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Articoli e note

 

FILIPPO BRUNETTI

(Avvocato)

Brevi note in tema di cauzione nel nuovo processo amministrativo [1]

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1. L’art. 3 della legge n. 205 del 2000 ha introdotto nel processo amministrativo la possibilità di subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare richiesta dal ricorrente alla prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione.

Tuttavia, la norma in parola si limita a prevedere che “nel caso in cui dall’esecuzione del provvedimento cautelare derivino effetti irreversibili” il giudice può disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare “la concessione o il diniego della misura cautelare”.

Pertanto, nella pratica del processo amministrativo[2] l’applicazione dell’istituto della cauzione dovrà necessariamente mutuare il portato concettuale della elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria in tema di cauzione nel processo civile[3].

Dalla norma in esame emerge con chiarezza solo che la prestazione della cauzione è chiamata a svolgere la funzione di una forma di garanzia per i danni derivanti dalla irreversibilità delle modificazioni che la misura cautelare può determinare nei rapporti di diritto sostanziale o, comunque, nella realtà fenomenica.

La funzione della cauzione nel giudizio cautelare amministrativo, cioè, non è e non può essere dissimile dalla funzione della cauzione nel giudizio cautelare civile, nel quale essa è posta a garanzia del risarcimento danni e del rimborso spese a favore del convenuto (cfr. c.p.c. art. 669 undecies; art. 674).

E’ evidente, tuttavia, che nel giudizio cautelare amministrativo ha oggi un senso parlare di cauzione solo in quanto è stato ormai superato il pregiudizio della irrisarcibilità degli interessi legittimi[4].

In epoca di irrisarcibilità degli interessi legittimi non avrebbe avuto senso prevedere la prestazione di una cauzione posta a garanzia di un risarcimento danni non ipotizzabile neanche in astratto.

Per altro verso, la previsione di una cauzione nel giudizio cautelare amministrativo non avrebbe potuto svolgere la funzione “tipica” di contro-cautela e di garanzia del successivo, eventuale risarcimento danni neanche nel ristretto campo della giurisdizione esclusiva, cioè estesa alle questioni di diritto e devoluta ai TAR in materia, ad esempio, di pubblico impiego e di concessioni amministrative.

L’art. 7 della legge TAR, nella sua originaria formulazione, devolveva, infatti, alla giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria ordinaria le questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia di illegittimità dell’atto o del provvedimento contro cui si ricorre; rientravano pacificamente in quest’ambito le pretese al risarcimento dei danni derivanti dal comportamento illegittimo della pubblica amministrazione.

Dunque non aveva senso la previsione di una cauzione nel giudizio cautelare amministrativo posto a garanzia di un risarcimento danni sul quale avrebbe dovuto comunque pronunziarsi il giudice civile.

La legge 205 del 2000 ha completamente modificato questo stato di cose.

La disposizione dell’art. 3 della legge relativa alla cauzione trova, infatti, una sua giustificazione per così dire “sistematica” nella previsione di cui all’art. 7, comma 4, della legge che, innovando il primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della legge n. 1034 del 1971, stabilisce che il TAR, nell’ambito della sua giurisdizione, può conoscere anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali conseguenziali.

Cioè le pretese di risarcimento danni derivanti dal comportamento illegittimo della p.a. sono oggi conoscibili dai TAR e quindi ha un senso la previsione della possibilità d’imporre una cauzione nella fase cautelare del giudizio amministrativo.

La giustificazione sistematica della previsione della cauzione nel giudizio cautelare amministrativo non risolve tuttavia il problema della identificazione dell’ambito di applicazione di tale strumento giuridico.

Sul punto, in  linea generale, ed in via di prima approssimazione al problema, deve ricordarsi che, secondo il disposto della legge in commento, la cauzione è imponibile quando dalla concessione o diniego della misura cautelare richiesta dal ricorrente possano derivare effetti irreversibili.

In passato nell’ambito del diritto amministrativo la nozione di irreversibilità degli effetti materiali derivanti dal provvedimento coincideva con la nozione di irreparabilità del danno promanante dall’esecuzione del medesimo in quanto vigeva il pregiudizio, ormai superato, dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi.

Ora, invece, l’irreversibilità degli effetti promananti dall’esecuzione o non del provvedimento impugnato non necessariamente implica l’irreparabilità del danno subito dal ricorrente o dall’amministrazione. Cioè sono configurabili effetti irreversibili, ma risarcibili, quindi riparabili.

