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Contratto in genere —
Contratto di sostituzione di maternità in determinati casi— Validità.
In un’ottica che concepisce la società come un organismo in continua evoluzione, ove sia rispettata l’autorealizzazione individuale, deve essere riconosciuto, quale diritto fondamentale della persona, il diritto a diventare genitori e di valutare e decidere le scelte in relazione al bisogno di procreare, con la precisazione che lo status genitoriale può trovare completezza nell’adozione ma anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico, dovendosi, quindi, propendere in determinati casi, per la validità del contratto di sostituzione di maternità.
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GIUSEPPE CASSANO
(Cultore della materia in Istituzioni di diritto privato
nell’Università LUISS di Roma)
La cicogna con il temporizzatore:
fremiti di novità in tema di maternità surrogata (*).
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Ancora una nuova frontiera del diritto di famiglia [1] in materia di procreazione medicalmente assistita.
Il
caso, salito alla ribalta della cronaca, è quello di una donna affetta da
sindrome di Rokitansky-Kuster, una patologia caratterizzata da una malformazione
dell’apparato genitale. Non ha l’utero, ma può produrre ovociti. Con il
marito desidera un figlio, e prima di decidere per l’adozione, prova a
percorrere la via della fecondazione artificiale. E’ il 1994, quando i coniugi
si rivolgono per la prima volta ad una clinica specializzata. Esclusa la
possibità di un intervento chirurgico risolutore, procedono ad una fecondazione
in vitro. Effettuata la fecondazione
degli ovociti in provetta diventa necessario dare luogo alla crio-conservazione
degli embrioni. Nel 1999, i coniugi hanno la disponibilità di un’amica di
famiglia che, animata da intento solidaristico, senza nessun compenso,
acconsente a portare a termine la gravidanza. Tutto sembra perfetto, ma il
medico si rifiuta di eseguire l’intervento di trasferimento degli embrioni
nell’utero della donna. Non può farlo, perché nel frattempo è entrato in
vigore il codice deontologico che vieta espressamente l’accesso a pratiche di
maternità surrogata. In questo contesto viene pronunciata l’ordinanza in
esame che autorizza il procedimento di fecondazione assistita mediante l’uso
di embrione congelato attraverso il c.d. utero in affitto [2].
L’ordinanza si inserisce in un panorama giurisprudenziale e di proposte
legislative alquanto articolato, di cui, per comprendere appieno il ragionamento
dell’organo giudicante, è opportuno fare menzione.
I termini della questione
Il problema, giuridico ed etico, della maternità surrogata, rappresenta uno dei temi più attuali e dibattuti della bioetica[3]. Il problema principale per il giurista e per l’operatore del diritto è ancora oggi quello della mancanza di una disciplina specifica del settore e, quindi, della necessità in qualche modo di richiamarsi ad una normativa già esistente.
È bene introdurre degli elementi di chiarezza su quali siano queste tecniche di fecondazione artificiale.
Con l’inseminazione artificiale, la fecondazione avviene con metodi strumentali, mediante l’introduzione di gameti maschili nell’apparato genitale di una donna. La formazione dello zigote avviene nell’ambiente naturale. Viene definita omologa se effettuata con i gameti di entrambi i coniugi o eterologa se avviene mediante gameti donati. Con la fecondazione in vitro, la fecondazione è extra-corporea ed è effettuata attraverso una serie di attività cliniche. A tal fine alla donna, futura gestante o donatrice, viene prelevato dalle ovaie il numero di ovociti maturi ritenuto sufficiente per il successo della fecondazione in vitro. Raggiunto un certo grado di sviluppo gli embrioni vengono trasferiti nell’utero della donna. Infine, vi è la tecnica denominata GIFT, che rappresenta uno degli ultimi traguardi della scienza, per porre rimedio a determinati tipi di infertilità femminile. La fecondazione è corporea, ma sia lo sperma che l’ovocita, proveniente dal corpo della donna poi fecondata o dal corpo di un’altra donna, vengono introdotti artificialmente.
In particolare, all’interno della fattispecie contrattuale della maternità surrogata [4] si possono distinguere due diverse tipologie di intese, che hanno in comune un identico nucleo centrale: l’obbligazione di una donna di portare a termine una gravidanza e cederne il frutto alla coppia c.d. “committente”. L’embrione affidato alla gestante può essere generato o con una fecondazione in vivo, ossia la fecondazione dell’ovulo femminile con il seme del marito della coppia “committente” direttamente nell’utero della madre surrogata o con una tecnica detta FIVET, caratterizzata da due fasi: alla fecondazione in vitro, ossia l’unione in provetta dei gameti provenienti dalla coppia “committente” con cui si genera l’embrione, segue l’impianto dello stesso nell’utero della madre surrogata (embryo-transfert). L’esecuzione dell’accordo ha come risultato la consegna del bambino e la contestuale perdita di ogni diritto e dovere nei suoi confronti da parte della partoriente [5].
Per questioni di chiarezza sarebbe più opportuno qualificare come “maternità surrogata” quella tecnica in base alla quale una donna si impegna su commissione (con o senza corrispettivo) a portare a termine una gravidanza e a consegnare il figlio dopo il parto ai “committenti” (in questa ipotesi la donna incaricata “presta”, per così dire, sia il materiale genetico che la funzione di gestazione) e, come “locazione d’utero”, invece, quella fattispecie in cui la donna in questione si limita a portare avanti la gravidanza, mentre il materiale genetico impiegato è dei soggetti “committenti” [6].
Nel nostro ordinamento, come è noto, il contratto deve necessariamente realizzare un rapporto giuridico a contenuto patrimoniale. Ripugna, però, all’etica diffusa a livello sociale definire la prestazione della madre surrogata, come una vendita o concessione in godimento di beni del valore inestimabile, quali la vita di un figlio e l’affetto di una madre [7].
Il
contratto di maternità surrogata è una forma di fecondazione
artificiale eterologa che si concreta nell’intervento di una donna
estranea alla coppia nel processo procreativo. Tale intervento determina la
rottura dell’unità dell’elemento naturalistico individuativo della maternità,
con ciò mettendo in crisi i principi fondamentali che fino ad oggi sono stati
alla base del nostro ordinamento familiare per quanto attiene ai rapporti di
filiazione. Anche a livello terminologico non vi è uniformità nelle
definizioni della metodica in esame[8].
La
terminologia usata de iure condito, infatti, sarebbe
priva di ogni valore giuridico. Non certo di affitto di una parte del corpo o di procura a partorire si potrebbe parlare. Questo perché il corpo
costituisce unità inscindibile con la persona nella sua globalità [9].
Ma se proprio si volesse dare una qualificazione giuridica al fenomeno [10],
si potrebbe forse inquadrarlo nello schema del contratto d’opera e
nell’ambito degli atti di disposizione sul proprio corpo, tra quelli per cui
si consente che esso venga utilizzato a vantaggio di altri [11].
Prima
di delineare le varie fattispecie evidenzianti la figura della madre su
commissione, appare opportuno precisare subito che la donna commissionata può
essere nubile, sposata, non più unita da vincolo matrimoniale, separata o
convivente con un uomo in assenza di matrimonio.
Il tema, inoltre, si allarga su due fronti: l’uno anteriore alla nascita, per esaminare i fattori determinanti nel loro significato giuridico, l’altro posteriore all’evento, per collegare gli effetti della nuova situazione alla vita del nato.
La madre su commissione
Come
è stato sostenuto [12],
delle molte ipotesi prospettabili nella teoria, tre sono le principali
fattispecie che sembrano più frequentemente ripetersi nella pratica:
·
Donazione di ovociti. La gravidanza è portata avanti dalla donna responsabile
dell’intera operazione, che è ricorsa al materiale genetico altrui per avere
un figlio proprio;
·
Maternità surrogata (contributo genetico e di gestazione sono a carico di una
terza). Il marito, con il consenso della
moglie, procede alla fecondazione di una terza donna incaricata di portare
avanti la gravidanza e di consegnare, dopo il parto, il bambino ai
“committenti”;
·
Locazione di utero (contributo genetico della moglie e gestazione di una terza
donna). L’embrione formato da materiale genetico dei coniugi viene annidato
nell’utero di una terza, che si impegna a partorire il bambino e, a parto
avvenuto, a consegnarlo ai “committenti”. E’ il caso in esame.
Mentre
la donazione di ovocita non comporta problematiche diverse da quelle derivanti
dalla donazione del seme (la maternità viene attribuita a colei che ha
partorito)[13],
diverse problematiche emergono dalla maternità surrogata, quella pratica, come
visto, mediante la quale una donna inizia e porta a termine la gravidanza per
conto di un’altra, pattuendo di rinunciare ai propri diritti nei confronti del
nato e di consegnarlo al “committente”. Dal punto di vista giuridico solo
nella prima ipotesi non ci sono dubbi: la maternità è attribuita a colei che
ha concepito e partorito il figlio. Incertezze sorgono invece nelle ultime due
fattispecie, essendo necessaria una scelta che impone un giudizio di prevalenza
tra la madre sociale e quella uterina.
Secondo
gran parte della dottrina, madre deve essere colei che ha partorito il figlio [14].
La soluzione si fonda sulla convinzione della maggiore rilevanza ed intensità
del rapporto che si instaura tra la donna e il bambino nel periodo della
gestazione, trovando giustificazione nella responsabilità sociale assunta dalla
partoriente rispetto al nato e nell’art. 269 c.c. secondo il quale la prova
della maternità si basa sul parto.
Il contratto di maternità surrogata ed il caso Valassina-Bedjaoui
Per
mettere a fuoco i vari problemi giuridici che il ricorso alla madre su
commissione comporta, è necessario indicare il primo precedente di “madre su
commissione” e precisamente la vicenda giudiziaria dei coniugi Valassina, i
quali, il 10 giugno 1988, convenivano in giudizio, di fronte alla 1ª sezione
civile del Tribunale di Monza [15],
una giovane immigrata algerina per “l’esecuzione del contratto di maternità”
. E’ opportuno sin da ora precisare, in relazione alla distinzione
precedentemente esposta, che a differenza dell’ordinanza che si commenta,
ipotesi di locazione d’utero, il
caso de quo, a rigore, è un’ipotesi
di maternità surrogata [16].
I coniugi avevano conosciuto, tramite un amico, una donna algerina, dalla quale avevano appreso della pratica, diffusa in altri Paesi, di avere figli da terze persone per inseminazione artificiale ed alla quale avevano, quindi, proposto un accordo del genere. Fra i coniugi e l’algerina, si era concluso un vero e proprio contratto, in forza del quale quest'ultima si impegnava a sottoporsi ad inseminazione artificiale da parte del marito, a portare a termine la conseguente gravidanza e ad affidare allo stesso ed alla moglie il nascituro, rinunziando a qualunque diritto verso di lui, verso corrispettivo, da pagarsi contestualmente al compimento della complessa prestazione. Nel corso della gestazione, peraltro, l’immigrata aveva più volte preteso da entrambi i coniugi, rilevanti integrazioni del corrispettivo, fino ad ottenerli.
Alla nascita della bambina, la madre uterina si era servita della piccola, che, peraltro, teneva in condizioni di abbandono affettivo, malnutrizione e scarsissima igiene personale, per nuove richieste pecuniare ai due coniugi, con la prospettiva di lasciargliela vedere e tener con loro, rifiuntandosi di dare esecuzione all'impegno assunto. La coppia “committente” adiva, così, il Tribunale di Monza per ottenere la coattiva esecuzione dell’obbligazione assunta dalla donna da essi contattata allo scopo di avere figli, posto che ques’ultima una volta partorita la bambina in seguito ad inseminazione artificiale con il seme del coniuge di sesso maschile, si rifiutava, come visto, di consegnarla alla coppia “committente”.
(segue)
Inquadramento della fattispecie
Le
difficoltà del caso de quo sono determinate dal fatto che anche la riforma del diritto
di famiglia del 1975 è stata basata dal legislatore sul presupposto della
nascita da uomo e donna attraverso la congiunzione carnale.
I
giudici partono dalla premessa che della maternità surrogata va quindi
individuata l’esatta configurazione dell’accordo, va verificata la sua
liceità con riguardo alle disposizioni astrattamente applicabili e, pertanto,
vengono analizzate le norme ritenute operanti in presenza di negozi di questo
tipo e cioè le norme sulla filiazione e sui contratti, le disposizioni in
materia di adozione e di alterazione di stato, nonché i principi fondamentali
sanciti dalla Costituzione.
Il
Tribunale di Monza va alla ricerca dei referenti normativi utili ai fini della
decisione, aprendo un confronto con la regolamentazione in uso nei Paesi
anglosassoni, con le prospettive italiane de
iure condendo, con le norme in materia ricavabili dalla Costituzione e dal
codice civile e penale [17].
