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Articoli e note

 

ALESSANDRO BENIGNI
(Magistrato Militare in Torino)

 

L’istruttoria nelle valutazioni delle prove scritte:
è veramente necessaria la lettura collegiale?

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Introduzione

La sentenza in esame si occupa del sempre più attuale problema dei vizi inerenti al provvedimento di valutazione dei compiti scritti redatti dai candidati all'abilitazione all’esercizio della professione legale [1].

La ricorrente, in seguito ad un giudizio di non ammissione alle prove orali, ha adito il Giudice Amministrativo, lamentando la presenza dei vizi di violazione di legge e di eccesso di potere per difetto di motivazione. Essa, in via istruttoria, ha, altresì, richiesto la verificazione dei tempi occorrenti per procedere all’integrale lettura degli elaborati scritti esaminati dalla Commissione giudicatrice nella seduta, nella quale era stato corretto il proprio compito e le era stata attribuita la valutazione negativa. In accoglimento di tale istanza, i giudici amministrativi, con ordinanza presidenziale istruttoria, hanno disposto l’acquisizione di copia degli elaborati letti e valutati nella seduta in oggetto ed hanno ordinato al Presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano di dar corso alla verifica, in contraddittorio, del tempo necessario per la lettura dei medesimi.

Da tale verifica è emerso come la sola lettura integrale di ciascun compito fosse avvenuta in 6 minuti e 33 secondi (risultato ottenuto dalla divisione del tempo totale impiegato per leggere tutti gli elaborati acquisiti per il numero degli stessi), mentre dal verbale della seduta contestata emergeva che la lettura “collegiale” di ciascun elaborato aveva occupato i Commissari per soli 2 minuti e 30 secondi, quindi per un periodo di tempo circa tre volte inferiore.

Sulla base di tali presupposti il Tribunale Amministrativo ha riconosciuto la fondatezza del ricorso, ritenendo sussistente il vizio di legittimità dell’eccesso di potere “per difetto di adeguata istruttoria, essendo manifesto che quest’ultima [era] stata oggettivamente insufficiente rispetto alla valutazione assegnata dalla legge alla Commissione”. Tale vizio assorbiva, peraltro, quello, originariamente denunciato dalla ricorrente, di  eccesso di potere per difetto di motivazione, “essendo altrettanto evidente che alcuna motivazione poteva essere rettamente resa in difetto degli indispensabili elementi di giudizio”. Infine, i giudici hanno dichiarato l'obbligo della Commissione esaminatrice di ripetere le operazioni di valutazione, rinnovando ora per allora il già espresso giudizio.

Tale decisione consente di esaminare la figura sintomatica dell’inadeguatezza istruttoria e di verificare i poteri che la Commissione esaminatrice può esercitare all’interno della fase procedurale di correzione dei compiti.

Le principali figure sintomatiche di eccesso di potere

L’eccesso di potere[2], com’è noto, costituisce uno dei tre tipici vizi dell’atto amministrativo insieme all’incompetenza e alla violazione di legge (art. 3, legge 6 dicembre 1971, n. 1034) e viene espressamente indicato nella L. 31 marzo 1889, n. 5892, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, senza che peraltro il legislatore ne fornisse una definizione. Del resto, un addentellato normativo per l’identificazione del senso della celebre locuzione era dato dalla L. 31 marzo 1877, n. 371, che per l’occasione adottava l’accezione letterale ed alquanto ristretta di “straripamento di potere”, ricomprendendo in essa tutti gli episodi in cui la Pubblica Amministrazione avesse esercitato l’azione amministrativa al di fuori delle proprie prerogative.

Peraltro, la giurisprudenza del Consiglio di Stato non accolse tale impostazione, che avrebbe consentito un sindacato marginale sull’attività amministrativa [3], ma sin dalle prime decisioni utilizzò lo strumento dell’eccesso di potere per avviare il sindacato sull’attività discrezionale della P.A. [4]

Il passaggio dall’idea di un eccesso di potere come “straripamento” a quella di sviamento di potere (ovvero esercizio scorretto della discrezionalità) è segnato dal riconoscimento, da parte degli operatori del diritto, che l’attribuzione di ogni singolo potere alla Pubblica Amministrazione è funzionale al perseguimento di interessi pubblici particolari riconnessi a codesti poteri e non al fine di soddisfare un interesse pubblico genericamente individuato. Tale assunto condusse la giurisprudenza a considerare l’eccesso di potere quale vizio volto a punire la P.A. che avesse esercitato un potere per un fine diverso da quello tipico ovvero che per conseguire un determinato fine avesse utilizzato un potere diverso da quello tipizzato per quello scopo.

Il vizio di eccesso di potere, attraverso l’elaborazione della dottrina, è stato in un primo momento inquadrato quale vizio di un elemento costitutivo dell’atto amministrativo, che poteva essere la causa, la volontà, i motivi, seguendo l’impostazione negoziale del provvedimento amministrativo [5] . Tale impostazione risulta ormai superata dalla giurisprudenza ed oggi si tende a considerare l’eccesso di potere quale vizio della funzione esercitata dalla P.A. In tal modo la verifica della sussistenza del medesimo vizio non è calibrata (o non lo è solo) sull’atto ma sulle modalità di esercizio della potestà amministrativa.

