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GIOVANNI CIARAVINO
Ancora sulla sentenza Cass.
SS.UU. n. 500/1999
e sulla giurisdizione del G.O. in materia di risarcimento
del danno per lesione di interessi legittimi
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Sommario: 1. Premessa. - 2. Sintesi storico-ricostruttiva della questione. - 3. "Quattro piccole cause" del revirement della Cassazione: - 3.1. "La quasi unanime dottrina". - 3.2. L’ampliamento di fatto dell’area di applicazione dell’art. 2043 c.c.. - 3.3. La "spinta" della Corte Costituzionale. - 3.4. L’art. 35 D.L.vo n. 80/1998. - 4. L’effettiva ragione del revirement della Cassazione. - 5. Le "soluzioni" della Cassazione: - 5.1. La "nuova" costruzione dell’art. 2043 c.c. e l’illecito civile come atipico. - 5.2. La questione della colpevolezza della P.A. e le cause scriminanti. - 5.3. Il problema della giurisdizione nelle materie escluse dagli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998: giurisdizione esclusiva del G.O.?
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1. Premessa
Nel dicembre dello scorso anno in una delle mie navigazioni internettiane alla ricerca di materiale giuridico interessante, mi imbattei in un articolo del professore Giovanni Virga sul giudice dormiente e la risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi.
Nelle prime battute di tale breve saggio, il prof. Virga ci dava contezza del fatto che, circa venti anni or sono, richiedendo al prof. Guido Corso alcuni temi da sviluppare, gli venne indicato, tra gli altri, il tema della risarcibilità degli interessi legittimi.
Tale argomento, però, fu presto abbandonato dal prof. Virga in quanto egli si rese conto che, seppure interessante, esso non presentava alcuna possibilità di sviluppo concreto (attesa anche la granitica giurisprudenza contraria).
Questo aneddoto mi spinse a pensare di quanto fossi stato io più fortunato (!?).
Nell’ormai lontano 1995, infatti, alla richiesta di un tema da sviluppare per la mia tesi di laurea, mi fu proposto proprio quello della risarcibilità degli interessi legittimi.
Argomento, questo, che dagli inizi degli anni ‘90, a mezzo di interventi legislativi (comunitari e nazionali) e giurisprudenziali, aveva cominciato ad assumere una valenza concreta sempre maggiore.
Fu così che la mia tesi ebbe come titolo "Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi".
Avendo tra le mani lo scritto del prof. Virga e considerando l’"avvento" dell’art. 35 D.L.vo 80/1998 e la sentenza Cass. S.U. 500/99, mi venne così in mente di scrivere una sorta di appendice a quella che era stata la mia tesi, al fine di fare un ulteriore punto sulla lunga strada della risarcibilità degli interessi legittimi.
2. Sintesi storico-ricostruttiva.
Per comprendere cosa sia accaduto nel corso di questi quattro anni occorre partire, a mio avviso, dall’ultimo intervento della S.C., e cioè dalla sentenza n. 500/99.
In essa, infatti, vi sono due parti distinte: la prima, storico-ricostruttiva, la seconda, per così dire, attuativa, ove si offrono le soluzioni ai vari problemi di carattere sostanziale e processuale.
Ripercorrendole potremo farci un quadro più chiaro della situazione.
La giurisprudenza ha sempre basato il suo "niet" alla risarcibilità degli interessi legittimi su due argomentazioni: l’una di carattere processuale, l’altra di carattere sostanziale.
La prima consiste nel porre in rilievo il particolare riparto di giurisdizione che, fondato sulla dicotomia diritto soggettivo - interesse legittimo, contempla due paradigmi: diritto soggettivo - illiceità - giudice ordinario - risarcimento, da un lato; e interesse legittimo - illegittimità - giudice amministrativo - annullamento, dall’altro.
Da tale ricostruzione discende che se il giudice amministrativo può annullare il provvedimento illegittimo della P.A., egli non può, però, condannare quest’ultima al ristoro della lesione degli interessi legittimi e, per converso, il giudice ordinario può condannare al risarcimento di un diritto soggettivo anche la P.A., ma non può conoscere della lesione degli interessi legittimi.
Tutto ciò considerato, diveniva agevole per il giudice ordinario delineare, in sede di regolamento preventivo, il difetto assoluto di giurisdizione, in caso di risarcimento richiesto dal titolare degli interessi legittimi (1).