I
precetti-guida, da ricercare nella Costituzione, sono costituiti:
- dal combinato disposto degli artt. 2 e 30 della Cost.,
che viene interpretato nel senso che lo stesso “assume a valore primario la
promozione della personalità del soggetto umano in formazione e la sua
educazione nel luogo a ciò ritenuto più idoneo, da ravvisarsi in
primis nella famiglia di origine”;
- dall’art. 30 comma 2, e precisamente, dal dovere del
legislatore e dell'autorità pubblica in generale di predisporre quegli
interventi che pongano rimedio nel modo più efficace al mancato svolgimento dei
loro compiti da parte dei genitori di sangue e, cioè, alle funzioni connesse al
dovere-diritto di mantenere, istruire ed educare i figli;
- dall’art. 31 comma 2, che prevede la tutela del
concepito quale fondamento costituzionale in quanto la tutela del minore si
colloca fra gli interessi costituzionalmente garantiti.
Da tali principi discende, nel ragionamento del Collegio
Monzese, che:
- i doveri dei genitori di sangue sono infungibili;
- il minore ha il diritto di crescere nella famiglia
composta dai genitori di sangue, i quali possono essere sostituiti da altri solo
in caso di oggettiva necessità;
- il minore ha il diritto di identificare i propri genitori
biologici e di vedersi riconosciuto, nella famiglia, lo stesso status
filiationis degli altri figli;
- non esiste alcun “diritto alla procreazione”
garantito dalla Costituzione[18].
Secondo il ragionare dell’organo giudicante il combinato disposto degli art. 2 e 30 Cost. viene interpretato dalla Corte costituzionale[19] nel senso che lo stesso «assume a valore primario la promozione della personalità del soggetto umano in formazione e la sua educazione nel luogo a ciò più idoneo: da ravvisarsi in primo luogo nella famiglia d'origine e, soltanto in caso d'incapacità di questa, in una famiglia sostitutiva. L'art. 30, 2° comma, Cost. prevede, infatti, il dovere del legislatore e dell'autorità pubblica in generale di predisporre quegli interventi che pongano rimedio nel modo più efficace al mancato svolgimento dei compiti da parte dei genitori di sangue e cioè delle funzioni connesse al dovere-diritto di mantenere, istruire ed educare i figli. Ne deriva il carattere funzionale del diritto dei genitori di sangue, che sta e viene meno in relazione alla capacità di assolvere i compiti previsti nel 1° comma dell'art. 30 Cost.: il carattere di effettività che deve rivestire l'assolvimento dei compiti stessi, non delegabili ad altri e, dunque, da svolgersi con impegno personale e diretto; infine, il carattere di adeguatezza che deve presiedere all'individuazione della famiglia sostitutiva, quando trovi applicazione l'art. 30, 2° comma, Cost.».
Inoltre, seguendo il ragionamento del collegio monzese, ricco di riferimenti alla giurisprudenza costituzionale, si è ritenuto che l'art. 30 Cost. considera «la ricerca della paternità come una forma fondamentale di tutela giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, ma stabilisce che la legge ordinaria, nel disciplinare la materia pone i limiti per la detta ricerca: limiti che potranno derivare dall'esigenza, affermata nel 3° comma, di far sì che la tutela dei figli nati fuori del matrimonio sia compatibile con i diritti della famiglia legittima e dall'esigenza di salvaguardare i fondamentali diritti della persona, tutelati anch'essi dalla Costituzione, dai pericoli di una persecuzione in giudizio temeraria e vessatoria»[20]. Ed ancora, la «tutela del concepito ha fondamento costituzionale nell'art. 31, 2° comma, Cost. (e più in generale nell'art. 2 Cost.)»[21] e la «tutela dei minori» «si colloca fra gli interessi costituzionalmente garantiti»[22].
A parere del Tribunale monzese, quindi, la Carta costituzionale, ha affermato l'infungibilità dei doveri personali ed economici connessi alla potestà dei genitori c.d. «di sangue»; il diritto del minore di crescere nella famiglia formata da questi ultimi e di avere una famiglia sostitutiva soltanto in caso di oggettiva incapacità od inadeguatezza dei medesimi; il diritto di qualunque figlio ad un unico, comune status filiationis e, perciò, ad un'indifferenziata tutela giuridica, con il solo limite generale dell'irriconoscibilità e con il limite particolare ed eventuale della salvaguardia (in caso di situazioni confliggenti fino all'incompatibilità) dell'esistenza e dell'unità della famiglia legittima del proprio genitore; il diritto del figlio all'identificazione dei propri genitori biologici.
Per contro, posto che l'art. 2 Cost. citato, «nel garantire i diritti dell'uomo in genere, necessariamente si riporta alle norme successive in cui tali diritti sono particolarmente presi in considerazione, per cui, esclusa la violazione di uno di tali diritti, rimane esclusa anche la violazione dell'art. 2 Cost.»[23], la Carta non riconosce un vero e proprio diritto alla procreazione [24] come aspetto particolare del più generale diritto della personalità, non potendosi desumere da alcuna disposizione che il desiderio o foss'anche l'interesse alla prole, in sé, si intende, tutt'altro che illegittimo, sia stato elevato alla dignità di diritto soggettivo o, comunque, che sia emerso nella considerazione del costituente un concetto di paternità o di maternità meramente negoziali, disgiunte, cioè, da un qualche fondamento biologico, relegate sotto l'esaustivo governo dell'autonomia privata [25] e suscettibili di cancellare dal mondo giuridico quelle naturali.
Logica conseguenza del ragionamento del Tribunale è l’affermazione che l’istituto dell'adozione speciale seppur assecondi, indirettamente, anche il desiderio di fecondità degli aspiranti adottanti, presuppone l'esistenza in vita del minore adottabile e, perciò, il bisogno precipuo di tutela da parte dello stesso (e, quindi, non solo e non prioritariamente il desiderio della coppia sterile), che si trovi nell'impossibilità di ovviare, in seno alla famiglia biologica — il modello privilegiato, si è visto nel disegno costituzionale, di sviluppo integrale della personalità in fase evolutiva —, ad un accertato stato di completa privazione di assistenza morale e materiale, ed è rigidamente presidiato da un penetrante controllo preventivo e successivo, della pubblica autorità (inteso, per di più, a verificare, essenzialmente, non tanto la prospettiva di benessere economico, quanto la capacità affettiva ed educativa della comunità d'inserimento).
Non solo, ma com'è stato recentemente ribadito [26], gli status — personae, civitatis, filiationis, coniugii — in quanto espressione dell'appartenenza duratura dell'individuo ad una determinata comunità o aggregato sociale normativamente necessari o presupposto di una sfera di capacità giuridica generale o speciale, non sono disponibili per mero consenso [27], indipendentemente dalla cessazione o dalla notificazione del fatto da cui traggono origine [28]; infine, l'atto dispositivo del proprio corpo, implicato dal contratto di maternità, quand'anche non cagioni una diminuzione permanente dell'integrità fisica della donna — assolutamente ingiustificabile, nella specie — e sia sanato dal consenso successivo, validamente espresso, non può mai rilevare come oggetto di una preventiva obbligazione dell'avente diritto, a compierlo o a permettere che altri lo compia su di lei ed è comunque contrario alla legge, all'ordine pubblico e, almeno in caso di onerosità, anche al buon costume (art. 5 c.c.).
Ancora
più rigorosa la posizione dell’organo giudicante nella parte in cui afferma
che sotto il profilo penalistico l'attribuzione consapevole della maternità del
neonato ad una determinata donna diversa da colei che lo ha partorito integra
l'ipotesi di reato della quale all'art. 567, 2° comma, c.p. (la falsità circa
il rapporto di stato fra i genitori o lo stato di uno di essi o di entrambi,
singolarmente considerati, integra, invece, l'ipotesi delittuosa meno grave
della quale all'art. 495, 1° comma, c.p.) e l'affidamento a terzi, con
carattere di definitività, di un minore, in violazione delle norme di legge in
materia di adozione, integra, almeno quando nessuno degli affidatari sia parente
entro il quarto grado del minore medesimo, l'ipotesi delittuosa della quale
all'art. 71 l. 4 maggio 1983 n. 184; così come, a tenore della stessa
disposizione, costituisce reato il fatto di chi accolga in illecito affidamento
con carattere di definitività un minore, consegnando o promettendo denaro o
altra utilità a terzi (non sembra, invece, che il semplice trasferimento
dell'embrione implichi interruzione illecita della gravidanza — perché questa
si traduce nell'eliminazione dell'embrione — punibile a norma dell'art. 19 l.
22 maggio 1978 n. 194)[29].
(segue) Illiceità della causa
e dell’oggetto.
Sotto
il profilo civilistico, secondo il collegio monzese, il contratto di maternità
surrogata, quale che sia il suo contenuto, incontra alcuni insormontabili
ostacoli normativi di ordine legislativo e costituzionale [30].
Sulla
base di questo principio, nel caso in esame, è stata respinta la domanda con
cui la “coppia committente” chiedeva l’adempimento del contratto ed è
stata esclusa la possibilità di ripetere quanto pagato in anticipo, a titolo di
compenso, per la maternità surrogata. Rilevatane la nullità, conseguentemente,
ne discende per la coppia, la mancata tutela giudiziaria delle proprie ragioni,
anche in relazione alla restituzione di quanto pagato in virtù dell'art. 2035
c.c. ed in ottemperanza alla massima in
pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis.
Secondo
l’organo giudicante, il c.d. contratto “atipico di maternità” in tutte le
sue forme e quale che sia nei diversi casi lo specifico contenuto, è
radicalmente nullo.
La
nozione di contratto contenuta nell’art. 1321 c.c. è quella di accordo volto
a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. La
patrimonialità del rapporto che si costituisce tra le parti avrebbe ad oggetto
la commercializzazione di una operazione che ha come scopo la nascita di un
bambino. Orbene, l’art. 1322 c.c., limita l’autonomia contrattuale delle
parti, prevedendo che queste possono liberamente determinare il contenuto del
contratto nei limiti imposti dalla legge e che i contratti che non appartengono
ai tipi aventi una disciplina particolare devono essere diretti a realizzare
interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico vigente. Il
contratto di affitto dell’utero ha come momento fondamentale la consegna del
bambino e la rinuncia al riconoscimento del rapporto di filiazione –
attualmente garantito dal codice civile e dalla Costituzione – da parte della
“madre surrogata”. Ci si chiede, allora, se la madre uterina possa
rinunciare a tale diritto, se sia legittimo obbligarla a farlo, e se sia nella
sua totale disponibilità il diritto stesso.
Il
Tribunale giudicante desume la nullità del contratto di maternità a norma
dell’art. 1418 secondo comma c.c., in quanto pur essendo un contratto atipico,
l'autonomia di cui all'art. 1322. c.c. (dovendo realizzarsi nei limiti imposti
dalla legge) si caratterizza, viceversa, in tale contratto di maternità, per la
violazione di numerose norme di legge [31].
Difatti,
pur essendo i contratti atipici ammessi nel nostro ordinamento purchè diretti
alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela che nella fattispecie in
esame potrebbero essere quelli di garantire una discendenza e i mezzi e i modi
per realizzarla, tuttavia, tali interessi non possono essere valutati in
astratto ma nella loro concreta attuazione, in relazione ad altri eventualmente
violati ed in caso di contrasto preferire quelli maggiormente meritevoli di
protezione.
Il
contratto di maternità surrogata è, per il tribunale di Monza, inoltre,
affetto da nullità, per mancanza nell’oggetto, dei prescritti requisiti di
possibilità e liceità trattandosi di beni che non sono tali dal punto di vista
giuridico, ossia le parti del corpo umano, gameti ed organi della riproduzione,
in quanto il soggetto ha sugli stessi soltanto un diritto alla personalità e
non un diritto patrimoniale e l'eventuale consenso prestato alla disposizione
delle stesse, se la prestazione non integra una diminuzione permanente della
integrità fisica e non è contraria alla legge, all'ordine pubblico e al buon
costume, integra non un negozio giuridico o un contratto, bensì un mero atto
unilaterale di volontà lecito ma sempre revocabile [32]; nell'ipotesi inversa, si
tratterebbe di un atto illecito con tutte le consequenziali statuizioni di
legge.
Da
ciò, ne discende che non può formare oggetto e pertanto essere dedotta in
obbligazione una prestazione consistente nel concepimento dello sviluppo fetale
del nascituro non rappresentando un bene giuridico ed essendo vietato, inoltre,
costituire, negoziare ed estinguere, gli status
personali, quali quelli di figlio e quello di madre nonchè le potestà dei
genitori ed i diritti personali dei minori all'educazione e al mantenimento
nella famiglia iure sanguinis.
Infine,
nell'ipotesi in cui sia previsto un corrispettivo per tali prestazioni, la
nullità sarà determinata anche dalla illiceità della causa, (art. 1343 c.c.)
venendo ad essere la filiazione scambiata con denaro o altra utilità, e nel
caso in cui il contratto sia diretto ad eludere le norme sull’adozione, sarà
nullo perché in frode alla legge (art. 1344 c.c.)[33].