Tuttavia è anche vero che la configurabilità astratta di una natura patrimoniale del danno lamentato e quindi la possibile reintegrazione per equivalente non esclude ipso facto, in tutti i casi, la sua irreparabilità, facendo venire meno l’indefettibile necessità di cautelare il ricorrente.

In questo senso, mutando i principi affermatisi nella giurisprudenza civile in materia di provvedimenti cautelari, deve dirsi che si ha irreparabilità non solo nel caso di irrisarcibilità del danno (perché il danno non è valutabile economicamente o perché manca l’elemento dell’illecito), ma anche nel caso in cui gli ostacoli relativi alla determinazione dell’equivalmente economico del pregiudizio subito - sotto il triplice aspetto della individuazione del danno che costituisce la conseguenza immediata e diretta dell’illecito (art. 1223 c.c.); della sua prevedibilità (art. 1225 c.c.) e della prova del suo ammontare (art. 1226 c.c.) - facciano apparire non tollerabile o eccessivo lo scarto tra gli effetti della decisione di merito e la reintegrazione per equivalente[5].

Questi rilievi portano alla conclusione che l’imposizione della contro-cautela della cauzione nel campo del giudizio cautelare amministrativo in tanto ha un senso e può svolgere una valida funzione, in quanto l’effetto irreversibile derivante dalla esecuzione o non del provvedimento impugnato sia risarcibile, cioè abbia natura patrimoniale, e quindi sia riparabile.

Viceversa, non ha senso e non accorda effettività di tutela giurisdizionale[6] l’imposizione di cauzione in tutti i casi in cui (e forse sono la maggior parte) gli effetti irreversibili non hanno natura patrimoniale (o risulta particolarmente complessa la determinazione del loro equivalente economico ai fini della reintegrazione) e quindi sono sostanzialmente irreparabili perché irrisarcibili per equivalente.

 

2. Fatta questa premessa di carattere generale, passiamo ad analizzare in dettaglio la disposizione dell’art. 3 in parola. Essa indica il cagionarsi di effetti irreversibili a seguito dell’esecuzione del provvedimento cautelare quale presupposto della imponibilità della cauzione A stretto rigore, nel processo amministrativo qualsiasi misura cautelare può diventare irreversibile, anche quella meramente inibitoria. Si pensi all’ipotesi di sospensione del decreto d’occupazione d’urgenza di un area. In questo caso gli “effetti irreversibili” a carico dell’amministrazione possono essere molteplici: essa potrebbe decadere dai finanziamenti per la realizzazione dell’opera o potrebbe trovarsi nell’impossibilità di iniziare o proseguire i lavori anche per parti dell’opera che non siano contestate.

Si pensi anche all’ipotesi di sospensione del divieto di svolgimento di attività ritenuta inquinante o comunque dannosa per l’ambiente.

A ben vedere, però, la possibilità che la misura cautelare, specie nel processo amministrativo, determini effetti irreversibili il più delle volte deriva esclusivamente dalla lentezza del processo medesimo nel giungere ad una pronuncia definitiva.

Ad esempio, si pensi all’ipotesi di ammissione con riserva di ditta esclusa da gara d’appalto che poi risulti aggiudicataria e inizi, addirittura completi l’esecuzione dell’oggetto dell’appalto, ma si veda poi rigettare nel merito il ricorso. In questo caso l’effetto irreversibile derivante dalla misura cautelare (l’impossibilità di reiterare l’esecuzione per mere ragioni di fatto) è esclusivamente dovuto alla lunghezza del processo.

Per questa ragione - specialmente nella materia dei lavori pubblici, dove maggiore è la sensibilità dell’amministrazione agli effetti derivanti dalle misure cautelari dei giudici amministrativi - si sono succedute nel tempo varie disposizioni di legge volte ad impedire che le lungaggini del processo amministrativo potessero determinare una cristallizzazione della situazione di fatto.

Chi non ricorda l’art. 5 della l. n. 1 del 1978, sul quale poi intervenne la Corte costituzionale, che prevedeva l’inappellabilità delle ordinanze rese nella materia disciplinata dalla legge in questione ed un termine di validità di sei mesi delle ordinanze di accoglimento dell’istanza cautelare.

Sulla falsariga di tale articolo venne modellato l’art. 32 della legge n. 109/1994, come modificato dalla legge n.216 del 1995, il quale fissava un termine di sei mesi all’efficacia della sospensiva dei provvedimenti di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici.