Si deve aggiungere che la difficoltà, in concreto, di identificare l’interesse perseguito dalla P.A. nell’esercizio dell’azione amministrativa, ha indotto la giurisprudenza ad individuare una serie di figure sintomatiche di eccesso di potere, che configurano vizi di ragionevolezza, logicità e coerenza della funzione [6]. Esse comportano l’illegittimità dell’atto amministrativo, a prescindere dal fatto che sia dimostrato, in concreto, lo sviamento del potere esercitato dalla P.A.

Quali figure sintomatiche sono state individuate, tra le altre, la contraddittorietà intraprocedimentale e provvedimentale (quando le premesse del procedimento o i diversi provvedimenti non siano coerenti con la conclusione dello stesso o tra di loro). L’illogicità manifesta (provvedimento illogico adottato dalla P.A.; in tema di concorsi, la giurisprudenza sovente annulla la determinazione dei criteri di valutazione sulla base di tale vizio)[7], il travisamento di fatti (presenza di un fatto discordante con la realtà), la disparità di trattamento (emissione di provvedimenti diversi in relazione a situazioni identiche), la violazione di circolari (provvedimenti difformi dalle circolari, senza la presenza di una motivazione in grado di giustificare tale difformità) e, infine, la carenza di adeguata istruttoria[8] (accertamento completo dei presupposti del provvedimento)[9].

La eventuale inadeguatezza dell’attività istruttoria

Facendo leva sul vizio di eccesso di potere per inadeguata istruttoria, il T.A.R. Lombardia, con la sentenza in commento, ha annullato il provvedimento amministrativo di non ammissione alle prove orali di una praticante all’esame di avvocato: due minuti e mezzo non sarebbero sufficienti per un ponderato accertamento tecnico-valutativo sugli elaborati della candidata.

Su tale decisione sembra che non possa essere mossa alcuna censura. Nel verbale di correzione degli elaborati era infatti indicato che la lettura degli stessi si era svolta collegialmente e, pertanto, bisogna ritenere, fino a querela di falso, che tale modalità sia stata osservata dalla commissione esaminatrice. Il Tribunale, pertanto, sulla scorta della verificazione, ha correttamente osservato che i tempi registrati dalla stessa commissione (circa due minuti e mezzo) non erano sufficienti per consentire l’espletamento di una lettura collegiale.

In particolare si osservi che, riguardo a tali tempi, il Consiglio di Stato ritiene che sette minuti per la correzione di ciascun elaborato siano adeguati ed esclude, in tal caso, il vizio di eccesso di potere [10]. Non esclude tale vizio la revisione protrattasi per solo un minuto o un minuto e mezzo [11]. Peraltro, occorre considerare che nelle massime del Consiglio di Stato si ripete che la brevità del tempo impiegato, da sola, non è indice di eccesso di potere, dovendo, normalmente, essere accompagnata da un ulteriore elemento che dimostri il dedotto vizio[12].

La giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali si muove sullo stesso piano di quella del Consiglio di Stato, negando che l’insufficiente od incompiuta valutazione dei compiti, e quindi il vizio di eccesso di potere, possa dedursi dalla sola brevità del tempo impiegato nella correzione degli elaborati, a meno che l’esiguità del tempo stesso sia tale da rendere materialmente impossibile l’espletamento delle operazioni prescritte[13] (sulla base di criteri di comune esperienza [14]). Del pari irrilevante è la rapidità della correzione, qualora risulti che i compiti siano stati presi in esame e valutati [15]  e non risultino manchevolezze nelle operazioni relative alle stesse valutazioni, che dimostrino la negativa influenza, sul giudizio espresso nei confronti dei candidati, di un affrettato ed insufficiente esame da parte dell’organo esaminatore [16]. Integrano però il vizio di eccesso di potere i casi limite in cui siano stati impiegati un minuto o un minuto e mezzo a candidato [17] o anche, secondo talune decisioni, meno di tre minuti[18] o ancora il tempo medio di correzione sia talmente ridotto da risultare incongruo sempre alla stregua dei principi di comune esperienza [19] ovvero sia ictu oculi tale da rendere naturalmente impossibile l’adeguato assolvimento dei prescritti adempimenti [20].

Tali sentenze, dunque, dichiarano l’irrilevanza della brevità delle operazioni, facendo poi salvi alcuni casi limite. Altro orientamento, invece, afferma la rilevanza dell’inadeguatezza del tempo occorso per la correzione dei compiti. In particolare, tali decisioni esprimono l’insufficienza dei tre minuti dedicati dalla commissione esaminatrice a ciascun elaborato, statuendo l’illegittimità del giudizio di non ammissione [21].

