemi delineati dalla legislazione
regionale previgente, costituendo “la sintesi di un “processo capovolto”
di produzione della normativa di principio per il quale è il legislatore
centrale a recepire le innovazioni che, rispetto alla disciplina già vigente,
vengono introdotte a livello locale” [96].
E, a sua volta, la normativa regionale successiva si limita sostanzialmente a
riprodurre le soluzioni della legge statale.
6. Peculiarità del modello regionale: la partecipazione dei soggetti privati
Si
è già messo in evidenza che nella legislazione statale non è generalmente
ammessa la partecipazione contestuale di soggetti pubblici e privati
all’accordo di programma. Ciò si inferisce, fra l’altro, anche dalla
circostanza che l’art. 15 della l. n. 241/90 statuisce che per gli accordi tra
amministrazioni pubbliche si osservano le disposizioni previste dai commi 2, 3 e
5 del precedente articolo 11, concernente norme in materia di accordi
sostitutivi di provvedimenti fra amministrazioni e privati. Non è richiamato il
comma 4, che prevede il recesso
unilaterale dell’amministrazione dall’accordo per sopravvenuti motivi di
pubblico interesse. Dunque, gli interessi presi in considerazione dagli accordi
fra pubbliche amministrazioni, secondo il legislatore statale, non possono
essere interessi privati, ma solo interessi pubblici e questo potrebbe
giustificare la generale prohibitio di
recesso dall’accordo. Difatti, se si prendono in considerazione solo gli
interessi pubblici, una norma sul recesso non ha alcun senso [97].
Questa
preclusione, si spiega con la natura pubblicistica di accordi organizzativi
delle intese “endoprovvedimentali” in questione.
La
peculiarità di maggior rilievo prevista dal legislatore regionale, consiste,
invece, nella previsione di partecipazione dei soggetti privati alla fase
negoziale di formazione dell’accordo di programma e, più in generale, in
un’attenuazione di alcune di quelle “rigidità” che possono potenzialmente
pregiudicare l’efficienza della figura de
qua
[98].
Si pensi, ad esempio, alla autonomia lasciata alle parti nella scelta delle
modalità di acquisizione del consenso.
Per
quanto concerne segnatamente la partecipazione di privati ad un accordo, si
possono citare, indicativamente, l’art. 13 della l.r. Veneto n. 40 del 1990,
il quale statuisce che il presidente della giunta regionale può promuovere la
conclusione di un accordo di programma per “l’attuazione organica e
coordinata di piani e progetti che richiedono, per la loro realizzazione,
l’esercizio congiunto di competenze regionali e di altre amministrazioni
pubbliche, anche statali, e, eventualmente, di soggetti privati”. La l.r.
della Lombardia n. 55/1986 per cui l’accordo risulta finalizzato alla
“attuazione di piani e progetti di intervento che richiedono l’iniziativa
integrata e coordinata delle Regioni, degli enti locali, di altre
amministrazioni e soggetti anche privati”. Ed ancora, più recentemente,
l’art 8 bis della l.r. Abruzzo n.
18/83 (articolo aggiunto dalla l.r. n. 70 del 1995) che prevede la possibilità
di formare un Comitato di cui fanno parte non solo le amministrazioni che hanno
partecipato alla previa conferenza di servizi,
ma anche gli eventuali soggetti privati interessati. Ma, soprattutto,
l’art. 28 della l.r. Sardegna n. 45/1989 il quale dispone che i “soggetti,
singoli o associati, della pianificazione urbanistico-territoriale previsti
dall’art.2 della presente legge, possono stipulare con soggetti pubblici e
privati accordi di programma finalizzati alla realizzazione di un complesso di
opere nei settori industriale, artigianale, agricolo, turistico, commerciale,
residenziale e dei servizi”.
Recentemente,
la l.r. Liguria n. 36 del 1997, all’art. 58, comma 2, si spinge a prevedere
che l’accordo di programma può riguardare anche opere o interventi di
iniziativa privata purché siano individuati e definiti nei piani territoriali
di livello regionale, provinciale e comunale e non costituiscano oggetto
principale dell’accordo. Mentre, l’art. 27, della l.r. Valle d’Aosta n. 11
del 1998, statuisce che l’iniziativa che prospetta il ricorso all’accordo di
programma può essere assunta da qualsiasi soggetto pubblico o privato
permanendo, però, al Presidente della Giunta regionale o al Sindaco, la
competenza all’effettiva promozione dell’accordo [99].
L’art.
3 della l.r. Toscana n. 76 del 1996, invece, dispone che qualora l’accordo di
programma preveda opere, interventi o programmi di intervento per la cui
realizzazione sia necessario anche l’intervento di soggetti privati,
l’accordo stesso ne dà atto e può prevedere la contestuale o successiva
sottoscrizione di accordi, ai sensi dell’art. 11, l. n. 241/90, tra le
amministrazioni pubbliche competenti ed i soggetti privati interessati [100].
A
questo punto, una precisazione sembra opportuna. Quando si parla di “soggetti
privati”, non può essere revocato in dubbio che ci si riferisca anche al
comune cittadino, titolare di una situazione giuridica soggettiva. Ma, è
altrettanto certo che, sia sul piano sociologico, sia sul piano strettamente
giuridico, il privato portato prepotentemente alla ribalta e di cui si discute,
è prevalentemente un soggetto istituzionale: l’impresa privata.
Amministrazione e impesa, sono gli attori fondamentali della società
contemporanea, pertanto, è, in primo luogo e soprattutto, l’imprenditore, il
soggetto privato nei cui confronti sono dirette le misure di partecipazione
previste dalla legislazione regionale [101].
Ciò
puntualizzato, l’allargamento della base soggettiva che si riscontra nella
disciplina positiva regionale, dà piena attuazione al principio di efficienza
dell’azione amministrativa. Investendo nella fase negoziale di formazione
degli accordi di programma oltre agli interessi pubblici anche quelli privati,
si attua un’economia di mezzi nella realizzazione degli obiettivi programmati,
attraverso una composizione in forma convenzionale di tutti gli interessi
coinvolti nei processi attuativi dell’azione amministrativa [102].
Vi
è una maggiore consapevolezza del legislatore regionale, a differenza di quello
statale, dell’importante ruolo rivestito dai privati e “dell’omogeneità
degli accordi tra amministrazioni e degli accordi tra amministrazioni e
privati” [103].
Nella legislazione regionale, l’accordo di programma ha un carattere
maggiormente sincretico in cui convergono interessi privati e pubblici che sono
fra loro in posizione differenziata [104].