Parallelamente a tale indirizzo la S.C., sul finire degli anni ‘80, ne ha introdotto un altro, sostenendo che, in caso di domanda risarcitoria relativa ad interessi legittimi, la questione non riguardava la giurisdizione, ma il merito: la domanda, cioè, non andava più dichiarata improcedibile per difetto di giurisdizione, ma andava rigettata nel merito, per difetto del diritto, dato che l’illiceità sanzionata dall’art. 2043 c.c. è solo quella relativa alla violazione di un diritto soggettivo (2).
Emerge, qui, dunque, quello che è (o era!?) il vero cuore della tesi dell’irrisarcibilità sostenuta dalla Cassazione, e cioè che "l’ingiustizia del danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. è da intendersi nella duplice accezione di danno prodotto non jure (e cioè in assenza di cause giustificative del fatto dannoso) e contra jus (in quanto tale fatto incida su una posizione soggettiva attiva tutelata come diritto soggettivo perfetto)" (3).
La Cassazione, cioè, ha sempre inteso, fino alla sentenza 500/99, l’art.2043 c.c. come norma secondaria volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie).
E’ questo, dunque, il vero "muro di gomma" sul quale hanno sbattuto per anni la testa i sostenitori della risarcibilità degli interessi legittimi, muro sempre più gommoso quanto più nel tempo la S.C. ha inglobato nell’area del danno ingiusto, in ambito privatistico però, posizioni giuridiche via via sempre più allontanantisi dal diritto soggettivo perfetto (si va dal diritto di credito fino alle aspettative legittime ed anche alla controversa figura del diritto all’integrità del patrimonio), ma pur sempre bloccandosi alle soglie dell’interesse legittimo.
Tanto che, giustamente, è venuto spontaneo pensare che "l’atteggiamento della giurisprudenza non sia determinato dalla ragione tecnica della difficoltà di configurare come ingiusto il danno per lesione di interessi legittimi, ma sia viceversa spiegabile soltanto con ragioni di politica giurisprudenziale tesa a mantenere all’amministrazione una posizione differenziata e privilegiata" (4).
Tale ampliamento (dell’area d’ingiustizia del danno), peraltro, veniva compiuto, seppur con minore forza, anche in campo pubblicistico.
La giurisprudenza, infatti, utilizzando la figura del c.d. diritto affievolito (senza toccare quindi, come vedremo, l’interpretazione classica dell’art. 2043 c.c.) veniva ad acconsentire ad alcune ipotesi di risarcibilità degli interessi legittimi oppositivi (5).
Pertanto, il problema della risarcibilità degli interessi legittimi prima del decreto legislativo n. 80/1998 (come, del resto, ricordato anche dalla sentenza n. 500/99) riguardava solo quelli che sogliono definirsi interessi legittimi pretensivi.
Per la dottrina e la giurisprudenza, infatti, è pacifica, in caso di lesione per effetto di atti illegittimi, la risarcibilità degli interessi legittimi c.d. oppositivi, anche se, per la verità, in ambito giurisprudenziale si parla non tanto di interessi legittimi oppositivi, quanto di diritti c.d. affievoliti.
E’ questa, indubbiamente, una differenza non da poco: sostanzialmente, le due situazioni sono estremamente differenti.
Il diritto affievolito, infatti, non è una situazione giuridica intermedia tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, ma uno schema logico-descrittivo, con il quale si indica quel fenomeno giuridico in cui vi è compresenza di un diritto soggettivo e di un interesse legittimo (che è la posizione sostanziale da azionare contro l’esercizio illegittimo del potere della p.a. di estinguere o modificare tale diritto).
I diritti affievoliti sarebbero dunque non altro che "interessi legittimi oppositivi dietro ai quali c’è un diritto soggettivo" (6).
Diversamente, l’interesse legittimo-oppositivo, in sé e per sé considerato, non è altro che una posizione sostanziale tesa a conservare un’utilità già facente parte del patrimonio giuridico del suo titolare.
Come ben si capisce, nel primo caso il risarcimento dei danni avviene sulla base di una condotta illecita della p.a., impeditiva del godimento di una posizione giuridica di diritto soggettivo: il danno immediato e diretto si produce, quindi, su tale posizione giuridica; nel secondo caso, invece, il privato viene risarcito in quanto l’ingiustizia del danno si produce immediatamente in capo all’interesse legittimo oppositivo, dando così la possibilità di richiamare l’art. 2043 c.c..
Malgrado tale diversità, però, la Corte di Cassazione sostiene, e non a torto, che, in punto di fatto, sia stata riconosciuta la risarcibilità degli interessi legittimi oppositivi, anche se, aggiungiamo noi, il più delle volte con delle trasformazioni in diritti soggettivi di posizioni giuridiche prima pacificamente qualificate come interessi legittimi, in modo da far rientrare tutto nello schema dei diritti affievoliti, in modo tale, cioè, da poter continuare a sostenere l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. ai soli diritti soggettivi.