Più in particolare ci si chiede (premessa la nullità del contratto di maternità, anzitutto, a norma degli art. 1418, 2° comma, e 1346 c.c., per mancanza, nell'oggetto, dei prescritti requisiti di possibilità e liceità), se la funzione economico-sociale del contratto medesimo, da sottoporre, trattandosi di figura atipica, al giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti (cfr. art. 1322 c.c.), potrebbe forse, sotto l'aspetto strettamente finalistico, almeno nel caso in cui non sia previsto alcun corrispettivo, sfuggire ad una sanzione di illiceità, in quanto consistente nel procurare una discendenza, nel realizzare uno degli scopi naturali della famiglia, la procreazione. Sicuramente, non si sottraggono, invece, a censura i mezzi e i modi impiegati, ossia le prestazioni dedotte in obbligazione e gli effetti strumentali, rispetto a quello, per così dire, principale e tipizzante, mediante i quali si attua la funzione predetta. Non possono, infatti, formare oggetto di un atto di privata autonomia, regolato dal quarto libro del codice civile, sicché non sono beni in senso giuridico, le parti del corpo umano (gameti ed organi della riproduzione, nella specie), sulle quali il soggetto ha un diritto della personalità e non un diritto patrimoniale e, quindi, il consenso alla disposizione delle stesse, se la prestazione non cagiona una diminuzione permanente dell'integrità fisica e non è contraria alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume, integra non già un negozio giuridico o un contratto, ma un mero atto unilaterale di volontà lecito, ma sempre revocabile e, in caso contrario, integra un atto illecito. Non possono, inoltre, essere dedotti in obbligazione una prestazione consistente nel compimento dello sviluppo fetale del nascituro, che non è, anch'esso, un bene giuridico, né, tantomeno, il fatto in sé della riproduzione umana o, peggio, ancora, la stessa persona di chi dovrà essere concepito. Non possono, ancora, formare oggetto di contratto e, comunque, è vietato costituirli, modificarli od estinguerli negozialmente, gli status personali, quali quello di figlio e quello di madre, i munera, quali la potestà dei genitori, ed i diritti personali dei minori all'educazione ed al mantenimento nella famiglia iure sanguinis. Del pari, non possono essere negoziati comportamenti costituenti reato.
Diversamente, se nella struttura del contratto fa ingresso la previsione di un corrispettivo, allora la nullità sarà determinata anche, ex art. 1343 c.c., dall'illiceità della causa, venendo la filiazione scambiata con denaro o altra utilità economica e, infine, il contratto di maternità, se ed in quanto risulti predisposto per eludere l'applicazione delle norme imperative in materia di adozione, sarà anche nullo perché in frode alla legge (cfr. art. 1344 c.c.). Alla rilevata nullità consegue, per la coppia committente, la mancanza di una tutela giudiziaria delle proprie ragioni, di fronte al rifiuto della madre surrogata o portante di dare piena esecuzione alle obbligazioni assunte, e non vi sarà luogo nemmeno, stante il disposto dell'art. 2035 c.c., alla ripetizione di quanto eventualmente pagato in anticipo a titolo di compenso.
Infine, essendo il marito della coppia di coniugi committenti il padre biologico del figlio della madre surrogata o portante, unica alternativa “concessa” dal collegio monzese è la possibilità, per il padre stesso, di riconoscerlo (art. 250 c.c.) come figlio naturale e di chiederne l'inserimento nella propria famiglia legittima (art. 252, 2° comma, c.c.) e la legittimazione per provvedimento del giudice (art. 284 c.c.) — tutte cose, peraltro, che potrà fare contemporaneamente anche la madre su commissione, nel qual caso ne scaturirebbero, evidentemente, situazioni conflittuali — mentre, per l'aspirante madre, moglie del padre biologico, ovvero per il marito della madre su commissione, vi sarà la possibilità di un'adozione particolare ex art. 44 lett. b), l. 4 maggio 1983 n. 184 [34].
Fremiti
di novità.
Come visto tutte le argomentazioni del Tribunale di Monza portano alla invalidità del contratto di maternità surrogata. Il punto forte della motivazione sembra incentrarsi proprio sulla inammissibilità, da un punto di vista morale e sociale, della commercializzazione di una funzione così elevata e delicata come la maternità.
Diverso discorso dovrà farsi, allora, nel caso in cui manchi la richiesta di corrispettivo, ossia nel caso in cui una donna accetti l’immissione dell’ovulo altrui, animata da ragioni di stretta solidarietà. Afferma il Tribunale di Roma la prestazione della madre surrogata, quella cioè che porta a termine la gravidanza ben può essere testimonianza di solidarietà familiare, determinata cioè non da motivi di lucro ma dall’intento, degno di essere tutelato, di soddisfare il bisogno di maternità di una donna alla quale sarebbe invece negato. E il consenso finalizzato a tale risultato, non mosso da intenti speculativi come può essere vietato aprioristicamente?
Secondo una certa impostazione, pur in mancanza di un contrasto palese con la morale, il contratto sarebbe parimenti nullo: non potrebbe la donna obbligarsi a riconsegnare il figlio, per il semplice fatto che sarebbe essa stessa la madre; il nato acquista la capacità giuridica al momento del distacco dall’alveo materno e a nulla rileva che vi sia stata immissione dell’ovulo altrui; la donna che ha offerto il suo ovulo non avrebbe nessun diritto [35].
Non
sembra pienamente condivisibile questa impostazione se solo si ricorda che la causa
in concreto perseguita dalle parti nell’ipotesi in cui il contratto sia a
titolo gratuito sembrerebbe consistere nella volontà di procurare, per spirito
di liberalità, una discendenza a chi ne è privo, il che, realizzando uno degli
scopi naturali della famiglia, dovrebbe determinare un giudizio di piena liceità
della funzione suddetta. Inoltre, in assenza di una qualsivoglia finalità
economica delle parti nella vicenda, non sembra azzardato ritenere che se il
fine perseguito è di carattere altruistico, in quanto diretto a far conseguire
un figlio ad una coppia sterile per puro spirito solidaristico, il contratto in
esame presenta evidenti affinità con la donazione di organi fra vivi.
L’aspirazione della coppia affetta da sterilità di soddisfare per questa via
il proprio desiderio di avere un figlio si configurerebbe, dunque, come
interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico [36].
Sono queste le argomentazioni dell’ordinanza in esame, nella quale, in
particolare si legge (...) in un’ottica
che concepisce la società come un organismo in continua evoluzione, ove sia
rispettata l’autorealizzazione individuale, deve essere riconosciuto, quale
diritto fondamentale della persona, il diritto a diventare genitori e di
valutare e decidere le scelte in relazione al bisogno di procreare, con la
precisazione che lo status genitoriale può trovare completezza nell’adozione
ma anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico. Ancora che
la riflessione sul significato del concetto di maternità, oggi così
profondamento mutato, deve partire dall’affermazione codicistica, avvalorata
dalla scienza medica e dall’osservazione tradizionale, secondo cui madre è
colei che partorisce. Ma le nuove tecniche di riproduzione mettono in crisi
profonda tale concezione. Queste tecniche che possono modificare la sequenza
naturale dell’iter procreativo, fanno sì che partorisca colei che non è
geneticamente madre. (...) La coincidenza tra maternità, gravidanza e parto è un costrutto
fondamentale della nostra psicologia e la figura di na madre genetica ma non
gestante assume i contorni quasi di una paternità femminile che sembra
contrastare con le stabili linee della concezione dei rapporti familiari e della
procreazione. L’abbandono della legge naturale che vuole la donna-madre
gestante e partoriente induce a ridefinire il fenomeno della maternità.
Le ragioni di un disfavore nei confronti della maternità surrogata sembrano trovare il più intimo fondamento nella ripulsa da parte dell'ordinamento italiano del contratto nell’ambito del diritto di famiglia e, inoltre, come efficacemente sostenuto [37], da una impostazione empirico-deduttiva in base alla quale il diritto attinge dalla natura l’idea e il fondamento degli status, poi li recepisce e canonizza rivestendoli infine di piena dignità giuridica. Di qui il concetto di diritto indisponibile e il continuo riferimento alle clausole dell’ordine pubblico.
Inoltre, a conferma di ciò, basti ricordare che l’articolato predisposto dalla Commissione Ministeriale istituita presso il Ministero di Grazia e Giustizia, presieduta dal prof. F.D. Busnelli (10 maggio 1996), Norme in tema di bioetica con particolare riguardo alla fecondazione assistita, prevede all’art. 9 che <<1. È vietata qualsiasi forma di surrogazione di maternità ed è nullo qualsiasi accordo al riguardo. 2. Ai fini della presente legge per maternità surrogata si intende il ricorso per la gestazione a donna estranea alla coppia interessata. 3. In ogni caso i diritti e gli obblighi inerenti alla maternità spettano esclusivamente a colei che ha partorito il figlio>>. Stessa la linea argomentativa della Commissione Santosuosso, incaricata negli anni ottanta di redigere un testo di legge sulla fecondazione artificiale, che, anzi, in merito all’utilizzo di suddette tecniche, ne aveva affermato lo spreco non solo economico ma anche di potenzialità affettive, in quanto si dimenticano i numerosissimi bambini costretti dalla vita a passare la loro esistenza da “orfani”; adottarli, si dice, significherebbe non solo sottrarre un gettito economico notevole alla bilancia pubblica, ma contribuire in un’ottica solidaristica al benessere di individui poco fortunati, dando loro una famiglia. Tale impostazione, pur se logicamente condivisibile, si scontra inevitabilmente con il principio di autodeterminazione della persona, sancito dall’art. 2 Cost. [38].
Ritornando alla questione dell’attribuzione della maternità sono opportune due precisazioni.
L’individuazione della donna a cui deve essere attribuita la maternità giuridica del nato rappresenta senza dubbio il problema centrale posto dalla nuova tecnica di riproduzione. La pratica in esame, come visto, si caratterizza per la partecipazione di due (o più) donne al processo generativo: l’una contribuisce mettendo a disposizione l’ovulo (madre genetica), l’altra portando avanti la gravidanza (madre uterina). Ma si può dare il caso in cui la donna che vuole un figlio (madre sociale) ricorra all’apporto genetico di un’altra donna (madre genetica) il cui ovulo, fecondato dal marito della prima, sia poi annidato nell’utero di una terza donna (madre uterina)[39].
In secondo luogo deve essere ribadito, tenendo distinto il piano contrattuale da quello della tutela del minore, che la dichiarazione di invalidità del contratto di sostituzione, quando sia previsto un corrispettivo e la irrevocabile rinuncia ai diritti parentali, non deve impedire al giudice di procedere comunque alla valutazione di quale famiglia o genitore offra maggiori garanzie per un corretto sviluppo della personalità [40].
Già nel sistema giuridico vigente il giudice, infatti, può decidere facendo prevalere gli interessi del minore [41] a scapito di principi applicati e radicati in tema di maternità, di primato della famiglia legittima, ecc.; e ciò a prescindere anche da valutazioni morali e da convinzioni religiose, che pure influenzeranno naturalmente il suo ragionamento [42]. Proprio l'evoluzione legislativa nel diritto di famiglia e la conseguente interpretazione giurisprudenziale sono venute evidenziando una nozione di madre e di padre, di genitori e di famiglia, non più esclusivamente caratterizzata dalla derivazione bio-genetica del figlio, ma anche da una consapevole accettazione e volontà di svolgere quel ruolo sociale che la stessa Costituzione assegna al genitore per garantire, appunto, un corretto sviluppo della personalità del minore.
Vi è chi, infatti, ritiene che l'applicazione della normativa vigente secondo un'interpretazione rigida e letterale potrebbe condurre a sacrificare gli interessi del minore solo per salvaguardare «valori» e «principi» la cui attualità, nel vigente sistema sociale e giuridico, andrebbe comunque verificata. Il giurista (e primariamente il giudice), si afferma, non deve essere colto impreparato dai cambiamenti della società in cui viviamo, dall'evoluzione del costume, dalle nuove esigenze avvertite; né deve essere rifiutato il fenomeno che presenta caratteristiche innovative rispetto al passato, solo perché è nuovo e rompe rispetto agli schemi tradizionali[43].
L’opinione secondo cui la legge attribuisce la maternità alla donna che ha partorito [44] potrebbe certamente essere messa in discussione. Infatti, si è sostenuto [45] che la circostanza secondo la quale il bambino partorito da quella donna sia anche geneticamente proveniente da lei non era indicato espressamente come requisito solo perché non era immaginabile che le cose potessero stare diversamente [46]. Il principio che sta alla base della regola attuale va letto non riduttivamente, ma nel suo senso vero, rendendo esplicito ciò che prima era necessariamente implicito: è madre colei che partorisce il frutto della fecondazione del proprio ovocita. Ma nel caso di doppia maternità manca la coincidenza implicitamente voluta dalla legge, ci si trova dinanzi ad una situazione mai finora disciplinata perché mai prevista dal legislatore.