Quindi, qualora sia verbalizzato che la lettura è avvenuta collegialmente, il Giudice Amministrativo non può far altro che verificare la rispondenza delle risultanze fattuali a tali dichiarazioni. Tuttavia, occorre fare un passo indietro e verificare, alla luce dei principi e delle norme, se sia necessaria una ponderata e meticolosa istruttoria, completa sotto ogni profilo, ovvero se sia possibile leggere individualmente i compiti ed in una fase successiva procedere alla discussione e valutazione [22].

L’istruttoria nel procedimento di correzione degli elaborati dell’esame avvocati: lettura collegiale o anche lettura individuale?

Sul tema l’art. 23 del R.D. 37/1934 [23], detta una procedura alquanto elastica prevedendo che la commissione giudicatrice degli esami di avvocato debba compiere la revisione dei lavori scritti “nel più breve tempo possibile”. Si tratta, dunque, di una norma che lascia, di per sÚ, ampio spazio all’organo valutatore per determinare le modalità di correzione degli elaborati. Si tenga, inoltre, conto che, sempre a termini di tale norma, il lavoro di correzione non può protrarsi oltre i sei mesi dalla conclusione delle prove. Un’eventuale proroga di detto termine non può essere disposta che una sola volta, per non più di novanta giorni e deve essere giustificata da motivi eccezionali e debitamente accertati. Tali serranti condizioni, oltre alla previsione espressa di una regola di celerità nella conclusione della correzione, inducono a ritenere che l’interesse prevalente in tale tipo di procedimento amministrativo sia la rapidità dell’azione della P.A., che assume rilevanza predominante al fine di consentire ai candidati di conoscere entro ragionevoli limiti di tempo l’esito delle proprie prove e quindi potersi programmare per la prova orale oppure approfondire gli istituti di diritto civile e diritto penale presso uno dei tanti corsi che svolgono la meritoria attività di supporto alla preparazione [24]. Pertanto, alla luce di tali considerazioni emerge un concreto interesse della medesima P.A. a non aggravare il procedimento, ovvero ad utilizzare le forme e i modi più efficaci ed efficienti per raggiungere in tempi quanto più rapidi il completamento della correzione. E ciò potrebbe paradossalmente comportare che la lettura collegiale non solo sia inopportuna, ma possa anche essere considerata illegittima, qualora comporti la necessità della proroga [25].

Il tenore letterale della disposizione citata lascia spazio a due possibili interpretazioni: la prima, più garantista riserva tutte le operazioni di lettura, correzione, discussione, valutazione e assegnazione del punteggio al collegio; la seconda, più efficientista, riserva all’intero collegio le ultime fasi della revisione dei compiti (discussione, valutazione e assegnazione del punteggio), mentre la lettura degli stessi dovrebbe essere compiuta da parte dei singoli commissari individualmente. Questa seconda alternativa consentirebbe certamente tempi complessivi di correzione più ristretti.

Del resto, la ratio che emerge dalla norma in oggetto pone in primo piano un’esigenza di rapidità della conclusione del procedimento di revisione dei compiti: questo, infatti, deve essere completato nel minor tempo possibile e, comunque, non in più di sei mesi. Un’eventuale proroga può essere concessa, ma in casi del tutto eccezionali. Dunque, è predominante un interesse alla celerità della conclusione delle operazioni. A fronte, poi, di una disposizione duttile, per quanto riguarda la procedura da seguire, sembra di poter dire che nulla vieta di adottare una procedura che preveda una prima lettura individuale dei compiti da parte di ciascun commissario, per conto proprio, e solo in un secondo momento far partecipare l’intero collegio alla discussione e deliberazione del punteggio.

Si osservi, peraltro, che la collegialità è funzionale alla miglior ponderazione sulla deliberazione da adottarsi, dovuta all’apporto di specifiche professionalità: quella dogmatico-culturale del docente universitario, quella pratico-applicativa dell’avvocato ed, infine, la sintesi di ambedue impersonata dal magistrato, il quale garantirebbe altresì l’imparzialità della valutazione propria di un organo dello Stato. L’apporto positivo di tali professionalità non risulta certo compromesso dall’esclusione della lettura collegiale a vantaggio di una prima fase squisitamente individuale del procedimento di correzione, considerato che comunque la fase deliberativa permarrebbe di competenza collegiale.

Dal punto di vista del diritto positivo, inoltre, non pare che la lettura collegiale sia connessa in termini di necessità funzionale alla deliberazione collegiale. Costituisce, del resto, prassi ricorrente degli organi collegiali delle Società (si pensi ai consigli d’amministrazione) la relazione introduttiva di un componente che ha dovuto studiare preventivamente la questione e poi la illustra all’organo collegiale, il quale prenderà le conseguenti determinazioni.

Tale impostazione sembra trovare indiretto riscontro, nella giurisprudenza amministrativa che si è occupata del problema. Infatti, le stesse sentenze dei giudici di primo grado, che pure accolgono i ricorsi dei candidati giudicati non idonei, non fanno mai riferimento alla necessità di una lettura collegiale, ma altresì a tempi e modalità di espletamento della procedura [26]. In tali casi, come in quello in esame, il giudice amministrativo si limita a prendere atto delle verbalizzazioni eseguite ed a verificare se le operazioni attestate possano essere state effettivamente eseguite dalla commissione.

