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GIUSEPPE CIAGLIA
(Avvocato)
La
semplificazione dell’attività dell’amministrazione.
La semplificazione
normativa.
![]()
1. Premessa e descrizione del quadro di riferimento.
Con
la legge 24 novembre 2000, n. 340
– legge di semplificazione 1999 si riapre il discorso sulla politica
governativa di snellimento e razionalizzazione dell’attività
dell’amministrazione.
L'esigenza
di semplificare è intrinseca a tutti i sistemi complessi e, quindi, in
particolare, al nostro sistema amministrativo.
Non
si pensi, tuttavia, che sia un’esigenza solo italiana.
L'iniziativa
del governo in materia di redazione di testi unici, semplificazione e
delegificazione è strettamente connessa ai processi che l'Unione europea, l’OCSE
(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), l’FMI (Fondo
Monetario Internazionale) e il WTO (World Trade Organization - Organizzazione
Mondiale per il Commercio) nonché molti dei paesi economicamente più
sviluppati hanno di recente intrapreso in materia di riforma della regolazione [1].
Molto
frequenti sono stati, quindi, gli scambi bilaterali con i principali governi
europei e, in particolare, con la Francia, che ha da tempo avviato un processo
di codificazione del diritto vigente, con il Regno Unito, che con il governo
laburista ha trasformato la politica di “deregulation” in politica di
“better regulation”, con la Spagna. Stretti contatti sono stati altresì
tenuti con il governo americano, che sotto la guida del vicepresidente Gore, ha
intrapreso una poderosa opera di riduzione della normativa in vigore, che
avrebbe dovuto portare al dimezzamento della stessa.
Sul
piano delle istituzioni comunitarie, ben tre risoluzioni del Parlamento europeo
hanno stigmatizzato la necessità di pervenire ad una migliore qualità
redazionale dei testi legislativi, richiedendo che la forma dell'azione
comunitaria sia quanto più possibile semplice e che la Comunità legiferi
soltanto per quanto necessario [2].
Sulla
stessa linea di tendenza si pongono, altresì, numerose risoluzioni delle
sopracitate organizzazioni internazionali che, ponendo in risalto la
spropositata crescita del numero di leggi e regolamenti vigenti [3],
affermano che se “la regolazione ha
aiutato i governi ad ottenere risultati importantissimi nel proteggere un'ampia
gamma di valori sociali ed economici, attualmente le tradizionali forme
amministrative di controllo e supervisione non appaiono adatte ad assicurare che
i crescenti poteri regolatori siano utilizzati in maniera efficace dal punto di
vista dei costi e coerente col raggiungimento di quei risultati”.
2. Rapido excursus storico sulla attività di semplificazione in Italia.
La
necessità di semplificare il nostro sistema amministrativo, avvertito come
pesante, lento, inefficace, più spesso di ostacolo che di supporto, è stata
ripetutamente affermata sin dall'inizio del secolo scorso.
Già
nei primi anni successivi all'unificazione d'Italia erano state rilevate
inefficienze e carenze del sistema amministrativo.
Fra
il 1918 ed il 1992 furono redatti circa 60 progetti di riforma della pubblica
amministrazione: oltre un terzo di questi contenevano proposte dirette alla
semplificazione dell'azione amministrativa e almeno sei erano direttamente
finalizzati a tale scopo [4].
Inoltre,
diverse commissioni furono incaricate dell’approfondimento della tematica
relativa alla lentezza ed inefficienza dell’amministrazione pubblica
nazionale: tra gli studi più importanti possiamo ricordare quelli promossi dal
Ministero del Tesoro e dal Formez negli anni '60/'70 [5]
ed il famoso rapporto Giannini sullo stato dell'amministrazione pubblica del
1979.
Tuttavia,
salvo alcune eccezioni, le proposte di riforma non hanno avuto alcun seguito
nelle leggi e hanno riguardato, perlopiù, specifici procedimenti (si pensi, ad
esempio, alle norme sulla semplificazione dei ricorsi amministrativi contenute
nel d.P.R. n. 1199/71).