La scelta dovrebbe essere fatta tenendo conto dell’interesse del nascituro [47] e, forse, da un punto di vista logico, la madre più madre dovrebbe essere quella che lo è geneticamente, quella cioè che ha trasmesso il suo patrimonio genetico[48]. Questa soluzione sembra più vicina ai progressi della scienza medica. Infatti, è oggi possibile affermare con relativa sicurezza che il nuovo individuo con tutti i suoi indelebili caratteri ereditari si formi non durante la gestazione ma nel momento della fusione tra gameti. Non solo, ma le nuove frontiere della medicina reputano come tecnicamente possibile la crescita artificiale del feto (è la c.d. ectogenesi) e, quindi, è evidente che si potranno avere nascite senza parto, prive, cioè, di quel fatto dal quale si vuole far scaturire l’attribuzione della maternità giuridica [49].
Vi è anche chi, nonostante riconosca una tutela privilegiata alla madre uterina, ammette la maternità di quella genetica nell’ipotesi in cui la prima non intenda far valere il suo titolo nell’attribuzione di stato o non voglia occuparsi del bambino, essendo più rispondente nell’interesse del minore il tentativo di recupero col genitore che ha comunque contribuito alla sua nascita, piuttosto che il ricorso all’adozione [50].
Nella ricerca di un criterio di soluzione emerge certamente che la scelta che si deve compiere è una tragica scelta fra due verità parziali, quella genetica e quella del parto [51]. L’ordinanza, in esame, sembra in verità temperare “la scelta tragica”, nella parte in cui afferma entrambe (le madri) hanno una connessione biologica con il figlio, non si deve escludere il diritto della madre surrogata di continuare a vedere il bambino, di seguirlo e tenerlo con sé per alcune ore del giorno: giustamente inaccettabile dalla giurisprudenza, pertanto, l’accordo in base a cui la madre surrogata abbia rinunciato al bambino. Sembrerebbe essere questo il punto non condivisibile dell’argomentazione dell’organo giudicante. La scissione della maternità, se necessaria nel momento del concepimento sino a quello del parto, dovrà ricondursi necessariamente ad unità per evitare squilibri psicologici al nato. Se il giudice esclude che la madre surrogata possa rinunciare al nato, si viene così a modellare una comunità familiare a due madri.
La soluzione offerta per la determinazione della maternità potrebbe allora risiedere nel riconoscimento di tale status a colei che possiede più requisiti tra i tre possibili: maternità genetica, maternità uterina e maternità sociale. Ne consegue che dovrebbe essere ritenuta madre colei che ha fornito l’ovulo ed ha voluto il figlio (con prevalenza sulla madre uterina); oppure quella che ha fornito l’ovulo ed ha partorito il figlio (con prevalenza sulla madre sociale). Se, in presenza di tre donne, ciascuna fornisce un contributo, la qualità di madre va attribuita a chi abbia fornito un contributo volontaristico, sempre che si aggiunga il fattore del vincolo matrimoniale con l’uomo che abbia fornito il gamete. In mancanza resta il criterio del parto.
Questa opzione interpretativa, secondo la distinzione proposta, consentirebbe l’attribuzione del figlio alla coppia committente solo nel caso di “locazione d’utero”, come nel caso in esame, e non di “maternità surrogata”.
In merito ci si deve chiedere se un’ulteriore soluzione sia possibile valorizzando i criteri di volontarietà e responsabilità della procreazione.
L’attribuzione di una autonoma rilevanza giuridica alla volontà della donna di avere un figlio significa prendere atto dell’importanza che, in tutte le tecniche di procreazione assistita, assume la valutazione attenta degli atti causativi della nascita, cioè l’individuazione della titolarità dell’interesse perseguito nella vicenda e della responsabilità del suo avvio [52]. In questo senso [53] sembrerebbe deporre l’art. 8, concernente lo stato giuridico del nato, del testo di legge sulla fecondazione artificiale approvato alla Camera dei Deputati il 26 maggio 1999 che, pur non brillando per chiarezza, ha testualmente previsto che i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita sono figli legittimi o acquistano lo stato di figli riconosciuti dalla madre o, ai sensi del codice civile, della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime (secondo le previsioni dell'articolo 6 [54]). La rilevanza del consenso, anche in giurisprudenza [55] come visto, rende maggiormente evidente che le nozioni di paternità e di maternità hanno mutato significato anche grazie all’utilizzazione, sempre più diffusa, delle tecniche di fecondazione artificiale.
Allora, se in caso di fecondazione artificiale eterologa il marito diventa padre, nonostante la mancata corrispondenza biologica con il nato, perché manifesta il proprio consenso (consenso peraltro irrevocabile), non si vede perché la stessa considerazione non possa riproporsi per la donna che in questo senso ha manifestato la sua volontà. In verità, seguendo questa impostazione, che peraltro trova già una obiezione, ossia che con la madre uterina il nascituro nel periodo della gestazione vive un legame simbiotico che certamente una sua incidenza deve avere, insistere sulla rilevanza del fattore volitivo consentirebbe di attribuire al consenso un ruolo di fonte determinativa dello status della persona, sottraendo così al legislatore l’esclusività della disciplina degli status e della loro fonte.
Quali
che siano le scelte etiche dinanzi ai progressi delle biotecnologie, che toccano
l’uomo non solo nella sua corporeità, ma come persona [56]
e soggetto sociale, un punto è da tenere fermo. Una società moderna guida sé
attraverso il diritto. E il diritto che, regolando inediti casi privati,
modifica assetti fondamentali dell’organismo sociale, non può che provenire
dalla volontà della legge. Non può cioè essere affidato a quella fonte di
produzione, legata a vicende particolari, che è la giurisprudenza, cioè
l’interpretazione dei giudici [57].
Le critiche mosse da tutti i fronti[58],
si incentrano, per quello che attiene ai profili giuridici, su due
argomentazioni: i) che le ragioni
dell’ordinanza sia l’assenza di leggi, non è vero. Esiste il codice civile,
secondo cui chi nasce è figlio della madre che l’ha partorito. La madre, poi,
non è tenuta a riconoscerlo e può abbandonarlo. Ma coloro che hanno fornito
l’ovulo da cui si è sviluppato l’embrione non sono considerati i genitori
e, quindi, il neonato non viene affidato a loro [59];
ii) è grave che un magistrato copra in
maniera impropria quella che obiettivamente è una carenza della legge, ma che
certamente non è la carenza della volontà del Parlamento. Fino ad oggi la
possibilità di utilizzare l’utero di un’altra donna non era mai stata
richiesta da nessuna forza politica, essendo uno dei punti fermi della legge [60].
La prima obiezione, pur se il timore di successive battaglie legali è fondato,
non coglie nel segno per ciò che attiene l’esatta interpretazione dell’art.
269 c.c., in rapporto al quale si sono già indicate le diverse opzioni
ermeneutiche. Per ciò che attiene la seconda delle obiezioni è opportuno
ricordare il recente insegnamento della Corte Costituzionale [61]:
l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni
costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana,
appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia,
nell'attuale situazione di carenza legislativa (e la situazione italiana è
un caso di carenza legislativa, n.d.a.),
spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo l'interpretazione
idonea ad assicurare la protezione dei beni costituzionali.
Se
il giudice del caso concreto, attraverso la consulenza di una psicologa e
l’esame delle parti, ha intravisto un ambiente
familiare, sano, equilibrato e stabile, cui ogni figlio ha diritto,
l’ordinanza è da condividere, in attesa che il il Parlamento esca dalle
titubanze, della cui necessità, il caso sottoposto al giudice civile di Roma è
espressione.
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* Il presente saggio è stato pubblicato nel fasc. 2/2000 della Rivista Famiglia e diritto. I rinvii contenuti nelle note che seguono debbono intendersi, in mancanza di ulteriore specificazione, riferiti a quest'ultima rivista.
[1]
In generale sia consentito il rimando a Cassano,
Le nuove frontiere del diritto
di famiglia. Il diritto a nascere sani; la maternità surrogata; la
fecondazione artificiale eterologa; la fecondazione artificiale
post mortem, Milano, 2000.
[2]
Deve essere ricordato altresì il caso pervenuto a Trib. Palermo 8 gennaio
1999, in questa
Rivista, 1999, 52, con nota di Dogliotti,
Inseminazione artificiale post
mortem e intervento del giudice di
merito; ibidem, 1999, 384, con
nota di Cassano, Diritto di procreare e diritto del figlio alla doppia figura genitoriale
nella inseminazione artificiale post mortem; in Dir.
fam. e pers., 1999, 226, con nota di Miranda,
"Tragic choice" in
Italy: brevi note in tema di esecuzione post mortem del contratto di procreazione medicalmente assistita, e di Giaimo, Brevi riflessioni su una gravidanza indotta per decisione del giudice,
che può essere così massimato: Il
contratto d’opera professionale intercorso fra i coniugi ed un centro per
la riproduzione medicalmente assistita, avente ad oggetto la formazione in
vitro di embrioni ed il successivo
impianto, conserva validità anche dopo la morte del marito. Pertanto
sussiste il diritto della moglie di richiedere l’impianto post mortem,
atteso che il rifiuto di procedere a tale impianto contrasta con il diritto
alla vita del nascituro e con il diritto all’integrità psicofisica della
madre, i quali a loro volta segnano il limite entro cui può ricevere tutela
il diritto costituzionale dei minori all’inserimento in una famiglia
completa.Deve essere accolto il ricorso ex art.
700 c.p.c. presentato da una donna che intenda procedere alla procreazione
medicalmente assistita dopo il decesso del marito ed il diniego del centro
per la riproduzione; pertanto deve essere ordinato al centro medesimo di
procedere all’impianto degli embrioni.
[3]
Sul problema recentemente Coppola, Manifesto di bioetica laica e principi cattolici, in Iustitia,
1998, 18; Dal Pozzo, Alle frontiere della bioetica: il problema dell'identità personale, in
Iustitia, 1998, 167; Palazzani,
"Le frontiere della vita": un libro recente di bioetica e di
biodiritto, in Iustitia, 1998,
349; Mazzoni, La bioetica ha bisogno di norme giuridiche, in Riv.
Trim. Dir. e Proc. Civ., 1998, 285; Barni,
Turilazzi E Altri,
La sperimentazione negli animali: dal controllo burocratico alla
responsabilizzazione bioetica, in Riv.
it. medicina legale, 1998, 389; Comitato
nazionale bioetica, Nota sulla
sperimentazione e l'impiego di nuove terapie farmacologiche. Risposta al
quesito posto dall'IST in merito al "caso Di Bella", in Riv.
it. medicina legale, 1998, 91; Turillazzi,
La riduzione delle gravidanze plurime nella riflessione bioetica e
medico legale, in Zacchia,
1997, 15; Renna, Proposte di legge in tema di bioetica e fecondazione medicalmente
assistita, in questa
Rivista, 1997, 579; Saulle,
Bioetica (diritto internazionale), in Enc. diritto, Aggiornamento, Vol. I., Milano, 1997, 252; Bilancetti,
Bioetica e sterilità: riflessi giuridici, in Riv. it. medicina legale, 1995, 1031; Berlinguer, Considerazioni
sul rapporto tra la bioetica e la salute, in Assistenza soc., 1995, 427; Borsellino,
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L'etica nei comitati di bioetica. Problemi e prospettive, in Iustitia,
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Bioetica e diritto, in Riv.
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giuridico, in Riv. Dir. Civ.,
1995, I, 43; Dogliotti, L'inseminazione
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L'inseminazione eterologa nella coppia coniugata: spunti per una
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famiglia artificiale e diritto privato, in Dir. fam. e pers., 1987, 1159; Germanà
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Sulle nuove tecnologie della riproduzione umana, in Dir.
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Diritti umani e genetica: prime
riflessioni sugli orientamenti del Consiglio d'Europa e sull'insegnamento
della chiesa cattolica, in Dir.
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Procreazione artificiale eterologa e
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Roberti, In tema di rapporti
tra l'istituto dell'adozione e la procreazione artificiale, in Dir.
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Alcune considerazioni giuridiche sulla procreazione artificiale umana,
in Dir. fam. e pers., 1987, 1275; Manera,
Inseminazione artificiale e manipolazioni genetiche: urgente necessità
di un'appropriata disciplina legislativa, in Dir. fam. e pers., 1987, 1283; Moneta,
Procreazione artificiale e diritto
matrimoniale canonico, in Dir.
fam. e pers., 1987, 1303; Patti,
Sulla configurabilità di un diritto
della persona di conoscere le proprie origini biologiche, in Dir. fam. e pers., 1987, 1315; Piraino
Leto, I procedimenti di
procreazione tra libertà e diritto, in Dir.
fam. e pers., 1987, 1325; Rubino,
Rilevanza giuridica degli accordi in
tema di fecondazione artificiale, in Dir.
fam. e pers., 1987, 1337; Scardulla,
Inseminazione artificiale omologa od
eterologa ed intollerabilità della convivenza, in Dir. fam. e pers., 1987, 1343; Sgreccia
e Di
Pietro, Manipolazioni genetiche e procreazione artificiale: orientamenti
giuridici e considerazioni etiche, in Dir.
fam. e pers., 1987, 1351; Simoncelli,
Concepimento senza sessualità, in
Dir. fam. e pers., 1987, 1449; Sisto,
Mater non semper certa est: la
gestazione per conto terzi fra (pieni di) scienza e (vuoti di) legislazione,
in Dir. fam. e pers., 1987, 1467; Sparpaglione
e Canali,
A proposito di ingegneria genetica:
osservazioni giuridiche e psicologiche sull'inseminazione artificiale
eterologa, in Dir. fam. e pers.,
1987, 1475; Vecchi, La fecondazione artificiale nel caso di mutamento di sesso in Italia e
nella Germania federale, in Dir.
fam. e pers., 1987, 1487; Visintin,
Ancora qualche considerazione sulla
necessità di una legge che regolamenti la fecondazione artificiale umana,
in Dir. fam. e pers., 1987, 1503; Savoia
V. E., Il progresso scientifico e la tutela della persona; Lanzillo,
Bioetica e scelte normative in tema di procreazione artificiale, in Corr.