3. "Quattro piccole cause" del revirement della Cassazione (7).
Alla base del proprio revirement la Suprema Corte ha indicato quattro cause : "il radicale dissenso sempre manifestato dalla quasi unanime dottrina"; "il progressivo formarsi di una giurisprudenza di legittimità volta ad ampliare l’area della risarcibilità ex art.2043 c.c."; "le perplessità più volte espresse dalla Corte Costituzionale circa l’adeguatezza della tradizionale soluzione fornita all’arduo problema"; "gli interventi legislativi di segno opposto alla irrisarcibilità, culminati nel D.L.vo 80 del 1998".
3.1. Ora, non è vero che "sempre" "la quasi unanime dottrina" ha criticato e osteggiato l’indirizzo giurisprudenziale dell’irrisarcibilità.
Tanto è vero che questa stessa dottrina "quasi unanime" ha faticato a mettersi d’accordo sul significato e sulla consistenza giuridica della locuzione "interesse legittimo", primo passo sulla via della risarcibilità (8).
Ma anche quando si è iniziato a ricostruire l’interesse legittimo come interesse materiale, non tutti gli studiosi, e meno che mai la "quasi unanimità", hanno accolto la tesi della risarcibilità (a verifica di questo basti rileggere gli atti del convegno di Napoli del 1963 e di Roma del 1982).
Solo nell’ultimo decennio, invece, come dimostrano i lavori del XLIII Convegno di Varenna, si può veramente affermare che la dottrina "quasi unanime" è d’accordo nel rigettare la irrisarcibilità giurisprudenziale degli interessi legittimi.
3.2. La seconda causa che per la Cassazione ha portato al revirement è consistita nell’ampliamento di fatto dell’area di applicazione dell’art.2043 c.c..
Abbiamo visto sopra come questa affermazione sia nella sostanza vera; ciò che però non ci convince è che tale ampliamento sia stato effettivamente alla base del revirement.
Ci spieghiamo meglio: fermo restando che ogni uomo possa cambiare idea, ci fa un po’ specie che la Suprema Corte, la stessa che nel corso degli anni non aveva dato alcun peso, in punto di risarcibilità degli interessi legittimi, a tale ampliamento (che, pure, era arrivato a ricomprendere situazioni giuridiche lontanissime dal diritto soggettivo perfetto, soprattutto per merito, va detto, della stessa Cassazione), abbia avuto nella sentenza 500/99 una "folgorazione sulla via di Damasco", e ,quasi per incanto, si sia resa conto di aver "dimenticato" di ricomprendere nell’ambito dell’art.2043 c.c. gli interessi legittimi.
In buona sostanza, quello che qui si contesta non è tanto la veridicità dell’affermazione giurisprudenziale, ma che essa sia veramente a fondamento del revirement.
3.3. Le stesse considerazioni testé svolte valgono, peraltro, sia per il richiamo alla spinta della dottrina, sia per il richiamo alla spinta data, nel corso degli anni, dalle perplessità sollevate dalla Corte Costituzionale: in tutti e tre i casi, fino alla sentenza 500/99, la Suprema Corte aveva fatto muro, si era "pietrificata".
Cos’è veramente, dunque, che ha "illuminato" la Suprema Corte? Le indicazioni legislative precedenti l’art.35 del D.L.vo 80/98? Lo stesso articolo appena richiamato? Vediamo.
3.4. Per ciò che riguarda le norme entrate in vigore prima dell’art. 35 D.L.vo 80/98 - e che vengono puntualmente richiamate dalla Cassazione nella sentenza 500/99 -, la vicenda dell’art. 13, L. 19.2.1992, n. 142, è per molti versi assai significativa e paradigmatica del comportamento della stessa Corte nei confronti di norme di fattura simile.
Tutti sanno, infatti, come anche quest’articolo fosse stato salutato da parte della dottrina come prima "termite comunitaria", ma poi, tale esaltazione si era scontrata con la contropiedistica affermazione giurisprudenziale per la quale esso esprimeva l’eccezione al principio generale dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi (8 bis). Tali norme, quindi, non hanno avuto alcuna fortuna nel tentativo di abbattere il muro giurisprudenziale.
Cosa dispone, dunque, l’art. 35 D.L.vo 80/98, da avere per la S.C. una "indubbia forza innovativa"?