Solo
con gli anni ‘90 la semplificazione dei procedimenti amministrativi diviene
obiettivo generale della funzione di indirizzo politico e parte qualificante del
programma di governo.
Per
dar conto di questa affermazione si può fare riferimento ad un indicatore, sia
pure assai rudimentale, come la ricerca di tutti i provvedimenti legislativi
emanati dall'unificazione ad oggi e contenenti il termine “semplificazione”.
Si ottengono, così, oltre 600 documenti dei quali circa i tre quarti emessi
nell'ultimo decennio: il più antico è il regolamento 25 maggio 1895, n. 350,
sul collaudo dei lavori dello Stato di competenza del ministero per i lavori
pubblici; il più recente è dato dalla legge 24 novembre 2000, n. 340, recante
disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione dei
procedimenti amministrativi-legge di semplificazione 1999.
Dal
1990 ad oggi, quindi, circa 500 provvedimenti si occupano a vario titolo di
semplificazione e almeno sette leggi ne disciplinano, in via generale, principi
e modalità attuative: si tratta delle leggi nn.241/90, 537/93, 59/97, 127/97,
191/98, 50/99 e, appunto, della legge n. 340/2000. Oltre a ciò una congerie di
regolamenti contenuti, a seconda della loro rilevanza ed importanza, in d.P.R. o
decreti legislativi.
3.
Le ragioni della complicazione.
Diverse,
e di diversa natura, sono le cause dell’attuale livello di complicazione che
caratterizza l’azione dell’amministrazione in Italia.
Il
primo fattore, comune anche ad altri ordinamenti, deriva dal rilevante aumento
degli interessi che il nostro ordinamento riconosce come meritevoli di tutela.
Le società moderne, infatti, hanno notevolmente esteso l'ambito delle attività
che l'apparato amministrativo è tenuto a svolgere. Ne deriva,
conseguenzialmente, l'incremento della produzione normativa e della attività
amministrativa volte al soddisfacimento di tali interessi.
In
secondo luogo, ha contribuito il moltiplicarsi dei soggetti cui è attribuito il
potere normativo per effetto della internazionalizzazione della regolazione e
della globalizzazione dei mercati, con sovrapposizione di diversi livelli
normativi (regionale, statale, comunitario ed internazionale). A ciò si
aggiunga, sul piano della normazione secondaria, la pluralità dei soggetti
abilitati a produrre norme, di carattere generale o settoriale [6].
Altri
fattori di complicazione sono dati da: la dispersione delle competenze tra un
elevato numero di uffici; il peculiare conformarsi dei rapporti tra
amministrazioni centrali ed amministrazioni periferiche e tra queste e le
amministrazioni locali; la pesantezza e l’invasività dei controlli;
l’eccessiva lunghezza e complessità dei procedimenti; l’inefficienza e
l’inefficacia, per molti aspetti, del sistema di giustizia amministrativa.
Ciò
ingenera una generalizzata insoddisfazione nei confronti del nostro apparato di
governo, insoddisfazione resa ancor più acuta dal confronto con altri più
efficienti sistemi amministrativi appartenenti alla medesima Unione Europea [7].
Le
conseguenze di tale situazione sono, quindi, assai gravi e facilmente intuibili.
Innanzitutto,
la complicazione comporta costi enormi per l’amministrazione, i cittadini e le
imprese: è stato calcolato che una riduzione dei tempi dei procedimenti
amministrativi di appena il 10% farebbe risparmiare ogni anno 100 mila giornate
lavorative dei dipendenti pubblici ed un numero ancora superiore alle imprese.
Quindi,
il diffondersi della corruzione. La connessione tra i due fenomeni, che pure
potrebbero sembrare assolutamente distinti, è tuttavia abbastanza evidente: la
complicazione delle procedure dell'azione amministrativa favorisce la corruzione
in quanto quest'ultima finisce per essere vista come l'unico strumento di
soluzione dei problemi di lentezza e farraginosità della macchina
amministrativa.