A questa disposizione si aggiungono le recenti previsioni della legge 109/1994, art. 31 bis e della legge 135/1997 (oggi abrogate dalla l. 205 del 2000, art. 4, comma 9) che introducono trasformazioni del rito ordinario del processo amministrativo volte ad accelerare la definizione nel merito delle controversie in materia di lavori pubblici al solo scopo di evitare la situazione d’incertezza, ed il rischio di effetti irreversibili, che può derivare dalla sospensione di un procedimento amministrativo afferente a tale materia.

Queste norme sono volte a contemperare l’esigenza di assicurare effettività alla tutela giurisdizionale invocata dal privato nei confronti della pubblica amministrazione con la necessità di non permettere, a causa della lunghezza del processo, la compromissione del perseguimento del pubblico interesse.

In altre parole, in un ordinamento processuale che voglia assicurare l’effettività della tutela, la mera circostanza che un provvedimento cautelare, ontologicamente non definitivo e provvisorio, possa rivelarsi a posteriori errato (perché si rivela infondata la domanda principale) non può impedire la sua esecuzione financo alla determinazione di effetti irreversibili o difficilmente reversibili.

L’unica misura atta ad evitare la determinazione di tali ultimi effetti è rappresentata dall’adozione di modalità processuali che, attraverso la concentrazione e l’immediatezza del giudizio, assicurano la possibilità di una celere definizione nel merito delle controversie.

La legge n. 205 del 2000 si muove esattamente lungo questa linea di ragionamento. Essa prevede la possibilità di redazione delle decisioni in una forma semplificata, così eliminando una delle ragioni di ritardo nella definizione nel merito del processo amministrativo: la redazione della decisione secondo il modello rotale[7]. E’ prevista altresì, al ricorrere di determinati presupposti (art. 9, che modifica l’art. 26 legge TAR) la possibilità di una estrema concentrazione del rito e una assoluta immediatezza del giudizio, il quale può esaurirsi nel breve volgere della camera di consiglio fissata per la discussione dell’istanza cautelare (per il rito abbreviato nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva dei TAR cfr.art. 4, comma 3 e seguenti, l. 205 del 2000).

 

3. Alla luce di quanto sinora esposto appare evidente che il conseguimento di effetti materiali irreversibili ad esito di provvedimento cautelare è, nel processo civile come in quello amministrativo, il sintomo di una alterazione funzionale ed operativa del modello processuale astratto.

Per questa ragione poi, il più delle volte, il giudice non è in grado di stabilire a priori  se la misura cautelare che concede al ricorrente produrrà o meno effetti irreversibili.

Di conseguenza, la formulazione testuale dell’art. 3 della l. 205 del 2000 desta alcune perplessità, perchè collega l’imposizione di una cauzione al caso in cui derivino “effetti irreversibili” non dalla esecuzione o mancata esecuzione del provvedimento impugnato, ma invece dalla esecuzione del provvedimento cautelare concesso dal giudice.

  Esso sembra presupporre l’astratta configurabilità di una categoria di “provvedimenti cautelari ad effetti irreversibili” (nella norma si fa riferimento, testualmente, al “caso in cui dall’esecuzione del provvedimento cautelare derivino effetti irreversibili” - si noti il tempo all’indicativo). Viceversa tale astratta configurabilità è da escludersi recisamente.

Infatti, i provvedimenti cautelari, secondo opinione unanimemente accettata in dottrina e giurisprudenza, costituiscono un mero incidente nel giudizio principale di merito ed hanno natura interinale, cioè provvisoria, quindi sono ontologicamente inidonei a determinare effettivi irreversibili e perciò definitivi.

Sul piano funzionale la fase cautelare del giudizio è strumentale e servente rispetto alla fase di merito del medesimo. La produzione di effetti irreversibili è, quindi, si è detto, il frutto di una mera alterazione funzionale del processo.

A ciò si aggiunga che, nell’esperienza del processo amministrativo, quando il giudice ritiene che dalla concessione della misura cautelare possano derivare effetti irreversibili, di regola rigetta l’istanza cautelare proposta dal ricorrente[8]. Ciò, soprattutto in considerazione del fatto che, nel valutare la concedibilità della misura cautelare, il giudice amministrativo è tenuto a bilanciare gli interessi coinvolti nella controversia, valutando con particolare attenzione le interferenze del provvedimento giurisdizionale con il perseguimento del pubblico interesse.