Si consideri, infine, il dato storico: la prassi invalsa della lettura collegiale e, quindi, della massima garanzia per la ponderazione della decisione, era fattibile in un contesto storico e culturale, quale quello risalente all’epoca dell’emanazione della legge sull’ordinamento della professione di avvocato e procuratore (il 1934), dato lo scarso numero dei candidati iscritti all’esame. In mancanza, pertanto, di una riforma legislativa volta alla modifica dell’accesso all’avvocatura o, quantomeno, dell’art. 23 cit., l’interesse prevalente evincibile dalle norme è quello di rapidità, cui non può essere opposta deroga se non per motivate esigenze eccezionali, debitamente accertate. Con ciò non si vuole uno scadimento delle garanzie del candidato, il quale sarà assicurato sia dalla discussione e deliberazione collegialmente effettuata che da una congrua motivazione del giudizio della commissione, imposta  dell’art. 3, L. 241/1990 [27], la quale consenta di ricostruire l’iter logico-giuridico del processo decisionale.

Inoltre, l’imposizione di una procedura appesantita della lettura collegiale potrebbe  indurre la tentazione di cedere, sempre più forte man mano che si avvicini il termine di scadenza, a dare un’accelerazione sempre più intensa al lavoro collegale, al punto di eliminare quelle garanzie che sarebbero, invece, state rispettate ove si fosse proceduto sin dall’inizio ad una lettura individuale dei compiti con successiva delibera collegiale.

Infine, non pare che una tale interpretazione si ponga in radicale contrasto con il principio di completezza dell’istruttoria [28].

Segue: la c.d. discrezionalità procedimentale

Come è noto, l’istruttoria è la fase procedimentale diretta all’acquisizione dei dati e delle conoscenze necessarie per poter adottare il provvedimento e costituisce lo strumento attraverso cui l’amministrazione adempie all’obbligo generale di adeguati accertamenti dei presupposti giustificativi del provvedimento. Non esiste una disciplina generale dell’istruttoria [29], ma ciascun procedimento ne ha una disciplina, regolata in modo più o meno minuzioso.

Fermo restando l’obbligo di compiere le attività istruttorie previste dalla legge, governa l’istruttoria il principio di libertà nell’acquisizione degli elementi di fatto. Così impone l’art. 6, lett b), legge 241/90 che conferisce al responsabile del procedimento il potere di “accertare d’ufficio i fatti” e di disporre il compimento degli atti “all’uopo necessari”. Nondimeno quella parte dell’istruttoria non retta da norme (non obbligatoria) incontra il limite del principio di non aggravamento [30], il quale non si pone in contrasto con il principio inquisitoria sopra detto, ma lo sottopone al limite dettato dall’economicità dell’azione amministrativa.

Per il caso di specie, la fase istruttoria è espressamente disciplinata dall’art. 23 del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, il quale eleva a principio preminente la rapidità del procedimento. Tale disposizione sembrerebbe giustificare un’eventuale scelta discrezionale della Commissione di procedere alla lettura individuale degli elaborati.

Tale conclusione trova indiretta conferma nel principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

╚ noto che, ai sensi dell’art. 97 Cost., deve essere assicurata, oltre che l’imparzialità, il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Tale principio è stato attuato dall’art. 1 della legge 241/90, secondo cui l’azione amministrativa deve perseguire i fini determinati dalla legge ed è retta, tra l’altro, dal criterio dell’efficacia, la quale deve essere perseguita con la massima celerità.

Alla luce di tali principi la P.A. agisce in base ai criteri della discrezionalità anche in relazione alla considerazione dei fatti e degli interessi nel procedimento (ed in particolare nell’istruttoria), purchè sia raggiunto il fine pubblico. Il che comporta il potere di scelta discrezionale, in capo alla stessa P.A., in ordine alla procedura più opportuna da utilizzare per conseguire tale scopo.

Tale discrezionalità, che possiamo definire come “discrezionalità procedimentale” consente alla P.A. di gestire il procedimento, compresa l’istruttoria, a seconda delle esigenze da valorizzare, secondo quanto stabilito dalla legge, nell’ambito della funzione amministrativa esercitata [31].

La dottrina [32] ha già riconosciuto, infatti, che le valutazioni necessarie per giungere alla decisione contenuta nel provvedimento possono essere acquisite discrezionalmente secondo le modalità ritenute più opportune dalla Amministrazione interessata.

Sbocco naturale di tale discrezionalità “non provvedimentale”, o con un termine che mi sembra più pregnante, “procedimentale”, è l’attribuzione alla stessa amministrazione interessata della delimitazione della doverosità della sua condotta nell’istruttoria. Ciò al fine di garantire una lettura della doverosità procedimentale orientata alla ricerca di un equilibrato dosaggio di efficienza e garanzia [33].

Se le considerazioni che ho sin qui esposto sono vere, se ne deve  desumere che l’Amministrazione, nell’ambito dei limiti espressamente previsti dalla legge deve essere libera di determinare l’intensità degli accertamenti da espletare per giungere alla scelta finale.

