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Articoli e note

 

TRIBUNALE CIVILE DI ROMA, SEZ XI, 14 (dep. 17) febbraio 2000, giudice C. Schettini

Contratto in genere — Contratto di sostituzione di maternità in determinati casi— Validità.

In un’ottica che concepisce la società come un organismo in continua evoluzione, ove sia rispettata l’autorealizzazione individuale, deve essere riconosciuto, quale diritto fondamentale della persona, il diritto a diventare genitori e di valutare e decidere le scelte in relazione al bisogno di procreare, con la precisazione che lo status genitoriale può trovare completezza nell’adozione ma anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico, dovendosi, quindi, propendere in determinati casi, per la validità del contratto di sostituzione di maternità.

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GIUSEPPE CASSANO
(Cultore della materia in Istituzioni di diritto privato
nell’Università LUISS di Roma)

La cicogna con il temporizzatore:
fremiti di novità in tema di maternità surrogata (
*).

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Il caso

Ancora una nuova frontiera del diritto di famiglia [1] in materia di procreazione medicalmente assistita.

Il caso, salito alla ribalta della cronaca, è quello di una donna affetta da sindrome di Rokitansky-Kuster, una patologia caratterizzata da una malformazione dell’apparato genitale. Non ha l’utero, ma può produrre ovociti. Con il marito desidera un figlio, e prima di decidere per l’adozione, prova a percorrere la via della fecondazione artificiale. E’ il 1994, quando i coniugi si rivolgono per la prima volta ad una clinica specializzata. Esclusa la possibità di un intervento chirurgico risolutore, procedono ad una fecondazione in vitro. Effettuata la fecondazione degli ovociti in provetta diventa necessario dare luogo alla crio-conservazione degli embrioni. Nel 1999, i coniugi hanno la disponibilità di un’amica di famiglia che, animata da intento solidaristico, senza nessun compenso, acconsente a portare a termine la gravidanza. Tutto sembra perfetto, ma il medico si rifiuta di eseguire l’intervento di trasferimento degli embrioni nell’utero della donna. Non può farlo, perché nel frattempo è entrato in vigore il codice deontologico che vieta espressamente l’accesso a pratiche di maternità surrogata. In questo contesto viene pronunciata l’ordinanza in esame che autorizza il procedimento di fecondazione assistita mediante l’uso di embrione congelato attraverso il c.d. utero in affitto [2]. L’ordinanza si inserisce in un panorama giurisprudenziale e di proposte legislative alquanto articolato, di cui, per comprendere appieno il ragionamento dell’organo giudicante, è opportuno fare menzione. 

 

I termini della questione

Il problema, giuridico ed etico, della maternità surrogata, rappresenta uno dei temi più attuali e dibattuti della bioetica[3]. Il problema principale per il giurista e per l’operatore del diritto è ancora oggi quello della mancanza di una disciplina specifica del settore e, quindi, della necessità in qualche modo di richiamarsi ad una normativa già esistente.

È bene introdurre degli elementi di chiarezza su quali siano queste tecniche di fecondazione artificiale.

Con l’inseminazione artificiale, la fecondazione avviene con metodi strumentali, mediante l’introduzione di gameti maschili nell’apparato genitale di una donna. La formazione dello zigote avviene nell’ambiente naturale. Viene definita omologa se effettuata con i gameti di entrambi i coniugi o eterologa se avviene mediante gameti donati. Con la fecondazione in vitro, la fecondazione è extra-corporea ed è effettuata attraverso una serie di attività cliniche. A tal fine alla donna, futura gestante o donatrice, viene prelevato dalle ovaie il numero di ovociti maturi ritenuto sufficiente per il successo della fecondazione in vitro. Raggiunto un certo grado di sviluppo gli embrioni vengono trasferiti nell’utero della donna. Infine, vi è la tecnica denominata GIFT, che rappresenta uno degli ultimi traguardi della scienza, per porre rimedio a determinati tipi di infertilità femminile. La fecondazione è corporea, ma sia lo sperma che l’ovocita, proveniente dal corpo della donna poi fecondata o dal corpo di un’altra donna, vengono introdotti artificialmente.

In particolare, all’interno della fattispecie contrattuale della maternità surrogata [4] si possono distinguere due diverse tipologie di intese, che hanno in comune un identico nucleo centrale: l’obbligazione di una donna di portare a termine una gravidanza e cederne il frutto alla coppia c.d. “committente”. L’embrione affidato alla gestante può essere generato o con una fecondazione in vivo, ossia la fecondazione dell’ovulo femminile con il seme del marito della coppia “committente” direttamente nell’utero della madre surrogata o con una tecnica detta FIVET, caratterizzata da due fasi: alla fecondazione in vitro, ossia l’unione in provetta dei gameti provenienti dalla coppia “committente” con cui si genera l’embrione, segue l’impianto dello stesso nell’utero della madre surrogata (embryo-transfert). L’esecuzione dell’accordo ha come risultato la consegna del bambino e la contestuale perdita di ogni diritto e dovere nei suoi confronti da parte della partoriente [5].

Per questioni di chiarezza sarebbe più opportuno qualificare come “maternità surrogata” quella tecnica in base alla quale una donna si impegna su commissione (con o senza corrispettivo) a portare a termine una gravidanza e a consegnare il figlio dopo il parto ai “committenti” (in questa ipotesi la donna incaricata “presta”, per così dire, sia il materiale genetico che la funzione di gestazione) e, come “locazione d’utero”, invece, quella fattispecie in cui la donna in questione si limita a portare avanti la gravidanza, mentre il materiale genetico impiegato è dei soggetti “committenti” [6].

Nel nostro ordinamento, come è noto, il contratto deve necessariamente realizzare un rapporto giuridico a contenuto patrimoniale. Ripugna, però, all’etica diffusa a livello sociale definire la prestazione della madre surrogata, come una vendita o concessione in godimento di beni del valore inestimabile, quali la vita di un figlio e l’affetto di una madre [7].

Il contratto di maternità surrogata è una forma di fecondazione artificiale eterologa che si concreta nell’intervento di una donna estranea alla coppia nel processo procreativo. Tale intervento determina la rottura dell’unità dell’elemento naturalistico individuativo della maternità, con ciò mettendo in crisi i principi fondamentali che fino ad oggi sono stati alla base del nostro ordinamento familiare per quanto attiene ai rapporti di filiazione. Anche a livello terminologico non vi è uniformità nelle definizioni della metodica in esame[8].

La terminologia usata de iure condito, infatti, sarebbe priva di ogni valore giuridico. Non certo di affitto di una parte del corpo o di procura a partorire si potrebbe parlare. Questo perché il corpo costituisce unità inscindibile con la persona nella sua globalità [9]. Ma se proprio si volesse dare una qualificazione giuridica al fenomeno [10], si potrebbe forse inquadrarlo nello schema del contratto d’opera e nell’ambito degli atti di disposizione sul proprio corpo, tra quelli per cui si consente che esso venga utilizzato a vantaggio di altri [11].

Prima di delineare le varie fattispecie evidenzianti la figura della madre su commissione, appare opportuno precisare subito che la donna commissionata può essere nubile, sposata, non più unita da vincolo matrimoniale, separata o convivente con un uomo in assenza di matrimonio.

Il tema, inoltre, si allarga su due fronti: l’uno anteriore alla nascita, per esaminare i fattori determinanti nel loro significato giuridico, l’altro posteriore all’evento, per collegare gli effetti della nuova situazione alla vita del nato.

 

La madre su commissione

Come è stato sostenuto [12], delle molte ipotesi prospettabili nella teoria, tre sono le principali fattispecie che sembrano più frequentemente ripetersi nella pratica:

· Donazione di ovociti. La gravidanza è portata avanti dalla donna responsabile dell’intera operazione, che è ricorsa al materiale genetico altrui per avere un figlio proprio;

· Maternità surrogata (contributo genetico e di gestazione sono a carico di una terza). Il marito, con il consenso della moglie, procede alla fecondazione di una terza donna incaricata di portare avanti la gravidanza e di consegnare, dopo il parto, il bambino ai “committenti”;

· Locazione di utero (contributo genetico della moglie e gestazione di una terza donna). L’embrione formato da materiale genetico dei coniugi viene annidato nell’utero di una terza, che si impegna a partorire il bambino e, a parto avvenuto, a consegnarlo ai “committenti”. E’ il caso in esame.

Mentre la donazione di ovocita non comporta problematiche diverse da quelle derivanti dalla donazione del seme (la maternità viene attribuita a colei che ha partorito)[13], diverse problematiche emergono dalla maternità surrogata, quella pratica, come visto, mediante la quale una donna inizia e porta a termine la gravidanza per conto di un’altra, pattuendo di rinunciare ai propri diritti nei confronti del nato e di consegnarlo al “committente”. Dal punto di vista giuridico solo nella prima ipotesi non ci sono dubbi: la maternità è attribuita a colei che ha concepito e partorito il figlio. Incertezze sorgono invece nelle ultime due fattispecie, essendo necessaria una scelta che impone un giudizio di prevalenza tra la madre sociale e quella uterina.

Secondo gran parte della dottrina, madre deve essere colei che ha partorito il figlio [14]. La soluzione si fonda sulla convinzione della maggiore rilevanza ed intensità del rapporto che si instaura tra la donna e il bambino nel periodo della gestazione, trovando giustificazione nella responsabilità sociale assunta dalla partoriente rispetto al nato e nell’art. 269 c.c. secondo il quale la prova della maternità si basa sul parto.

 

Il contratto di maternità surrogata ed il caso Valassina-Bedjaoui

Per mettere a fuoco i vari problemi giuridici che il ricorso alla madre su commissione comporta, è necessario indicare il primo precedente di “madre su commissione” e precisamente la vicenda giudiziaria dei coniugi Valassina, i quali, il 10 giugno 1988, convenivano in giudizio, di fronte alla 1ª sezione civile del Tribunale di Monza [15], una giovane immigrata algerina per “l’esecuzione del contratto di maternità” . E’ opportuno sin da ora precisare, in relazione alla distinzione precedentemente esposta, che a differenza dell’ordinanza che si commenta, ipotesi di locazione d’utero, il caso de quo, a rigore, è un’ipotesi di maternità surrogata [16].

I coniugi avevano conosciuto, tramite un amico, una donna algerina, dalla quale avevano appreso della pratica, diffusa in altri Paesi, di avere figli da terze persone per inseminazione artificiale ed alla quale avevano, quindi, proposto un accordo del genere. Fra i coniugi e l’algerina, si era concluso un vero e proprio contratto, in forza del quale quest'ultima si impegnava a sottoporsi ad inseminazione artificiale da parte del marito, a portare a termine la conseguente gravidanza e ad affidare allo stesso ed alla moglie il nascituro, rinunziando a qualunque diritto verso di lui, verso corrispettivo, da pagarsi contestualmente al compimento della complessa prestazione. Nel corso della gestazione, peraltro, l’immigrata aveva più volte preteso da entrambi i coniugi, rilevanti integrazioni del corrispettivo, fino ad ottenerli.

Alla nascita della bambina, la madre uterina si era servita della piccola, che, peraltro, teneva in condizioni di abbandono affettivo, malnutrizione e scarsissima igiene personale, per nuove richieste pecuniare ai due coniugi, con la prospettiva di lasciargliela vedere e tener con loro, rifiuntandosi di dare esecuzione all'impegno assunto. La coppia “committente” adiva, così, il Tribunale di Monza per ottenere la coattiva esecuzione dell’obbligazione assunta dalla donna da essi contattata allo scopo di avere figli, posto che ques’ultima una volta partorita la bambina in seguito ad inseminazione artificiale con il seme del coniuge di sesso maschile, si rifiutava, come visto, di consegnarla alla coppia “committente”.

 

(segue) Inquadramento della fattispecie

Le difficoltà del caso de quo sono determinate dal fatto che anche la riforma del diritto di famiglia del 1975 è stata basata dal legislatore sul presupposto della nascita da uomo e donna attraverso la congiunzione carnale.

I giudici partono dalla premessa che della maternità surrogata va quindi individuata l’esatta configurazione dell’accordo, va verificata la sua liceità con riguardo alle disposizioni astrattamente applicabili e, pertanto, vengono analizzate le norme ritenute operanti in presenza di negozi di questo tipo e cioè le norme sulla filiazione e sui contratti, le disposizioni in materia di adozione e di alterazione di stato, nonché i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione.