Ciò
ha fatto sì che nel decennio che va dal 1990 ad oggi si sia notevolmente
accresciuta l'importanza attribuita alla semplificazione amministrativa.
4.
I motivi della semplificazione.
Tale
accresciuta importanza può spiegarsi con riferimento a diversi ordini di
motivi.
Il
primo è interno alla disciplina del procedimento amministrativo dettata dalla
legge n. 241/90: la legge, infatti, imponendo all'amministrazione di fissare i
tempi di conclusione dei procedimenti e di emanare al riguardo specifici
regolamenti, consente di monitorare l'efficacia dell'azione
dell'amministrazione, rilevando le eventuali eccessive lungaggini.
In
secondo luogo, alla semplificazione amministrativa sono ricollegati obiettivi di
contenimento della spesa pubblica: non è casuale che un'importante serie di
disposizioni di semplificazione siano contenute
in una legge finanziaria, la legge n. 537/93, collegato alla finanziaria
del 94.
Al
contenimento della spesa pubblica si ricollega anche una riduzione dei costi a
carico del sistema produttivo. Sotto questo aspetto può immediatamente
rilevarsi che la maggior parte dei procedimenti oggetto di semplificazione, di
liberalizzazione, o di delegificazione abbiano ad oggetto attività di interesse
delle imprese.
Inoltre,
la semplificazione risponde a quella logica di nuova impostazione dei rapporti
tra cittadino e pubblica amministrazione che permea le riforme adottate nel
corso degli anni 90 riconoscendo, in capo al cittadino, un vero e proprio
diritto alla semplicità dell'azione amministrativa.
Infine,
la semplificazione è necessità imposta dall'appartenenza dell'Italia
all'Unione Europea: necessità indotta sia dal recepimento della normativa
comunitaria che è, per sua natura, più semplice e snella di quella nazionale;
sia dalla competizione creata dall'appartenenza all'Unione per l'ottenimento dei
fondi comunitari, dirottati sui paesi che dimostrano le migliori capacità
organizzative e di spesa.
Esaminate
le ragioni del perché si semplifica, passiamo ora a vedere come e cosa si
semplifica.
Gli
istituti di semplificazione costituiscono applicazione dei criteri di: 1)
economicità; 2) efficienza; 3) efficacia; 4) non aggravamento, cui deve essere
informata l’attività dell’amministrazione. Criteri tutti contemplati
dall'articolo 1 della legge 241/90 e derivanti dal principio di buon andamento
dell'amministrazione posto dall'articolo 97 della Costituzione.
Con
gli anni ’90, dunque, e, più in particolare, con l’entrata in vigore della
legge n. 241, la semplificazione diviene obiettivo generale della funzione di
indirizzo politico e parte qualificante del programma di governo.
Gli
istituti di semplificazione, per come si sono andati sviluppando dal ’90 ad
oggi, agiscono su tre fronti distinti:
1)
sul piano normativo attraverso i meccanismi della
a)
deregolazione (o deregulation);
b)
delegificazione/regolamentazione;
c)
codificazione/accorpamento dei testi normativi.
2)
sul piano procedimentale attraverso i meccanismi della liberalizzazione di molte
attività e della semplificazione dei procedimenti amministrativi.
3)
sul piano documentale attraverso la semplificazione della documentazione
amministrativa ed il ricorso alla autocertificazione.
Rinviando
ai prossimi numeri la trattazione delle ultime due tematiche (semplificazione
delle procedure e della documentazione amministrativa), esaminiamo più
specificamente gli aspetti relativi alla semplificazione delle norme.
Sotto
tale profilo, relativo alla revisione del corpus
normativo vigente, può osservarsi come l’attività di semplificazione
intrapresa in Italia si sia avvalsa soprattutto dello strumento della
delegificazione, attraverso la previsione di un cospicuo numero di regolamenti
delegificanti, fonti di rango secondario, che vanno a sostituire norme
legislative di rango primario, e, più di recente, della codificazione. È
stata, invece, sin qui trascurata la via dell'eliminazione di ogni disciplina
normativa (deregolazione) per interi
settori dell’ordinamento.