Nella fattispecie in esame, in particolare, la norma procedurale (art. 23, cit.) consente espressamente all’autorità amministrativa di decidere discrezionalmente l’ampiezza e completezza dell’istruttoria, al fine di perseguire l’interesse pubblico, ad essa normativamente imposto, della maggiore celerità possibile del procedimento.

Ciò comporta, come è stato autorevolmente sostenuto, una “restituzione all’amministrazione di una piena libertà di determinazione della ampiezza e della intensità degli “accertamenti” dovuti (“Anpassung der Ermittlungsintesitõt”)[34], le quali giustificano l’adozione di una procedura più snella, celere ed efficace e ugualmente garantita nella misura in cui sia adottata una motivazione corretta ed adeguata[35] .

Conclusioni

Mi rendo conto che quella proposta nel presente scritto appare senza dubbio una proposta innovativa, ma nel contesto legislativo attuale, in assenza della necessaria riforma della legge professionale, che dovrebbe ricomprendere al suo interno una modifica del regime di accesso alla professione, sembra essere l’unica in grado di rispettare il disposto legislativo senza implicare i fenomeni, riscontrati ogni anno, di “aggiustamento all’italiana”, che trovano la puntuale e necessaria censura da parte del giudice di legittimità.

A conferma di ciò si rileva che i quotidiani hanno dato ampio risalto ad una sentenza analoga alla presente, riscontrando altresì che lo stesso TAR Lombardia avrebbe successivamente inviato gli atti alla Corte Costituzionale per valutare eventuali disparità con le regole di altri esami pubblici [36].

 


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[1] Sull’argomento, per il diverso e complementare tema della carenza di motivazione di tali provvedimenti, si veda Benigni, Obbligo di motivazione e pubblici esami: la parola passa alla Corte Costituzionale, in corso di pubblicazione sulla rivista I T.A.R. e già consultabile sulle riviste telematiche Diritto, Concorsi & Professioni, http://users.iol.it/udibenedetto/dottrina; Giustizia amministrativa, http://www.lexitalia.it; Lo Stato in giudizio, http://www.lostatoingiudizio.com.

[2] Sul quale nella manualistica si veda M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, III ed., 1993; Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 698 e 706; Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1994, 383 e 509; Virga, Diritto amministrativo, vol. II, Atti e ricorsi, Milano, 1999, 120; Landi-Potenza, Manuale di diritto amministrativo, Milano, X ed., 1997; Villata, L’atto amministrativo, in Mazzarolli-Pericu-Roversi Monaco-Scoca (cur.), Diritto amministrativo, II, Bologna, 1998, 1472; Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, 603; Di Benedetto, Diritto amministrativo, Rimini, 1999, 384. V. inoltre: Sala, L’eccesso di potere amministrativo dopo la l. n. 241 del 1990: un’ipotesi di ridefinizione, in Dir. amm. 1993, 173; Cardi-Cognetti, Eccesso di potere (atto amministrativo), in Dig. pubbl. vol. V, Torino, 1990, 341; Modugno-Mainetti, Eccesso di potere amministrativo, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989; Gasparri, Eccesso di potere (diritto amministrativo, in Enc. dir., vol. XIV, Milano, 1964, 124; Azzena, Natura e limiti dell’eccesso di potere amministrativo, Milano, 1976; De Cesare, Problematica dell’eccesso di potere amministrativo, Padova, 1973;

[3] Osserva Villata, L’atto amministrativo, in Mazzarolli-Pericu-Roversi Monaco-Scoca (cur.), Diritto amministrativo, II, Bologna, 1998, 1473: “Se si fosse adagiata su tale interpretazione la storia del diritto amministrativo italiano sarebbe risultata diversa, se non proprio inesistente in concreto e l’illegittimità censurabile davanti al giudice amministrativo sarebbe rimasta limitata all’incompetenza e alla violazione di legge”.

[4] Si fa tradizionalmente riferimento alla sentenza della IV Sezione del 7 gennaio 1892. Da osservarsi che tale interpretazione del Consiglio di Stato ritrova un precedente nel “dètournement de pouvoir”, dovuto all’elaborazione operata dal Consiglio di Stato francese; sul punto si veda Modugno-Mainetti, Eccesso di potere amministrativo, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989, 1-2; Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, 603.

[5] Lo sviluppo pi¨ approfondito di tale impostazione, dominante negli anni sessanta e settanta Þ rinvenibile ancor’oggi in P. Virga, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972.

[6] Sul punto cfr. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, 607 ss.