L’art.35 D.L.vo 80/98, da molti considerato come la leva di archimediana memoria con cui alzare il mondo della giurisprudenza "pietrificata", stabilisce, al primo comma: "Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli artt. 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto".
Nel secondo comma, viene dato al G.A. il potere di stabilire i criteri sulla base dei quali la P.A. (o il gestore) devono quantificare la somma dovuta all’avente titolo.
Nel terzo comma si stabilisce che nelle materie dei servizi pubblici, di edilizia e urbanistica sono esperibili innanzi al G.A. tutti i mezzi di prova previsti dal c.p.c., ad esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento.
Nel quarto comma, riformulando l’art. 7, comma 3, L. 6.12.1971, n. 1034, si devolvono al G.A., nelle materie di giurisdizione esclusiva, tutte le questioni relative a diritti (anche, quindi, i diritti patrimoniali conseguenziali).
Nel comma quinto si abroga l’art. 13, L. 19.2.1992, n. 142, e ogni altra disposizione che preveda la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex artt. 33 e 34.
Letto il concreto disposto della norma, si può affermare che in essa, sia contenuto il principio della risarcibilità degli interessi legittimi? O, piuttosto, che sia l’interpretazione che della norma dà la Cassazione ad affermare tale "agognato" principio?
La seconda ipotesi ci sembra più rispondente al vero (9).
Anzi, per come l’art.35 comma 1 D.L.vo 80/98 è formulato, usando cioè la stessa clausola dell’art.2043 c.c., esso potrebbe essere interpretato in senso diametralmente opposto alla risarcibilità degli interessi legittimi, come strenuo tentativo del legislatore di assicurare alla P.A. un’area di "impunità".
In buona sostanza, si vuole qui sottolineare come anche quest’ultima giustificazione posta dalla Cassazione alla base del proprio revirement non sia pienamente condivisibile: non è la norma, ma l’interpretazione che di essa viene data ad affermare la risarcibilità.
E’ stato infatti giustamente affermato: "...non si comprende sinceramente come la portata della clausola del <<danno ingiusto>>, possa essere modificata dal diverso assetto della giurisdizione e dalla ampliata attribuzione cognitiva del giudice amministrativo" (10).
La giustificazione della Cassazione è evidentemente tautologica.
4. L’effettiva ragione del revirement della Cassazione.
Se le quattro cause del revirement indicate dalla S.C. sono tutte poco "credibili", qual è, dunque, il vero motivo?
Il motivo è lo stesso che stava alla base dell’incomprensibile mancato adeguamento della Cassazione alle spinte della dottrina, della Corte Costituzionale, della Comunità Europea: la preoccupazione che lo Stato italiano non potesse far fronte, da un punto di vista economico- finanziario, alle richieste di risarcimento di interessi legittimi, e che, ove questo principio si fosse affermato, si sarebbe presto giunti al tracollo delle finanze statali.
Ora che, invece, le basi della nostra economia sembrano essere più solide, e che il c.d. "Patto di Stabilità" dovrebbe garantire tale solidità anche in futuro, tale preoccupazione è andata scemando tanto da far sì che la Cassazione non ritenesse più necessario ergersi a baluardo delle casse della Stato. Essendo questo un motivo "politico", o comunque metagiuridico, è comprensibile che, sia prima che dopo il revirement, esso sia stato sottaciuto, anche se , ci pare, che fosse un segreto di Pulcinella (tutti lo conoscevano, nessuno lo menzionava).
5. Le soluzioni della Cassazione.
Quali che siano le sue motivazioni, la S.C. apre la strada alla risarcibilità degli interessi legittimi, esaminando, allo stesso tempo, una serie di problemi che tale petizione di principio fa sorgere: il valore dell’art. 2043 c.c.; la colpevolezza della P.A.; la determinazione della giurisdizione al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva.
Vediamo le soluzioni adottate dalla S.C..
5.1. La Suprema Corte rigetta la tradizionale interpretazione, pur sempre possibile come abbiamo visto, dell’art. 2043 c.c., stabilendo (finalmente, direbbe qualcuno) che l’ingiustizia non vada più riferita alla condotta ma al danno, per cui l’area della risarcibilità non è più costruita sulle norme recanti divieti, e perciò costitutive di diritti, ma sul valore generale conferito alla locuzione "danno ingiusto". In virtù di ciò, diviene risarcibile qualsiasi danno prodotto ad un interesse giuridicamente rilevante, purché, ovviamente, non vi siano cause di giustificazione.
Attraverso tale ricostruzione emerge, dunque, un art. 2043 c.c. non più norma secondaria, come sopra ricordato, ma "norma primaria volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui".
