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Articoli e note

 

ALESSANDRO BENIGNI
(Magistrato Militare in Torino)

Obbligo  di motivazione  e  pubblici esami:
la  parola  passa  alla  Corte  costituzionale

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1. Premesse introduttive.

La storica tenzone che, ormai da anni, oppone la giurisprudenza dei T.A.R. a quella del Consiglio di Stato sulle modalità di correzione tenute nell’ambito dei concorsi e degli esami di abilitazione professionale, e in particolare sulla conoscibilità esterna dei criteri e delle valutazioni che comportano la promozione o la bocciatura del singolo candidato, sembra essere giunta alla svolta decisiva: i giudici milanesi, preso atto della costante tendenza del Consiglio di Stato di riformare le loro pronunce, adducendo la sufficienza del voto quale motivazione congrua per supportare la decisione della Commissione esaminatrice, cercano di superare l’ostacolo sollevando sul punto specifico questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 / 24 / 97 / 113 Cost.  L’ordinanza consente di fare il punto su due questioni di viva attualità, e cioè:

1 ) la possibilità, da parte del Giudice, di adire l’Alta Corte qualora rinvenga un insanabile contrasto con la giurisprudenza degli Organi  superiori, consolidata su un orientamento interpretativo ritenuto incostituzionale ;

2 ) il supposto, o reale, obbligo, da parte delle Commissioni esaminatrici di pubblici concorsi o esami di abilitazione, di motivare espressamente e specificamente le ragioni che inducono a ritenere non idonea la preparazione di uno specifico candidato.

 

2.  La possibile incostituzionalità del c.d. diritto vivente.

Come è noto, il sindacato della Corte Costituzionale si esercita sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge, e consiste in un raffronto tra norma costituzionale e norma ordinaria. Articolata è invece la vicenda della difformità tra la norma costituzionale e la norma ordinaria, non in astratto, ma in concreto, in seguito alla costante interpretazione ed applicazione praticata dagli organi giurisdizionali, la quale viene a costituire il c.d. diritto vivente.[1]

Il diritto vivente è stato inizialmente ritenuto estraneo al giudizio di costituzionalità in quanto la natura stessa di tale giudizio comporta la necessità di prescindere dall’interpretazione prevalente di una disposizione di legge. Infatti, i giudizi sulla esatta interpretazione delle norme legislative sono di competenza esclusiva della Corte di Cassazione per la sua funzione << nomofilattica >>. 

Di conseguenza, nell’ipotesi in cui sussistano varie ed eterogenee impostazioni giurisprudenziali, si dovrebbe avere un processo di progressivo adattamento all’interpretazione elaborata dall’Organo giudiziario Superiore con una consequenziale recezione dei relativi principi di diritto da parte dei  giudici di primo grado : così essi dovrebbero adeguarsi, in nome della certezza del diritto, alle massime elaborate dalle Supreme Magistrature ( Consiglio di Stato, Corte dei Conti a Sezioni Riunite, Corte di Cassazione ) e queste ultime dovrebbero compiere lo stesso procedimento metodologico nei confronti della giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

Seguendo questa impostazione, in passato la Corte ha dichiarato non fondata  questa tipologia di questioni, ritenendo che l’interpretazione del giudice  a quo in aperto contrasto con il diritto vivente formatosi in seguito alle costanti pronunce dei giudici di legittimità sia suscettibile, al più, di prospettare la possibilità di un conflitto giurisprudenziale, con una eventuale revisione degli indirizzi accolti in precedenza, ma non certo un vizio di costituzionalità della sentenza impugnata [2].

In seguito l’Alta Corte, seguendo le stimolazioni della dottrina più recente[3] , ha riconosciuto la possibilità di sollevare dubbi di costituzionalità riguardanti l’interpretazione normativa risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione[4]. E’ sufficiente che il giudice “ a quo “ riconduca alla disposizione contestata << una interpretazione non implausibile della quale egli, a una valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo, ritenga di dover fare applicazione nel giudizio principale e sulla quale egli nutra dubbi non arbitrari o non pretestuosi di conformità a determinate norme costituzionali >>[5].

La stessa Corte ha anzi significativamente precisato che la questione di costituzionalità è validamente posta anche quando il giudice a quo, affermando motivatamente di dubitare dell’orientamento giurisprudenziale prevalente o dominante, ritenga di dovere applicare la disposizione con un diverso significato, sempreché l’interpretazione offerta non risulti << del tutto implausibile >> e cioè  << palesemente arbitraria >>[6].

Questo orientamento, brevemente richiamato dai giudici ambrosiani nella loro ordinanza, merita sicuro accoglimento in quanto consente un più intenso ed efficace controllo di costituzionalità non essendo tra l’altro mancate ipotesi, verificatesi soprattutto nell’ambito del diritto penale militare, dove il Giudice delle leggi ha riconosciuto la contrarietà ai principi costituzionali di interpretazioni costantemente adottate dalla Suprema Corte, in merito ad alcuni istituti di tale specifico settore [7].