Il Tribunale di Monza va alla ricerca dei referenti normativi utili ai fini della decisione, aprendo un confronto con la regolamentazione in uso nei Paesi anglosassoni, con le prospettive italiane de iure condendo, con le norme in materia ricavabili dalla Costituzione e dal codice civile e penale [17].

I precetti-guida, da ricercare nella Costituzione, sono costituiti:

- dal combinato disposto degli artt. 2 e 30 della Cost., che viene interpretato nel senso che lo stesso “assume a valore primario la promozione della personalità del soggetto umano in formazione e la sua educazione nel luogo a ciò ritenuto più idoneo, da ravvisarsi in primis nella famiglia di origine”;

- dall’art. 30 comma 2, e precisamente, dal dovere del legislatore e dell'autorità pubblica in generale di predisporre quegli interventi che pongano rimedio nel modo più efficace al mancato svolgimento dei loro compiti da parte dei genitori di sangue e, cioè, alle funzioni connesse al dovere-diritto di mantenere, istruire ed educare i figli;

- dall’art. 31 comma 2, che prevede la tutela del concepito quale fondamento costituzionale in quanto la tutela del minore si colloca fra gli interessi costituzionalmente garantiti.

Da tali principi discende, nel ragionamento del Collegio Monzese, che:

- i doveri dei genitori di sangue sono infungibili;

- il minore ha il diritto di crescere nella famiglia composta dai genitori di sangue, i quali possono essere sostituiti da altri solo in caso di oggettiva necessità;

- il minore ha il diritto di identificare i propri genitori biologici e di vedersi riconosciuto, nella famiglia, lo stesso status filiationis degli altri figli;

- non esiste alcun “diritto alla procreazione” garantito dalla Costituzione[18].

Secondo il ragionare dell’organo giudicante il combinato disposto degli art. 2 e 30 Cost. viene interpretato dalla Corte costituzionale[19] nel senso che lo stesso «assume a valore primario la promozione della personalità del soggetto umano in formazione e la sua educazione nel luogo a ciò più idoneo: da ravvisarsi in primo luogo nella famiglia d'origine e, soltanto in caso d'incapacità di questa, in una famiglia sostitutiva. L'art. 30, 2° comma, Cost. prevede, infatti, il dovere del legislatore e dell'autorità pubblica in generale di predisporre quegli interventi che pongano rimedio nel modo più efficace al mancato svolgimento dei compiti da parte dei genitori di sangue e cioè delle funzioni connesse al dovere-diritto di mantenere, istruire ed educare i figli. Ne deriva il carattere funzionale del diritto dei genitori di sangue, che sta e viene meno in relazione alla capacità di assolvere i compiti previsti nel 1° comma dell'art. 30 Cost.: il carattere di effettività che deve rivestire l'assolvimento dei compiti stessi, non delegabili ad altri e, dunque, da svolgersi con impegno personale e diretto; infine, il carattere di adeguatezza che deve presiedere all'individuazione della famiglia sostitutiva, quando trovi applicazione l'art. 30, 2° comma, Cost.».

Inoltre, seguendo il ragionamento del collegio monzese, ricco di riferimenti alla giurisprudenza costituzionale, si è ritenuto che l'art. 30 Cost. considera «la ricerca della paternità come una forma fondamentale di tutela giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, ma stabilisce che la legge ordinaria, nel disciplinare la materia pone i limiti per la detta ricerca: limiti che potranno derivare dall'esigenza, affermata nel 3° comma, di far sì che la tutela dei figli nati fuori del matrimonio sia compatibile con i diritti della famiglia legittima e dall'esigenza di salvaguardare i fondamentali diritti della persona, tutelati anch'essi dalla Costituzione, dai pericoli di una persecuzione in giudizio temeraria e vessatoria»[20]. Ed ancora, la «tutela del concepito ha fondamento costituzionale nell'art. 31, 2° comma, Cost. (e più in generale nell'art. 2 Cost.)»[21] e la «tutela dei minori» «si colloca fra gli interessi costituzionalmente garantiti»[22].

A parere del Tribunale monzese, quindi, la Carta costituzionale, ha affermato l'infungibilità dei doveri personali ed economici connessi alla potestà dei genitori c.d. «di sangue»; il diritto del minore di crescere nella famiglia formata da questi ultimi e di avere una famiglia sostitutiva soltanto in caso di oggettiva incapacità od inadeguatezza dei medesimi; il diritto di qualunque figlio ad un unico, comune status filiationis e, perciò, ad un'indifferenziata tutela giuridica, con il solo limite generale dell'irriconoscibilità e con il limite particolare ed eventuale della salvaguardia (in caso di situazioni confliggenti fino all'incompatibilità) dell'esistenza e dell'unità della famiglia legittima del proprio genitore; il diritto del figlio all'identificazione dei propri genitori biologici.

Per contro, posto che l'art. 2 Cost. citato, «nel garantire i diritti dell'uomo in genere, necessariamente si riporta alle norme successive in cui tali diritti sono particolarmente presi in considerazione, per cui, esclusa la violazione di uno di tali diritti, rimane esclusa anche la violazione dell'art. 2 Cost.»[23], la Carta non riconosce un vero e proprio diritto alla procreazione [24] come aspetto particolare del più generale diritto della personalità, non potendosi desumere da alcuna disposizione che il desiderio o foss'anche l'interesse alla prole, in sé, si intende, tutt'altro che illegittimo, sia stato elevato alla dignità di diritto soggettivo o, comunque, che sia emerso nella considerazione del costituente un concetto di paternità o di maternità meramente negoziali, disgiunte, cioè, da un qualche fondamento biologico, relegate sotto l'esaustivo governo dell'autonomia privata [25] e suscettibili di cancellare dal mondo giuridico quelle naturali.

Logica conseguenza del ragionamento del Tribunale è l’affermazione che l’istituto dell'adozione speciale seppur assecondi, indirettamente, anche il desiderio di fecondità degli aspiranti adottanti, presuppone l'esistenza in vita del minore adottabile e, perciò, il bisogno precipuo di tutela da parte dello stesso (e, quindi, non solo e non prioritariamente il desiderio della coppia sterile), che si trovi nell'impossibilità di ovviare, in seno alla famiglia biologica — il modello privilegiato, si è visto nel disegno costituzionale, di sviluppo integrale della personalità in fase evolutiva —, ad un accertato stato di completa privazione di assistenza morale e materiale, ed è rigidamente presidiato da un penetrante controllo preventivo e successivo, della pubblica autorità (inteso, per di più, a verificare, essenzialmente, non tanto la prospettiva di benessere economico, quanto la capacità affettiva ed educativa della comunità d'inserimento).

Non solo, ma com'è stato recentemente ribadito [26], gli statuspersonae, civitatis, filiationis, coniugii — in quanto espressione dell'appartenenza duratura dell'individuo ad una determinata comunità o aggregato sociale normativamente necessari o presupposto di una sfera di capacità giuridica generale o speciale, non sono disponibili per mero consenso [27], indipendentemente dalla cessazione o dalla notificazione del fatto da cui traggono origine [28]; infine, l'atto dispositivo del proprio corpo, implicato dal contratto di maternità, quand'anche non cagioni una diminuzione permanente dell'integrità fisica della donna — assolutamente ingiustificabile, nella specie — e sia sanato dal consenso successivo, validamente espresso, non può mai rilevare come oggetto di una preventiva obbligazione dell'avente diritto, a compierlo o a permettere che altri lo compia su di lei ed è comunque contrario alla legge, all'ordine pubblico e, almeno in caso di onerosità, anche al buon costume (art. 5 c.c.).

Ancora più rigorosa la posizione dell’organo giudicante nella parte in cui afferma che sotto il profilo penalistico l'attribuzione consapevole della maternità del neonato ad una determinata donna diversa da colei che lo ha partorito integra l'ipotesi di reato della quale all'art. 567, 2° comma, c.p. (la falsità circa il rapporto di stato fra i genitori o lo stato di uno di essi o di entrambi, singolarmente considerati, integra, invece, l'ipotesi delittuosa meno grave della quale all'art. 495, 1° comma, c.p.) e l'affidamento a terzi, con carattere di definitività, di un minore, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, integra, almeno quando nessuno degli affidatari sia parente entro il quarto grado del minore medesimo, l'ipotesi delittuosa della quale all'art. 71 l. 4 maggio 1983 n. 184; così come, a tenore della stessa disposizione, costituisce reato il fatto di chi accolga in illecito affidamento con carattere di definitività un minore, consegnando o promettendo denaro o altra utilità a terzi (non sembra, invece, che il semplice trasferimento dell'embrione implichi interruzione illecita della gravidanza — perché questa si traduce nell'eliminazione dell'embrione — punibile a norma dell'art. 19 l. 22 maggio 1978 n. 194)[29].

 

(segue) Illiceità della causa e dell’oggetto.

Sotto il profilo civilistico, secondo il collegio monzese, il contratto di maternità surrogata, quale che sia il suo contenuto, incontra alcuni insormontabili ostacoli normativi di ordine legislativo e costituzionale [30].

Sulla base di questo principio, nel caso in esame, è stata respinta la domanda con cui la “coppia committente” chiedeva l’adempimento del contratto ed è stata esclusa la possibilità di ripetere quanto pagato in anticipo, a titolo di compenso, per la maternità surrogata. Rilevatane la nullità, conseguentemente, ne discende per la coppia, la mancata tutela giudiziaria delle proprie ragioni, anche in relazione alla restituzione di quanto pagato in virtù dell'art. 2035 c.c. ed in ottemperanza alla massima in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis.

Secondo l’organo giudicante, il c.d. contratto “atipico di maternità” in tutte le sue forme e quale che sia nei diversi casi lo specifico contenuto, è radicalmente nullo.

La nozione di contratto contenuta nell’art. 1321 c.c. è quella di accordo volto a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. La patrimonialità del rapporto che si costituisce tra le parti avrebbe ad oggetto la commercializzazione di una operazione che ha come scopo la nascita di un bambino. Orbene, l’art. 1322 c.c., limita l’autonomia contrattuale delle parti, prevedendo che queste possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge e che i contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare devono essere diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico vigente. Il contratto di affitto dell’utero ha come momento fondamentale la consegna del bambino e la rinuncia al riconoscimento del rapporto di filiazione – attualmente garantito dal codice civile e dalla Costituzione – da parte della “madre surrogata”. Ci si chiede, allora, se la madre uterina possa rinunciare a tale diritto, se sia legittimo obbligarla a farlo, e se sia nella sua totale disponibilità il diritto stesso.

Il Tribunale giudicante desume la nullità del contratto di maternità a norma dell’art. 1418 secondo comma c.c., in quanto pur essendo un contratto atipico, l'autonomia di cui all'art. 1322. c.c. (dovendo realizzarsi nei limiti imposti dalla legge) si caratterizza, viceversa, in tale contratto di maternità, per la violazione di numerose norme di legge [31].

Difatti, pur essendo i contratti atipici ammessi nel nostro ordinamento purchè diretti alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela che nella fattispecie in esame potrebbero essere quelli di garantire una discendenza e i mezzi e i modi per realizzarla, tuttavia, tali interessi non possono essere valutati in astratto ma nella loro concreta attuazione, in relazione ad altri eventualmente violati ed in caso di contrasto preferire quelli maggiormente meritevoli di protezione.

Il contratto di maternità surrogata è, per il tribunale di Monza, inoltre, affetto da nullità, per mancanza nell’oggetto, dei prescritti requisiti di possibilità e liceità trattandosi di beni che non sono tali dal punto di vista giuridico, ossia le parti del corpo umano, gameti ed organi della riproduzione, in quanto il soggetto ha sugli stessi soltanto un diritto alla personalità e non un diritto patrimoniale e l'eventuale consenso prestato alla disposizione delle stesse, se la prestazione non integra una diminuzione permanente della integrità fisica e non è contraria alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume, integra non un negozio giuridico o un contratto, bensì un mero atto unilaterale di volontà lecito ma sempre revocabile [32]; nell'ipotesi inversa, si tratterebbe di un atto illecito con tutte le consequenziali statuizioni di legge.