Questo
non vuol significare, però, che il legislatore regionale (prevedendo la
partecipazione di soggetti privati nella fase di formazione degli accordi in
questione) abbia voluto adombrare la natura eminentemente pubblicistica di fonti
normative subprimarie degli accordi in parola. I privati legittimati
all’intervento non assumono la qualifica di “parti” del procedimento
organizzatorio riservata, invece, esclusivamente, ai soggetti pubblici.
7. Considerazioni di sintesi
Ciò
che sembra emergere con evidente chiarezza, a prima vista, da questa sommaria
ricognizione di campo sugli accordi di programma è una eccessiva legificazione,
tanto statale quanto regionale, che si pone in linea con il ben noto fenomeno di
altissima normazione caratterizzante il nostro ordinamento. Questo atteggiamento
già criticabile tout court, è ancor
più ingiustificato quando concerne gli accordi, in quanto tale attività ha fra
i suoi elementi peculiari proprio la volontarietà e la consensualità. Invece,
nonostante l’art. 15 della legge n.
241/90 stabilisca in termini molto generali la possibilità per le
amministrazioni pubbliche di concludere accordi per disciplinare lo svolgimento
in collaborazione di attività di interesse comune, prevale sempre la norma
specifica. Norme specifiche che autorizzando l’amministrazione in quel caso
preciso all’utilizzo dello strumento consensuale, ne limitano proprio il suo
elemento fondamentale, ovvero la volontarietà [105].
Si
segnala, poi, un chiaro orientamento del legislatore verso un sistema di
esercizio concertato del potere tanto nelle relazioni fra soggetti del potere
amministrativo e privati, quanto nei rapporti intersoggettivi fra le
amministrazioni nei diversi livelli di governo (Stato - Regioni - Enti locali) [106].
Segnatamente, per quanto riguarda gli accordi tra pubbliche amministrazioni, gli
scopi di questo favor legis verso
un’amministrazione consensuale e concertata sono, sostanzialmente, due: da un
lato, la necessità di coordinare e ricondurre ad unitarietà un sistema
amministrativo altamente frammentato sotto il profilo delle competenze;
dall’altro lato, la volontà di dotare la pubblica amministrazione di
strumenti convenzionali in grado di assicurare una sempre maggiore flessibilità
dell’azione amministrativa al fine di semplificare
situazioni complesse con un’attività sempre più concertata e negoziale. E’
per questo, e non a caso, che l’art. 15, l. n. 241 del 1990, norma generale
che stabilisce il potere di concludere accordi tra le amministrazioni, è
inserito nel capo IV della legge, relativo alla semplificazione dell’azione
amministrativa, a differenza dell’art. 11, l. n. 241/90, relativo agli accordi
stipulati fra privati e pubblica amministrazione che è stato
significativamente, e giustamente, collocato nel capo III, relativo alla
partecipazione al procedimento amministrativo.
Si
è visto come, solo a far data dall’entrata in vigore dell’art. 27, della
legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali, l’accordo di programma si è
delineato come un modulo convenzionale di coordinamento tendenzialmente
ordinario, avente valenza generale e di sicuro valore paradigmatico. La citata
legge n. 142/90, contiene una disciplina dettagliata in ordine alla procedura
relativa alla conclusione di accordi di programma, ai conseguenti effetti e al
regime dei controlli e, dunque, una marcata tipizzazione positiva degli accordi de
quibus. L’art. 15 della legge n. 241/90, invece, disciplina una categoria
polivalente di accordi fra amministrazioni pubbliche a contenuto sostanzialmente
libero, sì da far ritenere che gli accordi di programma disciplinati dalla
legge sulle autonomie locali si collocano come species
di un genus rispetto agli accordi fra
pubbliche amministrazioni regolamentati dalla legge procedimentale [107].
Rispetto
alle intese ex art. 15, della l. n.
241/90, gli accordi di programma si caratterizzano per un più sofisticato
rapporto fra norme di attribuzione del potere e norme attinenti alle modalità
di esercizio del potere medesimo. Ma, nonostante questa loro marcata rigidità e
tipizzazione positiva, tali accordi previsti dalla legge sulle autonomie locali,
rientrano nella più ampia categoria dei moduli di intesa a carattere
“endoprovvedimentale” profilandosi come accordi organizzativi a carattere
normativo, come fonti normative subprimarie con valenza regolamentare [108].
L’accentuata
formalizzazione di questi accordi organizzativi, tradizionale connotato di
un’attività di diritto pubblico, evidenzia la loro natura eminentemente
pubblicistica, indissolubilmente connessa con quella dei procedimenti che sono
preordinati e finalizzati alla loro costituzione.
Elemento
peculiare degli accordi di programma è, certamente, la capacità di coinvolgere
amministrazioni pubbliche collocate su distinti livelli di governo su una linea
di equiordinazione. Sono uno strumento procedimentale che ha lo scopo di attuare
uno snellimento dell’attività amministrativa attraverso una procedura
(speciale e fortemente tipizzata) avente una fisionomia marcatamente
“contrattuale” e negoziale; un modulo convenzionale in grado di agevolare i
“raccordi procedimentali” fra le varie amministrazioni interessate,
coordinandone l’azione [109].
Sono, in altri termini, degli efficienti ed essenziali strumenti di
coordinamento che consentono - in una fase di accresciuto “policentrismo
amministrativo” - di semplificare situazioni complesse con diversi
procedimenti, di accelerare procedimenti e di unificare provvedimenti [110].
La loro diffusione come strumento alternativo ai moduli procedurali ordinari,
dipenderà dalle concrete difficoltà che incontreranno le amministrazioni nel
concludere un accordo di programma. Vero è, comunque, che la loro eccessiva
formalizzazione li rende, di fatto, degli strumenti convenzionali con maggiori
complessità, rispetto agli accordi molto più liberi disciplinati dall’art.
15, della legge procedimentale.
La
legislazione regionale che si è occupata di accordi di programma, oltre ad
attenuare la marcata tipizzazione positiva per quanto concerne la fase di
formazione del consenso, ha previsto la partecipazione dei soggetti privati al
procedimento di formazione degli accordi in questione. Pur se la partecipazione
del privato è ipotizzabile solo nei casi espressamente previsti dalla
disciplina positiva regionale e statale, questo allargamento della base
soggettiva è un’importante manifestazione di indirizzo verso
un’amministrazione più aperta, consensuale, negoziata e partecipata, che dà
piena attuazione al principio di efficienza dell’azione amministrativa.
Aprendo il momento della programmazione negoziale alla partecipazione dei
privati, difatti, si attua una contestuale ed esaustiva valutazione di tutti gli
interessi coinvolti nell’azione amministrativa in modo da evitare successive
ipotesi di contrasto che emergerebbero, inevitabilmente, di fronte al giudice
amministrativo con un (poco auspicabile) aumento del contenzioso amministrativo.