Conseguentemente, la Suprema Corte sottolinea come, innanzitutto, non abbia alcun rilievo, ai fini della configurabilità della tutela aquiliana, la qualificazione formale di una data posizione giuridica (in quanto ciò che rileva è l’ingiustizia del danno arrecato ad un interesse giuridicamente rilevante), e, in secondo luogo, come non sia possibile, in un sistema così ricostruito, stabilire a priori quali interessi siano meritevoli di tutela e, quindi, risarcibili: "caratteristica del fatto illecito così delineato... è - infatti - la sua atipicità".
A compiere questa operazione, attraverso un giudizio di comparazione tra gli interessi in conflitto (interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato e interesse che il comportamento lesivo dell’autore del fatto è volto a perseguire), per stabilire se sia giustificabile, o meno, il sacrificio dell’interesse del danneggiato e, dunque, la realizzazione del contrapposto interesse dell’autore della condotta, in ragione della sua prevalenza, sarà chiamato il giudice.
Nello specifico di un confronto con un’attività provvedimentale della P.A., che è ciò che ci interessa, la comparazione andrà fatta fra l’interesse individuale del privato e l’interesse ultraindividuale perseguito dalla P.A., non considerando la diversa qualità degli interessi in gioco, in quanto la prevalenza del secondo tipo di interesse (ultraindividuale) sul primo (individuale) e, di conseguenza, il sacrificio di quest’ultimo, trova giustificazione "soltanto se l’azione amministrativa è conforme ai principi di legalità e di buona amministrazione, e non anche quando è contraria a tali principî" (e contrassegnata non solo dall’illegittimità, ma anche dal dolo o dalla colpa; per questo aspetto v. infra).
Così, ricostruito l’illecito civile come atipico, la Corte, sul punto, conclude considerando superata in radice la teoria che nega la risarcibilità degli interessi legittimi.
La ricostruzione della Suprema Corte sembra non fare una piega; in realtà, essa rimane monca: una volta che si è ricostruito l’illecito civile come atipico, certamente si elimina un grosso ostacolo sulla via del risarcimento degli interessi legittimi, ma si deve ancora dimostrare che tale situazione giuridica possa rientrare nella clausola generale ex art. 2043 c.c., problema questo che la Corte, invece, non affronta in quanto lo dà scontatamente risolto in senso positivo.
Non si vuole, in questa sede, riaprire la problematica relativa alla consistenza giuridica dell’interesse legittimo, ma sottolineare come, ora più che mai, una volta riconosciuta la atipicità della clausola del risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., sia necessario qualificare tale situazione giuridica in senso compatibile con la sua supposta risarcibilità.
In buona sostanza, ci si deve chiedere se, accogliendo la teoria del Nigro di un interesse legittimo costituito da "poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere amministrativo, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all’utilità" (come fa la Corte nella sentenza in esame), la lesione del bene della vita (rectius: dell’utilità economica) a cui si ricollega l’interesse legittimo, pur derivando direttamente dalla lesione di quest’ultimo, non sia qualcosa di sostanzialmente differente.
E, dunque, ove si parlasse, in un tale sistema, di risarcimento di interessi legittimi, più correttamente occorrerebbe parlare di risarcimento dell’utilità economica la cui realizzazione è, in ipotesi, resa possibile proprio dall’interesse legittimo (11).
Tant’è che è la stessa Suprema Corte ad affermare che "la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (o colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita a cui l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo".
In concreto, dunque, la Corte crea un sistema in cui la lesione dell’interesse legittimo, oppositivo o pretensivo che sia, può essere qualificata come ingiusta, ma essa non è da sola sufficiente a determinare la sua risarcibilità.
Certo, quando si chiederà di aver risarcito un danno dovuto alla lesione di un interesse legittimo, si chiederà il risarcimento di tale interesse, ma è proprio questo che si otterrà in realtà? O non sarà piuttosto l’utilità economica, il bene della vita, meritevole di tutela che sta alla base di esso, ad essere realmente risarcito? (12).
Forse, dunque, si dovrà ancora discutere su che cosa sia, o debba essere, in funzione della sua risarcibilità, l’interesse legittimo.
5.2. Come sappiamo, per aversi responsabilità ex art. 2043 c.c. occorre non solo un danno ingiusto, ma anche una condotta dolosa o colposa (oltreché il nesso di causalità tra il fatto antigiuridico e il danno).
Superato il primo problema con la atipicità della clausola di responsabilità, la S.C. pone attenzione al problema della imputabilità (o, ancor meglio, della colpevolezza).