Da ciò, ne discende che non può formare oggetto e pertanto essere dedotta in obbligazione una prestazione consistente nel concepimento dello sviluppo fetale del nascituro non rappresentando un bene giuridico ed essendo vietato, inoltre, costituire, negoziare ed estinguere, gli status personali, quali quelli di figlio e quello di madre nonchè le potestà dei genitori ed i diritti personali dei minori all'educazione e al mantenimento nella famiglia iure sanguinis.

Infine, nell'ipotesi in cui sia previsto un corrispettivo per tali prestazioni, la nullità sarà determinata anche dalla illiceità della causa, (art. 1343 c.c.) venendo ad essere la filiazione scambiata con denaro o altra utilità, e nel caso in cui il contratto sia diretto ad eludere le norme sull’adozione, sarà nullo perché in frode alla legge (art. 1344 c.c.)[33].

Più in particolare ci si chiede (premessa la nullità del contratto di maternità, anzitutto, a norma degli art. 1418, 2° comma, e 1346 c.c., per mancanza, nell'oggetto, dei prescritti requisiti di possibilità e liceità), se la funzione economico-sociale del contratto medesimo, da sottoporre, trattandosi di figura atipica, al giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti (cfr. art. 1322 c.c.), potrebbe forse, sotto l'aspetto strettamente finalistico, almeno nel caso in cui non sia previsto alcun corrispettivo, sfuggire ad una sanzione di illiceità, in quanto consistente nel procurare una discendenza, nel realizzare uno degli scopi naturali della famiglia, la procreazione. Sicuramente, non si sottraggono, invece, a censura i mezzi e i modi impiegati, ossia le prestazioni dedotte in obbligazione e gli effetti strumentali, rispetto a quello, per così dire, principale e tipizzante, mediante i quali si attua la funzione predetta. Non possono, infatti, formare oggetto di un atto di privata autonomia, regolato dal quarto libro del codice civile, sicché non sono beni in senso giuridico, le parti del corpo umano (gameti ed organi della riproduzione, nella specie), sulle quali il soggetto ha un diritto della personalità e non un diritto patrimoniale e, quindi, il consenso alla disposizione delle stesse, se la prestazione non cagiona una diminuzione permanente dell'integrità fisica e non è contraria alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume, integra non già un negozio giuridico o un contratto, ma un mero atto unilaterale di volontà lecito, ma sempre revocabile e, in caso contrario, integra un atto illecito. Non possono, inoltre, essere dedotti in obbligazione una prestazione consistente nel compimento dello sviluppo fetale del nascituro, che non è, anch'esso, un bene giuridico, né, tantomeno, il fatto in sé della riproduzione umana o, peggio, ancora, la stessa persona di chi dovrà essere concepito. Non possono, ancora, formare oggetto di contratto e, comunque, è vietato costituirli, modificarli od estinguerli negozialmente, gli status personali, quali quello di figlio e quello di madre, i munera, quali la potestà dei genitori, ed i diritti personali dei minori all'educazione ed al mantenimento nella famiglia iure sanguinis. Del pari, non possono essere negoziati comportamenti costituenti reato.

Diversamente, se nella struttura del contratto fa ingresso la previsione di un corrispettivo, allora la nullità sarà determinata anche, ex art. 1343 c.c., dall'illiceità della causa, venendo la filiazione scambiata con denaro o altra utilità economica e, infine, il contratto di maternità, se ed in quanto risulti predisposto per eludere l'applicazione delle norme imperative in materia di adozione, sarà anche nullo perché in frode alla legge (cfr. art. 1344 c.c.). Alla rilevata nullità consegue, per la coppia committente, la mancanza di una tutela giudiziaria delle proprie ragioni, di fronte al rifiuto della madre surrogata o portante di dare piena esecuzione alle obbligazioni assunte, e non vi sarà luogo nemmeno, stante il disposto dell'art. 2035 c.c., alla ripetizione di quanto eventualmente pagato in anticipo a titolo di compenso.

Infine, essendo il marito della coppia di coniugi committenti il padre biologico del figlio della madre surrogata o portante, unica alternativa “concessa” dal collegio monzese è la possibilità, per il padre stesso, di riconoscerlo (art. 250 c.c.) come figlio naturale e di chiederne l'inserimento nella propria famiglia legittima (art. 252, 2° comma, c.c.) e la legittimazione per provvedimento del giudice (art. 284 c.c.) — tutte cose, peraltro, che potrà fare contemporaneamente anche la madre su commissione, nel qual caso ne scaturirebbero, evidentemente, situazioni conflittuali — mentre, per l'aspirante madre, moglie del padre biologico, ovvero per il marito della madre su commissione, vi sarà la possibilità di un'adozione particolare ex art. 44 lett. b), l. 4 maggio 1983 n. 184 [34].

 

Fremiti di novità.

Come visto tutte le argomentazioni del Tribunale di Monza portano alla invalidità del contratto di maternità surrogata. Il punto forte della motivazione sembra incentrarsi proprio sulla inammissibilità, da un punto di vista morale e sociale, della commercializzazione di una funzione così elevata e delicata come la maternità.

Diverso discorso dovrà farsi, allora, nel caso in cui manchi la richiesta di corrispettivo, ossia nel caso in cui una donna accetti l’immissione dell’ovulo altrui, animata da ragioni di stretta solidarietà. Afferma il Tribunale di Roma la prestazione della madre surrogata, quella cioè che porta a termine la gravidanza ben può essere testimonianza di solidarietà familiare, determinata cioè non da motivi di lucro ma dall’intento, degno di essere tutelato, di soddisfare il bisogno di maternità di una donna alla quale sarebbe invece negato. E il consenso finalizzato a tale risultato, non mosso da intenti speculativi come può essere vietato aprioristicamente?

Secondo una certa impostazione, pur in mancanza di un contrasto palese con la morale, il contratto sarebbe parimenti nullo: non potrebbe la donna obbligarsi a riconsegnare il figlio, per il semplice fatto che sarebbe essa stessa la madre; il nato acquista la capacità giuridica al momento del distacco dall’alveo materno e a nulla rileva che vi sia stata immissione dell’ovulo altrui; la donna che ha offerto il suo ovulo non avrebbe nessun diritto [35].

Non sembra pienamente condivisibile questa impostazione se solo si ricorda che la causa in concreto perseguita dalle parti nell’ipotesi in cui il contratto sia a titolo gratuito sembrerebbe consistere nella volontà di procurare, per spirito di liberalità, una discendenza a chi ne è privo, il che, realizzando uno degli scopi naturali della famiglia, dovrebbe determinare un giudizio di piena liceità della funzione suddetta. Inoltre, in assenza di una qualsivoglia finalità economica delle parti nella vicenda, non sembra azzardato ritenere che se il fine perseguito è di carattere altruistico, in quanto diretto a far conseguire un figlio ad una coppia sterile per puro spirito solidaristico, il contratto in esame presenta evidenti affinità con la donazione di organi fra vivi. L’aspirazione della coppia affetta da sterilità di soddisfare per questa via il proprio desiderio di avere un figlio si configurerebbe, dunque, come interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico [36]. Sono queste le argomentazioni dell’ordinanza in esame, nella quale, in particolare si legge (...) in un’ottica che concepisce la società come un organismo in continua evoluzione, ove sia rispettata l’autorealizzazione individuale, deve essere riconosciuto, quale diritto fondamentale della persona, il diritto a diventare genitori e di valutare e decidere le scelte in relazione al bisogno di procreare, con la precisazione che lo status genitoriale può trovare completezza nell’adozione ma anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico. Ancora che la riflessione sul significato del concetto di maternità, oggi così profondamento mutato, deve partire dall’affermazione codicistica, avvalorata dalla scienza medica e dall’osservazione tradizionale, secondo cui madre è colei che partorisce. Ma le nuove tecniche di riproduzione mettono in crisi profonda tale concezione. Queste tecniche che possono modificare la sequenza naturale dell’iter procreativo, fanno sì che partorisca colei che non è geneticamente madre. (...) La coincidenza tra maternità, gravidanza e parto è un costrutto fondamentale della nostra psicologia e la figura di na madre genetica ma non gestante assume i contorni quasi di una paternità femminile che sembra contrastare con le stabili linee della concezione dei rapporti familiari e della procreazione. L’abbandono della legge naturale che vuole la donna-madre gestante e partoriente induce a ridefinire il fenomeno della maternità.

Le ragioni di un disfavore nei confronti della maternità surrogata sembrano trovare il più intimo fondamento nella ripulsa da parte dell'ordinamento italiano del contratto nell’ambito del diritto di famiglia e, inoltre, come efficacemente sostenuto [37], da una impostazione empirico-deduttiva in base alla quale il diritto attinge dalla natura l’idea e il fondamento degli status, poi li recepisce e canonizza rivestendoli infine di piena dignità giuridica. Di qui il concetto di diritto indisponibile e il continuo riferimento alle clausole dell’ordine pubblico.

Inoltre, a conferma di ciò, basti ricordare che l’articolato predisposto dalla Commissione Ministeriale istituita presso il Ministero di Grazia e Giustizia, presieduta dal prof. F.D. Busnelli (10 maggio 1996), Norme in tema di bioetica con particolare riguardo alla fecondazione assistita, prevede all’art. 9 che <<1. È vietata qualsiasi forma di surrogazione di maternità ed è nullo qualsiasi accordo al riguardo. 2. Ai fini della presente legge per maternità surrogata si intende il ricorso per la gestazione a donna estranea alla coppia interessata. 3. In ogni caso i diritti e gli obblighi inerenti alla maternità spettano esclusivamente a colei che ha partorito il figlio>>. Stessa la linea argomentativa della Commissione Santosuosso, incaricata negli anni ottanta di redigere un testo di legge sulla fecondazione artificiale, che, anzi, in merito all’utilizzo di suddette tecniche, ne aveva affermato lo spreco non solo economico ma anche di potenzialità affettive, in quanto si dimenticano i numerosissimi bambini costretti dalla vita a passare la loro esistenza da “orfani”; adottarli, si dice, significherebbe non solo sottrarre un gettito economico notevole alla bilancia pubblica, ma contribuire in un’ottica solidaristica al benessere di individui poco fortunati, dando loro una famiglia. Tale impostazione, pur se logicamente condivisibile, si scontra inevitabilmente con il principio di autodeterminazione della persona, sancito dall’art. 2 Cost. [38].

Ritornando alla questione dell’attribuzione della maternità sono opportune due precisazioni.

L’individuazione della donna a cui deve essere attribuita la maternità giuridica del nato rappresenta senza dubbio il problema centrale posto dalla nuova tecnica di riproduzione. La pratica in esame, come visto, si caratterizza per la partecipazione di due (o più) donne al processo generativo: l’una contribuisce mettendo a disposizione l’ovulo (madre genetica), l’altra portando avanti la gravidanza (madre uterina). Ma si può dare il caso in cui la donna che vuole un figlio (madre sociale) ricorra all’apporto genetico di un’altra donna (madre genetica) il cui ovulo, fecondato dal marito della prima, sia poi annidato nell’utero di una terza donna (madre uterina)[39].

In secondo luogo deve essere ribadito, tenendo distinto il piano contrattuale da quello della tutela del minore, che la dichiarazione di invalidità del contratto di sostituzione, quando sia previsto un corrispettivo e la irrevocabile rinuncia ai diritti parentali, non deve impedire al giudice di procedere comunque alla valutazione di quale famiglia o genitore offra maggiori garanzie per un corretto sviluppo della personalità [40].

Già nel sistema giuridico vigente il giudice, infatti, può decidere facendo prevalere gli interessi del minore [41] a scapito di principi applicati e radicati in tema di maternità, di primato della famiglia legittima, ecc.; e ciò a prescindere anche da valutazioni morali e da convinzioni religiose, che pure influenzeranno naturalmente il suo ragionamento [42]. Proprio l'evoluzione legislativa nel diritto di famiglia e la conseguente interpretazione giurisprudenziale sono venute evidenziando una nozione di madre e di padre, di genitori e di famiglia, non più esclusivamente caratterizzata dalla derivazione bio-genetica del figlio, ma anche da una consapevole accettazione e volontà di svolgere quel ruolo sociale che la stessa Costituzione assegna al genitore per garantire, appunto, un corretto sviluppo della personalità del minore.