Un
ulteriore elemento risalta negli accordi di programma: il fine della
programmazione. Una programmazione, ovviamente speciale e settoriale,
costitutiva di effetti giuridici, che distingue e rende peculiare questa figura
rispetto agli altri strumenti e moduli dell’amministrazione concertata [111].
Essa, pur essendo d’iniziativa del soggetto pubblico titolare di una
competenza “primaria o prevalente” in ordine al piano o all’opera che
occorre portare a compimento, presuppone l’intervento coordinato ed integrato
di più soggetti pubblici interessati all’intervento.
Sotto
questo profilo un aspetto sembra opportuno, conclusivamente, evidenziare, id
est quello relativo all’uso di accordi di programma quadro i quali
rinviano a successivi e più dettagliati accordi. L’art. 2, comma 203, lett. c)
della legge n. 662/96, li definisce come degli accordi promossi
dall’amministrazione centrale, regionale o delle provincie autonome con enti
locali ed altri soggetti pubblici e privati, "in attuazione di intese
istituzionali di programma per la definizione di un programma esecutivo di
interventi di interesse comune o funzionalmente collegati" [112].
In alcuni casi - e segnatamente per quanto concerne la pianificazione urbanistica - infatti, si può non avere un accordo per l’elaborazione e formazione di un mero atto di programmazione, ma un accordo teso alla formazione di una programmazione, per così dire, di “secondo grado o esecutiva”, che rimanda per la sua effettiva attuazione alla programmazione di “primo grado”, ad una sorta di “programmazione di secondo livello” che dia reale effettività agli obiettivi ed alle scelte programmatiche di base [113].
In tal modo, si valorizza il cennato profilo programmatorio di queste intese che si delineano, dunque, non solamente come un mero metodo di azione amministrativa, ma, altresì, come uno strumento grazie al quale si fa programmazione [114].
Il rischio che si corre è, però, quello di una continua e defatigante rincorsa tra programmazione ed attuazione che lascia incerto e nebuloso il momento dell'effettiva esecuzione del piano.
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* Articolo in corso di pubblicazione sul n. 4 della rivista “Il diritto della regione” della casa editrice Cedam.
[1] Così, cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma. Potere, poteri pubblici e modelli dell’amministrazione concertata, Padova, 1993, 188 e passim.
[2] La bibliografia in argomento è particolarmente vasta, fra i contributi di maggior rilievo, cfr. F. Ledda, Il problema del contratto nel diritto amministrativo, Torino, s.d., ma 1965; Id., Nuove note sugli accordi "di diritto pubblico" e su alcuni temi contigui, in Giur. It.., 1998, 394 ss.; A. Masucci, (a cura di) L’accordo nell’azione amministrativa, Roma, 1988; Id., Trasformazione dell’amministrazione e moduli convenzionali. Il contratto di diritto pubblico, Napoli, 1988; R. Ferrara, Gli accordi tra i privati e la pubblica amministrazione, Milano, 1985, Id., Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. pubbl., vol VIII, 1993, 543 ss.; Id., Moduli e strumenti dell’amministrazione convenzionale e concertata nel governo locale, in Dir. amm., 1994, 373 ss., il quale sottolinea come solo con le leggi nn. 142 e 241 del 1990 si è pervenuti ad un assetto stabile, e quindi meno provvisorio, delle forme e degli strumenti della c.d. amministrazione consensuale e concertata; cfr., altresì, G. Falcon, Convenzioni e accordi amministrativi (profili generali), in Enc. giur. Treccani, vol IX, 1988, 1 ss.; Id., Il coordinamento regionale degli enti locali. Gli strumenti consensuali, in Reg. gov. loc., 1990, 207 ss., che opera, nell’ambito dell’attività amministrativa consensuale, una distinzione tra autocoordinamento ed eterocoordinamento, specificando che caratteristica specifica dell’autocoordinamento è che in esso non si crea nessuna differenziazione stabile tra coordinante e coordinati, mentre l’eterocoordinamento si realizza mediante l’attività di un coordinante cui si riferisce l’attività dei coordinati. Su tale distinzione, cfr., inoltre, M. Cammelli, Indirizzo e coordinamento nel nuovo assetto dei rapporti fra stato e regioni, in Pol. dir., 1976, 573 ss. In tema di accordi, cfr. anche E. Casetta, Profili della evoluzione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in Dir. amm., 1993, 3 ss., spec. 10 ss.; Id., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1999, 518 ss.; P.L. Portaluri, Potere amministrativo e procedimenti consensuali, Milano, 1998; nonché, sull’attività contrattuale di diritto pubblico tra amministrazione e privati, cfr., E. Bruti Liberati, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico, Milano, 1996; S. Civitarese Matteucci, Contributo allo studio del principio contrattuale nell’attività amministrativa, Torino, 1997; e, recentemente, F. Fracchia, L’accordo sostitutivo, Padova, 1998; sulla conferenza di servizi cfr., per tutti, F.G. Scoca, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. Amm, 1999, 255 ss., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
[3] Sul punto, cfr. V. Cerulli Irelli, Qualche riflessione su “accordi” e “contratti di diritto pubblico”, in G. Barbagallo, E. Follieri, G. Vettori, (a cura di), Gli accordi fra privati e pubblica amministrazione e la disciplina generale del contratto, Napoli, 1995, 77 ss., il quale sottolinea come la dottrina di fine ‘800 e primi ‘900, ha costruito il sistema del diritto amministrativo sulla falsa riga della dogmatica pandettistica, ingabbiando il negoziare dell’amministrazione nella fattispecie del provvedimento.
[4] Cfr., indicativamente, F. Ledda, Il problema del contratto nel diritto amministrativo, cit.; G. Bergonzini, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, 1975; G. Falcon, Le convenzioni pubblicistiche. Ammissibilità e caratteri, Milano, 1984; G. Berti, Stato di diritto informale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1992, 3 ss.; G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa: gli accordi di programma, in Le Regioni, 1992, 349 ss. Sull’anticontrattualismo hegeliano, cfr. Bobbio, Contratto e contrattualismo nel dibattito attuale, in Il futuro della democrazia, Torino, 1984, 125 ss. Nella giuspubblicistica tedesca determinante è l’opera di Mayer, su cui cfr. Fioravanti, Otto Mayer e la scienza del diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, 600 ss.; sull’esperienza tedesca cfr., anche, A. Masucci, Il contratto di diritto pubblico fra amministrazione e privato: l’esperienza tedesca, in Jus, 1987, 54 ss.