5.1. La delegificazione.
Una
delle cause principali della complicazione amministrativa risiede, come si è
visto, nella complessità del sistema normativo vigente: le disposizioni
regolatrici dei procedimenti sono tutte dettate con legge, e quindi
difficilmente modificabili, e sono altresì contenute in moltissimi i testi
normativi spesso non coordinati tra loro.
Sin
dagli anni ’80, dunque, il dibattito sul nuovo assetto da dare al sistema
normativo si è incentrato sulla delegificazione, intesa nel senso di
sostituzione di norme legislative con norme regolamentari[8].
Come
s'è detto, la delegificazione, che è un modo di produzione delle regole
giuridiche, consiste nella sottrazione di una determinata serie di rapporti alla
disciplina legislativa e nell'affidamento di quegli stessi rapporti alla
normazione secondaria, costituita dai regolamenti: le leggi restano a fissare la
sola disciplina di principio, dettando le norme sostanziali, e lasciando ad
altre norme, di rango secondario (o regolamentare), la disciplina di dettaglio
dei medesimi rapporti [9].
Le
cause della delegificazione sono chiare, e si sono in parte già spiegate:
l'esistenza in Italia di un numero abnorme di leggi statali, spesso di
dettaglio, afferenti a problematiche settoriali e transeunti, fa sì che
l'intero sistema risulti ingessato e bloccato in una situazione che il
costituzionalista Lucio Barbera ha autorevolmente definito di “cementificazione
legislativa”.
Per
porre rimedio a questa situazione, diversi successivi provvedimenti legislativi
(in particolare: l’art. 2 della legge n. 537/93; l’art. 20 della legge n.
59/97, come successivamente modificato dalle leggi nn. 191/98 e 50/99) fino alla
recentissima legge n. 340/2000 hanno previsto la delegificazione della
disciplina regolatrice di oltre duecento procedimenti, demandando la stessa a
regolamenti governativi, da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo la tecnica introdotta dalla legge n.
537/93.
Il
meccanismo della delegificazione opera nel modo seguente. In un primo momento,
di carattere negativo, si afferma che determinati rapporti, materie e funzioni
amministrative non devono essere disciplinate da legge ma da regolamento: si
prevede, pertanto, con la legge delegificante (o di delegificazione),
l’abrogazione delle relative disposizioni legislative [10]
e si demanda la disciplina di quei rapporti e di quelle materie ad un
regolamento di futura emanazione. In un secondo momento, di carattere positivo,
si emette la norma regolamentare, con ciò determinando l’effettiva
sostituzione della nuova disciplina alla vecchia e la definitiva abrogazione di
quest’ultima.
La
delegificazione non è, tuttavia, priva
di aspetti problematici.
Innanzi
tutto, occorre vedere quali leggi siano delegificabili.
La
delegificazione, infatti, è condizionata dalla gerarchia delle fonti, per cui
il regolamento non può delegificare una norma di grado superiore. È perciò
necessaria la equiordinazione della norma delegificante (che deve, pertanto,
necessariamente essere contenuta in una legge o in atto avente pari dignità) e
della legge ordinaria che deve essere delegificata [11].
Ne
deriva che quando un atto di livello superiore (ad es., Costituzione o legge di
principio) stabilisce che una certa materia deve essere riservata alla legge
ordinaria, la legge di delegificazione non può superare questa riserva, e
procedere alla nuova disciplina di quella materia con norme di rango secondario.
Altro
aspetto problematico si ha con riferimento ai rapporti tra regolamenti di
delegificazione e leggi regionali. I regolamenti di delegificazione hanno,
infatti, spesso ad oggetto materie per le quali sussiste, ai sensi dell’art.
117 della Cost., potestà legislativa regionale ripartita o concorrente (si
pensi all’urbanistica ed ai molti regolamenti di delegificazione che hanno ad
oggetto procedimenti di natura edilizia o di pianificazione urbanistica [12]).