[7]

 Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 1984, n. 491, in Cons. Stato, 1984, I, 814, ha ritenuto illogica l’attribuzione di un punteggio, come titolo di merito, alla residenza nel Comune in un concorso per psicologo comunale. Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 1989, n. 884, in Cons. Stato, 1989, I, 557, non ha ritenuto, invece, illogico il criterio che accordi la preferenza ai candidati più anziani 

[8] Cfr. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, 609. Sul punto Þ interessante sottolineare le osservazioni di R. Villata, Considerazioni in tema di istruttoria, processo e procedimento, in Dir. proc. amm. 1995, 232: “se all’Amministrazione spetta in prima battuta operare il contemperamento fra interessi pubblici e privati, se gli interessi legittimi risultano conformati puntualmente nel procedimento amministrativo, il giudice non potrà definire l’assetto degli interessi indipendentemente dal sindacato sul procedimento nè, quindi, attingere direttamente alla cognizione del fatto ed alla qualificazione giuridica di quella vicenda di interessi. Ecco allora che la cognizione del fatto diventa controllo della veridicità dei fatti invocati nel procedimento a sostegno della misura emanata. Ne consegue che l’istruttoria procedimentale carente Þ sempre motivo di annullamento dell’atto, senza possibilità del giudice di procedere ad ulteriori verifiche circa la realtà di fatto, e ciò tanto pi¨ quanto pi¨ di tale istruttoria si venga rafforzando la disciplina legislativa”.

[9] P. Virga, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, vol. II,  Milano, 1999, 120 ss. propone una classificazione parzialmente differente da quella suggerita in questa sede che, risentendo in parte dell’impostazione civilistica, di cui Þ stato uno dei pi¨ autorevoli sostenitori, considera, quali figure sintomatiche di eccesso di potere: “lo sviamento dall’interesse pubblico: quando l’atto sia determinato da un interesse diverso da quello pubblico ... lo sviamento dalla causa tipica: quando l’atto, pur tendendo ad un fine pubblico, persegue un fine diverso da quello per il quale Þ stato conferito il potere ... violenza morale o dolo: quando il funzionario agisca sotto la pressione di una violenza morale (vis compulsiva) ovvero allorchè il provvedimento sia stato adottato in seguito al raggiro esperito dal privato nei confronti dell’amministrazione ... violazione o elusione del giudicato: quando l’amministrazione, dopo l’annullamento giurisdizionale di un atto pronunciato con sentenza del giudice amministrativo ... reitera tale provvedimento, sia pure con diversa forma e con diverse modalità ovvero adotta un provvedimento in contrasto con l’imperativo derivante dal giudicato”, oltre alle citate: contraddizione fra motivazione e dispositivo ovvero fra le varie parti della motivazione, contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà della P.A., travisamento di fatti, disparità di trattamento, mancata predeterminazione dei criteri di attribuzione dei benefici, difetto di motivazione, violazione di circolare.

[10] Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 1984, n. 300, in Cons. Stato 1984, I, 397, ove si legge in motivazione: “Per quanto attiene alla censura di sviamento, prospettata in relazione alla presumibile durata di tempo dedicata alla correzione di ogni elaborato, indicato presuntivamente nel tempo medio di sette minuti, anche essa appare priva di pregio. ╚ stato infatti affermato che la brevità della durata della operazione di un concorso non può di per sè sola costituire un sufficiente motivo per invalidarle, quando risulti dal verbale, come nella specie, che gli elaborati sono stati presi in esame e valutati, salvi i casi limite in cui sono stati dedicati un minuto o un minuto e mezzo a candidato (Sez. I, 8 novembre 1974, n. 1423; 9 febbraio 1973, n. 3095/73). ╚ stato al contrario considerato sufficiente -per escludere manchevolezze nella valutazione- il tempo di circa sette minuti ad elaborato (cfr. Sez. IV, 9 ottobre 1973, n. 711 [ndr, la sentenza si trova pubblicata in Cons.  Stato 1973, I, 1248], conclusione che la Sezione condivide alla stregua delle nozioni di comune esperienza (fattispecie relativa alla valutazione delle singole prove scritte per gli esami di procuratore legale)”. Da osservare che in tale sentenza si sottolinea il contrasto tra il tempo di valutazione corretto di sette minuti per “ogni elaborato” e quello di un minuto/un minuto e mezzo “per candidato”; tenendo conto che negli esami di avvocato gli scritti sono tre il tempo da dedicare a ciascun candidato, seguendo le conclusioni di tale orientamento, Þ pari a ventun minuti. Conforme: Cons. Stato, Sez. IV, 23 gennaio 1984, n. 24, in Cons. Stato 1984, I, 10: “La brevità del tempo impiegato dalla Commissione Giudicatrice per la valutazione della prove scritte di esame non Þ di per sè motivo per inficiare la legittimità delle operazioni, allorchè non escluda la materiale possibilità di procedere agli adempimenti ed alle valutazioni di competenza (Nella specie, la Commissione aveva impiegato un tempo medio di circa sette minuti per elaborato nelle prove di idoneità nazionale a primario ospedaliero)”.

[11] Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 1984, n. 300, cit.

[12] Oltre alle sentenze citate alle due precedenti note v. Cons. Stato, Sez. VI, 27 giugno 1991, n. 377; Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 1992, nn. 743, 744 e 745. Di “estrema inadeguatezza del tempo impiegato nella valutazione dei candidati in una procedura di tipo concorsuale” che, di per sè sola configurerebbe il vizio di eccesso di potere, salvo che la brevità delle operazioni sia spiegata e giustificata dal numero esiguo dei concorrenti e dalla semplicità dei titoli da esaminare, dice Cons. Stato, Sez. VI, 14 luglio 1982, n. 365, in Cons. Stato 1982, I, 1003.