[5] Cfr. R. Ferrara, Gli accordi tra i privati e la pubblica amministrazione, cit., 1 ss., il quale sottolinea come per la p.a. agire autoritariamente risulta spesso concretamente impossibile e comporta costi, sia economici sia politici in senso lato, difficilmente sostenibili; cfr., anche G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa, cit., 352 ss.; Id., sub art 11, in AA.VV., Le nuove leggi civ. comm., 1995, 60 ss.; cfr., inoltre, A. Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997, 49, che sottolinea come “la possibilità di far ricorso allo strumento convenzionale fa acquistare al cittadino una consapevolezza diversa del suo ruolo rispetto all’Amministrazione”.
[6] Sulle figure convenzionali nell’ordinamento tedesco, cfr. A. Masucci, (a cura di), Collaborazione fra Comuni e cooperazione per accordi. L’esperienza tedesca, in Quaderni della rivista Problemi di amministrazione pubblica, 1986, Erichsen, Martens, Il contratto di diritto amministrativo, in L’accordo nell’azione amministrativa, cit., 63 ss.; sui contratti di diritto amministrativo nell’ordinamento francese, cfr. De Laubadere, Venezia, Guademet, Traité de droit administratif, Parigi, 1990, 611 ss.; Moderne, La recente evoluzione del diritto dei contratti amministrativi: le convenzioni fra persone giuridiche pubbliche, in L’accordo nell’azione amministrativa, cit., 95 ss.
[7] Come sottolineato da M. Nigro, Conclusioni, in L’accordo nell’azione amministrativa, cit., 79 ss., le due figure di accordo hanno una ratio diversa. L’accordo tra pubblica amministrazione e privati ricerca una nuova legittimazione del potere; l’accordo tra amministrazioni è rivolto soprattutto verso una nuova logica dell’efficienza.
[8] Sul punto, cfr. le efficaci considerazioni di E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992, 6 ss.; sulla diffusione dei moduli convenzionali nel diritto amministrativo, cfr. G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa: gli accordi di programma, cit., 352 ss.
[9] Sulle intese a carattere “endoprocedimentale” e quelle a carattere “endoprovvedimentale”, si rinvia alla esaustiva e dettagliata analisi di R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 53 ss.
[10] Cfr. G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e garanzie, Milano, 1996, 256.
[11] Cfr., nuovamente, R. Ferrara, op. ult. cit., 57 ss.;
[12] Ibidem., 59 ss.
[13] E’ impossibile dar conto di tutta la bibliografia in tema di accordi di programma poiché è alluvionale, si vedano, a titolo indicativo e fra i contributi di maggior rilievo, R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit.; G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa: gli accordi di programma, cit.; E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, cit.; ed ancora, S. Amorosino, Gli accordi organizzativi tra amministrazioni. I. Profili storico-dogmatici, Padova, 1984; V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, in Le Regioni, 1992, 1617 ss.; B. Caravita, Gli accordi di programma, in Aziendaitalia, 1990, 9 ss.; G.F. Cartei, Gli accordi di programma nel diritto comunitario e nazionale, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1991, 49 ss.; A. Fioritto, Accordi di programma e contrats de plan: somiglianze e divergenze, in Riv. giur. mezz., 1989, 867 ss.; G. Greco, Accordi di programma e procedimento amministrativo, in Dir. ec., 1991, 335 ss.; A. Predieri, Gli accordi di programma, in Quad. reg., 1991, 957 ss.; A. Travi, Le forme associative tra gli enti locali verso i modelli di diritto comune, in Le regioni, 1991, 308 ss.; oltre ai lavori citati nelle note precedenti e successive.
[14] In questo senso, cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., passim.
[15] Articolo oggi soppresso dall’art. 4 della legge 19 dicembre 1992, n. 488.
[16] Cfr. P. Dell'Anno, Manuale di diritto ambientale, Padova, 1998, 190 ss., il quale evidenzia come l'accordo di programma "si è venuto affermando nel nostro ordinamento in epoca relativamente recente, in recepimento di stimoli ed esperienze offerti dal diritto comparato (in specie dell'ordinamento francese) allo scopo di coordinare in forma flessibile e non unilaterale l'attività dei diversi soggetti coinvolti in un processo di sviluppo economico".
[17] Cfr. R. Ferrara, Intese, convenzioni e accordi amministrativi, cit., spec. 557 ss.
[18] In questo senso, e per più diffuse considerazioni, cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., passim; Id., Moduli e strumenti dell’amministrazione convenzionale, cit., 374 ss.
[19] Per alcune considerazioni in argomento, cfr. L. Torchia, La conferenza di servizi e l’accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, in Giorn. dir. amm., 1997, 675 ss.; sul tema della semplificazione amministrativa, cfr., per tutti, recentemente, R. Ferrara, Le “complicazioni” della semplificazione amministrativa: verso un’amministrazione senza qualità?, in Dir. proc. amm., 1999, 323 ss., il quale effettua una rassegna dei principali modelli e strumenti di semplificazione amministrativa; sia altresì consentito il rinvio a S. Cimini, Semplificazione amministrativa e termine procedimentale, in Notiz. giur. reg., 1998, 143 ss., anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
[20] Cfr. G. Falcon, Convenzioni e accordi amministrativi (profili generali), cit., 4 s., che parla anche, nell’ipotesi di non rispetto dei protocolli di intesa, di responsabilità “extracontrattuale” orientata al mantenimento dell’equilibrio economico; cfr., anche, G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, cit., 245.
[21] Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit., 526, il quale sottolinea come il termine “contratto di programma” è polisenso, e oltre ad indicare gli atti di intesa fra soggetti pubblici e privati, spesso indica il “disciplinare relativo ad alcuni servizi”.
[22] Per una esaustiva analisi dell’art. 11, l. n. 241/90, cfr. F. Fracchia, L’accordo sostituivo, cit., passim. Sui contratti di programma, cfr. A. Fioritto, Accordi di programma e contrats de plan: somiglianze e divergenze, cit., passim; G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, cit., 245 ss. Per quanto attiene la disciplina positiva, il d.l. 8 febbraio 1995, n. 32, convertito nella l. 7 aprile 1995, n. 104, definisce le intese di programma come accordi “tra i soggetti istituzionali competenti in un determinato settore, con cui gli stessi si impegnano a collaborare mettendo a disposizione le risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione di una serie di azioni ed interventi specifici, collegati funzionalmente in un quadro pluriennale, anche se non ancora globalmente definiti in tema di fattibilità”; mentre per contratto di programma si intende invece “il contratto stipulato tra l’amministrazione ed una grande impresa o un gruppo o un consorzio di medie e piccole imprese per la realizzazione di interventi oggetto di programmazione negoziata”; cfr., altresì, l’art. 2, comma 203, della l. n. 662/96.
[23] Per un’analisi più approfondita delle diverse fattispecie di accordo di programma nella disciplina positiva statale, cfr. E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale, cit.,147 ss.