Giur., 1988, 173; Lombardi
Vallauri,
Bioetica, potere, diritto, in Iustitia,
1984, 1.
[4]
Tale tema risulta oggi profondamente intrecciato con quello, di più ampio
respiro, relativo prima all'atteggiamento etico da adottare circa lo
sviluppo della ricerca e l'utilizzazione delle nuove tecnologie
riproduttive, e poi al trattamento giuridico da riservare a tali tecniche di
maternità surrogata. Questioni, queste, che hanno registrato un proliferare
di studi, di riflessioni, di iniziative e di risposte legislative. Si rinvia
a Rodotà (a cura di), Questioni
di bioetica, Bari, 1997, e ivi ampia
bibliografia; per altri riferimenti, v. anche Baudouin
e Labrusse-Riou, Produire l'homme
de quel droit?, Parigi, 1987; Dräi
e Harichaux (a cura di), Bioétique
et droit, Parigi, 1988. In ordine ai problemi giuridici si vedano
innanzitutto i contributi presenti in Ferrando
(a cura di), La procreazione
artificiale tra etica e diritto, Padova, 1988; AA.VV., Procreazione artificiale e interventi nella genetica umana, Padova,
1987; per altre indicazioni, si v. Ferrando,
Modelli giuridici di controllo delle tecniche di procreazione artificiale,
in Politica del diritto, 1991, 585.
[5]
Così recentemente Bilotta, La maternità surrogata, in Liberati-Bilotta,
Diritti della personalità e
biotecnologie, Roma, 1999, 69.
[6]
Per questa distinzione Baldini, Tecnologie riproduttive e problemi giuridici, Torino, 1999, 96.
[7]
Si veda il Parere del comitato
nazionale di bioetica sulle tecniche di procreazione assistita. Sintesi e
conclusioni (17 giugno 1994), dove all’art. 3 si legge
<<Aderendo al principio di diritto comune che delegittima ogni forma
di commercializzazione del corpo umano e con riferimento al bene del
nascituro, alla sua situazione psicologica, a quella dei committenti e della
madre portatrice, nonché al profondo legame affettivo che si instaura tra
gestante e feto, il C.N.B. esprime una valutazione negativa sulla maternità
surrogata. Più esattamente, alcuni la ritengono del tutto illecita dal
punto di vista morale, in quanto attua una così grave scissione dell'atto
generativo e una così profonda frammentazione della figura materna, da
contraddirne il significato autentico. Altri la ritengono generalmente non
auspicabile, per quanto non moralmente illecita in ogni circostanza, tenuto
conto che essa può essere mossa dal fine benefico della nascita di un nuovo
essere umano e da motivazioni oblative. Inoltre, per ciò che concerne il
caso in cui la madre sostituta sia persona di famiglia, alcuni membri
ritengono che tale situazione susciti ulteriori motivi di contrarietà dal
punto di vista etico, in quanto, a causa dei conflitti che essa solleva,
viene sconvolto o quanto meno perturbato il sistema familiare. Altri invece
non ritengono che, in ragione della novità della situazione, le conoscenze
disponibili siano sufficienti a giustificare conclusioni così nette. Oltre
che sul piano dell'etica, la scelta della maternità surrogata appare
problematica nei suoi risvolti pratici e giuridici: anche su di essi occorre
richiamare esplicitamente l'attenzione di tutte le persone che fossero
propense ad adottare questa forma. Tenuto conto dei principi generali che
governano il diritto di famiglia e quello della filiazione in particolare,
il C.N.B. ritiene che il contratto di maternità surrogata vada ritenuto
illecito e perciò privo di effetti e ininfluenze sulla definizione dello
status di figlio, al quale devono essere assicurate certezza e stabilità.
Con questi obiettivi sembrano coerenti le regole, già desumibili dal
diritto vigente, secondo cui la maternità è stabilita dal parto e
l'affidamento del figlio risponde al principio generale per il quale le
decisioni che lo riguardano devono essere prese in considerazione del suo «prevalente
interesse». Il C.N.B. ritiene infine che vada comunque penalmente
sanzionata qualsiasi forma di intermediazione su base commerciale volta a
rendere possibile o a favorire l'accordo tra i soggetti interessati>>.
[8]
Cfr. Baldini, op. e loc.
cit., che ricorda che correntemente si parla di madri per procura o su commissione
o in affitto o surrogate, e di affitto di
ventre o di locazione di utero
o di madri portatrici o di surroga
parziale.
[9]
Auletta, Fecondazione
artificiale: problemi e prospettive, in Quadr.,
1986, 1 e ss..
[10]
In generale, sulla questione delle c.d. nuove fontiere del diritto
contrattuale, è opportuno riportare l’opinione di Alpa,
Nuove frontiere del diritto
contrattuale, in Contr. e impresa,
1997, 632. In particolare si afferma: <<È opinione tralatizia che la
disciplina del contratto nei diversi ordinamenti sia fondata su «valori
comuni» . Anche per questa opinione si può dire quanto si è
sinteticamente sopra riferito per le radici romane. È chiaro che -
intendendosi genericamente il contratto come «operazione economica» - si
possano riscontrare valori comuni, intesi a dare rilievo al «consenso», e
quindi alla volontà di chi conclude il contratto, alla «libertà di
contrarre», all'esigenza di «conservare» l'operazione economica sia per
ragioni di economia dei rapporti sia per la stessa certezza dei rapporti e
per lo sviluppo di traffici e commerci; ma è altrettanto chiaro che in
alcune esperienze si enfatizzano o si sottolineano valori - come, ad es., il
valore della «persona» - che in altre esperienze non sono tutelati in
materia contrattuale. Emblematiche, al riguardo, sono l'esperienza tedesca,
ove di recente la giurisprudenza costituzionale ha considerato il valore
della persona come incidente sulla stessa validità del contratto che si
facesse portatore di valori ad essa contrari, o l'esperienza italiana in cui
molto si è discusso sulla rilevanza dei valori della persona in questa
materia. D'altra parte, una ricognizione dei possibili oggetti o contenuti
del contratto è rivelatrice dei valori e dei limiti che nei singoli
ordinamenti si prendono in considerazione: la valenza giuridica dei negozi
familiari, la validità giuridica degli accordi per la maternità surrogata,
o per il trasferimento di organi del corpo umano, sono altrettante spie
delle diverse concezioni dei valori che reagiscono sulla nozione e sulla
disciplina del contratto>>.
[11]
Cfr. Dogliotti, Inseminazione artificiale, problemi e prospettive, in Giur.
it., 1985, IV, 421; Santosuosso,
La fecondazione artificiale umana, Milano, 1984, 51; Auletta,
op. e loc. cit..
[12]
Baldini, op.
cit., 100.
[13]
Chiaramente Vercellone, La fecondazione artificiale, in Politica
del diritto, 1986, 103.
[14]
Per tutti Bianca, Diritto civile, la famiglia e le successioni, 1989, 294 il quale
afferma <<Si tratta piuttosto di sapere se la madre genetica abbia
avuto un titolo per far valere la sua maternità e se questo titolo possa
ritenersi poziore rispetto a quello della madre uterina. L’ultimo quesito
deve risolversi negativamente in quanto è la gestazione che crea
l’essenziale e concreto rapporto materno in cui si realizza
l’accoglimento dell’essere umano. La forzata sottrazione del minore alla
madre uterina appare quindi inammissibile in ragione del preminente
interesse del minore a mantenere il rapporto materno già naturalmente
costituito e vissuto>>.
[15]
Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989, in Foro
it., 1990, I, 298, con nota di Ponzanelli;
in Dir. fam. e pers., 1990, 184,
con nota di Ventura, Sulla procreazione artificiale: una sentenza innovativa;
in Giur.
it., 1990, I, 2, 296, con nota di Palmeri,
Maternità <surrogata>: la prima
pronuncia italiana, in Giur.
merito, 1990, 240, con nota di Maglio,
Spunti in tema di procreazione
artificiale, in Giust. Civ.,
1990, I, 478, con nota di Cervelli, Biogenetica, fecondazione artificiale e problemi giuridici emergenti; in
Nuova Giur. Civ., 1990, I, 355,
con nota di Liaci, Contratto
di sostituzione di maternità.
[16]
Inforcati gli occhiali del comparatista, è interessante notare come la
diversità delle soluzioni, espressione anche della diversità delle
fattispecie, caratterizza anche la giurisprudenza americana. Il primo,
famosissimo, è il caso Baby M. (Corte Suprema del New Jersey 03 febbraio
1988) che puo essere massimato nel modo seguente Il
contratto con cui una donna consente, verso compenso, a ricevere il seme di
un uomo e a condurre a termine la gravidanza, rinunciando ai suoi diritti di
madre, è nullo per contrarietà alle norme sull'adozione e per contrasto
con l'ordine pubblico. Diversamente la Corte Suprema della California
del 20 maggio 1993 ha così deciso: Nel
diritto della California (Usa) quando gli elementi della consanguineità e
della generazione, presi in considerazione dalla legge per determinare il
rapporto di filiazione naturale, non riconducano alla stessa donna (ciò che
avviene quando un ovulo fecondato venga impiantato nell'utero di una donna
che si sia contrattualmente impegnata a portare a termine la gravidanza),
per madre naturale si assume colei che ha inteso far nascere il figlio per
poi allevarlo. In verità esistono delle differenze tra le due vicende:
in Baby M. si trattava di una donna che non solo aveva «affittato»
l'utero, ma aveva fornito l'ovulo [quindi, maternità surrogata]. Nel caso pervenuto alla Corte Suprema della
California il nato è invece, geneticamente, interamente figlio dei suoi
genitori [quindi, locazione d’utero].
E tale maggiore purezza genetica ha costituito una delle ragioni per
l'accoglimento, da parte della Corte Californiana, della piena validità del
contratto di sostituzione di maternità e per il rifiuto di qualsiasi
diritto a favore della madre surrogata. Tre, in particolare sono i problemi
che la Corte californiana è stata chiamata a risolvere (la determinazione
della maternità quando nello scenario esistano due madri: quella di sangue
e quella che materialmente ha dato la nascita al figlio; la sorte del
contratto di surrogacy; i diritti
spettanti a colei che ha dato la nascita al figlio).
In
merito cfr. le considerazioni di Ponzanelli,
California e ‘vecchia'
Europa: il caso del contratto di maternità surrogata, in Foro
it., 1993, IV, 337: <<Secondo
l'opinione di maggioranza, scritta da Lucas, cui aderiscono altri quattro
giudici del collegio, non esiste dubbio alcuno che la madre sia quella
consanguinea, che il contratto di surrogacy
sia valido e che alla donna partoriente non spetti alcun diritto nei
confronti del figlio minore. Affrontando il primo problema, la Corte ritiene
che, sebbene la legge californiana riconosca sia la consanguineità genetica
sia il parto materiale come mezzi per la determinazione della relazione
madre-figlio, quando le due realtà non coincidono nella stessa donna, «colei
che ha voluto far nascere il figlio, cioè la donna che per prima ha voluto
dar la nascita al figlio e crescerlo come proprio, deve essere considerata
come la madre naturale secondo la legislazione della California»: la madre
biologica è più madre della madre surrogata, che pure ha partorito il
figlio. In tal modo si attribuisce un ruolo e un'importanza maggiore al
momento causale antecedente all'inseminazione artificiale: cioè, al momento
della decisione presa dalla coppia committente di unire uovo e spermatozoo
che saranno poi trapiantati nella tunica mucosa che riveste la cavità
dell'utero di un'altra donna. Così facendo, si ragiona in termini di nesso
di causalità: la scelta della coppia committente viene considerata
l'antecedente causale senza il quale non si sarebbe mai avuto il parto
finale. Si applicano, quindi, criteri tipici dell'illecito civile, che certo
non possono così facilmente essere estesi nel diverso settore
dell'accertamento della maternità (il criterio nel diritto nordamericano è
del but-for causation test,
sostanzialmente equivalente alla teoria della conditio sine
qua non, secondo cui la condotta dell'agente è causa dell'evento ogni
qualvolta si accerti, con un giudizio ex
post, che essa è valsa a porre in essere una qualsiasi condizione senza
la quale l'evento non si sarebbe verificato); ragionamento, questo, che
attribuisce una valenza proprietaria all'idea, e al relativo progetto, di
avere un figlio, rispetto a cui la gravidanza materiale assume un valore
esecutivo e subordinato. (...) In relazione al secondo profilo, il contratto
di surrogacy non viene ritenuto in
contrasto con il codice penale californiano, laddove (section 273) si
proibisce perentoriamente il pagamento per l'adozione di minori: sul
presupposto che la madre surrogata non è la madre genetica del bambino, per
il contratto spontaneamente perfezionato tra le parti «... il pagamento era
volto a indennizzare la madre surrogata per i servizi dalla stessa resi
nella gestazione del feto piuttosto che costituire la rinunzia ai suoi
diritti parentali nei confronti del figlio». Con riguardo al terzo profilo,
infine, i diritti della madre surrogata alla companionship
del figlio che ha partorito non sono in alcun modo protetti dalla
Costituzione federale: i principi di substantive
due process e di libertà procreativa, cui fa riferimento la madre
surrogata, non vengono accolti dai giudici californiani perché ininfluenti
rispetto alla sua posizione, che è « ... something
less than those of a mother». La donna che conclude un contratto di surrogacy
«non esercita alcun diritto di scelte procreative autonome; diversamente,
essa ha dato solo il suo assenso per la prestazione di un servizio
necessario e profondamente importante, senza maturare alcuna aspettativa di
far crescere il futuro figlio come il proprio»>>.