Vi è chi, infatti, ritiene che l'applicazione della normativa vigente secondo un'interpretazione rigida e letterale potrebbe condurre a sacrificare gli interessi del minore solo per salvaguardare «valori» e «principi» la cui attualità, nel vigente sistema sociale e giuridico, andrebbe comunque verificata. Il giurista (e primariamente il giudice), si afferma, non deve essere colto impreparato dai cambiamenti della società in cui viviamo, dall'evoluzione del costume, dalle nuove esigenze avvertite; né deve essere rifiutato il fenomeno che presenta caratteristiche innovative rispetto al passato, solo perché è nuovo e rompe rispetto agli schemi tradizionali[43].

L’opinione secondo cui la legge attribuisce la maternità alla donna che ha partorito [44] potrebbe certamente essere messa in discussione. Infatti, si è sostenuto [45] che la circostanza secondo la quale il bambino partorito da quella donna sia anche geneticamente proveniente da lei non era indicato espressamente come requisito solo perché non era immaginabile che le cose potessero stare diversamente [46]. Il principio che sta alla base della regola attuale va letto non riduttivamente, ma nel suo senso vero, rendendo esplicito ciò che prima era necessariamente implicito: è madre colei che partorisce il frutto della fecondazione del proprio ovocita. Ma nel caso di doppia maternità manca la coincidenza implicitamente voluta dalla legge, ci si trova dinanzi ad una situazione mai finora disciplinata perché mai prevista dal legislatore.

La scelta dovrebbe essere fatta tenendo conto dell’interesse del nascituro [47] e, forse, da un punto di vista logico, la madre più madre dovrebbe essere quella che lo è geneticamente, quella cioè che ha trasmesso il suo patrimonio genetico[48]. Questa soluzione sembra più vicina ai progressi della scienza medica. Infatti, è oggi possibile affermare con relativa sicurezza che il nuovo individuo con tutti i suoi indelebili caratteri ereditari si formi non durante la gestazione ma nel momento della fusione tra gameti. Non solo, ma le nuove frontiere della medicina reputano come tecnicamente possibile la crescita artificiale del feto (è la c.d. ectogenesi) e, quindi, è evidente che si potranno avere nascite senza parto, prive, cioè, di quel fatto dal quale si vuole far scaturire l’attribuzione della maternità giuridica [49].

Vi è anche chi, nonostante riconosca una tutela privilegiata alla madre uterina, ammette la maternità di quella genetica nell’ipotesi in cui la prima non intenda far valere il suo titolo nell’attribuzione di stato o non voglia occuparsi del bambino, essendo più rispondente nell’interesse del minore il tentativo di recupero col genitore che ha comunque contribuito alla sua nascita, piuttosto che il ricorso all’adozione [50].

Nella ricerca di un criterio di soluzione emerge certamente che la scelta che si deve compiere è una tragica scelta fra due verità parziali, quella genetica e quella del parto [51]. L’ordinanza, in esame, sembra in verità temperare “la scelta tragica”, nella parte in cui afferma entrambe (le madri) hanno una connessione biologica con il figlio, non si deve escludere il diritto della madre surrogata di continuare a vedere il bambino, di seguirlo e tenerlo con sé per alcune ore del giorno: giustamente inaccettabile dalla giurisprudenza, pertanto, l’accordo in base a cui la madre surrogata abbia rinunciato al bambino. Sembrerebbe essere questo il punto non condivisibile dell’argomentazione dell’organo giudicante. La scissione della maternità, se necessaria nel momento del concepimento sino a quello del parto, dovrà ricondursi necessariamente ad unità per evitare squilibri psicologici al nato. Se il giudice esclude che la madre surrogata possa rinunciare al nato, si viene così a modellare una comunità familiare a due madri.

La soluzione offerta per la determinazione della maternità potrebbe allora risiedere nel riconoscimento di tale status a colei che possiede più requisiti tra i tre possibili: maternità genetica, maternità uterina e maternità sociale. Ne consegue che dovrebbe essere ritenuta madre colei che ha fornito l’ovulo ed ha voluto il figlio (con prevalenza sulla madre uterina); oppure quella che ha fornito l’ovulo ed ha partorito il figlio (con prevalenza sulla madre sociale). Se, in presenza di tre donne, ciascuna fornisce un contributo, la qualità di madre va attribuita a chi abbia fornito un contributo volontaristico, sempre che si aggiunga il fattore del vincolo matrimoniale con l’uomo che abbia fornito il gamete. In mancanza resta il criterio del parto.

Questa opzione interpretativa, secondo la distinzione proposta, consentirebbe l’attribuzione del figlio alla coppia committente solo nel caso di “locazione d’utero”, come nel caso in esame, e non di “maternità surrogata”.

 In merito ci si deve chiedere se un’ulteriore soluzione sia possibile valorizzando i criteri di volontarietà e responsabilità della procreazione.

L’attribuzione di una autonoma rilevanza giuridica alla volontà della donna di avere un figlio significa prendere atto dell’importanza che, in tutte le tecniche di procreazione assistita, assume la valutazione attenta degli atti causativi della nascita, cioè l’individuazione della titolarità dell’interesse perseguito nella vicenda e della responsabilità del suo avvio [52]. In questo senso [53] sembrerebbe deporre l’art. 8, concernente lo stato giuridico del nato, del testo di legge sulla fecondazione artificiale approvato alla Camera dei Deputati il 26 maggio 1999 che, pur non brillando per chiarezza, ha testualmente previsto che i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita sono figli legittimi o acquistano lo stato di figli riconosciuti dalla madre o, ai sensi del codice civile, della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime (secondo le previsioni dell'articolo 6 [54]). La rilevanza del consenso, anche in giurisprudenza [55] come visto, rende maggiormente evidente che le nozioni di paternità e di maternità hanno mutato significato anche grazie all’utilizzazione, sempre più diffusa, delle tecniche di fecondazione artificiale.

Allora, se in caso di fecondazione artificiale eterologa il marito diventa padre, nonostante la mancata corrispondenza biologica con il nato, perché manifesta il proprio consenso (consenso peraltro irrevocabile), non si vede perché la stessa considerazione non possa riproporsi per la donna che in questo senso ha manifestato la sua volontà. In verità, seguendo questa impostazione, che peraltro trova già una obiezione, ossia che con la madre uterina il nascituro nel periodo della gestazione vive un legame simbiotico che certamente una sua incidenza deve avere, insistere sulla rilevanza del fattore volitivo consentirebbe di attribuire al consenso un ruolo di fonte determinativa dello status della persona, sottraendo così al legislatore l’esclusività della disciplina degli status e della loro fonte.

 

Conclusioni

Quali che siano le scelte etiche dinanzi ai progressi delle biotecnologie, che toccano l’uomo non solo nella sua corporeità, ma come persona [56] e soggetto sociale, un punto è da tenere fermo. Una società moderna guida sé attraverso il diritto. E il diritto che, regolando inediti casi privati, modifica assetti fondamentali dell’organismo sociale, non può che provenire dalla volontà della legge. Non può cioè essere affidato a quella fonte di produzione, legata a vicende particolari, che è la giurisprudenza, cioè l’interpretazione dei giudici [57]. Le critiche mosse da tutti i fronti[58], si incentrano, per quello che attiene ai profili giuridici, su due argomentazioni: i) che le ragioni dell’ordinanza sia l’assenza di leggi, non è vero. Esiste il codice civile, secondo cui chi nasce è figlio della madre che l’ha partorito. La madre, poi, non è tenuta a riconoscerlo e può abbandonarlo. Ma coloro che hanno fornito l’ovulo da cui si è sviluppato l’embrione non sono considerati i genitori e, quindi, il neonato non viene affidato a loro [59]; ii) è grave che un magistrato copra in maniera impropria quella che obiettivamente è una carenza della legge, ma che certamente non è la carenza della volontà del Parlamento. Fino ad oggi la possibilità di utilizzare l’utero di un’altra donna non era mai stata richiesta da nessuna forza politica, essendo uno dei punti fermi della legge [60]. La prima obiezione, pur se il timore di successive battaglie legali è fondato, non coglie nel segno per ciò che attiene l’esatta interpretazione dell’art. 269 c.c., in rapporto al quale si sono già indicate le diverse opzioni ermeneutiche. Per ciò che attiene la seconda delle obiezioni è opportuno ricordare il recente insegnamento della Corte Costituzionale [61]: l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia, nell'attuale situazione di carenza legislativa (e la situazione italiana è un caso di carenza legislativa, n.d.a.), spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione dei beni costituzionali.

Se il giudice del caso concreto, attraverso la consulenza di una psicologa e l’esame delle parti, ha intravisto un ambiente familiare, sano, equilibrato e stabile, cui ogni figlio ha diritto, l’ordinanza è da condividere, in attesa che il il Parlamento esca dalle titubanze, della cui necessità, il caso sottoposto al giudice civile di Roma è espressione.

 

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* Il presente saggio è stato pubblicato nel fasc. 2/2000 della Rivista Famiglia e diritto. I rinvii contenuti nelle note che seguono debbono intendersi, in mancanza di ulteriore specificazione, riferiti a quest'ultima rivista.

[1] In generale sia consentito il rimando a Cassano, Le nuove frontiere del diritto di famiglia. Il diritto a nascere sani; la maternità surrogata; la fecondazione artificiale eterologa; la fecondazione artificiale post mortem, Milano, 2000.

[2] Deve essere ricordato altresì il caso pervenuto a Trib. Palermo 8 gennaio 1999, in questa Rivista, 1999, 52, con nota di Dogliotti, Inseminazione artificiale post mortem e intervento del giudice di merito; ibidem, 1999, 384, con nota di Cassano, Diritto di procreare e diritto del figlio alla doppia figura genitoriale nella inseminazione artificiale post mortem; in Dir. fam. e pers., 1999, 226, con nota di Miranda, "Tragic choice" in Italy: brevi note in tema di esecuzione post mortem del contratto di procreazione medicalmente assistita, e di Giaimo, Brevi riflessioni su una gravidanza indotta per decisione del giudice, che può essere così massimato: Il contratto d’opera professionale intercorso fra i coniugi ed un centro per la riproduzione medicalmente assistita, avente ad oggetto la formazione in vitro di embrioni ed il successivo impianto, conserva validità anche dopo la morte del marito. Pertanto sussiste il diritto della moglie di richiedere l’impianto post mortem, atteso che il rifiuto di procedere a tale impianto contrasta con il diritto alla vita del nascituro e con il diritto all’integrità psicofisica della madre, i quali a loro volta segnano il limite entro cui può ricevere tutela il diritto costituzionale dei minori all’inserimento in una famiglia completa.Deve essere accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato da una donna che intenda procedere alla procreazione medicalmente assistita dopo il decesso del marito ed il diniego del centro per la riproduzione; pertanto deve essere ordinato al centro medesimo di procedere all’impianto degli embrioni.

[3] Sul problema recentemente Coppola, Manifesto di bioetica laica e principi cattolici, in Iustitia, 1998, 18; Dal Pozzo, Alle frontiere della bioetica: il problema dell'identità personale, in Iustitia, 1998, 167; Palazzani, "Le frontiere della vita": un libro recente di bioetica e di biodiritto, in Iustitia, 1998, 349; Mazzoni, La bioetica ha bisogno di norme giuridiche, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1998, 285; Barni, Turilazzi E Altri, La sperimentazione negli animali: dal controllo burocratico alla responsabilizzazione bioetica, in Riv. it. medicina legale, 1998, 389; Comitato nazionale bioetica, Nota sulla sperimentazione e l'impiego di nuove terapie farmacologiche. Risposta al quesito posto dall'IST in merito al "caso Di Bella", in Riv. it. medicina legale, 1998, 91; Turillazzi, La riduzione delle gravidanze plurime nella riflessione bioetica e medico legale, in Zacchia, 1997, 15; Renna, Proposte di legge in tema di bioetica e fecondazione medicalmente assistita, in questa Rivista, 1997, 579; Saulle, Bioetica (diritto internazionale), in Enc. diritto, Aggiornamento, Vol. I., Milano, 1997, 252; Bilancetti, Bioetica e sterilità: riflessi giuridici, in Riv. it. medicina legale, 1995, 1031; Berlinguer, Considerazioni sul rapporto tra la bioetica e la salute, in Assistenza soc., 1995, 427; Borsellino, Bioetica e filosofia, in Politica del diritto, 1995, 73; Palazzani, L'etica nei comitati di bioetica. Problemi e prospettive, in Iustitia, 1995, 63; Santosuosso, Bioetica e diritto: limiti e possibilità, in Questione Giustizia, 1995, 643; Zatti, Bioetica e diritto, in Riv. it. medicina legale, 1995, 3; Zatti, Verso un diritto per la bioetica: risorse e limiti del discorso giuridico, in Riv. Dir. 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E., Il progresso scientifico e la tutela della persona; Lanzillo, Bioetica e scelte normative in tema di procreazione artificiale, in Corr. Giur., 1988, 173; Lombardi Vallauri, Bioetica, potere, diritto, in Iustitia, 1984, 1.