[24] Cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 90 s., il quale sottolinea come gli accordi di programma siano invocati come una mera clausola di stile, come uno strumento “bon à tout faire in grado di garantire sinergie strutturali e funzionali fra due o più autorità pubbliche là ove la realizzazione di un’opera, di un progetto o di un intervento coinvolga le competenze e le responsabilità di due o più soggetti pubblici”.
[25] Cfr. G. D’Amelio, Commento all’art. 81, in Capaccioli-Satta (a cura di), Commentario Giuffré, Milano, 1990, 15 ss.
[26] Cfr. E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale, cit., 148.
[27] Cfr. S. Cassese, Le intese e gli accordi di programma con gli enti pubblici e le pubbliche amministrazioni, in L’Ente ferrovie dello Stato, a cura del Cerisop, Rimini, 1986; G. D’Alessio, Art. 25, in Leggi civ. comm., 1986.
[28] Sugli accordi di programma di cui alla legge n. 64/86, cfr., indicativamente, A. Quaranta, Gli accordi di programma nella legge 1 marzo 1986 sul Mezzogiorno, in Cons. St., 1987, II, 291 ss.; M. D’Antino, Intervento straordinario (legge 1 marzo 1986 n. 64), in TAR, 1987,II, 77ss.; G. Di Gaspare, L’accordo di programma: struttura, efficacia giuridica e problemi di gestione, in Le Regioni, 1988, 278 ss.; C. Modica, L’accordo di programma: istituzionalizzazione dell’inefficienza?, in Riv. giur. mezz., 1991, 5 ss.; S. Staiano, L’accordo di programma nelle leggi 64/1986 e 142/1990, ivi, 1992, 997 ss.; R. Tomei, L’accordo di programma nella legislazione per il Mezzogiorno. Profili generali ed istituzionali, in Arch. giur., 1992, 37 ss.
[29] Per un commento sull’art. 3 della l. n. 168/89 cfr. L. Torchia, Accordi di programma e ricerca scientifica, in Pol. dir., 1991, 285 ss.; L. Chieffi, Gli strumenti per il coordinamento della ricerca scientifica: l’accordo di programma introdotto dalla legge n. 168 del 1989, in Riv. giur. mezz., 1992, 720 ss.
[30] Sulla legge n. 109/94, cfr. L. Perfetti, L’amministrazione per accordi nell’esecuzione dei lavori pubblici. Conferenza di servizi ed accordo di programma nella l. 109/94, in Dir. amm., 1997, 587 ss.
[31] L’art. 2, comma 203, l. n. 662/96, definisce inoltre la “programmazione negoziata”, l’ ”intesa istituzionale di programma”, il “patto territoriale”, il “contratto di programma” e il “contratto d’area”.
[32] Cfr. G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, cit., 262. Sulla funzione programmatoria degli accordi di programma, cfr., indicativamente, S. Amorosino, Gli accordi organizzativi tra amministrazioni, cit., passim; G. Greco, Accordi di programma e procedimento amministrativo, cit., 335 ss.; G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa, cit.; E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale, cit., 142 ss.
[33] In questo senso, cfr. E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale, cit., 170.
[34] Così, G.D. Comporti, op. ult. cit., 265.
[35] Cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 97 ss., che perspicuamente sottolinea come l’art. 15, l. n. 241/90, prefigura una particolare categoria di accordi di tipo organizzativo e con un preciso valore normativo, in grado non solo di autolimitare la discrezionalità dei singoli enti, ma anche di vincolare i successivi provvedimenti assunti dalle amministrazioni che hanno siglato l’accordo.
[36] In questo senso e per più diffuse considerazioni in argomento, si rinvia nuovamente a R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., passim.; Id., Moduli e strumenti dell’amministrazione convenzionale e concertata nel governo locale, cit., 376. Sulla distinzione tra gli accordi disciplinati dall’art. 15, l. n. 241/90, e gli accordi di programma di cui alla l. n. 142/90, cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit., 530, il quale individua la maggiore caratterizzazione degli accordi di programma nella marcata specificità dell’oggetto, nel carattere fortemente discrezionale che li permea, nel loro contenuto di regolamentazione dell’esercizio dei poteri delle amministrazioni interessate e nel loro notevole grado di dettaglio della disiplina cui sono assoggettati.
[37] Sull’art. 11, comma 4, della l. n. 241/90, cfr., per tutti, V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997, 522 ss.
[38] Cfr. L. Torchia, Accordi di programma e ricerca scientifica, cit., 295 ss.
[39] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182, in Cons. St., 1996, 259, che rileva come il riferimento ad opere, interventi o programmi di intervento, “non sta ad indicare una limitazione dell’estensione di tale disciplina, ma sta a significare l’adozione di uno strumento che rende più spedita ed efficiente l’azione amministrativa, senza esclusione di opere di iniziativa privata specie quando esse assumono rilevanza di interesse pubblico”. Contra, in dottrina, cfr. G. Greco, Accordi di programma e procedimento amministrativo, cit., il quale esclude dall’ambito di applicabilità dell’art. 27, l. n. 142/90, gli strumenti urbanistici attuativi ed i procedimenti espropriativi.
[40] Cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 107 ss., che spiega la fattispecie di cui all’art. 27, settimo comma, come conseguenza della circostanza che anche nel modello consensuale e negoziale rappresentato dall’art. 27, l. n. 142/90, vi sono relazioni giuridiche improntate al principio di egemonia/supremazia. Cfr., altresì, G.D. Comporti, op. ult. cit., 267, secondo il quale, allorché si tratta di gestire in comune attività e servizi che interessano territori finitimi, dunque questioni puntuali e circoscritte, le regioni possono concludere le intese in piena autonomia negoziale e al di fuori da qualsiasi condizionamento esterno applicando l’art. 8 del d.P.R. n. 616/77. Il ruolo arbitrale della Presidenza del Consiglio dei Ministri emerge solo quando la vicenda concreta che interessa più regioni finitime, si inserisce in un contesto di natura programmatoria più ampio e complesso.
[41] Cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 105.
[42] Usando una efficace espressione di G. Falcon, Il coordinamento regionale degli enti locali, cit., 213.
[43] Cfr. nuovamente R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 105 ss.
[44] Così, cfr. L. Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali. Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, Rimini, 1990, 161. Cfr. anche R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 113, il quale precisa che la conferenza di servizi che rileva è, in questo caso, quella disciplinata dal primo comma dell’art. 14, legge n. 241/90, essendo ben altre le caratteristiche positive della fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 14, legge proc.; v. ivi anche ulteriori riferimenti bibliografici.
[45] Così, cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, 113 ss.; l’A. sottolinea come i rapporti fra la conferenza di servizi e l’accordo di programma, siano caratterizzati da una marcata relatività e variabilità.