Degno
di essere menzionato, infine, è il caso pervenuto alla Corte Suprema della
California del 27 agosto 1997. Nella vicenda in esame alla procreazione
avevano “contribuito” cinque soggetti [Il caso, infatti, è il seguente:
due coniugi si rivolgono ad un centro per la fecondazione artificiale, che
fornisce loro non solo l’ovulo e lo sperma di soggetti senza nome, ma lo
stesso embrione, realizzato attraverso la fecondazione in
vitro, successivamente trapiantato nell’utero di una terza donna]. La
Corte Suprema ha sostanzialmente garantito la irresponsabilità, nei
confronti del nato, dei due committenti, dei due donatori e di colei che si
è limitata al mero affitto del proprio utero, affermando, ai fatti, la
condizione, per il nato, di “figlio di nessuno”.
[17]
In particolare si legge << Il fenomeno è noto, soprattutto, alla
giurisprudenza ed agli ordinamenti dei paesi di «common law». In
particolare, il legislatore inglese, nonostante la disapprovazione, più che
altro etica, espressa dal c.d. «Warnock Report» del luglio 1984, ha
emanato il «Surrogacy
Arrangements Act 1985», che, pur omettendo un'espressa qualificazione di
liceità degli accordi di surrogazione, nonché la predisposizione di una
specifica, adeguata tutela giudiziaria e la formulazione di un criterio
purchessia per l'individuazione della madre legalmente considerata, vieta e
punisce penalmente lo sfruttamento di fini di lucro («on a commercial basis») della pratica surrogatoria, mentre tollera
come non illegale («it is not a
contravention») qualunque attività posta in essere, anche dietro
corrispettivo, dagli stessi diretti interessati in vista di un accordo di
surrogazione. Per quanto poi concerne l'esperienza giuridica statunitense,
ha avuto grande risonanza la decisione della Corte superiore del New Jersey,
31 marzo 1987, Stern v. Whitehead (sulla quale molto insiste la difesa degli
attori), che ha affidato al padre biologico ed alla moglie dello stesso la
bambina contesa, nata, per inseminazione artificiale, dalla madre
biologicamente surrogata e coniugata con un altro uomo, argomentando da
diritto fondamentale costituzionalmente garantito, del padre biologico alla
procreazione con qualsiasi mezzo riproduttivo; dall'interesse del figlio ad
entrare a far parte della famiglia che possa assicurargli il maggior
benessere e dalla validità del contratto di maternità, perché lo stesso
soddisfa sia il diritto alla procreazione sia l'interesse del nascituro
(tale decisione, peraltro, è stata, in sede di gravame, dalla Corte Suprema
del New Jersey, in data 3 febbraio 1988, parzialmente modificata nella
motivazione — l'affidamento della minore ai coniugi attori, è stato
giustificato unicamente con la prospettiva per la bambina di una migliore
qualità di vita, mentre il contratto è stato ritenuto invalido, in quanto
contrastante con il divieto legale di patti economici in materia di adozione
—, e nel dispositivo — alla madre biologica è stato riconosciuto il
diritto di visita, negatole in primo grado —). Nell'ordinamento italiano,
del fenomeno si è interessata in particolare, de
iure condendo, la commissione ministeriale nominata dal ministro della
sanità con decreto 31 ottobre 1984, la quale, a conclusione dei propri
lavori, il 22 novembre 1985, ha formulato due distinte proposte di legge:
una, di contenuto più ristretto, intitolata «norme sui procedimenti non
naturali per la fecondazione con seme del marito» e relativa alla sola
inseminazione omologa, ed una, di contenuto più ampio, intitolata «norme
sulla fecondazione artificale umana e sul trattamento di gameti ed embrioni»,
che, all'art. 34, proibisce qualunque contratto di maternità, tanto se si
tratti di «madre surrogata» (con prestito, cioè, del grembo, donazione
dell'ovulo ed impegno a cedere il figlio partorito), quanto se si tratti di
«madre portante» (con semplice prestito del grembo per la gestazione di un
figlio geneticamente del tutto estraneo), ed equipara la cessione del
neonato in forza di un contratto concluso malgrado il divieto allo stato di
abbandono, con inizio della procedura di adottabilità del minore, senza
preclusioni, ma anche senza preferenza nella scelta degli affidatari. In
iure condito, comunque, per il nostro sistema, il contratto di maternità,
quale che ne sia il concreto contenuto, impinge in alcuni insormontabili
ostacoli normativi, vuoi di ordine legislativo vuoi di ordine costituzionale
e nel caso in cui a stipularlo siano i genitori biologici, non legati fra
loro da vincoli giuridico-matrimoniali o soltanto affettivi attuali e non
intenzionati a contrarne di futuri, neppure con riferimento alla persona del
nascituro, non meno che nel caso in cui alla stipulazione non partecipi
anche il padre biologico ovvero la paternità per così dire «convenzionale»
debba risultare diversa da quella naturale>>.
[18]
Ferro, Il problema
della "maternitè de substitution" e della liceità del contratto
relativo: le ipotesi di soluzione nel contesto della legislazione civile
francese e italiana e della Common law statunitense, in Dir.
fam. e pers., 1995, 40.
[19]
Corte cost., 10 febbraio 1981, n. 11, in Foro
it., 1982, I, 28.<<Sono
inammissibili perché irrilevanti rispetto ad un giudizio avente ad oggetto
la dichiarazione di cessazione dello stato di adottabilità a seguito di
provvedimento definitivo di adozione ordinaria le questioni di
costituzionalità: a) degli art. 311 c.c. e 3 l. 5 giugno 1967, n. 431,
nella parte in cui prevedono che per l'adozione ordinaria di un minore sia
competente il tribunale per i minorenni del luogo di residenza
dell'adottante; b) degli art. 296 e 311 c.c., nella parte in cui richiedono
il consenso del legale rappresentante per l'adozione ordinaria di un minore
di otto anni in situazione di abbandono; c) dell'art. 312, n. 3, c.c. nella
parte in cui non prevede che la valutazione della convenienza dell'adozione
ordinaria di un minore debba essere fatta anche in relazione all'eventuale
adozione speciale, in riferimento agli art. 2, 3, 25, 1° comma, 30 e 31
cost.>>.
[20]
Cfr. Corte cost., 22 maggio 1974, n. 140 e 12 luglio 1965, n. 70 citate da
Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989.
[21]
Cfr. Corte cost., 18 febbraio 1975, n. 27 citata da Tribunale di Monza, 27
ottobre 1989.
[22]
Cfr. Corte cost., 8 giugno 1983, n. 149 citata da Tribunale di Monza, 27
ottobre 1989.
[23]
Cfr., fra le altre, Corte cost. 25 marzo 1976, n. 57.
[24]
Per una analisi delle diverse opzioni interpretative il riferimento è
d’obbligo a Lojacono, Inseminazione artificiale
(diritto civile), in Enc. dir.,
XXI, Milano, 1971, 757.
[25]
Cfr. nota 28.
[26]
Cass. civ., 23 aprile 1987, n. 3920, in Mass.,
1987. <<Poiché la domanda di dichiarazione di paternità naturale
implica questioni attinenti allo stato delle persone, al giudizio devono
partecipare tutti i soggetti la cui sfera giuridica, sia dal punto di vista
personale che da quello patrimoniale, resta sensibile alla formazione di uno
status diverso da quello
originario, senza che la necessità di tale litisonsorzio, in ragione
dell'indisponibilità dell'indicata posizione, possa trovare deroga in
relazione alla rinuncia di uno di detti soggetti (nella specie: la Corte
Suprema ha dichiarato la nullità del giudizio di secondo grado avverso una
sentenza di accoglimento della domanda di accertamento della paternità,
perché l'appello non era stato notificato alla sorella ed erede del preteso
defunto padre, la quale era parte del giudizio di primo grado)>>.
[27]
In verità sembrerebbe esserci una inversione di tendenza, proprio in tema
di fecondazione artificiale. Più precisamente la Corte di Cassazione 16
marzo 1999 n. 2315 [in Guida al
diritto, 1999, n.12, 54, con nota di Finocchiaro, La Cassazione non può
svolgere una supplenza nelle funzioni riservate al legislatore; in
questa
Rivista, 1999, 233, con nota di Sesta,
Fecondazione assistita: la Cassazione
anticipa il legislatore; in
Resp. civ. e prev.,1999, 1058, con
nota di Guarneri, Un figlio, due padri, e di Cassano,
I figli della scienza in
Cassazione: il principio di autoresponsabilità e l’art. 235 c.c. (una
novità giurisprudenziale in tema di fecondazione artificiale eterologa).
Cfr. inoltre Schlesinger, Inseminazione
eterologa: la Cassazione esclude il disconoscimento di paternità, in Corr. giur.,
1999, 401] ha affermato che il marito
che abbia validamente concordato o comunque manifestato il proprio
preventivo consenso alla fecondazione eterologa non ha azione per il
disconoscimento della paternità del bambino nato in seguito a tale
fecondazione.
[28]
Afferma ancora il Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989, che <<nessuno,
del resto, penserebbe ad una trasmissione negoziale, per spirito di
liberalità o emptionis causa, dello stato di cittadino o di coniuge o,
addirittura, di soggetto di diritto, mentre sono nell'esperienza di tutti il
fatto o l'atto giuridico — cioè, appunto, il fatto volontario — della
perdita della cittadinanza, dello scioglimento del matrimonio, della
morte>>.
[29]
Si ricordi, inoltre, il caso pervenuto al Pret. Padova, 7 novembre 1958, in Giur. it., I, 2, 1959, 84: un marito querelò la moglie fecondata
con il seme di un donatore, accusandola di adulterio, ai sensi dell'art. 559
c.p.. Il giudice escluse che l'inseminazione artificiale eterologa
integrasse questo reato. La norma faceva riferimento alla fedeltà
coniugale, realizzata attraverso “l'esclusiva” sessuale, esclusiva che
non poteva dirsi compromessa dalla fecondazione artificiale. Inoltre, il
reato di adulterio era (l'art. 559 c.p. venne dichiarato incostituzionale
con le sentenze n. 126 del 19 dicembre 1968 e n. 147 del 3 dicembre 1969) un
reato plurisoggettivo, perciò non si adattava a questa fattispecie priva di
correi. La donna fu in un primo momento prosciolta dall'accusa, ma poi
condannata dal Tribunale di Padova, 15 febbraio 1959, in Giur.
it., 1959, I, 2, 196, sulla base della considerazione che “l’oggetto
giuridico della tutela penale si deve identificare nell'interesse dello
Stato di garantire l'ordine giuridico matrimoniale, contro il perturbamento
derivante dall'adulterio della moglie”. Il caso giunse anche innanzi alla
Corte di Cassazione, 12 giugno 1964, in Mass.
Cass. pen., 1965, 134, la quale confermò il giudizio del Pretore,
affermando che la fecondazione artificiale non costituisce adulterio, perché
questo reato “implica una traditio
corporis alle voglie del correo, per il soddisfacimento dei sensi e
degli appetiti sessuali, mentre l'inseminazione artificiale tiene lontani e
divisi due esseri da qualsiasi manifestazione di erotismo e si riduce ad una
fredda operazione di laboratorio”.
[30]
Palmeri, op.
cit., 296.
[31]
Per spunti e approfondimenti cfr. Alpa,
Appunti sull’inseminazione artificiale, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 333.
[32]
E’ opportuno ricordare che le affermazione del Tribunale di Monza, 27
ottobre 1989 devono essere rilette alla luce di quanto statuito dalla Corte
di Cassazione 16 marzo 1999 n. 2315 cit..