[4] Tale tema risulta oggi profondamente intrecciato con quello, di più ampio respiro, relativo prima all'atteggiamento etico da adottare circa lo sviluppo della ricerca e l'utilizzazione delle nuove tecnologie riproduttive, e poi al trattamento giuridico da riservare a tali tecniche di maternità surrogata. Questioni, queste, che hanno registrato un proliferare di studi, di riflessioni, di iniziative e di risposte legislative. Si rinvia a Rodotà (a cura di), Questioni di bioetica, Bari, 1997, e ivi ampia bibliografia; per altri riferimenti, v. anche Baudouin e Labrusse-Riou, Produire l'homme de quel droit?, Parigi, 1987; Dräi e Harichaux (a cura di), Bioétique et droit, Parigi, 1988. In ordine ai problemi giuridici si vedano innanzitutto i contributi presenti in Ferrando (a cura di), La procreazione artificiale tra etica e diritto, Padova, 1988; AA.VV., Procreazione artificiale e interventi nella genetica umana, Padova, 1987; per altre indicazioni, si v. Ferrando, Modelli giuridici di controllo delle tecniche di procreazione artificiale, in Politica del diritto, 1991, 585.

[5] Così recentemente Bilotta, La maternità surrogata, in Liberati-Bilotta, Diritti della personalità e biotecnologie, Roma, 1999, 69.

[6] Per questa distinzione Baldini, Tecnologie riproduttive e problemi giuridici, Torino, 1999, 96.

[7] Si veda il Parere del comitato nazionale di bioetica sulle tecniche di procreazione assistita. Sintesi e conclusioni (17 giugno 1994), dove all’art. 3 si legge <<Aderendo al principio di diritto comune che delegittima ogni forma di commercializzazione del corpo umano e con riferimento al bene del nascituro, alla sua situazione psicologica, a quella dei committenti e della madre portatrice, nonché al profondo legame affettivo che si instaura tra gestante e feto, il C.N.B. esprime una valutazione negativa sulla maternità surrogata. Più esattamente, alcuni la ritengono del tutto illecita dal punto di vista morale, in quanto attua una così grave scissione dell'atto generativo e una così profonda frammentazione della figura materna, da contraddirne il significato autentico. Altri la ritengono generalmente non auspicabile, per quanto non moralmente illecita in ogni circostanza, tenuto conto che essa può essere mossa dal fine benefico della nascita di un nuovo essere umano e da motivazioni oblative. Inoltre, per ciò che concerne il caso in cui la madre sostituta sia persona di famiglia, alcuni membri ritengono che tale situazione susciti ulteriori motivi di contrarietà dal punto di vista etico, in quanto, a causa dei conflitti che essa solleva, viene sconvolto o quanto meno perturbato il sistema familiare. Altri invece non ritengono che, in ragione della novità della situazione, le conoscenze disponibili siano sufficienti a giustificare conclusioni così nette. Oltre che sul piano dell'etica, la scelta della maternità surrogata appare problematica nei suoi risvolti pratici e giuridici: anche su di essi occorre richiamare esplicitamente l'attenzione di tutte le persone che fossero propense ad adottare questa forma. Tenuto conto dei principi generali che governano il diritto di famiglia e quello della filiazione in particolare, il C.N.B. ritiene che il contratto di maternità surrogata vada ritenuto illecito e perciò privo di effetti e ininfluenze sulla definizione dello status di figlio, al quale devono essere assicurate certezza e stabilità. Con questi obiettivi sembrano coerenti le regole, già desumibili dal diritto vigente, secondo cui la maternità è stabilita dal parto e l'affidamento del figlio risponde al principio generale per il quale le decisioni che lo riguardano devono essere prese in considerazione del suo «prevalente interesse». Il C.N.B. ritiene infine che vada comunque penalmente sanzionata qualsiasi forma di intermediazione su base commerciale volta a rendere possibile o a favorire l'accordo tra i soggetti interessati>>.

[8] Cfr. Baldini, op. e loc. cit., che ricorda che correntemente si parla di madri per procura o su commissione o in affitto o surrogate, e di affitto di ventre o di locazione di utero o di madri portatrici o di surroga parziale.

[9] Auletta, Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadr., 1986, 1 e ss..

[10] In generale, sulla questione delle c.d. nuove fontiere del diritto contrattuale, è opportuno riportare l’opinione di Alpa, Nuove frontiere del diritto contrattuale, in Contr. e impresa, 1997, 632. In particolare si afferma: <<È opinione tralatizia che la disciplina del contratto nei diversi ordinamenti sia fondata su «valori comuni» . Anche per questa opinione si può dire quanto si è sinteticamente sopra riferito per le radici romane. È chiaro che - intendendosi genericamente il contratto come «operazione economica» - si possano riscontrare valori comuni, intesi a dare rilievo al «consenso», e quindi alla volontà di chi conclude il contratto, alla «libertà di contrarre», all'esigenza di «conservare» l'operazione economica sia per ragioni di economia dei rapporti sia per la stessa certezza dei rapporti e per lo sviluppo di traffici e commerci; ma è altrettanto chiaro che in alcune esperienze si enfatizzano o si sottolineano valori - come, ad es., il valore della «persona» - che in altre esperienze non sono tutelati in materia contrattuale. Emblematiche, al riguardo, sono l'esperienza tedesca, ove di recente la giurisprudenza costituzionale ha considerato il valore della persona come incidente sulla stessa validità del contratto che si facesse portatore di valori ad essa contrari, o l'esperienza italiana in cui molto si è discusso sulla rilevanza dei valori della persona in questa materia. D'altra parte, una ricognizione dei possibili oggetti o contenuti del contratto è rivelatrice dei valori e dei limiti che nei singoli ordinamenti si prendono in considerazione: la valenza giuridica dei negozi familiari, la validità giuridica degli accordi per la maternità surrogata, o per il trasferimento di organi del corpo umano, sono altrettante spie delle diverse concezioni dei valori che reagiscono sulla nozione e sulla disciplina del contratto>>.

[11] Cfr. Dogliotti, Inseminazione artificiale, problemi e prospettive, in Giur. it., 1985, IV, 421; Santosuosso, La fecondazione artificiale umana, Milano, 1984, 51; Auletta, op. e loc. cit..

[12] Baldini, op. cit., 100.

[13] Chiaramente Vercellone, La fecondazione artificiale, in Politica del diritto, 1986, 103.

[14] Per tutti Bianca, Diritto civile, la famiglia e le successioni, 1989, 294 il quale afferma <<Si tratta piuttosto di sapere se la madre genetica abbia avuto un titolo per far valere la sua maternità e se questo titolo possa ritenersi poziore rispetto a quello della madre uterina. L’ultimo quesito deve risolversi negativamente in quanto è la gestazione che crea l’essenziale e concreto rapporto materno in cui si realizza l’accoglimento dell’essere umano. La forzata sottrazione del minore alla madre uterina appare quindi inammissibile in ragione del preminente interesse del minore a mantenere il rapporto materno già naturalmente costituito e vissuto>>.

[15] Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989, in Foro it., 1990, I, 298, con nota di Ponzanelli; in Dir. fam. e pers., 1990, 184, con nota di Ventura, Sulla procreazione artificiale: una sentenza innovativa; in Giur. it., 1990, I, 2, 296, con nota di Palmeri, Maternità <surrogata>: la prima pronuncia italiana, in Giur. merito, 1990, 240, con nota di Maglio, Spunti in tema di procreazione artificiale, in Giust. Civ., 1990, I, 478, con nota di Cervelli, Biogenetica, fecondazione artificiale e problemi giuridici emergenti; in Nuova Giur. Civ., 1990, I, 355, con nota di Liaci, Contratto di sostituzione di maternità.

[16] Inforcati gli occhiali del comparatista, è interessante notare come la diversità delle soluzioni, espressione anche della diversità delle fattispecie, caratterizza anche la giurisprudenza americana. Il primo, famosissimo, è il caso Baby M. (Corte Suprema del New Jersey 03 febbraio 1988) che puo essere massimato nel modo seguente Il contratto con cui una donna consente, verso compenso, a ricevere il seme di un uomo e a condurre a termine la gravidanza, rinunciando ai suoi diritti di madre, è nullo per contrarietà alle norme sull'adozione e per contrasto con l'ordine pubblico. Diversamente la Corte Suprema della California del 20 maggio 1993 ha così deciso: Nel diritto della California (Usa) quando gli elementi della consanguineità e della generazione, presi in considerazione dalla legge per determinare il rapporto di filiazione naturale, non riconducano alla stessa donna (ciò che avviene quando un ovulo fecondato venga impiantato nell'utero di una donna che si sia contrattualmente impegnata a portare a termine la gravidanza), per madre naturale si assume colei che ha inteso far nascere il figlio per poi allevarlo. In verità esistono delle differenze tra le due vicende: in Baby M. si trattava di una donna che non solo aveva «affittato» l'utero, ma aveva fornito l'ovulo [quindi, maternità surrogata]. Nel caso pervenuto alla Corte Suprema della California il nato è invece, geneticamente, interamente figlio dei suoi genitori [quindi, locazione d’utero]. E tale maggiore purezza genetica ha costituito una delle ragioni per l'accoglimento, da parte della Corte Californiana, della piena validità del contratto di sostituzione di maternità e per il rifiuto di qualsiasi diritto a favore della madre surrogata. Tre, in particolare sono i problemi che la Corte californiana è stata chiamata a risolvere (la determinazione della maternità quando nello scenario esistano due madri: quella di sangue e quella che materialmente ha dato la nascita al figlio; la sorte del contratto di surrogacy; i diritti spettanti a colei che ha dato la nascita al figlio).

In merito cfr. le considerazioni di Ponzanelli, California e ‘vecchia' Europa: il caso del contratto di maternità surrogata, in Foro it., 1993, IV, 337: <<Secondo l'opinione di maggioranza, scritta da Lucas, cui aderiscono altri quattro giudici del collegio, non esiste dubbio alcuno che la madre sia quella consanguinea, che il contratto di surrogacy sia valido e che alla donna partoriente non spetti alcun diritto nei confronti del figlio minore. Affrontando il primo problema, la Corte ritiene che, sebbene la legge californiana riconosca sia la consanguineità genetica sia il parto materiale come mezzi per la determinazione della relazione madre-figlio, quando le due realtà non coincidono nella stessa donna, «colei che ha voluto far nascere il figlio, cioè la donna che per prima ha voluto dar la nascita al figlio e crescerlo come proprio, deve essere considerata come la madre naturale secondo la legislazione della California»: la madre biologica è più madre della madre surrogata, che pure ha partorito il figlio. In tal modo si attribuisce un ruolo e un'importanza maggiore al momento causale antecedente all'inseminazione artificiale: cioè, al momento della decisione presa dalla coppia committente di unire uovo e spermatozoo che saranno poi trapiantati nella tunica mucosa che riveste la cavità dell'utero di un'altra donna. Così facendo, si ragiona in termini di nesso di causalità: la scelta della coppia committente viene considerata l'antecedente causale senza il quale non si sarebbe mai avuto il parto finale. Si applicano, quindi, criteri tipici dell'illecito civile, che certo non possono così facilmente essere estesi nel diverso settore dell'accertamento della maternità (il criterio nel diritto nordamericano è del but-for causation test, sostanzialmente equivalente alla teoria della conditio sine qua non, secondo cui la condotta dell'agente è causa dell'evento ogni qualvolta si accerti, con un giudizio ex post, che essa è valsa a porre in essere una qualsiasi condizione senza la quale l'evento non si sarebbe verificato); ragionamento, questo, che attribuisce una valenza proprietaria all'idea, e al relativo progetto, di avere un figlio, rispetto a cui la gravidanza materiale assume un valore esecutivo e subordinato. (...) In relazione al secondo profilo, il contratto di surrogacy non viene ritenuto in contrasto con il codice penale californiano, laddove (section 273) si proibisce perentoriamente il pagamento per l'adozione di minori: sul presupposto che la madre surrogata non è la madre genetica del bambino, per il contratto spontaneamente perfezionato tra le parti «... il pagamento era volto a indennizzare la madre surrogata per i servizi dalla stessa resi nella gestazione del feto piuttosto che costituire la rinunzia ai suoi diritti parentali nei confronti del figlio». Con riguardo al terzo profilo, infine, i diritti della madre surrogata alla companionship del figlio che ha partorito non sono in alcun modo protetti dalla Costituzione federale: i principi di substantive due process e di libertà procreativa, cui fa riferimento la madre surrogata, non vengono accolti dai giudici californiani perché ininfluenti rispetto alla sua posizione, che è « ... something less than those of a mother». La donna che conclude un contratto di surrogacy «non esercita alcun diritto di scelte procreative autonome; diversamente, essa ha dato solo il suo assenso per la prestazione di un servizio necessario e profondamente importante, senza maturare alcuna aspettativa di far crescere il futuro figlio come il proprio»>>.