Per queste ragioni, quindi, non appare plausibile che la legge n. 205 del 2000 abbia voluto introdurre ope legis una categoria concettuale (quella delle “sospensive ad effetti irreversibili”)  che non ha diritto di cittadinanza nell’ambito dei principi generali del diritto processuale amministrativo.

Il tenore testuale della norma in esame desta ancora maggiori perplessità se si considera che essa introduce la possibilità di prestazione della cauzione anche nel caso in cui la richiesta di provvedimento cautelare venga rigettata.

Per questa ipotesi il tenore testuale della norma è il seguente: “nel caso in cui dall’esecuzione del provvedimento cautelare derivino effetti irreversibili (...) il giudice amministrativo può disporre la prestazione di una cauzione (...) cui subordinare (...) il diniego della misura cautelare”.

E’ evidente l’aporia logica che emerge dalla formula testuale ora riportata.

Se il provvedimento cautelare viene negato quali effetti irreversibili possono promanare dalla “esecuzione del provvedimento cautelare”?

Deve pertanto ritenersi che, secondo la norma in esame, il giudice ha il potere di imporre la prestazione della cauzione nel caso in cui dalla esecuzione o non del provvedimento impugnato - e, quindi, ma solo mediatamente, dalla concessione o dal rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecutività del medesimo -  possano derivare effetti irreversibili.

 

4. Che questo sia, e debba essere, l’effettivo portato dispositivo della norma in questione emerge con chiarezza dai lavori parlamentari. Un esame dell’iter parlamentare della legge n. 205 del 2000 rende edotti su quali fossero le effettive intenzioni del legislatore al riguardo e, quindi, su quale sia il senso da attribuire alla norma di cui trattasi.

Infatti, il testo dell’art. 3  approvato al Senato in data 22.04.1999 era di diverso tenore rispetto a quello poi definitivamente (ed in tutta fretta) approvato alla Camera. Nel testo approvato dal Senato si leggeva: “Nel caso in cui dall’esecuzione dell’atto derivino effetti irreversibili il giudice amministrativo può altresì disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione cui subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare”.

La ratio di questa previsione emerge dai resoconti stenografici dei lavori parlamentari[9]: essa è da individuarsi nella necessità, particolarmente sentita nel settore degli appalti pubblici, di evitare che la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato venga proposta dal ricorrente “a cuor leggero”, senza alcun rischio concreto per il medesimo anche nel caso di ricorso infondato (e connessa istanza cautelare) avente mero scopo defatigatorio o emulativo[10].

In particolare, la previsione di un potere del giudice amministrativo di imporre il versamento di una cauzione cui subordinare l’accoglimento o il rigetto dell’istanza cautelare è stata formulata, per la prima volta, in un disegno di legge volto a dare attuazione all c.d. “direttive ricorsi” in materia d’appalti.

La Corte di Giustizia CE aveva, infatti, da tempo espresso indirizzi affermativi della opportunità di prevedere la possibilità di prestazione di una cauzione nei giudizi cautelari amministrativi nei quali dovessero trovare applicazione norme di rango comunitario o si giudicasse di situazioni rilevanti nell’ambito della Comunità economica europea.

In particolare, la Corte di Giustizia CE nella sentenza 21.02.1991, relativa alle cause riunite C-143/88 e C-92/89 (Zuckerfabrik)[11], ha riconosciuto al giudice nazionale il potere di disporre la sospensione di un provvedimento nazionale basato su di un regolamento comunitario la cui legittimità sia in contestazione, ma ha chiarito che i presupposti per l’adozione del provvedimento cautelare coincidono con quelli  che legittimano l’adozione della misura cautelare nell’ambito dei giudizi che si tengono dianzi alla stessa Corte di giustizia CE. Tra tali presupposti la Corte assegna un ruolo di primo piano all’esigenza che sussista il pericolo di danno grave ed irreparabile (tale non essendo il danno meramente pecuniario) e, infine, che il giudice nazionale tenga pienamente conto “dell’interesse della Comunità” a che l’atto comunitario controverso non venga ad essere privato di ogni pratica efficacia in difetto di una “garanzia rigorosa”, ad esempio prevedendo la prestazione di idonea cauzione.