La posizione della Corte è chiara: la colpa (o il dolo) della P.A. come apparato non può fondarsi sul dato dell’illegittimità del provvedimento amministrativo (13), ma occorrerà che il giudice valuti, dopo la verifica dell’illegittimità del provvedimento, se l’adozione o l’esecuzione dell’atto illegittimo "sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità".
Giustamente la Corte ha ritenuto che la difficoltà della individuazione della colpa in ambito pubblicistico non costituisca argomento per escludere la necessità della sua ricerca, ma, semmai, un motivo per approfondire l’indagine sull’attività della P.A..
Ovviamente, il sistema normativo prettamente codicistico (e, dunque, privatistico), relativo alla responsabilità, è in parte inadeguato, e non potrebbe essere altrimenti, ai fini della determinazione della stessa in ambito pubblicistico; ciò non tanto sul piano della verifica della sussistenza della responsabilità, quanto sul piano della verifica dell’esistenza di eventuali cause di giustificazione.
In altre parole, gli strumenti metodologici per stabilire se la P.A. sia responsabile di un danno causato illecitamente relativamente ad un interesse legittimo ci sono e sono indicati dalla S.C.; ma quali sono i criteri di valutazione ai fini dell’individuazione ed applicazione alla P.A. delle cause di giustificazione? Quali sono, in buona sostanza, tali scriminanti? Considerato anche il fatto che le tipiche scriminanti privatistiche mal si adattano all’attività amministrativa, in quanto attività decisionale coinvolgente più organi con responsabilità diverse, non occorrerà, probabilmente, dar vita a nuove figure di cause di giustificazione "pubblicistiche"?
A questi interrogativi la S.C. non sa, o molto più probabilmente non vuole, rispondere (forse per evitare un obiter dictum?).
5.3. La Corte, nella parte finale della sentenza, stabilisce che il giudizio di risarcimento del danno, al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva, possa svolgersi pacificamente davanti al giudice ordinario senza il precedente e pregiudiziale annullamento dell’atto amministrativo da parte del G.A., non essendo più necessario far rivivere alcun diritto soggettivo.
Il G.O., dunque, nell’ambito dell’azione risarcitoria, può conoscere autonomamente della legittimità dell’atto amministrativo lesivo in quanto la sua illegittimità è necessaria sì, ma non sufficiente da sola, a far sorgere la responsabilità della P.A., dato che occorre pure la compresenza degli altri elementi integrativi della fattispecie.
Certamente questa è la parte della sentenza in esame che meno ci convince sotto il profilo delle soluzioni concretamente individuate: vediamo perché.
Innanzitutto, occorre prendere in considerazione la possibilità, non tanto remota, del prodursi di giudicati contrastanti fra loro, dovuti al fatto, ad esempio, che più soggetti lesi dal medesimo provvedimento scelgano di tutelarsi in due maniere differenti, l’uno richiedendo l’annullamento dell’atto amministrativo presso il G.A., l’altro richiedendo il risarcimento dei danni al G.O..
In secondo luogo, la stessa validità dell’affermazione, posta in radice all’autonoma conoscenza, da parte del G.O., dell’atto amministrativo illegittimo lesivo di interessi legittimi, è contestabile: vero è che l’illegittimità dell’atto amministrativo è solo un elemento per determinare responsabilità e risarcibilità, ma che da questo si possa affermare, per il G.O., la possibilità di fare a meno della pronuncia del G.A. relativa all’illegittimità, conoscendo egli direttamente dell’atto lesivo, ce ne corre.
Se poniamo mente, infatti, alla giurisdizione esclusiva nel periodo antecedente al D.L.vo 80/98, si vedrà come ogni richiesta di risarcimento del danno, che allora poteva riguardare solo diritti soggettivi, fosse di pacifica competenza del G.O., e che mai questo fece venire in mente che tale giudice potesse venire a conoscere in via principale (autonomamente) della legittimità dell’atto assunto come lesivo.
L’ipotesi è simile a quella cui fanno riferimento le Sezioni Unite; solo che, nel caso della tradizionale giurisdizione esclusiva, il diritto al risarcimento del danno è conseguenziale all’accertamento dell’illegittimità dell’atto lesivo del diritto soggettivo, mentre nel caso della sentenza 500/99 ci si riferisce ad un risarcimento conseguenziale all’accertamento di un atto lesivo di un interesse legittimo.
Come si vede, l’unica cosa che cambia, nelle due ipotesi, è la situazione giuridica soggettiva tutelata, ma non il rapporto tra l’accertamento della legittimità dell’atto amministrativo e la possibilità di ottenere il ristoro del danno patito.