Degno di essere menzionato, infine, è il caso pervenuto alla Corte Suprema della California del 27 agosto 1997. Nella vicenda in esame alla procreazione avevano “contribuito” cinque soggetti [Il caso, infatti, è il seguente: due coniugi si rivolgono ad un centro per la fecondazione artificiale, che fornisce loro non solo l’ovulo e lo sperma di soggetti senza nome, ma lo stesso embrione, realizzato attraverso la fecondazione in vitro, successivamente trapiantato nell’utero di una terza donna]. La Corte Suprema ha sostanzialmente garantito la irresponsabilità, nei confronti del nato, dei due committenti, dei due donatori e di colei che si è limitata al mero affitto del proprio utero, affermando, ai fatti, la condizione, per il nato, di “figlio di nessuno”.

[17] In particolare si legge << Il fenomeno è noto, soprattutto, alla giurisprudenza ed agli ordinamenti dei paesi di «common law». In particolare, il legislatore inglese, nonostante la disapprovazione, più che altro etica, espressa dal c.d. «Warnock Report» del luglio 1984, ha emanato il «Surrogacy Arrangements Act 1985», che, pur omettendo un'espressa qualificazione di liceità degli accordi di surrogazione, nonché la predisposizione di una specifica, adeguata tutela giudiziaria e la formulazione di un criterio purchessia per l'individuazione della madre legalmente considerata, vieta e punisce penalmente lo sfruttamento di fini di lucro («on a commercial basis») della pratica surrogatoria, mentre tollera come non illegale («it is not a contravention») qualunque attività posta in essere, anche dietro corrispettivo, dagli stessi diretti interessati in vista di un accordo di surrogazione. Per quanto poi concerne l'esperienza giuridica statunitense, ha avuto grande risonanza la decisione della Corte superiore del New Jersey, 31 marzo 1987, Stern v. Whitehead (sulla quale molto insiste la difesa degli attori), che ha affidato al padre biologico ed alla moglie dello stesso la bambina contesa, nata, per inseminazione artificiale, dalla madre biologicamente surrogata e coniugata con un altro uomo, argomentando da diritto fondamentale costituzionalmente garantito, del padre biologico alla procreazione con qualsiasi mezzo riproduttivo; dall'interesse del figlio ad entrare a far parte della famiglia che possa assicurargli il maggior benessere e dalla validità del contratto di maternità, perché lo stesso soddisfa sia il diritto alla procreazione sia l'interesse del nascituro (tale decisione, peraltro, è stata, in sede di gravame, dalla Corte Suprema del New Jersey, in data 3 febbraio 1988, parzialmente modificata nella motivazione — l'affidamento della minore ai coniugi attori, è stato giustificato unicamente con la prospettiva per la bambina di una migliore qualità di vita, mentre il contratto è stato ritenuto invalido, in quanto contrastante con il divieto legale di patti economici in materia di adozione —, e nel dispositivo — alla madre biologica è stato riconosciuto il diritto di visita, negatole in primo grado —). Nell'ordinamento italiano, del fenomeno si è interessata in particolare, de iure condendo, la commissione ministeriale nominata dal ministro della sanità con decreto 31 ottobre 1984, la quale, a conclusione dei propri lavori, il 22 novembre 1985, ha formulato due distinte proposte di legge: una, di contenuto più ristretto, intitolata «norme sui procedimenti non naturali per la fecondazione con seme del marito» e relativa alla sola inseminazione omologa, ed una, di contenuto più ampio, intitolata «norme sulla fecondazione artificale umana e sul trattamento di gameti ed embrioni», che, all'art. 34, proibisce qualunque contratto di maternità, tanto se si tratti di «madre surrogata» (con prestito, cioè, del grembo, donazione dell'ovulo ed impegno a cedere il figlio partorito), quanto se si tratti di «madre portante» (con semplice prestito del grembo per la gestazione di un figlio geneticamente del tutto estraneo), ed equipara la cessione del neonato in forza di un contratto concluso malgrado il divieto allo stato di abbandono, con inizio della procedura di adottabilità del minore, senza preclusioni, ma anche senza preferenza nella scelta degli affidatari. In iure condito, comunque, per il nostro sistema, il contratto di maternità, quale che ne sia il concreto contenuto, impinge in alcuni insormontabili ostacoli normativi, vuoi di ordine legislativo vuoi di ordine costituzionale e nel caso in cui a stipularlo siano i genitori biologici, non legati fra loro da vincoli giuridico-matrimoniali o soltanto affettivi attuali e non intenzionati a contrarne di futuri, neppure con riferimento alla persona del nascituro, non meno che nel caso in cui alla stipulazione non partecipi anche il padre biologico ovvero la paternità per così dire «convenzionale» debba risultare diversa da quella naturale>>.

[18] Ferro, Il problema della "maternitè de substitution" e della liceità del contratto relativo: le ipotesi di soluzione nel contesto della legislazione civile francese e italiana e della Common law statunitense, in Dir. fam. e pers., 1995, 40.

[19] Corte cost., 10 febbraio 1981, n. 11, in Foro it., 1982, I, 28.<<Sono inammissibili perché irrilevanti rispetto ad un giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di cessazione dello stato di adottabilità a seguito di provvedimento definitivo di adozione ordinaria le questioni di costituzionalità: a) degli art. 311 c.c. e 3 l. 5 giugno 1967, n. 431, nella parte in cui prevedono che per l'adozione ordinaria di un minore sia competente il tribunale per i minorenni del luogo di residenza dell'adottante; b) degli art. 296 e 311 c.c., nella parte in cui richiedono il consenso del legale rappresentante per l'adozione ordinaria di un minore di otto anni in situazione di abbandono; c) dell'art. 312, n. 3, c.c. nella parte in cui non prevede che la valutazione della convenienza dell'adozione ordinaria di un minore debba essere fatta anche in relazione all'eventuale adozione speciale, in riferimento agli art. 2, 3, 25, 1° comma, 30 e 31 cost.>>.

[20] Cfr. Corte cost., 22 maggio 1974, n. 140 e 12 luglio 1965, n. 70 citate da Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989.

[21] Cfr. Corte cost., 18 febbraio 1975, n. 27 citata da Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989.

[22] Cfr. Corte cost., 8 giugno 1983, n. 149 citata da Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989.

[23] Cfr., fra le altre, Corte cost. 25 marzo 1976, n. 57.

[24] Per una analisi delle diverse opzioni interpretative il riferimento è d’obbligo a Lojacono, Inseminazione artificiale (diritto civile), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 757.

[25] Cfr. nota 28.

[26] Cass. civ., 23 aprile 1987, n. 3920, in Mass., 1987. <<Poiché la domanda di dichiarazione di paternità naturale implica questioni attinenti allo stato delle persone, al giudizio devono partecipare tutti i soggetti la cui sfera giuridica, sia dal punto di vista personale che da quello patrimoniale, resta sensibile alla formazione di uno status diverso da quello originario, senza che la necessità di tale litisonsorzio, in ragione dell'indisponibilità dell'indicata posizione, possa trovare deroga in relazione alla rinuncia di uno di detti soggetti (nella specie: la Corte Suprema ha dichiarato la nullità del giudizio di secondo grado avverso una sentenza di accoglimento della domanda di accertamento della paternità, perché l'appello non era stato notificato alla sorella ed erede del preteso defunto padre, la quale era parte del giudizio di primo grado)>>.

[27] In verità sembrerebbe esserci una inversione di tendenza, proprio in tema di fecondazione artificiale. Più precisamente la Corte di Cassazione 16 marzo 1999 n. 2315 [in Guida al diritto, 1999, n.12, 54, con nota di Finocchiaro, La Cassazione non può svolgere una supplenza nelle funzioni riservate al legislatore; in questa Rivista, 1999, 233, con nota di Sesta, Fecondazione assistita: la Cassazione anticipa il legislatore; in Resp. civ. e prev.,1999, 1058, con nota di Guarneri, Un figlio, due padri, e di Cassano, I figli della scienza in Cassazione: il principio di autoresponsabilità e l’art. 235 c.c. (una novità giurisprudenziale in tema di fecondazione artificiale eterologa). Cfr. inoltre Schlesinger, Inseminazione eterologa: la Cassazione esclude il disconoscimento di paternità, in Corr. giur., 1999, 401] ha affermato che il marito che abbia validamente concordato o comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione eterologa non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino nato in seguito a tale fecondazione.

[28] Afferma ancora il Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989, che <<nessuno, del resto, penserebbe ad una trasmissione negoziale, per spirito di liberalità o emptionis causa, dello stato di cittadino o di coniuge o, addirittura, di soggetto di diritto, mentre sono nell'esperienza di tutti il fatto o l'atto giuridico — cioè, appunto, il fatto volontario — della perdita della cittadinanza, dello scioglimento del matrimonio, della morte>>.

[29] Si ricordi, inoltre, il caso pervenuto al Pret. Padova, 7 novembre 1958, in Giur. it., I, 2, 1959, 84: un marito querelò la moglie fecondata con il seme di un donatore, accusandola di adulterio, ai sensi dell'art. 559 c.p.. Il giudice escluse che l'inseminazione artificiale eterologa integrasse questo reato. La norma faceva riferimento alla fedeltà coniugale, realizzata attraverso “l'esclusiva” sessuale, esclusiva che non poteva dirsi compromessa dalla fecondazione artificiale. Inoltre, il reato di adulterio era (l'art. 559 c.p. venne dichiarato incostituzionale con le sentenze n. 126 del 19 dicembre 1968 e n. 147 del 3 dicembre 1969) un reato plurisoggettivo, perciò non si adattava a questa fattispecie priva di correi. La donna fu in un primo momento prosciolta dall'accusa, ma poi condannata dal Tribunale di Padova, 15 febbraio 1959, in Giur. it., 1959, I, 2, 196, sulla base della considerazione che “l’oggetto giuridico della tutela penale si deve identificare nell'interesse dello Stato di garantire l'ordine giuridico matrimoniale, contro il perturbamento derivante dall'adulterio della moglie”. Il caso giunse anche innanzi alla Corte di Cassazione, 12 giugno 1964, in Mass. Cass. pen., 1965, 134, la quale confermò il giudizio del Pretore, affermando che la fecondazione artificiale non costituisce adulterio, perché questo reato “implica una traditio corporis alle voglie del correo, per il soddisfacimento dei sensi e degli appetiti sessuali, mentre l'inseminazione artificiale tiene lontani e divisi due esseri da qualsiasi manifestazione di erotismo e si riduce ad una fredda operazione di laboratorio”.

[30] Palmeri, op. cit., 296.