Il momento e le ragioni di genesi della norma in esame spiegano, in conclusione, che l’art. 3, comma 1, secondo alinea, della legge 205 del 2000 deve essere necessariamente interpretato come norma che attribuisce al giudice amministrativo il potere (esercitabile nel caso in cui dalla esecuzione o non del provvedimento impugnato possano derivare effetti materiali irreversibili), di subordinare l’accoglimento o il diniego delle misure cautelari alla prestazione di cauzione a favore delle controparti.

In caso di accoglimento della misura cautelare, il ricorrente dovrà prestare cauzione per evitare il consolidamento di effetti irreversibili pregiudizievoli per l’amministrazione o per il controinteressato in difetto di qualsivoglia garanzia.

Il rigetto dell’istanza cautelare potrà essere altresì subordinata alla prestazione di cauzione a carico dell’amministrazione o del controinteressato quando, dal bilanciamento degli interessi coinvolti, l’interesse pubblico all’esecuzione del provvedimento amministrativo sospettato d’illegittimità debba ritenersi prevalente.

 

5. Nel processo cautelare amministrativo la previsione della possibilità di prestazione di cauzione non è, tuttavia, una novità assoluta. L’art. 8 della legge n. 166 del 1975 stabilisce, infatti, che in caso d’impugnativa e richiesta di sospensione di provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità e di occupazione d’urgenza e/o di espropriazione, il giudice amministrativo può sostituire la misura cautelare della sospensione con il deposito, a carico dell’amministrazione, di una cauzione rapportata al valore della indennità del bene. Una disposizione del tutto analoga è contenuta anche nella legge  n. 546 del 1977, in particolare all’art. 4.

Tali previsioni legislative sono state applicate, a volte, in modo estensivo. Il TAR Marche, ad esempio, con ord. n. 91/1978 concesse la sospensione del provvedimento impugnato subordinandola alla prestazione di una cauzione. Tale ordinanza venne poi annullata dal Consiglio di Stato, Sez. V, ord. n. 55 del 9.05.1979[12] sul rilievo che nel processo amministrativo l’imposizione di una cauzione è un istituto eccezionale e non applicabile in via estensiva.

In verità, la cauzione prevista dalla legge n. 166 del 1975 ha natura affatto diversa da quella introdotta dalla legge n. 205 del 2000.

Nella previsione della legge del 1975 la cauzione rappresenta una  misura cautelare alternativa (e di minore intensità) rispetto alla sospensione del provvedimento impugnato. Essa è volta a preservare il prevalente interesse pubblico ad una celere realizzazione delle opere destinate all’uso collettivo e, nel contempo, ad assicurare al ricorrente non una sorta di risarcimento dei danni che egli è tenuto a subire in virtù di un provvedimento che potrebbe anche rivelarsi illegittimo a conclusione del giudizio amministrativo[13], ma una sorta di garanzia per l’indennità di espropriazione e di occupazione . La norma in questione è stata anche sospettata d’incostituzionalità da autorevole dottrina[14], ma la sua infrequente applicazione ha impedito che essa giungesse al vaglio della Corte costituzionale.

Viceversa, l’art. 3 della legge 205 del 2000 introduce nel processo amministrativo, si è detto, una nozione di cauzione che ha funzione di contro-cautela rispetto alla concessione o diniego della misura cautelare[15], così introducendo un modello di cauzione del tutto assimilabile a quella disciplinata nel processo civile, ad esempio dall’art. 674 c.p.c. in materia di sequestro civile. Quest’ultima disposizione attribuisce al giudice il potere (esercitabile sia in sede di autorizzazione, sia in sede di convalida del sequestro) d’imporre al soggetto richiedente il sequestro la prestazione di una cauzione posta a garanzia dell’eventuale risarcimento danni e per la copertura delle spese. In questo caso la cauzione assume una funzione di bilanciamento rispetto alla misura cautelare principale (cioè  una sorta di “cautela della cautela”); essa è volta ad impedire o quantomeno attenuare il rischio che la sommarietà della cognizione del procedimento cautelare possa costituire un pregiudizio per gli interessi della parte a danno della quale è stato adottato il provvedimento cautelare “principale” di sequestro[16].