[13] T.A.R. Basilicata 31 dicembre 1986, n. 509, in I T.A.R. 1987, I, 755; T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I, 14 maggio 1990, n. 417, in I T.A.R. 1990, I, 3643; T.A.R. Toscana, Sez. III, 31 dicembre 1990, n. 173, in I T.A.R. 1991, I, 602; T.A.R. Puglia - Lecce 22 giugno 1991, n. 451, I T.A.R. 1991, I, 3230; Lazio, Sez. III, 9 luglio 1996, n. 1321, in I T.A.R. 1996, I, 3031.

[14] T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 febbraio 1994, n. 265, in I T.A.R. 1994, I, 981; T.A.R. Lazio, Sez. I, 3 giugno 1995, n. 967, in I T.A.R. 1995, I, 2809.

[15] T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, 9 giugno 1987, n. 164, in I T.A.R. 1987, I, 2841; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, 19 gennaio 1990, n. 32, in I T.A.R. 1990, I, 1026; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, 5 marzo 1990, n. 32, in I T.A.R. 1990, I, 1944; T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, 22 dicembre 1989, n. 775, in I T.A.R. 1990, I, 629.

[16] T.A.R. Lazio, Sez. I, 5 luglio 1990, n. 618, in I T.A.R. 1990, I, 2922: “la brevità del tempo di correzione, da parte dell’Organo esaminatore, di elaborati scritti relativi allo svolgimento di temi di esame aventi lo stesso oggetto per tutti i candidati non può essere addotta di per sè a prova della incompiuta o insufficiente valutazione degli stessi elaborati quando, come nella specie, risulti dai verbali relativi alle sedute della Commissione che i compiti dei candidati sono stati tutti presi in esame e valutati e non risultino manchevolezze nelle operazioni relative alle stesse valutazioni. Nè il ricorrente adduce alcun concreto elemento dimostrativo della negativa influenza del giudizio espresso nei suoi confronti di  un affrettato e sommario esame della Commissione, rendendosi le cennate doglianze insuscettibili di accoglimento”; con le stesse motivazioni, T.A.R. Lazio, Sez. I, 17 febbraio 1992, n. 188, in I T.A.R. 1992, I, 918; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 17 giugno 1993, n. 232, in I T.A.R. 1993, I, 3012.

[17] T.A.R. Marche 29 febbraio 1988, n. 106, in I T.A.R. 1988, I, 1251; T.A.R. Emilia Romagna 29 gennaio 1990, n. 73, in I T.A.R. 1990, I, 1094.

[18] T.A.R. Lazio, Sez. I, 29 luglio 1994, n. 1233, in I T.A.R. 1994, I, 2978.

[19] T.A.R. Calabria - Catanzaro 1 febbraio 1995, n. 122, in I T.A.R. 1995, I, 1968.

[20] T.A.R. Lazio, Sez. I, 18 aprile 1996, n. 653, in I T.A.R. 1996, I, 1705.

[21] T.A.R. Lazio, Sez. I, 18 ottobre 1996, n. 2019, in I T.A.R. 1996, I, 4039; T.A.R. Lazio, Sez. I, 4 novembre 1996, n. 2112, in I T.A.R. 1996, I, 4360.

[22] Si consideri, del resto, che l’Ispettore ministeriale agli esami per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato dell’Ordine di Milano, sessione 1998/1999, Avv. Eugenio Promontorio, ha cosý affermato nelle proprie deduzioni, del 4 ottobre 1999, alle interrogazioni parlamentari del Sen. Bianco e dell’On Anghinoni (pubblicate su Riv. Cons. Ord. Avv. Milano, fasc. 4 del dicembre 1999, 14): “...Non può, inoltre ed all’atto pratico, non calcolarsi che la sensibilità professionale dei commissari può ben valutare, anche in un solo minuto, il valore del contenuto di un elaborato...”.

[23] Art. 23 del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37: “La commissione, anche nel caso di suddivisione in sottocommissioni, compie la revisione dei lavori scritti nel pi¨ breve tempo e comunque non pi¨ tardi di sei mesi dalla conclusione delle prove: il prolungamento di detto termine può essere disposto una sola volta, e comunque per non oltre novanta giorni, con provvedimento del Presidente della Corte d’appello, per motivi eccezionali e debitamente accertati”.

[24] Ha osservato N. Lipari, Relazione del Presidente della Commissione esaminatrice del concorso per uditore giudiziario indetto con d.m. 6 marzo 1986, in Foro it. 1988, V, 109: “I candidati tranne coloro che attraverso la frequenza delle ôscuoleö si sono specificamente esercitati all’esposizione armonica per iscritto di un argomento giuridico non sanno esprimersi in modo chiaro e in forma passabile ... In quanto insegnano ad organizzare le idee intorno a un problema giuridico, ad analizzarne con ordine logico le componenti ed a proporre la soluzione, secondo armoniche linee di sviluppo, in rigorosa concatenazione sillogistica di concetti, esposti in forma chiara e con terminologia corretta, le ôscuoleö svolgono una funzione insostituibile”. Si può facilmente rilevare che queste osservazioni sono estremamente simili a quello esposte dall’Avv. Promontorio con riferimento ai candidati all’esame di abilitazione alla professione legale.