Potrà in questi casi, senza infrangere l’attuale sistema gerarchico delle
fonti, il regolamento sostituirsi ad una legge regionale della quale la legge
delegificante (che prende in considerazione le sole leggi statali) non prevede
l’abrogazione?
E
cosa avverrà quando la legge di delegificazione non preveda espressamente
l’abrogazione di tutte le disposizioni di legge che disciplinano quel
determinato procedimento? Cosa poi se nel mentre dell’emanazione del
regolamento delegificante altre e nuove disposizioni legislative – non
previste dalla legge di delegificazione e, pertanto, resistenti all’efficacia
abrogatrice della stessa – intervenissero a disciplinare la stessa materia?
Su
altro piano, poi, possono ritenersi delegificabili gli atti legislativi che
recepiscono le direttive dell’Unione Europea?
Il
Legislatore ha cercato, con specifiche previsioni introdotte nell’art. 20
della prima legge Bassanini, di dare risposta a questi interrogativi [13];
ma non sempre il tentativo appare riuscito ed il risultato soddisfacente.
5.2. La codificazione.
L’esperienza
di codificazione in Italia è da sempre caratterizzata da sporadicità e
disomogeneità, a differenza di quella in atto da tempo in altri paesi, quali la
Francia, in cui esiste, sin dal 1948, una apposita struttura specificamente
dedicata a tale attività [14].
Di
contro, nel nostro paese è stata effettuata, sin dai primi anni del '90 e fin
quasi ai giorni nostri, un'opera sistematica di decodificazione, caratterizzata
dall'abbandono di forme di legislazione codicistica e dalla creazione di leggi
che sono diventate sempre più numerose fino a portare all'attuale situazione
inflattiva.
Più
recente, quindi, e ancor più scarsamente attuato rispetto al parallelo processo
di delegificazione, è il fenomeno della codificazione, originariamente
introdotto dall’art. 20, comma 5, lett. d), della legge n. 59/97 [15],
e sviluppato e portato a compimento, con fissazione di specifica e dettagliata
disciplina, dall’art. 7 della legge n. 50/99 (come modificato dall’art. 1,
comma 6, della legge n. 340/2000).
Ai
sensi dell'art. 7, comma 1, della legge n. 50/99, attraverso la codificazione
dovrebbe pervenirsi al riordino delle norme legislative e regolamentari che
disciplinano le fattispecie procedimentali previste da una serie di disposizioni
normative, fra le quali gli artt. 4 e 20 della legge n. 59/97, l'allegato 3
della stessa legge e le successive leggi annuali di semplificazione [16].
Con
l’art. 7 della legge n. 50/99 la
codificazione viene, invece, elevata a sistema, venendo a perdere quei tratti di
estemporaneità che la avevano sin qui caratterizzata.
La
relativa attività viene, altresì, puntualmente disciplinata dal secondo comma
dello stesso articolo, che detta criteri e principi direttivi uniformi per tutti
i testi unici di futura emanazione.
L'articolo
7, comma 2, della legge n. 50/99 prevede, altresì, che al riordino delle norme
oggetto di codificazione si debba procedere mediante l'emanazione di testi unici
riguardanti materie e settori omogenei, comprendendo, in un unico contesto e con
le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari
vigenti.
La
scelta del Legislatore è andata, dunque, nel senso della contestuale
delegificazione di quelle stesse materie che si andavano a codificare: la norma
sopra citata attribuisce, infatti, al Governo potestà delegificante, attraverso
l'emanazione di testi unici che contengano norme sia primarie che secondarie. Il
testo unico si viene così a comporre di un duplice livello di fonti normative,
ferma restando la distinzione all'interno dello stesso tra parte legislativa e
parte regolamentare[17].
Proprio
in ciò sta, tuttavia, l’elemento di maggiore perplessità dei meccanismi di
codificazione recentemente introdotti. Infatti, come correttamente rilevato in
sede di primo commento alla legge n. n. 50/99[18],
non convince appieno la previsione secondo cui debbano convivere in un unico
atto disposizioni di rango differente, legislativo e regolamentare.