[46] In questo senso anche la giurisprudenza, cfr. T.a.r. Lazio, sez. I, 20 gennaio 1995, n. 62, in Foro amm., 1995, 1060.
[47] Cfr. Cass., sez. un., 4 gennaio 1995, n. 91, in Foro It., 1995, I, 1175, con nota critica di E. Cannada Bartoli, Accordo di programma e giurisdizione, ivi, 1173 s.
[48] Così, efficacemente, cfr. E. Cannada Bartoli, Accordo di programma e giurisdizione, cit., 1173, il quale non esclude che “qualche soggetto, determinabile in base all’accordo, non possa essere titolare di diritti per effetto della convenzione, stipulata tra altri soggetti. E’ soltanto una possibilità, a torto negata dalla Corte (...)”.
[49] Un caso è disciplinato dall’art. 1, comma 3, della l. n. 99/1988 sulle opere pubbliche da eseguirsi nella Regione Sicilia che così dispone: “Alla definizione dell’accordo partecipano tutti i soggetti, pubblici o privati, interessati alla realizzazione dell’intervento. A tal fine il Presidente del consiglio dei Ministri invita i soggetti interessati ad esprimere il proprio assenso a partecipare alla definizione dell’accordo”. Ma, cfr., altresì, la l. n. 493/93; il d.l. n. 155/94; la l. n. 104/95; il d.l. n. 188/95, ecc.
[50] Cfr. T.a.r. Lazio, sez. I, 20 gennaio 1995, n. 62, cit.
[51] Sul problema della “novazione della fonte”, cfr. le dense osservazioni di R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 118 ss.
[52] In questo senso, cfr., A. Predieri, Gli accordi di programma, cit., 970.
[53] Così, perspicuamente, G. Pericu, L’attività consensuale dell’amministrazione pubblica, in L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 1998, 1635 s.
[54] Così, e per più diffuse considerazioni, cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 121, e passim.
[55] Cfr. G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, cit., 238.
[56] Per ulteriori approfondimenti si rinvia, nuovamente, a R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 128.
[57] Cfr. M.S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, 349.
[58] Questa definizione si legge in Cons. Stato, ad. gen. 19 febbraio 1987, n. 7, in Foro It., 1988, III, 22.
[59] Cfr., per tutti, A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 1994, 146.
[60] Cfr. M. Nigro, Conclusioni, cit., 87, il quale, sia pure dubitativamente, avanza l’ipotesi di considerare gli accordi organizzativi alla stregua di atti complessi. Per una critica alla teoria dell’atto complesso cfr., per tutti, G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, cit., 329 ss., che fa riferimento, invece, alla categoria di diritto comune dei contratti plurilaterali con comunione di scopo (anche definiti come contratti di cooperazione o di collaborazione), ritenendo normale il richiamo al contratto di diritto comune “quale principale e collaudato strumento di attivazione e composizione di interessi, pubblici come privati”. L’A. sottolinea come la chiara formulazione dell’art. 15, l. 241/90, consente di superare le aprioristiche diffidenze di una dottrina di diritto pubblico ancora oggi incline a ritenere che l’unico tipo di contratto previsto dal nostro ordinamento sia quello tradizionale di scambio. Ibidem, 325.
[61] In questo senso, cfr. G. Pericu, L’attività consensuale dell’amministrazione pubblica, cit., 1639.
[62] Così efficacemente cfr. M. Nigro, Conclusioni, cit., 87.
[63] Alla quale fa riferimento, recentemente, ad esempio, G. Pericu, L’attività consensuale dell’amministrazione pubblica, cit., 1639 s., il quale qualifica l’accordo di programma come un’ipotesi particolare di contratto di diritto pubblico, specificando inoltre che “probabilmente, la categoria del contratto pubblico conosce al suo interno non solo diverse singole fattispecie legislative, ma anche diverse possibili sottocategorie nelle quali correttamente ricondurre le singole ipotesi normative. Siamo all’inizio di un processo di evoluzione dell’istituto di cui per ora si intravedono in forma confusa solo gli inizi e i primi contorni”.
[64] Cfr. F. Ledda, Il problema del contratto nel diritto pubblico, cit., 59 ss.
[65] Cfr. Casetta E., Manuale di diritto amministrativo, cit., 518 s., il quale sottolinea come la nozione di “contratto pubblico” è “pure stata adoperata dal nostro legislatore, ma ciò pare essere soprattutto la risultante di un uso scarsamente controllato della terminologia giuridica”.
[66] Cfr., indicativamente, l’art. 25 della l. n. 210/1985 cit., il quale, al comma 4, dispone che “se l’intesa non si realizza entro novanta giorni dall’invito del Ministero dei trasporti, si provvede, sentite le Regioni interessate e la Commissione parlamentare per le questioni regionali, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dei trasporti”; cfr., altresì, l’art. 3, comma 5, della l. 5 dicembre 1990, n. 396 (su Roma capitale) che statuisce: “Nel caso in cui non si raggiunga l’unanimità, il Sindaco di Roma può richiedere al Ministro per per i problemi delle aree urbane di sottoporre l’accordo al Consiglio dei Ministri. In tale ipotesi l’accordo stesso è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri”.
[67] In tal senso, cfr. G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa, cit. 377.
[68] Anche se vi è di fatto un ridimensionamento del profilo della patrimonialità nel rapporto contrattuale. Sui contratti cfr., per tutti, A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, cit., 453 ss.; si rinvia, altresì, a G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, cit., 298 ss., il quale effettua una ampia ed esaustiva analisi del dibattito attuale sulla nozione di contratto di diritto comune prendendo in considerazione gli elementi di fondo con riferimento agli aspetti che maggiormente rilevano dal punto di vista del diritto pubblico, cioé l’autonomia negoziale, l’equilibrio delle parti, la stabilità del rapporto e la patrimonialità della prestazione.
[69] Cfr. le dense osservazioni di R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 138 ss., sulla riconduzione del procedimento di formazione e di costituzione dell’accordo di programma all’idealtipo del procedimento amministrativo, anche se a carattere speciale e fortemente tipizzato.
[70] Cfr. G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa, cit., 369; G. Greco, sub Art. 27, in Italia-Bassani (a cura di), Le autonomie locali. Commento alla l. 142/1990, Milano, 1990, 379 ss.