La funzione svolta dalla cauzione prevista dall’art. 3 della legge n. 205 del 2000 è quindi del tutto analoga a quella prevista, nel giudizio civile, dall’art. 674 c.p.c.. Il giudice amministrativo quando concede la sospensione di un provvedimento amministrativo dal quale, se eseguito, scaturirebbero effetti irreversibili può subordinare la concessione della misura cautelare alla prestazione di una cauzione da parte del ricorrente. Allo stesso modo, quando il giudice ritiene di dovere negare la sospensione del provvedimento impugnato, rilevando che la mancata esecuzione del medesimo produrrebbe effetti irreversibili, può subordinare detto diniego alla prestazione di cauzione da parte dell’amministrazione o del controinteressato.

Ritengo altresì ammissibile che ciascuna delle parti processuali possa offrirsi spontaneamente di prestare cauzione per suffragare e sostenere la propria richiesta di concessione o diniego di misura cautelare.

 

6. L’assimilabilità della nozione di cauzione di cui all’art. 674 c.p.c. a quella introdotta dalla legge in commento permette, dianzi al silenzio di quest’ultima, di individuare nel codice di procedura civile le modalità operative attraverso le quali il giudice deve imporre la prestazione della cauzione. Soccorre, in questo caso, il disposto dell’art. 119 c.p.c., il quale prevede che il giudice, nel provvedimento col quale impone la cauzione, deve indicare l’oggetto di essa, il modo di prestarla e il termine entro il quale la prestazione deve avvenire. Ai sensi dell’art. 86 disp. Att. C.p.c. la cauzione, salvo diversa disposizione del giudice, di regola deve essere prestata in danaro o in titoli del debito pubblico nei modi stabiliti per i depositi giudiziari.

Nel processo civile non è prevista espressamente la possibilità di prestare cauzione mediante fideiussione; è previsto tuttavia (art. 119 c.p.c.) un potere generale del giudice di prevedere forme di prestazione della cauzione diverse da quelle stabilite per i depositi giudiziari, quindi anche mediante fideiussione.

Viceversa, per i processo amministrativo, l’art. 3 di cui trattasi prevede espressamente che la cauzione possa essere resa mediante fideiussione e, quindi, mediante polizza fideiussoria bancaria o assicurativa.

La prova documentale della prestazione della fideiussione deve essere inserita nel fascicolo d’ufficio (art. 86, 2° comma, disp. Att. C.p.c.). L’art. 3 di cui trattasi subordina l’efficacia del provvedimento cautelare alla effettiva e tempestiva prestazione della fideiussione; pertanto, il mancato deposito, nel termine assegnato dal giudice, della prova documentale relativa alla formalizzazione della cauzione, dovrebbe estinguere l’efficacia del provvedimento cautelare positivo.

In altre parole, deve ragionevolmente ritenersi applicabile l’art 669 undecies del c.p.c., il quale prevede che la mancata prestazione della cauzione nelle forme e nei tempi indicati dal giudice abbia effetto estintivo sul provvedimento cautelare reso.

Viceversa, non appare del tutto chiaro quale dovrebbe essere l’effetto promanante dal mancato versamento della cauzione, nel termine e con le forme indicate dal  giudice, nel diverso caso in cui quest’ultima sia posta a garanzia degli effetti pregiudizievoli derivanti dal rigetto dell’istanza cautelare.

Per questo caso il giudice, con l’ordinanza di rigetto, dovrebbe verosimilmente limitarsi a prevedere che in caso di mancato versamento della cauzione da parte del controinteressato o dell’amministrazione il ricorrente può presentare istanza per il riesame dell’istanza cautelare.

 

7. In conclusione, la previsione del potere del giudice amministrativo di imporre alla parte vittoriosa nella fase cautelare del giudizio la prestazione di una cauzione  dovrebbe rendere più ponderata (e meno frequente) la richiesta di misure cautelari e, in senso contrario, il potere di subordinare a cauzione anche il rigetto della misura cautelare dovrebbe attenuare l’atteggiamento di ostinata e pervicace opposizione dell’amministrazione alle istanze pur fondate delle parti private.

La previsione dell’istituto della cauzione, tuttavia, nella specifica materia degli appalti pubblici può determinare una sorta di “monetizzazione” della tutela giurisdizionale.

Infatti, nel ristretto ambito degli appalti pubblici di rilievo comunitario, le c.d. “direttive comunitarie ricorsi”[17] consentono al legislatore nazionale di limitare al risarcimento del danno i rimedi esperibili dopo la conclusione del contratto d’appalto. Pertanto, appare configurabile una soluzione dei ricorsi giurisdizionali che limiti la tutela accordata al ricorrente esclusivamente alla possibilità di una reintegrazione per equivalente. Tale soluzione non confliggerebbe, infatti, con l’ordinamento comunitario.