Non si vede perché, dunque, dell’illegittimità dell’atto, nel primo caso, conosca esclusivamente il G.A., e nel secondo caso, invece, tale principio non valga, e dell’illegittimità possa conoscere autonomamente anche il G.O..
Paradossalmente, così, sul piano precipuo delle situazioni giuridiche tutelate, quella che può ricevere migliore e più rapida tutela diventa l’interesse legittimo (non ricompreso nella giurisdizione esclusiva del G.A.), per il cui ristoro non occorre più che il giudizio sulla legittimità dell’atto sia richiesto prima e in via pregiudiziale al G.A., ma può essere lasciato all’autonoma valutazione del G.O. in sede di verifica della sussistenza degli elementi necessari ai fini della risarcibilità.
Non solo, è chiaro anche che, in tale sistema, si tende a realizzare, nelle materie al di fuori della giurisdizione esclusiva, una contrapposta giurisdizione tendenzialmente piena del G.O., e, dunque, a ribaltare la sistematica della giurisdizione esclusiva cui siamo abituati.
Il giudice amministrativo, infatti, nella giurisdizione esclusiva, per precise norme di legge, conosce e di diritti soggettivi e di interessi legittimi; il giudice ordinario, con questa sistematica, viene anch’esso, ma senza alcuna norma di legge che lo preveda (neanche, ci sembra, le norme sulle giurisdizione del D.L.vo 80/98), a conoscere non solo del diritto al risarcimento ma anche degli interessi legittimi (e non) dalla cui lesione il primo trae origine (quasi realizzando, in tal modo, una giurisdizione esclusiva del G.O.). Il principio della non necessaria pregiudizialità dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto amministrativo lesivo dell’interesse legittimo da parte del G.A., affermato dalla S.C., non ci sembra, dunque, così pacifico.
Al limite, se vogliamo trarre un principio, in tema di giurisdizione, dalle norme recenti, esso può, forse, consistere - non essendo più la possibilità di condannare preclusa al G.A. - nell’attrazione che può svolgere la competenza relativa all’annullamento dell’atto sulla competenza al risarcimento, essendo il primo il presupposto necessario, seppur non sufficiente, del secondo (14).
Dott. Giovanni Ciaravino
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(1) Ex multis, Cass. SS.UU., 14.3.1991, n. 2723, in Foro it., 1992, I, 174; Cass. SS.UU., 25.1.1989, n. 439, in Giust. Civ., 1989, I, 842.
(2) Cass. SS.UU., 18.5.1995, n. 5477, in Foro it., 1996, I, 1008; Cass. SS.UU., 2.6.1992, n. 6667, in Resp. civ. prev., 1993, 576; Cass. SS.UU., 3.7.1989, n. 3183, in Giust. Civ. Mass., 1989, fasc. 7.
Tale mini-revirement della S.C. è dovuto, come sappiamo, alla ricezione da parte della stessa corte delle critiche trentennali della dottrina in relazione alla soluzione data precedentemente dalla stessa giurisprudenza alla questione della proponibilità dell’azione risarcitoria nell’ambito delle controversie tra privati, la cui prima formulazione ritroviamo in Cass. SS.UU. 29.5.1931, n. 1330, in Foro it., 1982, I, 701; per il revirement, vedi Cass. SS.UU. 15.6.1987, I, 2015, in Giust. Civ. 1987, I, 1913 ed in Giust. Civ. Mass. 1987, fasc. 6.
Questo secondo indirizzo giurisprudenziale, che ormai ha praticamente preso il posto del precedente, ha consentito, peraltro, alla dottrina di sostenere che esso implica "la considerazione per cui il giudice ordinario è strutturalmente, nel nostro ordinamento, il giudice del risarcimento del danno, e dunque non sussiste alcun ostacolo, in punto di giurisdizione, a che egli possa conoscere, dopo che il giudice abbia annullato l’atto illegittimo, l’interesse legittimo ingiustamente leso", Tassone S., Risarcibilità dell’interesse legittimo e problemi di giurisdizione, nota a Cass. SS.UU. 14.1.1992, n. 367, in Giust. Civ. 1993, I, 1313.
(3) Cass. SS.UU. 364/92.
(4) Scoca F.G., voce Interessi protetti (diritto amministrativo) in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, 17.
(5) La dottrina, dal canto suo, già al convegno di Napoli del 1963 parlava di risarcibilità dei diritti affievoliti, da un lato limitandola a posizioni originariamente di diritto soggettivo, dall’altro escludendo il risarcimento degli interessi legittimi veri e propri.