[71] Così, R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 137; Id., Intese, convenzioni e accordi amministrativi, cit., 557 ss.; in questo senso cfr. anche G. Sala, Accordi sul contenuto discrezionale del provvedimento e tutela delle situazioni soggettive, in Dir. proc. amm., 1992, 206 ss., spec. 212, per il quale è l’aggettivo pubblico a svuotare di ogni contenuto euristico il sostantivo; E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale, cit., 239, che parla di accordi organizzativi a fini di autocoordinamento; cfr., altresì, G. Manfredi, Modelli contrattuali dell’azione amministrativa, cit., 375, il quale fa rientrare l’accordo di programma nella categoria dei “provvedimenti negoziati”. La c.d. “programmazione negoziata” è stata definita dall’art. 1, lett. b) del d.l. 8 febbraio 1995, n. 32 (conv. in l. 7 aprile 1995, n. 104) come “la regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l’attuazione di interventi diversi, riferiti ad un’unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza”; cfr., negli stessi termini, l’art. 2, comma 203, lett. a) della l. n. 662/96.
[72] In questo senso, e per una analisi più puntuale ed esaustiva della problematica in questione, si rinvia a R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., passim. Riconduce gli accordi di programma alla categoria degli “accordi organizzativi” G. Corso, Accordi di programma, in L’accordo nell’azione amministrativa, cit., 39 ss.
[73] Così, cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., passim.
[74] In questo senso, e per più diffuse considerazioni, cfr. ancora R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., 139 e passim. L’A. sottolinea come la “contrattualizzazione” del procedimento non è incompatibile con il fatto che esso termini con la conclusione di un accordo a carattere normativo formalizzato in un provvedimento dell’autorità che gli dà il crisma della giuridicità, in quanto ne rappresenta condizione di esistenza e di efficacia, ed in ciò è possibile riscontrare il principale fattore di tipizzazione e di specialità che contraddistingue gli accordi di programma. Ibidem, 143.
[75] Tra le numerosi leggi regionali che disciplinano gli accordi di programma, si possono citare le seguenti: artt. 8 bis e 8 ter, l.r. Abruzzo, 12 aprile 1983, n. 18 (Norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo) modificata ed integrata dalla l.r. 27 aprile 1995, n. 70; art. 11, l.r. Basilicata, 31 agosto 1993, n. 47 (Procedure della programmazione); art. 14, l.r. Emilia-Romagna, 30 gennaio 1995, n. 6 (Norme in materia di programmazione e pianificazione territoriale, in attuazione della legge 8 giugno 1990, n. 142, e modifiche e integrazioni alla legislazione urbanistica ed edilizia); art. 3, l.r. Friuli-Venezia Giulia, 31 ottobre 1987, n. 35 (Provvedimenti per lo sviluppo dei territori montani); art. 10, l.r. Friuli-Venezia Giulia, 9 marzo 1988, n. 10 (Riordinamento istituzionale della Regione e riconoscimento e devoluzione di funzioni agli Enti locali); art. 18, l.r. Lazio, 22 ottobre 1993, n. 57 (Norme generali per lo svolgimento del procedimento amministrativo, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa); art. 58, l.r. Liguria, 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale); art. 7 bis, l.r. 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione), modificata ed integrata dalla l.r. del 25 novembre 1986, n. 55; l.r. Lombardia, 15 maggio 1993, n. 14 (Disciplina delle procedure per gli accordi di programma); artt. 9 e 10, l.r. Puglia, 19 dicembre 1983, n. 24 (Tutela ed uso delle risorse idriche e risanamento delle acque di Puglia); l.r. Puglia, 20 febbraio 1995, n. 4 (Disciplina delle procedure per gli accordi di programma); artt. 28 e 28 bis, l.r. Sardegna, 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale) modificata ed integrata dalla l.r. 7 maggio 1993, n. 23; art. 8, l.r. Sicilia, 9 agosto 1988, n. 26 (Provvedimenti per lo sviluppo delle zone interne); artt. 3-12, l.r. Toscana, 3 settembre 1996, n. 76 (Disciplina degli accordi di programma e delle conferenze di servizi); art. 43, l.r. Trentino-Alto Adige, 4 gennaio 1993, n. 1 (Nuovo ordinamento dei comuni della Regione Trentino-Alto Adige); artt. 26-28, l.r. Valle d’Aosta, 6 aprile 1998, n. 11 (“Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta); art. 13, l.r. Veneto, 30 aprile 1990, n. 40 (Procedure della programmazione).
[76] Cfr. V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale,cit., 1627.
[77] E’ questo il caso, ad esempio, dell’art 13 della l.r. Veneto n. 40 del 1990; dell’art. 8 della l.r. Sicilia, n. 26/1988; dell’art. 9 della l.r. Puglia, n. 24/1983; dell’art. 11, comma 2, l.r. Basilicata n. 47/1983; dell’art. 18, comma 2, l.r. Lazio n. 57/1993; dell’art. 6, l.r. Lombardia, n. 55/1986; dell’art. 2, l.r. Lombardia n. 14/1993; dell’art. 2, l.r. Puglia, n. 4/1995.
[78] Cfr., anche, l’art. 6, l.r. Toscana n. 76 del 1996 il quale dispone che l’accordo di programma “è promosso dalla Regione, dalle provincie o dai comuni, in relazione alla competenza primaria o prevalente sui lavori, sulle opere, sugli interventi o sui programmi di intervento da realizzare”; il successivo art. 7, poi, disciplina in maniera dettagliata la fase della promozione dell’accordo.
[79] Cfr., indicativamente, l’art. 8 della l.r. Sicilia n. 26/1988; l’art. 9 della l.r. Puglia n. 24/1983; l’art. 11 della l.r. Basilicata n. 47/1993.
[80] Cfr., ad esempio, l’art. 9 della l.r. Puglia n. 24/1983; l’art. 10 della l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 10/1988.
[81] Cfr., in questo senso, V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, cit., 1628 s.; e C. Modica, L’accordo di programma: istituzionalizzazione dell’inefficienza, cit. 13.
[82] Cfr., ad esempio, la l.r. Sicilia n. 26/1988.
[83] Così, V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, cit, 1629;
[84] In questo senso, cfr., nuovamente, V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, cit. 1629 s.
[85] Cfr. anche la l.r. Veneto, n. 40 del 1990, la quale all’art. 13, comma 3, statuisce che “per verificare la possibilità di concordare l’accordo di programma, il presidente della giunta regionale convoca una conferenza fra i soggetti interessati”; l’art. 3, l.r. Lombardia n. 14/1993 nonché l’art. 3, l.r. Puglia n. 4/1995 che prevedono un “comitato per l’accordo di programma”; l’art. 8, l.r. Toscana, n. 76/1996 che parla di “conferenza istruttoria” fra i soggetti partecipanti all’accordo.