In questa linea di ragionamento voglio ricordare che nell’ordinamento francese, in attuazione delle menzionate direttive ricorsi è stato introdotto uno strumento di tutela cautelare ante causam, il c.d. référé précontractuel  (art. L. 22 du code des Tribunaux administratif) che dispone che l’imprenditore che sia leso o rischi di essere leso dalla violazione del diritto comunitario può adire il Presidente del tribunale amministrativo chiedendo la sospensione della procedura di aggiudicazione e l’adozione di opportuni indirizzi conformativi nei confronti dell’amministrazione[18]. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata[19], però, l’intervenuta conclusione del contratto rende improponibile la domanda di rèfèrè e, qualora quest’ultima sia stata proposta tempestivamente, preclude la pronuncia del Giudice amministrativo.

Dopo la conclusione del contratto, l’operatore economico può solo proporre il tradizionale ricorso per eccesso di potere per ottenere l’annullamento dell’acte detachable e contestualmente promuovere l’azione di risarcimento nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice.

Se i giudici amministrativi italiani ammettessero il rigetto della richiesta cautelare presumibilmente fondata per impedire il verificarsi di un effetto pregiudizievole irreversibile a carico dell’amministrazione o del controinteressato, subordinando il rigetto alla prestazione della cauzione, non farebbero altro che procedere ad una sorta di liquidazione anticipata del danno, applicando così principi molto simili a quelli accolti nell’ordinamento francese e procedendo verso una sorta di “monetizzazione” della tutela giurisdizionale accordata alle imprese private partecipanti alla procedure di aggiudicazione di appalti pubblici.

E’ tuttavia evidente che le disposizioni qui affrontate in sede di primo commento dovranno trovare il loro naturale banco di prova nello ius honorarium del giudice amministrativo, il quale, nell’esperienza del processo, saprà sfruttare le potenzialità della legge 205 del 2000, smussandone gli angoli vivi.

 

[1] Il presente scritto costituisce la mera rielaborazione del testo della relazione tenuta dall’Autore al Seminario sul nuovo processo amministrativo organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma presso il Palazzo di Giustizia in data 12 settembre 2000. Una sintesi stenografica della relazione, non rivista dal relatore, è stata pubblicata anche in Sospensive, fasc. n. 2/2000.

[2] Per le prime pronunzie di provvedimenti cautelari che subordinano la concessione della misura cautelare alla prestazione di una cauzione vedi TAR Puglia, Lecce, Sez. I, ors. 9.11.2000, n. 2582 in www.lexitalia.it, con nota critica di Virga G., “L’efficacia dell’ordinanza con cauzione è soggetta ad una condizione sospensiva o risolutivia? Vedi anche TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 14.09.2000, n. 1592, in www.lexitalia.it.

[3] Per i concetti generali in subiecta materia cfr. Vianello E., Procedimenti cautelari, Torino, 1998; Consolo C., “Processo cautelare: problemi aperti e linee di tendenza”, in Giur. It., 1998, 611.

[4] Il superamento del pregiudizio in parola si deve alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500 del 1999, a seguito della qual si è sviluppato un vivace fermento dottrinario e giurisprudenziale sul tema della risarcibilità da lesione di interesse legittimo. Sul punto si veda, tra i numerosissimi commenti, De Pauli L., “Dietro al velo di Maja: il risarcimento degli interessi legittimi”in Urb. e Appalti, 1999, 1237; Masera S., Ultimi orientamenti dei giudici amministrativi in tema di risarcimento della lesione di interessi legittimi, Ibid., 1123; Perfetti L.R.,”Risarcimento del danno, appalti pubblici e giudice amministrativo, in Nuova Rass., 361; Caianiello V., “La fine del dogma dell’irrisarcibilità dei danni per lesione di interessi legittimi: luci ed ombre di una svolta storica”, in Foro amm., 1999, n. 2007 ss.