(6) Cerulli Irelli - Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, pag. 681
(7) Si riecheggia qui il titolo di un noto romanzo di Agatha Christie, "Dieci piccoli indiani" (o secondo altro titolo "E poi non rimase nessuno..."), in cui poco a poco tutti i protagonisti muoiono assassinati fino al momento, appunto, in cui nessuno di essi rimane più in vita; ed è un po’ ciò che accade, dopo attenta analisi, anche alle quattro cause richiamate dalla S.C. come base del proprio revirement. Intendiamoci, non che esse siano pretestuose o infondate, solo che , a nostro avviso, il vero motivo di tale cambiamento è, come si vedrà, un altro.
(8) Difatti, ancora nel 1987 durante una Tavola Rotonda dal titolo "Ma che cos’è questo interesse legittimo?", tenutasi il 16 marzo 1987 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università "La Sapienza" di Roma (Foro Amm., 1988, II, 317), Mario Nigro così affermava: "L’espressione con cui è indicato il tema della tavola rotonda riprende il titolo di un famoso (ai suoi tempi) romanzo umoristico di Achille Campanile: Ma che cos’è questo amore?". Con l’amore l’interesse legittimo, che fra l’altro è un’arma non un fiore di pace, non ha nulla in comune, tranne forse una: che sulla piccola scena della giustizia amministrativa si parla molto di interesse legittimo, come sul grande palcoscenico del mondo si parla molto d’amore, e l’uno e l’altro restano, nonostante ciò, fenomeni piuttosto misteriosi (ivi).
(8 bis) Per tutte, Cass. SS.UU., 20.4.1994, n. 3732, in Giur. It., 1995, I, 1, 249: se con l’art. 13, 1° comma, il legislatore ha sentito la necessità di prevedere il risarcimento dei danni per la lesione di posizioni soggettive non espressamente definite, ma in teoria riconducibili ad interessi [legittimi]... ciò significa che per questi ultimi, allo stato, non esiste in linea di principio una tale tutela".
(9) Ciò per ricordare che, come diceva N. Bobbio, il diritto vive nell’interpretazione e, dunque, se si è tutti d’accordo nel dare un certo significato ad una norma, quello sarà il suo disposto anche quando la norma statuisse cosa diversa.
Cosa vi è, dunque, di veramente nuovo nell’art. 35 del D.L.vo n. 80/98?
Una importante novità, la norma la contiene, ovverosia adesso è il G.A., nei casi richiamati dal 1° comma dell’art. 35, a decidere sulla risarcibilità o meno della situazione giuridica soggettiva lesa.
In fondo, come giustamente è stato ricordato, "sinora il generalizzato rifiuto è venuto dalla Cassazione e non dal giudice amministrativo, che - dove poteva (e cioè in casi di giurisdizione esclusiva) - ha emanato sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, anche se però solamente in presenza di diritti", Cirillo Giampiero Paolo, in Cons. di Stato, Luglio-Agosto 1999, II, 1217.
(10) Passanisi Luigi, in Rivista on line Diritto & Diritti.
(11) Lo stesso Nigro sottolinea come, o si amplia l’efficacia dell’interesse legittimo, oppure si deve "ammettere che a fianco o a presupposto dell’interesse legittimo vi sia qualche altra cosa, un elemento che renda l’interesse legittimo una situazione giuridicamente rilevante per i fini della responsabilità civile" (Nigro M., "Introduzione", "La responsabilità per lesione di interessi legittimi", Atti della Tavola Rotonda, tenutasi a Roma il 24.4.1982, in Foro Amm. 1982, I, 1671).
(12) Basti a questo proposito ricordare che la Suprema Corte afferma: "Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà vagliarsi la consistenza della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del pretendente"; saranno dunque tali istanze, ove lese, ad essere eventualmente risarcite.
(13) La S.C. qui giustamente vuole evitare che si renda applicabile anche agli interessi legittimi il principio relativo ai diritti soggettivi secondo cui la colpa della P.A. sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di un atto amministrativo illegittimo in quanto tale principio "non è conciliabile con la più ampia lettura della suindicata disposizione".
(14) Sembra andare in tale direzione il disegno di legge sul nuovo processo amministrativo approvato dal Senato nell’aprile dello scorso anno in cui si legge: "Il Tribunale amministrativo, nelle materie deferite alla sua giurisdizione, conosce anche delle questioni concernenti l’eventuale risarcimento del danno e gli altri diritti patrimoniali conseguenziali".