[86] Cfr., indicativamente, l’art. 8 bis, l.r. Abruzzo, n. 18/1983 (art. aggiunto dalla l.r. n. 70/1995); l’art. 3, l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 35/1987; l’art. 10 l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 10/1988; l’art. 8, l.r. Sicilia n. 26/1988; l’art. 13, l.r. Veneto n. 40/1990; l’art. 9, l.r. Puglia n. 24/1983; gli artt. 3 e 4, l.r. Toscana n. 76/1996; l’art. 11, l.r. Basilicata, n. 47/1993; l’art. 1, l.r. Lombardia, n. 14/1995; l’art. 1, l.r. Puglia, n. 4/1995; l’art. 26, l.r. Valle d’Aosta, n. 11/1998.
[87] Così generalmente dispongono tutte le leggi regionali citate. Cfr., in termini leggermente diversi, l’art. 43, comma 4, l.r. Trentino-Alto Adige, n. 1/1993 il quale dispone che l’accordo di programma previsto per un’azione collaborativa intercomunale (e promosso dal Presidente della Provincia o dal Sindaco), “è approvato con atto formale del Presidente della Provincia autonoma o del Sindaco ed è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione”.
[88] Cfr. V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, cit., 1623.
[89] Qualche legge regionale prevede un collegio di vigilanza ex art. 27, comma 6, l. n. 142/1990, è questo il caso, ad esempio, dell’art.12, l.r. Toscana, n. 76/1996. La l.r. Veneto n. 40 del 1990, prevede anche procedimenti di arbitrato.
[90] Cfr., indicativamente, l’art. 8 ter, l.r. Abruzzo, n. 18/1983 (art. aggiunto dalla l.r. n. 70/1995); l’art. 8, l.r. Sicilia n. 26/1988; l’art. 13, l.r. Veneto n. 40/1990; l’art. 9, l.r. Puglia n. 24/1983; l’art. 5, l.r. Lombardia, n. 14/1993; l’art. 5, l.r. Puglia, n. 4/1995.
[91] Cfr., ad esempio, l’art. 8, comma 3, della l.r. Sicilia n. 26/88 il quale espressamente statuisce che “il Presidente della Regione vigila sull’esecuzione dell’accordo di programma”.
[92] In questo senso, cfr. V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, cit., 1634.
[93] La legge regionale del Veneto n. 40 del 1990, stabilisce, espressamente, che bisogna escludere da eventuali inadempienze le amministrazioni statali.
[94] Effettua questa distinzione, in riferimento alla legge n. 64/86, G. Di Gaspare, L’accordo di programma: struttura, efficacia giuridica e problemi di gestione, cit.
[95] Cfr. ancora V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, cit., 1635.
[96] Così, cfr. V. Baldini, L’accordo di programma nella legislazione regionale, cit., 1647 s., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
[97] In questo senso cfr. L. Torchia, La conferenza di servizi, cit., 678; sul punto cfr., altresì, G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale, cit., 321 ss., che sottolinea come il non richiamo all’art. 11, comma 4, escludendo la possibilità di recesso unilaterale per sopravvenuto mutamento dell’interesse pubblico, garantisce maggiore stabilità al rapporto contrattuale.
[98] Cfr. G. Manfredi, Gli accordi e le conferenze di servizi, cit., 255.
[99] La l.r. Valle d’Aosta, n. 11 del 1998, stabilisce, altresì, che alla conferenza di programma che precede l’accordo, possono essere convocati i soggetti privati. Dispone, inoltre, all’art. 26, comma 6, che ove “l’accordo di programma riguardi opere, interventi o programmi di intervento alla cui realizzazione debbano concorrere, o sia opportuno che concorrano, soggetti privati, l’accordo dà atto di tale circostanza e prevede gli atti successivi attraverso i quali vengono disciplinati il concorso e gli obblighi dei soggetti privati e quelli correlativi dei soggetti pubblici”.
[100] In questo senso cfr., anche, la l.r. Puglia n. 4 del 1995 che, all’art. 4, attribuisce al Comitato per l’accordo di programma (disciplinato dall’art. 3) il compito di “valutare le istanze dei privati per definire le ipotesi di eventuali accordi a norma dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, (...) da stipularsi dalle singole amministrazioni partecipanti al procedimento per l’accordo di programma, in relazione alle rispettive competenze e di intesa tra le medesime”.
[101] In questo senso cfr. A. Predieri, Gli accordi di programma, cit., 957 s.; così e sull’esatta interpretazione da dare al termine “privato”, cfr. più diffusamente R. Ferrara, Le “complicazioni” della semplificazione amministrativa: verso un’amministrazione senza qualità?, cit., 328 s.
[102]
Cfr. V. Baldini, op.
ult. cit., 1624 s.
[103] Così G. Manfredi, Gli accordi e le conferenze di servizi, cit., 256, il quale sottolinea come il legislatore statale, nella legge n. 241/90 configura le ipotesi degli accordi tra amministrazione e privati come affatto distinte e non comunicanti.
[104] In questo senso, cfr. V. Baldini, op. loc. cit., 1627, il quale sottolinea come gli accordi di programma, attendendo alla composizione in forma convenzionale degli interessi facenti capo a soggetti privati, assumono, in relazione a tale ultimo profilo, natura di vero e proprio “contratto di programma”.
[105] In questo senso cfr. L. Torchia, La conferenza di servizi e l’accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, cit., 679, la quale sottolinea che “il fattore abilitante al ricorso allo strumento consensuale non è la volontà, come avviene normalmente per gli strumenti consensuali, ma un comando unilaterale, posto con una norma che pone un obbligo in capo all’amministrazione”.
[106] In questo senso, cfr., da ultimo, C. Di Marco, I rapporti Stato-Regioni nel sistema dell’amministrazione pattizia - Procedure e strumenti di raccordo, in Le Regioni, 1999, 471 ss.
[107] Cfr. R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., passim.; Id., Moduli e strumenti dell’amministrazione convenzionale e concertata nel governo locale, cit., 376.
[108] Cfr, ancora, R. Ferrara, Gli accordi di programma, cit., passim.
[109] Cfr., in questo senso, B. Caravita, Gli accordi di programma, cit., 41.
[110] Cfr. A. Predieri, Gli accordi di programma, cit., 969.
[111] Sui profili della programmazione - che in questa sede non è stato possibile esaustivamente esaminare - cfr., per tutti ed indicaticamente, E. Sticchi Damiani, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, cit., 141 ss., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
[112] Essi devono indicare, fra l’altro, gli eventuali accordi di programma ex art. 27, l. n. 142/90, e le eventuali conferenze di servizi o convenzioni necessarie per l’attuazione dell’accordo.
[113] Cfr. E. Sticchi Damiani, op. ult. cit., 143 ss.
[114] Cfr., R. Ferrara, Moduli e strumenti dell’amministrazione convenzionale e concertata nel governo locale, cit., 309.