[5] Sul punto vedi Andrioli V., Commentario al codice di procedura civile, 3 ed., Napoli, 1964, 251. In giurisprudenza si è ritenuto che sussiste il presupposto della irreparabilità del danno quando: le situazioni dedotte per loro stessa natura mal si prestino, se lese, ad essere successivamente risarcite (cfr. Pret. Roma, 15.11.1986, in Temi romana, 1986, 744 ss); l’entità del danno non sia facilmente valutabile e quantificabile in termini economici (cfr. Pret. Verona, 17.08.1988, in Giur. It., 1989, I, 2, 314 ss); un integrale ristoro de danno subito appare impossibile per la difficoltà di dimostrarne l’esatto ammontare (cfr. Pret. Roma, 4.07.1988, in Dir. Informatica, 1988, 884 ss; Pret. Nocera Inf., 1.04.1987, in Dir. giur., 1987, 654); qualora per la peculiarità della fattispecie sussistano difficoltà nel quantificare l’equivalente pecuniario del pregiudizio subito (cfr. Pret. Roma, 26.10.1982, in Temi romana, 1982, 641 ss.)

[6] le difficoltà di trasposizione del principio di effettività della tutela giurisdizionale dal processo civile - nel quale la tutela cautelare costituisce garanzia dell’effettività di un provvedimento principale idoneo ad attribuire la spettanza del bene della vita conteso - al processo amministrativo - nel quale manca il medesimo presupposto, essendo la sentenza di annullamento inidonea a statuire sulla spettanza o non del bene oggetto delle pretese del ricorrente - è stata approfonditamente evidenziata da Andreis M., Tutela sommaria e tutela cautelare nel processo amministrativo, Milano, 1996, 75 ss.

[7] Cfr. Parere Cons. Stato, A.G., n. 16 del 8.02.1990, in Foro Amm. , 1990, 270 ss.

[8]  cfr. Cass. civ., sez. un., 25.02.1995, n. 2149, in Rass. Giur. Enel, 1996, 950; Cons. Stato, Sez. V, 21.06.1996, Ord. n. 1210, Ibid., 950; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 9.10.1993, Ord. n. 536, in Cons. Stato, 1993, I, 1339.

[9] Cfr. Dossier Camera Deputati n. 1130/1 - XIII Legislatura - maggio 1999, pag. 19, 21, 24, 41, 60, 96, 97, 103.

[10] Cfr. Disegno di legge n. 2912 A.S. - XIII Leg., recante “Disposizione d’attuazione della direttiva 89/665/CEE e degli articoli 1 e 2 della direttiva 92/13/CEE, in materia di ricorsi relativi ad appalti.

[11] Vedila in Riv. dir. pubbl. comunit., 1992, 125 e ss., con nota di Tesauro G., Tutela cautelare e diritto comunitario, nonché in Foro it., 1992, IV, 1 e ss con nota di Barone A., Questione pregiudiziale di validità di un regolamento comunitario e poteri cautelari del giudice nazionale.

[12] In Cons. Stato, 1979, I, 389. Sul punto vedi anche TAR Sicilia, Palermo, 28 settembre 1977, n. 261; Id., Catania, 23 giugno 1977,  ord. n. 201, in TAR, 1977, I, 3068, con nota di Giallombardo, Sulla possibilità per il giudice amministrativo di disporre cauzione in luogo di sospensiva anche nelle ipotesi di requisizione. Tali ordinanze hanno applicato la cauzione prevista dall’art. 8 l. n. 166 del 1975 anche in giudizi relativi a requisizioni di beni.

[13] Cfr. Nigro M., Giustizia amministrativa, Bologna, 1985, 289.

[14] Sandulli A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1985, vol. II, 1409.

[15] La norma in questione raccogli gli auspici di una risalente ed autorevole dottrina secondo la quale nell’ambito del riordinamento del processo cautelare avrebbe dovuto essere considerato anche il problema della sospensione dell’atto impugnato o di altra misura cautelare principale accordata con versamento della cauzione. Così Abbamonte G., Criminalizzazione dei vizi di legittimità e riforma del processo amministrativo, in Dir. Soc., 1980, 295.

[16] Cfr. Calamandrei P., Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 45 ss.

[17] cfr Dir. 89/665 CEE e Dir. 92/13 CEE.

[18] Sul nuovo istituto cfr. Chabanol D., Marchés publics de travaux. Droit et obligations des signataires, 2 ed., Parigi, 1994, 57 e ss; Martin P., “The contractual Référé Procedure under Article L22 of the Administrative Tribunals (...), in Publ. Proc. Law Rev., 1994, CS112.

[19] Cfr Cons. Etat, 22.01.1997, in Rev franç.dr. adm., 1997, 421; Id., 3.11.1995, in AJDA, 1995, 945; Id., 17.01.1996, in Rev franç dr. adm., 1996, 1090.


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