E
ciò soprattutto se il procedimento di approvazione del testo unico sarà, come
previsto dall’art. 7, comma 4, della legge n. 50/99, in tutto simile a quello
previsto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400/88, e si concluderà con
l’emanazione di un d.P.R., assumendo la forma del regolamento governativo. E,
quel che è peggio, senza che alcuna disposizione di rango primario abbia
indicato le norme legislative delle quali l’entrata in vigore del testo unico
dovrebbe comportare l’abrogazione (norme la cui abrogazione dovrebbe pure
essere, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. f), esplicitamente prevista ed
indicata dal testo unico in apposito allegato).
L’unica
soluzione, a voler rispettare la gerarchia delle fonti, sarebbe quella di
sostituire le norme delegificate con altre norme legislative che, uniche,
potrebbero prevedere abrogazioni di norme di pari rango.
Ma,
se così fosse – e così non dovrebbe poter essere, a voler rispettare il
procedimento di emanazione del testo unico disciplinato dall’art. 7 della
legge n. 50 – non si tratterebbe di vera delegificazione, restandosi comunque
legati alla fonte legislativa.
6. Considerazioni conclusive.
Come
si è potuto osservare, la strada scelta dal Legislatore per porre rimedio alla
situazione gravemente inflattiva della legislazione di diritto pubblico in
vigore nel nostro paese, è tutt’altro che facilmente percorribile.
Rimane,
infatti, di difficile composizione il principale dilemma della delegificazione,
costituito dal rapporto intrinsecamente conflittuale tra leggi delegificate e
regolamenti delegificanti.
Sussiste,
infatti, l’ineliminabile difficoltà di rinvenire – almeno nel vigente
quadro delle relazioni tra le fonti normative –
meccanismi che consentano ad una fonte inferiore (regolamento o testo
unico di natura regolamentare) di modificare, abrogare o sostituire una norma di
rango superiore (legge o altro atto avente pari dignità).
Nonostante
tutto, la via intrapresa, benchè di ardua e problematica attuazione, merita di
essere percorsa sino in fondo. Ciò comporterà
un notevole sforzo e qualche
insuccesso [19],
ma se, a forza di successivi aggiustamenti (i meccanismi di delegificazione
originariamente ipotizzati dall’art. 2 della legge n. 537/93, sono già stati
modificati quattro volte: una prima volta, radicalmente, ad opera dell’art. 20
della legge n. 59/97, e quindi, in rapida successione, dalle leggi nn. 191/98,
50/99 e, recentissimamente, dalla legge n. 340/2000), si riuscisse a conseguire
il risultato previsto, l’effetto sarebbe di straordinario rilievo.
Si sarebbe, infatti, riusciti, in primo luogo, ad invertire la tendenza, caratterizzante il nostro ordinamento almeno a partire dagli inizi del ’900, a porre con legge (o altra fonte di rango primario) norme di dettaglio, organizzative e procedimentali (disciplinanti i modi di esercizio dell’attività dell’amministrazione [20] piuttosto che i poteri che alla stessa possono essere legittimamente attibuiti); quindi e di conseguenza, a limitare l’uso della fonte legislativa per dettare le sole norme sostanziali e relazionali, che, regolando i rapporti tra l’amministrazione e gli altri soggetti dell’ordinamento, definiscono il perimetro esterno dei confini entro cui i poteri dell’amministrazione possono essere legittimamente esercitati e devono, pertanto, essere necessariamente contenute in una legge.
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[1]
Si veda, in proposito, la relazione del Governo alla Parlamento per
l’adozione del programma di riordino delle norme legislative e
regolamentari prevista dall’art. 7, comma 1, della legge n. 50/99,
pubblicata in G.D.A. n. 9/1999, pagg. 903 e segg.. Per eventuali
approfondimenti sulle tecniche e le modalità di semplificazione nei sistemi
diversi dal nostro, si rinvia al lucidissimo scritto di M. Clarich, Modelli
di semplificazione nell’esperienza comparata, in Riv. Trim. Dir. Pub.,
3/98, pagg. 679 e segg.