In particolare in un passo della pronuncia si legge << L’azione
di accertamento costitutivo, in assenza di una diversa (ed eccezionale)
previsione, non può spettare proprio al soggetto che abbia posto in essere
o concorso a porre in essere, con atti o comportamenti non vietati dalla
legge, la situazione giuridica per la cui modificazione è apprestata. Il
principio è espressione del criterio generale secondo cui l'azione è
strumento di tutela di posizioni soggettive (art. 24 della Costituzione),
cioè mezzo per reagire contro un’aggressione in corso o potenziale da
altri commessa o minacciata; l'azione medesima, ove fosse attribuita, per
rimuovere o modificare giudizialmente un rapporto, al soggetto che lo ha
liberamente determinato, si tradurrebbe in un'iniziativa contro lo stesso
titolare, non conosciuta dall'ordinamento, e comunque estranea al diritto di
difesa, quando non venga in discussione la validità dell'atto volitivo. La
regola trova numerose esplicitazioni nel campo dei rapporti patrimoniali
(basta ricordare le disposizioni degli artt. 1441, 1447 e 1453 cod. civ. in
tema di annullamento, rescissione o risoluzione del contratto), ma deve
considerarsi immanente anche nel settore dei diritti personali ed
indisponibili, potendosi chiedere al giudice l'accertamento dell'esistenza
dei diritti stessi e la rimozione degli effetti di atti di disposizione
viziati, non il mutamento dell'assetto in precedenza provocato con atti o
comportamenti permessi dall'ordinamento. L’indisponibilità dei diritti
inerenti alla persona, in altre parole, rende insensibile le azioni previste
a loro tutela a fronte di scelte abdicative non consentite, non di scelte
legittime, di contenuto tale da elidere i presupposti e le basi logiche
dell'insorgenza delle azioni stesse. In relazione al secondo profilo, quello
riguardante gli interessi protetti, va rilevato che l'azione di
disconoscimento della paternità compete al marito, alla madre ed al figlio,
cioè ai tre protagonisti della vicenda procreativa ricadente nella
presunzione di legittimità ancorata al dato temporale del concepimento
durante il matrimonio, non spetta a terzi, e nemmeno al pubblico ministero.
Tale ristretto ambito di titolarità dell'azione, coordinato con la
tassatività dei casi in cui è esercitabile e con i brevi termini di
decadenza all'uopo stabiliti (art. 244 cod. civ.), indica che la preferenza
e prevalenza della realtà sulla presunzione non sono incondizionate, non
rispondono ad un'esigenza pubblicistica, ma mirano a difendere
esclusivamente le posizioni di quei soggetti ai quali soltanto è demandata
la valutazione comparativa delle due situazioni in conflitto e la decisione
di optare per l'una o l'altra, facendo emergere la verità, ovvero
mantenendo la fictio iuris della
paternità presunta. Il marito, concordando ed attuando con la moglie la
fecondazione eterologa, effettua e consuma detta valutazione e detta
opzione. Un successivo ripensamento, a prescindere da apprezzamenti di
ordine etico, difetta della ratio su
cui si fonda l'azione di disconoscimento, perché rinnega una scelta già
espressa con l'assunzione di una paternità presunta nonostante la piena
contezza della sua non rispondenza alla paternità biologica. Detto
ripensamento, del resto, ove ammissibile, sfuggirebbe a limitazioni, e
dunque tradirebbe le finalità per le quali il disconoscimento è
contemplato, perché assegnerebbe al marito un quid
pluris rispetto all'alternativa sopra evidenziata, vale a dire l'anomala
licenza di rivedere la propria anteriore decisione anche se siano rimasti
fermi tutti i dati a suo tempo noti ed apprezzati, ovvero siano sopravvenute
circostanze non certo meritevoli di tutela in pregiudizio del bambino già
nato (quali il dissidio con il coniuge, il superamento dell'impotenza, o
l'insoddisfazione per il frutto dell'inseminazione). Se il parametro della
predominanza del favor veritatis dovesse avere forza tale da permettere al marito un
contegno «ondivago», con l'esercizio dell’azione di disconoscimento
anche dopo una meditata (e probabilmente sofferta) decisione di aderire
all'intento della moglie di praticare la fecondazione assistita, si dovrebbe
pervenire in via generale, ad ammettere la rivedibilità di ogni scelta,
solo perché divergente dalla realtà, consentendo ad esempio pure la
possibilità del marito, vittorioso nel giudizio di disconoscimento, di
rivendicare successivamente la qualità di padre del minore in precedenza
disconosciuto, deducendo e dimostrando fatti contrari a quelli anteriormente
allegati; l'illogicità di tale risultato conferma che l'azione di
disconoscimento non può competere solo perché vi sia una verità difforme
dalla presunzione legale, richiedendosi la concorrente presenza delle
specifiche circostanze fattuali delineate dall’art. 235 cod. civ. e delle
esigenze e finalità in funzione delle quali le circostanze stesse si
appalesano giustificative della rimozione dello status
determinato da quella presunzione. Il «bene-verità», quindi, in tema
di disconoscimento, ha una priorità non assoluta, ma relativa, in quanto può
prevalere per effetto di una valutazione preferenziale effettuata dagli
interessati, dovendo invece definitivamente cedere il passo al «bene-presunzione»
dopo un'opzione di segno opposto (situazione del resto contemplata nella «vicina»
materia del riconoscimento del figlio naturale ai sensi dell'art. 250 cod.
civ.)>>.
[33]
Dogliotti,
Inseminazione artificiale, diritti del minore e suggestioni paternalistiche,
in Foro pad., 1995, 300; Dogliotti,
Inseminazione artificiale e rapporto di filiazione, in Giur.
it., 1991, I, 2, 73; Cervelli, Biogenetica, fecondazione artificiale e problemi giuridici emergenti, in
Giust. civ., 1990, I, 485; Calogero,
La procreazione artificiale, Milano, 1989, 113; Furgiuele,
La fecondazione artificiale, in
Quadr.,1989, 250; Ponzanelli, Ancora
sul caso <<Baby M.>>: illegittimità dei contratti di
sostituzione di maternità, in Foro
it., 1989, IV, 293; Clerici, Procreazione artificiale, pratica della surrogazione e contratto di
maternità: problemi giuridici, in Dir.
fam. e pers., 1987,1011; Criscuoli,
La legge inglese sulla
surrogazione materna tra riserve e proposte, in Dir.
fam. e pers., 1987,1029; Trabucchi,
Procreazione artificiale e
genetica umana nella prospettiva del giurista, in Riv.
dir. civ., 1986, II, 495; Auletta,
op. cit., 59; Santosuosso, La
fecondazione artificiale umana, Milano, 1984, 66.
[34]
Cfr. anche App. Salerno, 25 febbraio 1992, in
Nuova Giur. Civ., 1994, I, 177, con nota di Bitetti,
Contratti di maternità
surrogata, adozione in casi particolari ed interesse del minore <<Ammessa
l'illiceità del contratto di maternità surrogata che preveda la cessione
del nascituro non è escluso che, una volta nato e volontariamente ceduto
dalla madre biologica, il minore, riconosciuto dal padre naturale, possa
essere dalla moglie di questi adottato ai sensi dell'art. 44 comma 1, lett.
b) l. 4 maggio 1983 n.184>>.
[35]
Dogliotti, Inseminazione
artificiale e rapporto di filiazione, cit., 73.
[36]
Così Baldini, op.
cit., 100
e ivi ulteriori indicazioni
bibliografiche. Cfr., inoltre, il Report
of the Commitee of Inquiry Into Human Fertilization and Embryology,
H.M.S.O., Londra, 1984, meglio noto come Rapporto
Warnock: <<Se la sterilità è una condizione a cui si vuole, per
quanto possibile, porre rimedio, la maternità surrogata non dovrebbe essere
esclusa, in quanto costituisce per alcune coppie l’unica alternativa per
avere un figlio che abbia un collegamento genetico con almeno uno di essi.
In particolare, potrebbe costituire l’unico modo per un uomo con una
moglie sterile per avere un figlio. Inoltre la gestazione di un bambino a
favore di un’altra donna può essere vista non come una operazione che
volgarizza, commercializza o specula sulla gravidanza, ma, come un atto
deliberato e consapevole di generosità da parte di una donna nei confronti
di un’altra. Se vi sono dei rischi connessi alla gravidanza, tanto più
sarà grande tale generosità>>.
[37]
Ponzanelli, Ancora sul
caso <<Baby M.>>: illegittimità dei contratti di sostituzione
di maternità, cit., 297.
[38]
Bilotta, op. cit., 90.
[39]
Cfr. Baldini, op.
cit., 99
che riporta l’ulteriore ipotesi in cui nell’utero della medesima
donna (madre uterina) vengano impiantati due o più embrioni appartenenti a
coppie diverse dando luogo alla cd. surrogazione di maternità
“gemellare”.
[40]
Clarizia, Inseminazione
artificiale, contratto di sostituzione di maternità e interesse del minore,
in Foro it., 1989, IV, 298.
[41]
Il c.d. interesse del minore è oramai frutto di approfonditi studi. Per
limitarsi ai più recenti contributi cfr. Longo, Adozione internazionale, tutela della riservatezza ed interesse del
minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 2 settembre 1997 n. 8383, Chimera c.
Proc. Rep. T. Palermo), in questa
Rivista, 1998, 360; Ferrando,
Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Politica
del Diritto, 1998, 167; Lo
Basso, La valutazione dell'interesse del minore e la pronuncia
sull'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità
(nota a sent. Cass., Sez. I, 25 settembre 1997 n. 9417, Lato c. Costanzo),
in Dir. fam. e pers., 1998, 546; Mellone,
Ostilità del padre e interesse del minore nell'accertamento della
paternità (nota a sent. Cass., Sez. I, 30 maggio 1997 n. 4834, Marcon c.
Baraldi; Cass., Sez. I, 8 novembre 1997 n. 11032, Paolicchi c. Marques),
in Nuova Giur. Civ., 1998, I, 219;
Porcari, Dichiarazione di paternità o maternità naturale: giudizio di
ammissibilità ed interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 13
agosto 1997 n. 7557, Coppola c. Bellame), in questa Rivista, 1998, 365; Sciancalepore,
L’interesse del minore fra esercizi di formalismo e legalità
costituzionale, in questa
Rivista, 1998, 407; Chimenti,
Interesse del minore di età e profili
di rilevanza del consenso (nota a sent. Cass., Sez. I, 15 gennaio 1998 n.
317, Del Giudice c. Rosialla), in Giust.
Civ., 1998, I, 1285; Fargnoli,
Dichiarazione giudiziale di paternità
ed interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 17 ottobre 1995 n.
10833, Tuvo c. Scaravaggi), in Nuova
Giur. Civ., 1997, I, 259; Figone,
Interesse del minore ed impugnazione
del riconoscimento per difetto di veridicità (nota a sent. C. cost. 22
aprile 1997 n. 112, Dama c. Caterino), in questa
Rivista, 1997, 412; Fittipaldi,
Un primo bilancio sugli effetti della decisione della Consulta n. 341
del 1990 in materia di interesse del minore al riconoscimento (nota a sent.
Cass., Sez. I, 7 maggio 1997 n. 3985, Sgarbi c. Brenner). in questa
Rivista, 1997, 539; Frasson,
L'interesse del minore ad instaurare rapporti affettivi con il preteso
genitore come nuovo criterio nella dichiarazione giudiziale di filiazione
naturale (nota a sent. Cass., Sez. I, 11 dicembre 1995 n. 12642, Guidato c.
Da Silva) in Nuova Giur. Civ., 1997, I, 269; Lombardi,
Sulla tutela dell'interesse del minore nel giudizio di impugnazione del
riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità (nota a sent.
Trib. Napoli 10 luglio 1996, Caterino), in Giur.
di Merito, 1997, 503; Vincenzi
Amato D., L'interesse
del minore è sempre interesse alla veridicità del suo "status
filiationis" (osservaz. a sent. C. cost. 22 aprile 1997 n. 112, Dama c.
Caterino), in Giur. Costit.,
1997, 1077; Zatti, Interesse del minore e "doppia figura genitoriale" (nota a
sent. Cass., Sez. I, 23 febbraio 1996 n. 1444, Diana c. Freschi; Cass., Sez.
I, 24 settembre 1996 n. 8413, Sangiovanni c. Congedo). in Nuova Giur. Civ., 1997, I, 84; Cerato,
Mutamento di sesso di un genitore e
interesse del minore, in Minori
Giustizia, 1997, 85; Salzano,
Libertà di espatrio ed interesse del minore (nota a sent. Trib. min. Roma 1
aprile 1996, Staller c. Koon); Dir. fam. e pers., 1997, 623; Bianco,
L'adozione dei singoli e la tutela
dell'interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 21 luglio 1995 n.
7950, Proc. gen. A. minorenni Roma c. Di Lazzaro), in Dir. fam. e pers., 1996, 491; Cristiani,
In tema di interesse del minore e di
differenza di età fra adottante e adottato (nota a sent. C. cost. 24 luglio
1996 n. 303, Proc. Rep.