[31] Per spunti e approfondimenti cfr. Alpa, Appunti sull’inseminazione artificiale, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 333.

[32] E’ opportuno ricordare che le affermazione del Tribunale di Monza, 27 ottobre 1989 devono essere rilette alla luce di quanto statuito dalla Corte di Cassazione 16 marzo 1999 n. 2315 cit.. In particolare in un passo della pronuncia si legge << L’azione di accertamento costitutivo, in assenza di una diversa (ed eccezionale) previsione, non può spettare proprio al soggetto che abbia posto in essere o concorso a porre in essere, con atti o comportamenti non vietati dalla legge, la situazione giuridica per la cui modificazione è apprestata. Il principio è espressione del criterio generale secondo cui l'azione è strumento di tutela di posizioni soggettive (art. 24 della Costituzione), cioè mezzo per reagire contro un’aggressione in corso o potenziale da altri commessa o minacciata; l'azione medesima, ove fosse attribuita, per rimuovere o modificare giudizialmente un rapporto, al soggetto che lo ha liberamente determinato, si tradurrebbe in un'iniziativa contro lo stesso titolare, non conosciuta dall'ordinamento, e comunque estranea al diritto di difesa, quando non venga in discussione la validità dell'atto volitivo. La regola trova numerose esplicitazioni nel campo dei rapporti patrimoniali (basta ricordare le disposizioni degli artt. 1441, 1447 e 1453 cod. civ. in tema di annullamento, rescissione o risoluzione del contratto), ma deve considerarsi immanente anche nel settore dei diritti personali ed indisponibili, potendosi chiedere al giudice l'accertamento dell'esistenza dei diritti stessi e la rimozione degli effetti di atti di disposizione viziati, non il mutamento dell'assetto in precedenza provocato con atti o comportamenti permessi dall'ordinamento. L’indisponibilità dei diritti inerenti alla persona, in altre parole, rende insensibile le azioni previste a loro tutela a fronte di scelte abdicative non consentite, non di scelte legittime, di contenuto tale da elidere i presupposti e le basi logiche dell'insorgenza delle azioni stesse. In relazione al secondo profilo, quello riguardante gli interessi protetti, va rilevato che l'azione di disconoscimento della paternità compete al marito, alla madre ed al figlio, cioè ai tre protagonisti della vicenda procreativa ricadente nella presunzione di legittimità ancorata al dato temporale del concepimento durante il matrimonio, non spetta a terzi, e nemmeno al pubblico ministero. Tale ristretto ambito di titolarità dell'azione, coordinato con la tassatività dei casi in cui è esercitabile e con i brevi termini di decadenza all'uopo stabiliti (art. 244 cod. civ.), indica che la preferenza e prevalenza della realtà sulla presunzione non sono incondizionate, non rispondono ad un'esigenza pubblicistica, ma mirano a difendere esclusivamente le posizioni di quei soggetti ai quali soltanto è demandata la valutazione comparativa delle due situazioni in conflitto e la decisione di optare per l'una o l'altra, facendo emergere la verità, ovvero mantenendo la fictio iuris della paternità presunta. Il marito, concordando ed attuando con la moglie la fecondazione eterologa, effettua e consuma detta valutazione e detta opzione. Un successivo ripensamento, a prescindere da apprezzamenti di ordine etico, difetta della ratio su cui si fonda l'azione di disconoscimento, perché rinnega una scelta già espressa con l'assunzione di una paternità presunta nonostante la piena contezza della sua non rispondenza alla paternità biologica. Detto ripensamento, del resto, ove ammissibile, sfuggirebbe a limitazioni, e dunque tradirebbe le finalità per le quali il disconoscimento è contemplato, perché assegnerebbe al marito un quid pluris rispetto all'alternativa sopra evidenziata, vale a dire l'anomala licenza di rivedere la propria anteriore decisione anche se siano rimasti fermi tutti i dati a suo tempo noti ed apprezzati, ovvero siano sopravvenute circostanze non certo meritevoli di tutela in pregiudizio del bambino già nato (quali il dissidio con il coniuge, il superamento dell'impotenza, o l'insoddisfazione per il frutto dell'inseminazione). Se il parametro della predominanza del favor veritatis dovesse avere forza tale da permettere al marito un contegno «ondivago», con l'esercizio dell’azione di disconoscimento anche dopo una meditata (e probabilmente sofferta) decisione di aderire all'intento della moglie di praticare la fecondazione assistita, si dovrebbe pervenire in via generale, ad ammettere la rivedibilità di ogni scelta, solo perché divergente dalla realtà, consentendo ad esempio pure la possibilità del marito, vittorioso nel giudizio di disconoscimento, di rivendicare successivamente la qualità di padre del minore in precedenza disconosciuto, deducendo e dimostrando fatti contrari a quelli anteriormente allegati; l'illogicità di tale risultato conferma che l'azione di disconoscimento non può competere solo perché vi sia una verità difforme dalla presunzione legale, richiedendosi la concorrente presenza delle specifiche circostanze fattuali delineate dall’art. 235 cod. civ. e delle esigenze e finalità in funzione delle quali le circostanze stesse si appalesano giustificative della rimozione dello status determinato da quella presunzione. Il «bene-verità», quindi, in tema di disconoscimento, ha una priorità non assoluta, ma relativa, in quanto può prevalere per effetto di una valutazione preferenziale effettuata dagli interessati, dovendo invece definitivamente cedere il passo al «bene-presunzione» dopo un'opzione di segno opposto (situazione del resto contemplata nella «vicina» materia del riconoscimento del figlio naturale ai sensi dell'art. 250 cod. civ.)>>.

[33] Dogliotti, Inseminazione artificiale, diritti del minore e suggestioni paternalistiche, in Foro pad., 1995, 300; Dogliotti, Inseminazione artificiale e rapporto di filiazione, in Giur. it., 1991, I, 2, 73; Cervelli, Biogenetica, fecondazione artificiale e problemi giuridici emergenti, in Giust. civ., 1990, I, 485; Calogero, La procreazione artificiale, Milano, 1989, 113; Furgiuele, La fecondazione artificiale, in Quadr.,1989, 250; Ponzanelli, Ancora sul caso <<Baby M.>>: illegittimità dei contratti di sostituzione di maternità, in Foro it., 1989, IV, 293; Clerici, Procreazione artificiale, pratica della surrogazione e contratto di maternità: problemi giuridici, in Dir. fam. e pers., 1987,1011; Criscuoli, La legge inglese sulla surrogazione materna tra riserve e proposte, in Dir. fam. e pers., 1987,1029; Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista, in Riv. dir. civ., 1986, II, 495; Auletta, op. cit., 59; Santosuosso, La fecondazione artificiale umana, Milano, 1984, 66.

[34] Cfr. anche App. Salerno, 25 febbraio 1992, in Nuova Giur. Civ., 1994, I, 177, con nota di Bitetti, Contratti di maternità surrogata, adozione in casi particolari ed interesse del minore <<Ammessa l'illiceità del contratto di maternità surrogata che preveda la cessione del nascituro non è escluso che, una volta nato e volontariamente ceduto dalla madre biologica, il minore, riconosciuto dal padre naturale, possa essere dalla moglie di questi adottato ai sensi dell'art. 44 comma 1, lett. b) l. 4 maggio 1983 n.184>>.

[35] Dogliotti, Inseminazione artificiale e rapporto di filiazione, cit., 73.

[36] Così Baldini, op. cit., 100 e ivi ulteriori indicazioni bibliografiche. Cfr., inoltre, il Report of the Commitee of Inquiry Into Human Fertilization and Embryology, H.M.S.O., Londra, 1984, meglio noto come Rapporto Warnock: <<Se la sterilità è una condizione a cui si vuole, per quanto possibile, porre rimedio, la maternità surrogata non dovrebbe essere esclusa, in quanto costituisce per alcune coppie l’unica alternativa per avere un figlio che abbia un collegamento genetico con almeno uno di essi. In particolare, potrebbe costituire l’unico modo per un uomo con una moglie sterile per avere un figlio. Inoltre la gestazione di un bambino a favore di un’altra donna può essere vista non come una operazione che volgarizza, commercializza o specula sulla gravidanza, ma, come un atto deliberato e consapevole di generosità da parte di una donna nei confronti di un’altra. Se vi sono dei rischi connessi alla gravidanza, tanto più sarà grande tale generosità>>.

[37] Ponzanelli, Ancora sul caso <<Baby M.>>: illegittimità dei contratti di sostituzione di maternità, cit., 297.

[38] Bilotta, op. cit., 90.

[39] Cfr. Baldini, op. cit., 99 che riporta l’ulteriore ipotesi in cui nell’utero della medesima donna (madre uterina) vengano impiantati due o più embrioni appartenenti a coppie diverse dando luogo alla cd. surrogazione di maternità “gemellare”.

[40] Clarizia, Inseminazione artificiale, contratto di sostituzione di maternità e interesse del minore, in Foro it., 1989, IV, 298.

[41] Il c.d. interesse del minore è oramai frutto di approfonditi studi. Per limitarsi ai più recenti contributi cfr. Longo, Adozione internazionale, tutela della riservatezza ed interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 2 settembre 1997 n. 8383, Chimera c. Proc. Rep. T. Palermo), in questa Rivista, 1998, 360; Ferrando, Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Politica del Diritto, 1998, 167; Lo Basso, La valutazione dell'interesse del minore e la pronuncia sull'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità (nota a sent. Cass., Sez. I, 25 settembre 1997 n. 9417, Lato c. Costanzo), in Dir. fam. e pers., 1998, 546; Mellone, Ostilità del padre e interesse del minore nell'accertamento della paternità (nota a sent. Cass., Sez. I, 30 maggio 1997 n. 4834, Marcon c. Baraldi; Cass., Sez. I, 8 novembre 1997 n. 11032, Paolicchi c. Marques), in Nuova Giur. Civ., 1998, I, 219; Porcari, Dichiarazione di paternità o maternità naturale: giudizio di ammissibilità ed interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 13 agosto 1997 n. 7557, Coppola c. Bellame), in questa Rivista, 1998, 365; Sciancalepore, L’interesse del minore fra esercizi di formalismo e legalità costituzionale, in questa Rivista, 1998, 407; Chimenti, Interesse del minore di età e profili di rilevanza del consenso (nota a sent. Cass., Sez. I, 15 gennaio 1998 n. 317, Del Giudice c. Rosialla), in Giust. Civ., 1998, I, 1285; Fargnoli, Dichiarazione giudiziale di paternità ed interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 17 ottobre 1995 n. 10833, Tuvo c. Scaravaggi), in Nuova Giur. Civ., 1997, I, 259; Figone, Interesse del minore ed impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (nota a sent. C. cost. 22 aprile 1997 n. 112, Dama c. Caterino), in questa Rivista, 1997, 412; Fittipaldi, Un primo bilancio sugli effetti della decisione della Consulta n. 341 del 1990 in materia di interesse del minore al riconoscimento (nota a sent. Cass., Sez. I, 7 maggio 1997 n. 3985, Sgarbi c. Brenner). in questa Rivista, 1997, 539; Frasson, L'interesse del minore ad instaurare rapporti affettivi con il preteso genitore come nuovo criterio nella dichiarazione giudiziale di filiazione naturale (nota a sent. Cass., Sez. I, 11 dicembre 1995 n. 12642, Guidato c. Da Silva) in Nuova Giur. Civ., 1997, I, 269; Lombardi, Sulla tutela dell'interesse del minore nel giudizio di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità (nota a sent. Trib. Napoli 10 luglio 1996, Caterino), in Giur. di Merito, 1997, 503; Vincenzi Amato D., L'interesse del minore è sempre interesse alla veridicità del suo "status filiationis" (osservaz. a sent. C. cost. 22 aprile 1997 n. 112, Dama c. Caterino), in Giur. Costit., 1997, 1077; Zatti, Interesse del minore e "doppia figura genitoriale" (nota a sent. Cass., Sez. I, 23 febbraio 1996 n. 1444, Diana c. Freschi; Cass., Sez. I, 24 settembre 1996 n. 8413, Sangiovanni c. Congedo). in Nuova Giur. Civ., 1997, I, 84; Cerato, Mutamento di sesso di un genitore e interesse del minore, in Minori Giustizia, 1997, 85; Salzano, Libertà di espatrio ed interesse del minore (nota a sent. Trib. min. Roma 1 aprile 1996, Staller c. Koon); Dir. fam. e pers., 1997, 623; Bianco, L'adozione dei singoli e la tutela dell'interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 21 luglio 1995 n. 7950, Proc. gen. A. minorenni Roma c. Di Lazzaro), in Dir. fam. e pers., 1996, 491; Cristiani, In tema di interesse del minore e di differenza di età fra adottante e adottato (nota a sent. C. cost. 24 luglio 1996 n. 303, Proc. Rep. T. min. Salerno c. Crescenzo), in Giust. Civ., 1996, I, 3107; Finocchiaro, L'interesse del minore e la differenza di età fra adottante e adottando: a proposito della sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 1996 (nota a sent. C. cost. 24 luglio 1996 n. 303, Proc. Rep. Trib. min. Salerno c. Crescenzo), in Giust. Civ., 1996, I, 2177; Lamarque, L'eccezione non prevista rende incostituzionale la regola (ovvero, il giudice minorile è soggetto alla legge, ma la legge è derogabile nell'interesse del minore (osservaz. a sent. C. cost. 24 luglio 1996 n. 303, Crescenzo c. Pres. Cons.), in Giur. Costit., 1996, 2509; Laperchia, Interesse del minore ed irrevocabilità dell'adozione (nota a sent. Cass., Sez. I, 24 novembre 1995 n. 12169, Franchina c. Proc. gen. A. Torino), in Nuova Giur. Civ., 1996, I, 564; Figone, Dichiarazione giudiziale di paternità, principio del contraddittorio e interesse del minore (nota a sent. Cass., Sez. I, 17 ottobre 1995 n. 10833, Tuvo c. Scaravaggi e altro), in questa Rivista, 1996, 27; Carbone, Un nuovo miraggio: l'intervento del p.m. nell'interesse del minore (nota a sent. C. cost. 25 giugno 1996 n. 214, D'Alessansro c. De Angelis e altro), in questa Rivista, 1996, 425; Conte, Provvedimenti temporanei nell'interesse del minore e loro impugnabilità: segnali nuovi all'orizzonte? (nota a sent. App. Roma 10 maggio 1993, Tamburini c. Nordengren), in Dir. fam. e pers., 1996, 1391; Ferrando, Principio di eguaglianza dei figli naturali e tutela dell'interesse del minore nei procedimenti familiari (osservaz. a sent. C. cost. 25 giugno 1996 n. 214, D'Alessandro c. De Angelis e altro), in Giur. Costit., 1996, 1882; Dainesi, Diritto di visita e interesse del minore (osservaz. a sent. Trib. Napoli 12 maggio 1995, Esposito) in questa Rivista, 1996, 568.