[2]
Come, d’altronde, espressamente stabilito dall’art.
6 del protocollo annesso al trattato istitutivo dell'Unione.
[3]
Secondo
dati OCSE, nel Regno Unito la normativa di riferimento per il diritto
societario è passata dalle circa 500 pagine del 1980 alle oltre 3500 pagine
del 1991 (con un incremento di oltre sette volte) e in Francia, le
dimensioni del Journal Officiel (l'equivalente della nostra Gazzetta
Ufficiale) sono più che raddoppiate dal 1976 al 1990: la produzione annuale
di nuove leggi è cresciuta del 35% dal 1960 al 1990, e quella di
regolamenti del 25% circa. La lunghezza media delle leggi francesi è
passata dalle 93 righe del 1950 alle oltre 220 del 1991. Negli Stati Uniti,
il codice delle leggi federali si è dilatato dalle 55 mila pagine del 1970
sino alle quasi 140 mila pagine del 1995. Fenomeni analoghi si sono, poi,
registrati in quasi tutti i paesi industrializzati (Australia, Nuova
Zelanda, Canada, Spagna, Finlandia, Grecia). In controtendenza si pone la
sola Svezia, in cui il numero di nuove leggi e ordinanze si è ridotto dalle
quasi 5 mila del 1970 alle poco più di 2 mila del 1996, grazie ad un
sistematico processo di riforma della regolazione.
[4]
Una interessante ricostruzione dei suddetti tentativi di riforma può
leggersi in G. Melis, Storia
dell’amministrazione italiana, Bologna, 1996. Si veda pure, al
riguardo, G. Vesperini, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Riv. Trim.
Dir. Pub., 1998, III, pag. 655 e segg.
[5]
Ripubblicata nel volume Ricerca
sull’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni centrali
dello stato. Analisi delle procedure, Formez, 1983, Roma .
[6]
L'attuale
sistema delle fonti di diritto pubblico risulta così caratterizzato dalla
compresenza di: 1) costituzione, leggi costituzionali, e leggi di
approvazione degli statuti delle regioni a statuto speciale; 2) leggi di
principio e leggi quadro (es. leggi nn. 142/90 o 241/90);
3) leggi ordinarie ed atti aventi forza di legge; 4) fonti statutarie
regionali; 5) leggi regionali e delle province autonome; 6) regolamenti
statali; 7) regolamenti regionali; 8) statuti e regolamenti di enti locali
(comuni, province, comunità montane). A queste devono poi aggiungersi le
fonti di origine comunitaria - che non si inseriscono nel descritto sistema
gerarchico ma lo condizionano dal di fuori e dall'alto - e, per altro verso,
gli usi, le consuetudini e le prassi amministrative (espresse in circolari,
direttive, ordini di servizio, ecc.).
[7]
In questo caso, il confronto nasce dalla competizione fra sistemi
amministrativi, come parte della competizione fra economie nazionali, che
caratterizza l’accesso ai possibili benefici economici derivanti
dall’appartenenza all’unione europea.
[8]
In particolare l’art. 17 della legge n. 400/88 ha specificamente preso in
considerazione al comma 2 i regolamenti di delegificazione, disciplinandone
nel dettaglio il procedimento di emanazione.
[9]
Fino ad
arrivare ad auspicare, come fanno alcuni autori (A. Romano, I caratteri
originari della giurisdizione amministrativa e la loro evoluzione, in Dir.
Proc. Amm., 4/1994, pag. 659), una sorta di riserva costituzionale di
regolamento per determinate materie e per tutte quelle disposizioni che non
dettano norme sostanziali.
[10]
Seppure la concreta efficacia abrogatrice della legge delegificante è
rinviata al momento della concreta emanazione della norma regolamentare, per
non causare vuoti nella disciplina dell’istituto.
[11]
Si veda, sui rapporti che devono intercorrere tra norma delegificante e
norma delegificata, V. Italia, La
delegificazione, 1992, Milano.