T. min. Salerno c.
Crescenzo), in Giust. Civ., 1996, I, 3107; Finocchiaro,
L'interesse del minore e la differenza di età fra adottante e adottando: a
proposito della sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 1996 (nota a
sent. C. cost. 24 luglio 1996 n. 303, Proc. Rep.
Trib. min. Salerno c.
Crescenzo), in Giust. Civ., 1996, I, 2177; Lamarque,
L'eccezione non prevista rende incostituzionale la regola (ovvero, il
giudice minorile è soggetto alla legge, ma la legge è derogabile
nell'interesse del minore (osservaz. a sent. C. cost. 24 luglio 1996 n. 303,
Crescenzo c. Pres. Cons.), in Giur. Costit., 1996, 2509; Laperchia,
Interesse del minore ed irrevocabilità
dell'adozione (nota a sent. Cass., Sez. I, 24 novembre 1995 n. 12169,
Franchina c. Proc. gen. A. Torino), in Nuova
Giur. Civ., 1996, I, 564; Figone,
Dichiarazione giudiziale di paternità,
principio del contraddittorio e interesse del minore (nota a sent. Cass.,
Sez. I, 17 ottobre 1995 n. 10833, Tuvo c. Scaravaggi e altro), in questa
Rivista, 1996, 27; Carbone,
Un nuovo miraggio: l'intervento del
p.m. nell'interesse del minore (nota a sent. C. cost. 25 giugno 1996 n. 214,
D'Alessansro c. De Angelis e altro), in questa Rivista, 1996, 425; Conte,
Provvedimenti temporanei nell'interesse del minore e loro impugnabilità:
segnali nuovi all'orizzonte? (nota a sent. App. Roma 10 maggio 1993,
Tamburini c. Nordengren), in Dir.
fam. e pers., 1996, 1391; Ferrando,
Principio di eguaglianza dei figli
naturali e tutela dell'interesse del minore nei procedimenti familiari (osservaz.
a sent. C. cost. 25 giugno 1996 n. 214, D'Alessandro c. De Angelis e altro),
in Giur. Costit., 1996, 1882; Dainesi,
Diritto di visita e interesse del
minore (osservaz. a sent. Trib. Napoli 12 maggio 1995, Esposito) in
questa
Rivista, 1996, 568.
[42]
Cfr. recentemente Corte Cost., 26 settembre 1998, n. 347, in Corr.
giur., 1998, 1295, con nota di Carbone,
Riconoscimento di paternità e inseminazione eterologa: la Corte
Costituzionale non risolve il problema, in Vita not., 1999, 35, con nota di Cassano,
Pater incertus est: una
pronuncia sibillina della Consulta sul disconoscimento di paternità a
seguito di fecondazione eterologa; in Dir.
fam. e pers., 1999, 11, con nota di d’Avack,
Fecondazione eterologa assistita: l’evanescente, sibillina decisione della
Consulta, con nota di Morosini Fecondazione assistita eterologa e supplenza del giudice, dopo la
sentenza n. 347/1998 della Corte Costituzionale, con nota di
Ciani, Ancora su eteroinseminazione e disconoscimento di paternità: una
pronuncia elusiva della Corte Costituzionale; in Giur. Cost., 1998, 2637, con nota di Lamarque, La prima
decisione della Corte costituzionale sulle conseguenze delle tecniche di
procreazione medicalmente assistita; in Giust.
civ., 1998, I, 2409 con nota
di Morelli, Ancora una nuova tipologia di
decisione costituzionale: la "interpretativa di inammissibilità".
(A proposito della sent. n. 347 del 1998, sulla azione di disconoscimento di
figlio nato mediante inseminazione eterologa); in questa
Rivista, 1998, 405, con nota di Sciancalepore, op. cit.:
<<La possibilità che ipotesi nuove, non previste al tempo
dell'approvazione di una norma, siano disciplinate dalla stessa non è da
escludersi in generale. Ma tale possibilità implica un'omogeneità di
elementi essenziali e un'identità di ratio; nella cui carenza l'estensione della portata normativa della
legge si risolverebbe in un arbitrio. E’
quanto accadrebbe una volta che, ai fini dell'esperibilità
dell'azione di disconoscimento di paternità, l'ipotesi in esame fosse
equiparata, a quelle, tanto dissimili, previste dall'art. 235 del codice
civile. L’estraneità della fattispecie oggetto del giudizio alla
disciplina censurata comporta l'inammissibilità della sollevata questione;
dalla quale tuttavia emerge una situazione di carenza dell'attuale
ordinamento, con implicazioni costituzionali. Non si tratta in alcun modo,
in questa occasione, di esperirsi sulla legittimità dell'inseminazione
artificiale eterologa, né di mettere in discussione il principio di
indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono
suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle
tecniche applicate alla procreazione. Tutto ciò resta fuori del presente
giudizio di costituzionalità. Si tratta invece di tutelare anche la persona
nata a seguito di fecondazione assistita, venendo evitabilmente in gioco
plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie
per il nuovo nato (v. le sentenze n. 10 del 1998; n. 303 del 1996; n. 148
del 1992; nn. 27 e 429 del 1991; e nn. 44 e 341 del 1990), non solo in
relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in
particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima - in base
all'art. 2 Cost. - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente
impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti
che è compito del legislatore specificare. L'individuazione di un
ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti,
nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente
alla valutazione del legislatore. Tuttavia, nell'attuale situazione di
carenza legislativa, spetta al giudice ricercatore nel complessivo sistema
normativo l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli
anzidetti beni costituzionali.>>.
[43]
Clarizia, op. cit., 299.
[44]
Vedi supra ed in particolare nota 13.
[45]
Vercellone, Fecondazione
assistita e status familiari, in
Fecondazione assistita: una proposta
di legge da discutere, Atti del Convegno tenuto a Pisa, 30 gennaio-2
febbraio, Pisa, 1997, 104.
[46]
Con diverse sfumature in tema di fecondazione artificiale eterologa cfr.
Corte di Cassazione 16 marzo 1999 n. 2315, cit.,
<< Alla data della riforma del diritto di famiglia, di cui alla
legge 19 maggio 1975 n. 151, era già stata «scoperta» ed era in atto la
fecondazione dell’ovulo della donna in forma assistita, senza rapporto
sessuale, con intervento chirurgico costituito dall'introduzione di seme
maschile, nella duplice forma dell'inseminazione omologa od eterologa, a
seconda che ci si avvalga dello sperma del marito o di un terzo donatore.
Nonostante la diffusione della nuova pratica, prevalentemente utilizzata al
fine di assicurare un figlio alla coppia sterile per impotenza del marito,
nonostante il vivace dibattito insorto sulla liceità di essa (anche sotto
l'aspetto morale), e le sollecitazioni emerse nel corso dei lavori
parlamentari (fra l'altro, con la proposta governativa di negare il
disconoscimento della paternità al marito consenziente), l'art. 93 della
legge del 1975, nel riscrivere l'art. 235 cod. civ., non è andato oltre una
revisione terminologica ed un'opportuna unificazione delle ipotesi in cui
sia mancata la coabitazione dei coniugi, mentre ha nella sostanza mantenuto
ferma detta elencazione tassativa, continuando in particolare ad autorizzare
il disconoscimento per impotenza del marito in entrambe le manifestazioni
dell'impotenza stessa dinanzi ricordate. In questa riformulazione «conservativa»
non può essere colto l'intento del legislatore di non occuparsi
esplicitamente della fecondazione artificiale (così evitando di prendere
posizione sul dibattito in corso) nel presupposto dell'applicabilità ad
essa de plano delle disposizioni
sul disconoscimento della paternità. A tale risultato ermeneutico è
d'impedimento la circostanza che l'inseminazione artificiale non è
adulterio della moglie, esprimendo anzi un progetto di maternità basato
proprio sul rifiuto di ricorrere all'infedeltà coniugale per procreare; può
trovare movente nell'incapacità del marito, ma non necessariamente si
correla alla stessa, essendo riferibile anche a ragioni diverse, quali l'età
o le condizioni di salute del marito medesimo, con i connessi rischi di
trasmissioni genetiche sfavorevoli. Peraltro, la tesi dell'implicita
inclusione della fecondazione assistita nel caso dell'impotenza del marito
è contrastata dal rilievo che la norma a quest'ultima inerente, cioè il n.
2 del primo comma dell'art. 235 cod. civ., comprende anche la sola impotenza
al coito; la tesi medesima, in carenza di una disciplina che differenzi le
due ipotesi d'inseminazione, approderebbe all'aberrante risultato,
sicuramente non in linea con lo spirito della riforma del 1975, di
permettere il disconoscimento pure del figlio nato con il seme del marito
affetto di detto tipo d'impotenza (inseminazione omologa), e quindi di
negare la condizione di figlio legittimo proprio a cui sia per scientifica
certezza frutto della coppia. Acclaratosi che l'inseminazione, globalmente
intesa, non rientra in via immediata e diretta nelle previsioni dell’art.
235 nuovo testo cod. civ., e così esclusosi che il silenzio della riforma
del 1975 sia fondato sulla sottintesa premessa dell'attitudine di quelle
previsioni a disciplinare in modo completo il sopravvenuto ritrovato della
medicina, resta da vedere se la fecondazione assistita di tipo eterologo,
che usufruisce del seme altrui e che è caratterizzata da certezza (con pari
rigore scientifico) della non imputabilità del concepimento al marito,
possa ricadere, ove effettuata (come pacificamente nella specie) con il
preventivo, libero e valido consenso del marito, nell'ambito del
disconoscimento per impotenza, sulla scorta di un'interpretazione estensiva
o di un'applicazione analogica di detto n. 2 del primo comma dell'art. 235
cod. civ. oltre i casi espressamente regolati>>.
[47]
Per approfondimenti Cassano, Novità giurisprudenziali in materia di procreazione medicalmente
assistita, in Vita not., 1999,
1042.
[48]
E’ l’opinione di Vercellone, Fecondazione assistita e status familiari,
cit., 105.
[49]
Baldini, op.
cit., 106
che riporta l’opinione di Gorassini,
Procreazione artificiale eterologa e
rapporti parentali primari, cit.,
1251: <<la logica secondo cui la gestazione crea un vincolo più forte
con il nascituro per intensità effettiva e rapporto temporale, o l’immginifica
visione del seme lontano fatto crescere e sviluppare nel proprio orto, è
sovvertita dalla logica del buon senso secondo cui l’ovulo fecondato di
una donna negra, pur con la gestazione di una donna bianca,non può far
diventare bianco il nato (...)>>.
[50]
Bianca, op. e loc. cit.;
Auletta, op.
cit., 57.
[51]
Così efficacemente Patti, Verità e stato giuridico della persona, in Riv. Dir. Civ., 1988, II, 242.
[52]
Baldini, op.
cit., 105.
[53]
Anche se l’articolo 4, comma 3 prevede il divieto di ricorrere a tecniche
di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Naturalmente i
divieti, le sanzioni e lo status giuridico
del nato si pongono su piani differenti.
[54]
Prevede l’art. 6. (Consenso
informato) di suddetto disegno di legge: <<1. Per le finalità
indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico, anche
avvalendosi della figura professionale dello psicologo, informa in maniera
dettagliata i soggetti di cui all'articolo 5 sui metodi e sui possibili
effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione
delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle
stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la
donna, per l'uomo e per il nascituro. Alla coppia deve essere prospettata la
possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi
della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come
alternativa alla procreazione medicalmente assistita. Le informazioni di cui
al presente comma e quelle concernenti il grado di invasività delle
tecniche nei confronti della donna e dell'uomo devono essere fornite per
ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire la consapevole
formazione della volontà. 2. Alla coppia devono essere prospettati con
chiarezza i costi dell'intera procedura. 3. La volontà di entrambi i
soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita é
espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura,
secondo modalità definite con decreto dei Ministri di grazia e giustizia e
della sanità, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge. Tra la manifestazione della volontà e l'applicazione
della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La
volontà puó essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente
comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo. 4. Qualora il medico
responsabile della struttura autorizzata ritenga di non poter procedere alla
fecondazione medicalmente assistita, deve fornire alla coppia motivazione
scritta di tale decisione>>.
[55]
Corte di Cassazione 16 marzo 1999 n. 2315, cit..
[56]
Sulla consapevolezza del valore persona e sulla rilettura degli interessi
patrimoniali alla luce dei valori esistenziali, sia consentito il rimando a Cassano (a cura di), Persona
e diritto civile, Napoli, in corso di stampa.
[57]
Cfr. Casavola, Aspettando la
legge, in Il Messaggero del 29
febbraio 2000, 5.
[58]
Cfr. tutti i maggiori quotidiani del 29 febbraio 2000, i settimanali del 9
marzo 2000.
[59]
Così G. Berlinguer,
in
La Stampa del
29 febbraio 2000, 3.
[60]
Così Bindi, in Corriere
della Sera del 29 febbraio 2000, 2.
[61]
Corte Cost., 26 settembre 1998, n. 347,
cit.