[42] Cfr. recentemente Corte Cost., 26 settembre 1998, n. 347, in Corr. giur., 1998, 1295, con nota di Carbone, Riconoscimento di paternità e inseminazione eterologa: la Corte Costituzionale non risolve il problema, in Vita not., 1999, 35, con nota di Cassano, Pater incertus est: una pronuncia sibillina della Consulta sul disconoscimento di paternità a seguito di fecondazione eterologa; in Dir. fam. e pers., 1999, 11, con nota di d’Avack, Fecondazione eterologa assistita: l’evanescente, sibillina decisione della Consulta, con nota di Morosini Fecondazione assistita eterologa e supplenza del giudice, dopo la sentenza n. 347/1998 della Corte Costituzionale, con nota di Ciani, Ancora su eteroinseminazione e disconoscimento di paternità: una pronuncia elusiva della Corte Costituzionale; in Giur. Cost., 1998, 2637, con nota di Lamarque, La prima decisione della Corte costituzionale sulle conseguenze delle tecniche di procreazione medicalmente assistita; in Giust. civ., 1998, I, 2409 con nota di Morelli, Ancora una nuova tipologia di decisione costituzionale: la "interpretativa di inammissibilità". (A proposito della sent. n. 347 del 1998, sulla azione di disconoscimento di figlio nato mediante inseminazione eterologa); in questa Rivista, 1998, 405, con nota di Sciancalepore, op. cit.: <<La possibilità che ipotesi nuove, non previste al tempo dell'approvazione di una norma, siano disciplinate dalla stessa non è da escludersi in generale. Ma tale possibilità implica un'omogeneità di elementi essenziali e un'identità di ratio; nella cui carenza l'estensione della portata normativa della legge si risolverebbe in un arbitrio. E’ quanto accadrebbe una volta che, ai fini dell'esperibilità dell'azione di disconoscimento di paternità, l'ipotesi in esame fosse equiparata, a quelle, tanto dissimili, previste dall'art. 235 del codice civile. L’estraneità della fattispecie oggetto del giudizio alla disciplina censurata comporta l'inammissibilità della sollevata questione; dalla quale tuttavia emerge una situazione di carenza dell'attuale ordinamento, con implicazioni costituzionali. Non si tratta in alcun modo, in questa occasione, di esperirsi sulla legittimità dell'inseminazione artificiale eterologa, né di mettere in discussione il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione. Tutto ciò resta fuori del presente giudizio di costituzionalità. Si tratta invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo evitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato (v. le sentenze n. 10 del 1998; n. 303 del 1996; n. 148 del 1992; nn. 27 e 429 del 1991; e nn. 44 e 341 del 1990), non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima - in base all'art. 2 Cost. - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare. L'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia, nell'attuale situazione di carenza legislativa, spetta al giudice ricercatore nel complessivo sistema normativo l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali.>>.

[43] Clarizia, op. cit., 299.

[44] Vedi supra ed in particolare nota 13.

[45] Vercellone, Fecondazione assistita e status familiari, in Fecondazione assistita: una proposta di legge da discutere, Atti del Convegno tenuto a Pisa, 30 gennaio-2 febbraio, Pisa, 1997, 104.

[46] Con diverse sfumature in tema di fecondazione artificiale eterologa cfr. Corte di Cassazione 16 marzo 1999 n. 2315, cit., << Alla data della riforma del diritto di famiglia, di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151, era già stata «scoperta» ed era in atto la fecondazione dell’ovulo della donna in forma assistita, senza rapporto sessuale, con intervento chirurgico costituito dall'introduzione di seme maschile, nella duplice forma dell'inseminazione omologa od eterologa, a seconda che ci si avvalga dello sperma del marito o di un terzo donatore. Nonostante la diffusione della nuova pratica, prevalentemente utilizzata al fine di assicurare un figlio alla coppia sterile per impotenza del marito, nonostante il vivace dibattito insorto sulla liceità di essa (anche sotto l'aspetto morale), e le sollecitazioni emerse nel corso dei lavori parlamentari (fra l'altro, con la proposta governativa di negare il disconoscimento della paternità al marito consenziente), l'art. 93 della legge del 1975, nel riscrivere l'art. 235 cod. civ., non è andato oltre una revisione terminologica ed un'opportuna unificazione delle ipotesi in cui sia mancata la coabitazione dei coniugi, mentre ha nella sostanza mantenuto ferma detta elencazione tassativa, continuando in particolare ad autorizzare il disconoscimento per impotenza del marito in entrambe le manifestazioni dell'impotenza stessa dinanzi ricordate. In questa riformulazione «conservativa» non può essere colto l'intento del legislatore di non occuparsi esplicitamente della fecondazione artificiale (così evitando di prendere posizione sul dibattito in corso) nel presupposto dell'applicabilità ad essa de plano delle disposizioni sul disconoscimento della paternità. A tale risultato ermeneutico è d'impedimento la circostanza che l'inseminazione artificiale non è adulterio della moglie, esprimendo anzi un progetto di maternità basato proprio sul rifiuto di ricorrere all'infedeltà coniugale per procreare; può trovare movente nell'incapacità del marito, ma non necessariamente si correla alla stessa, essendo riferibile anche a ragioni diverse, quali l'età o le condizioni di salute del marito medesimo, con i connessi rischi di trasmissioni genetiche sfavorevoli. Peraltro, la tesi dell'implicita inclusione della fecondazione assistita nel caso dell'impotenza del marito è contrastata dal rilievo che la norma a quest'ultima inerente, cioè il n. 2 del primo comma dell'art. 235 cod. civ., comprende anche la sola impotenza al coito; la tesi medesima, in carenza di una disciplina che differenzi le due ipotesi d'inseminazione, approderebbe all'aberrante risultato, sicuramente non in linea con lo spirito della riforma del 1975, di permettere il disconoscimento pure del figlio nato con il seme del marito affetto di detto tipo d'impotenza (inseminazione omologa), e quindi di negare la condizione di figlio legittimo proprio a cui sia per scientifica certezza frutto della coppia. Acclaratosi che l'inseminazione, globalmente intesa, non rientra in via immediata e diretta nelle previsioni dell’art. 235 nuovo testo cod. civ., e così esclusosi che il silenzio della riforma del 1975 sia fondato sulla sottintesa premessa dell'attitudine di quelle previsioni a disciplinare in modo completo il sopravvenuto ritrovato della medicina, resta da vedere se la fecondazione assistita di tipo eterologo, che usufruisce del seme altrui e che è caratterizzata da certezza (con pari rigore scientifico) della non imputabilità del concepimento al marito, possa ricadere, ove effettuata (come pacificamente nella specie) con il preventivo, libero e valido consenso del marito, nell'ambito del disconoscimento per impotenza, sulla scorta di un'interpretazione estensiva o di un'applicazione analogica di detto n. 2 del primo comma dell'art. 235 cod. civ. oltre i casi espressamente regolati>>.

[47] Per approfondimenti Cassano, Novità giurisprudenziali in materia di procreazione medicalmente assistita, in Vita not., 1999, 1042.

[48] E’ l’opinione di Vercellone, Fecondazione assistita e status familiari, cit., 105.

[49] Baldini, op. cit., 106 che riporta l’opinione di Gorassini, Procreazione artificiale eterologa e rapporti parentali primari, cit., 1251: <<la logica secondo cui la gestazione crea un vincolo più forte con il nascituro per intensità effettiva e rapporto temporale, o l’immginifica visione del seme lontano fatto crescere e sviluppare nel proprio orto, è sovvertita dalla logica del buon senso secondo cui l’ovulo fecondato di una donna negra, pur con la gestazione di una donna bianca,non può far diventare bianco il nato (...)>>.

[50] Bianca, op. e loc. cit.; Auletta, op. cit., 57.

[51] Così efficacemente Patti, Verità e stato giuridico della persona, in Riv. Dir. Civ., 1988, II, 242.

[52] Baldini, op. cit., 105.

[53] Anche se l’articolo 4, comma 3 prevede il divieto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Naturalmente i divieti, le sanzioni e lo status giuridico del nato si pongono su piani differenti.

[54] Prevede l’art. 6. (Consenso informato) di suddetto disegno di legge: <<1. Per le finalità indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico, anche avvalendosi della figura professionale dello psicologo, informa in maniera dettagliata i soggetti di cui all'articolo 5 sui metodi e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro. Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assistita. Le informazioni di cui al presente comma e quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell'uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire la consapevole formazione della volontà. 2. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi dell'intera procedura. 3. La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita é espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri di grazia e giustizia e della sanità, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione della volontà e l'applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La volontà puó essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo. 4. Qualora il medico responsabile della struttura autorizzata ritenga di non poter procedere alla fecondazione medicalmente assistita, deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione>>.

[55] Corte di Cassazione 16 marzo 1999 n. 2315, cit..

[56] Sulla consapevolezza del valore persona e sulla rilettura degli interessi patrimoniali alla luce dei valori esistenziali, sia consentito il rimando a Cassano (a cura di), Persona e diritto civile, Napoli, in corso di stampa.

[57] Cfr. Casavola, Aspettando la legge, in Il Messaggero del 29 febbraio 2000, 5.

[58] Cfr. tutti i maggiori quotidiani del 29 febbraio 2000, i settimanali del 9 marzo 2000.

[59] Così G. Berlinguer, in La Stampa del 29 febbraio 2000, 3.

[60] Così Bindi, in Corriere della Sera del 29 febbraio 2000, 2.

[61] Corte Cost., 26 settembre 1998, n. 347, cit.


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