[25] Non si riescono a immaginare casi di straordinarie e motivate esigenze che consentano l’aggravamento del procedimento, ex art. 2, secondo comma, legge 241/1990, tanto pi¨ in presenza di una norma (l’art. 23, cit.), che espressamente vieta, salvo casi eccezionali, la proroga al termine acceleratorio di durata della revisione dei compiti.

[26]  Si vedano tutte le sentenze citate alle precedenti note, riguardanti il tempo di correzione degli elaborati.

[27] Sull’obbligo di motivazione dei giudizi di non ammissione il TAR Lombardia-Milano, Sez. III, ha sollevato questione di costituzionalità con ordinanza n. 30 del 7 febbraio 2000, pubblicata in Diritto, Concorsi & Professioni, http://users.iol.it/udibenedetto/ con nota di Benigni, Obbligo di motivazione e pubblici esami: la parola passa alla Corte Costituzionale. Sulla non necessità della motivazione l’Ispettore ministeriale agli esami per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato dell’Ordine di Milano, sessione 1998/1999, Avv. Eugenio Promontorio, in Riv. Cons. Ord. Avv. Milano, fasc. 4 del dicembre 1999, 14, ha cosý affermato nelle deduzioni all’interrogazione parlamentare proposta dal Sen. Bianco e dall’On. Anghinoni: “Alcuna violazione Þ stata, con tanto, posta in essere posto che gli artt. 17bis/2 e 23/2 del R.D.L. 22 gennaio 1934 prevedono unicamente un giudizio di valutazione e la conseguente assegnazione di un punteggio pari alla media dei punti attribuiti da ciascuno dei commissari e non la specifica formulazione di un giudizio scritto”.

[28] Sull’istruttoria nel procedimento amministrativo si veda Villata, Considerazioni in tema di istruttoria, processo e procedimento, in Dir. proc. amm. 1995, 230-233; Guerra, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996; Perez, L’istruzione nel procedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl. 1966, 623; Nigro, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazione dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in Dir. proc. amm. 1989, 18. V. anche Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, nonchè M.S. Giannini, L’attività amministrativa, Roma, 1962.

[29] La legge 241/90 si occupa dell’istruttoria nel capo II, relativo al responsabile del procedimento (artt. 4, 5 e 6). Da notare che anche in tale sede (specificamente nell’art. 6, lett b) emerge un interesse all’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.

[30] La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria” (art. 1, L. 241/1990).

[31] Guerra, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996, 143, che, al termine di una brillante analisi, attribuisce “alla discrezionalità dell’amministrazione stessa (la cosiddetta ôdiscrezionalità non provvedimentaleö) la delimitazione della doverosità della sua condotta nell’istruttoria, nell’ambito della “valutazione discrezionale delle esigenze [della] funzione”.

[32] Cardi, La manifestazione di interessi nei procedimenti amministrativi, vol. I, Lo schema teorico e le qualificazioni, Rimini, 1983, 81; Guerra, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996, 129-130; M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, 80.

[33] Guerra, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996, 159: “L’obiettivo Þ quello di porre in primo piano il necessario raccordo tra garanzia ed efficienza nell’azione amministrativa. Il pericolo da evitare: quello di ôirrigidireö l’azione amministrativa sovrapponendole regole che, anche ove modulate in sede giurisprudenziale, sulla base dell’esperienza, in quanto fissate in modo avulso dalla specifica vicenda di concretizzazione del potere, sarebbero pregiudizievoli della funzionalità dell’azione stessa. Di conseguenza, si chiarisce che le regole da elaborare non sono dirette a disciplinare l’azione, ma sono relative al rapporto da istituire tra giudice e amministrazione in ordine alle modalità del controllo sull’adeguatezza della conoscenza del fatto da parte dell’amministrazione”.

[34] Cardi, La manifestazione di interessi nei procedimenti amministrativi, vol. I, Lo schema teorico e le qualificazioni, Rimini, 1983, 84 ed ivi la dottrina tedesca citata. Di controllo procedurale parla anche la giurisprudenza statunitense segnalata dallo stesso Cardi, op. cit., 135 e da Guerra, Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996, 158 ss.

[35] Le presenti considerazioni sono confortate anche dall’esperienza personale di esaminatore di molti pareri, temi ed atti svolti dai miei allievi. E' dunque vero, almeno secondo la mia personale esperienza, che i compiti possono essere corretti anche in un solo minuto, purchè peraltro se ne dia motivazione. Del resto, per fare un esempio, un grave errore grammaticale o un concetto giuridico palesemente errato possono riscontrarsi anche nella prima riga di un compito.

[36] da Ferrarella, Corriere della Sera, sabato 22 aprile 2000, pag. 48.


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