[12]
Ci si
riferisce, ad es., al procedimento di rilascio della concessione edilizia e
di altri atti di assenso delle attività edilizie, la cui delegificazione è
prevista dall’allegato alla legge n. 59/97 (n. 105), come modificato dalla
legge n. 340/2000, o a quello di approvazione degli strumenti di
pianificazione attuativa.
[13]
Per esempio prevedendo che “nelle
materie di cui all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, i
regolamenti di delegificazione trovano applicazione solo fino a quando la
regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima”
(art. 20, comma 2, della legge n. 59/97, come modificato dall'art. 1 della
legge 340/2000) o che “le attività di semplificazione e di riordino previste dalla presente
legge, dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n.59, e successive
modificazioni, riguardano nelle materie ivi previste, anche le norme
procedimentali o organizzative introdotte fino alla data di entrata in
vigore della presente legge, nonché le norme introdotte entro un anno dalla
stessa data” (art. 9, comma 1, della legge n. 50/99).
[14]
Si tratta della Commission superieure de codification, che ha sostituito una
precedente struttura, con analoghe funzioni, istituita nel 1948. Si veda,
per eventuali approfondimenti, P. Marconi – C. Lacava, La legge di semplificazione 1998, in G.D.A., n. 5/99 pag. 407.
[15]
Che prevede la “riduzione del
numero di procedimenti amministrativi e accorpamento di procedimenti che si
riferiscono alla medesima attività, anche riunendo in un'unica fonte
regolamentare, ove ciò corrisponda ad esigenze di semplificazione e di
conoscibilità normativa, disposizioni provenienti da fonti di rango diverso”.
[16]
Tra le
materie oggetto di codificazione troviamo, così: programmazione e gestione
dei trasporti pubblici locali e regionali, disciplina delle attività
economiche e industriali e dei meccanismi di sostegno e incentivazione
dell'imprenditoria, ambiente e tutela del territorio, urbanistica ed
espropriazione, finanze e tributi, documentazione amministrativa ed
anagrafica, agricoltura e pesca e acquacoltura, università e ricerca,
pubblico impiego, istruzione non universitaria, debito pubblico, appalti
pubblici di beni, servizi e forniture.
[17]
Così, ad
esempio, nel testo unico sulla documentazione amministrativa, il primo
emanato in attuazione della delega di cui all'art. 7 della legge n. 50/99,
sono contenute sia norme legislative che regolametari, contraddistinte
rispettivamente dalla lettera "L" e dalla lettera "R".
Si veda ancora, sul punto specifico, P. Marconi – C. Lacava, cit., pag.
410.
[18]
Ci si riferisce allo scritto, già in precedenza richiamato, di F. Caso, Semplificazione quarto atto, Maggioli, Rimini, 1999, pag. 37.
[19]
Si consideri che, a fronte degli oltre 120 regolamenti delegificanti
previsti dalla legge n. 59/97, cui si sono aggiunti i 62 della legge annuale
di semplificazione 1998 (l. n. 50/99), ed ora i 63 della legge di
semplificazione 1999 (n. 340/2000), ne sono stati effettivamente emanati,
sino ad oggi, poco più di una ventina.
[20]
Sono queste le cd. "norme di azione”, che regolano, appunto,
l’azione dell’amministrazione, e la cui violazione dà luogo a quei
profili di illegittimità, censurabili innanzi al giudice amministrativo,
derivanti dal cattivo esercizio del potere amministrativo. Diverse da queste
sono le cd. “norme di relazione” che, proprio perché poste a
regolamentare le relazioni tra amministrazione ed amministrati, con ciò
definendo l’ambito entro cui i poteri dell’amministrazione possono
essere lecitamente esercitati, devono essere contenute, per scongiurare il
rischio di possibili arbitri od abusi, in fonte di rango primario,
promanante dal Parlamento, e non dal potere esecutivo che poi quelle stesse
norme sarebbe chiamato ad applicare. Per eventuali approfondimenti, può
rinviarsi ad A. Romano, I caratteri, cit., pag. 654 e segg.