 

3. La motivazione delle valutazioni tecniche delle Commissioni esaminatrici: T.A.R. e Consiglio di Stato a confronto.

La disciplina della correzione delle prove sostenute all’esame di abilitazione alla professione legale è costituita dagli artt. 17 bis ss. R.D. 22/1/1934 n. 37.

L’art. 17 bis prevede che << per ciascuna prova scritta ogni componente dispone di 10 punti di merito ; alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a 30 punti per almeno due prove >>. L’art. 24 dispone invece che << il voto deliberato deve essere annotato immediatamente dal segretario, in tutte lettere, in calce al lavoro; l’annotazione è sottoscritta dal Presidente e dal segretario>>.

La normativa non prevede  quindi l’obbligo di motivare il punteggio. Partendo da questa considerazione e dall’opinione, in passato pacifica [8], secondo cui non esisteva un obbligo legale e generale di motivazione degli atti amministrativi, per cui essa doveva ritenersi necessaria solo se imposta dalla legge o dalla natura dell’atto, la giurisprudenza aveva ritenuto di poter dedurre la sufficienza della sola enunciazione del punteggio complessivo escludendo la necessità sia della motivazione, sia della verbalizzazione dei voti attribuiti da ogni singolo commissario [9].

La L.7 / 8 / 1990 n. 241 ha profondamente innovato la materia, stabilendo l’obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi[10].

La motivazione deve necessariamente indicare gli elementi di fatto e le argomentazioni giuridiche che hanno determinato la concreta decisione della P.A.

L’entrata in vigore di tale norma ha comportato una profonda differenziazione tra gli orientamenti interpretativi innovativi della grande maggioranza dei giudici di primo grado e quelli tradizionali, propri del Consiglio di Stato. I  T.A.R.[11]  sulla base della lettera dell’art. 3, che ricomprende nell’ambito delle attività soggette agli obblighi motivazionali anche << lo svolgimento dei pubblici concorsi >>, hanno cominciato a richiedere una motivazione che rendesse logico l’iter logico seguito, sotto il profilo della logicità e della razionalità, annullando per violazione di legge tutti i giudizi di inidoneità  che fossero argomentati con il solo voto insufficiente.

Il Consiglio di Stato, tranne qualche sporadica eccezione[12], ha sempre rigettato questa impostazione sulla base di un duplice ordine di considerazioni.

Si è affermato sovente che i punteggi << rappresentano di per sè l’implicita motivazione senza necessità, oltre l’espressione numerica del punteggio stesso, di alcuna ulteriore specificazione >>[13].

Di fronte all’obiezione caustica, ma non del tutto erronea, che << la prospettazione secondo cui il voto sarebbe espressione sintetica, ma completa del giudizio recante in sè la sua motivazione... è... affermazione tanto perentoria quanto indimostrata ed indimostrabile e perciò insoddisfacente >> [14], i giudici di Palazzo Spada replicano, riprendendo una classica distinzione che sembra ormai però superata in dottrina [15], che l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3   L. cit. riguarda la sola attività provvedimentale e non quella del giudizio conseguente a valutazioni [16].

Il T.AR. Lombardia, ritenendo non ulteriormente procrastinabile la contrapposizione esistente tra i giudici amministrativi di primo grado e quelli di appello, e ritenendo che l’interpretazione proposta da questi ultimi sia lesiva dei principi costituzionali di trasparenza dell’azione amministrativa e di concreta tutelabilità delle sfere giuridiche dei candidati, ha deciso di interpellare direttamente l’Alta Corte sulla base dei principi sopra esposti..  Appare difficile, però, considerato l’arretrato che grava sulla Corte, sperare di poter avere una risposta in tempo utile per lo svolgimento delle prossime prove scritte [17].

 

4.  Considerazioni conclusive.  Gli interessi in gioco  e la colpevole inerzia del Parlamento.

Il contrasto interpretativo fin qui  descritto non si spiega se non alla luce della diversa prevalenza dei contrapposti interessi in gioco assegnata dai giudici di Palazzo Spada rispetto ai magistrati di primo grado.

La questione è costituita dalla esigenza, facilmente avvertibile e di sicuro interesse generale, di un tempestivo espletamento delle procedure concorsuali in modo da permettere al singolo di  pianificare con una certa serenità il possibile sviluppo della propria attività professionale e la possibilità, comunque, di  rendersi conto  di dovere correggere le proprie metodologie di studio al fine di pervenire alla preparazione necessaria per il conseguimento del proprio obiettivo. 

Occorre tenere presente, inoltre che l’allungamento dei tempi di correzione comporta, indirettamente una perdita di risorse per la società: appare chiaro, infatti, che un laureato capace e meritevole, ma privo di quei mezzi economici che ormai sono divenuti necessari per continuare ad approfondire le conoscenze necessarie per vincere i concorsi, o comunque superare gli esami di abilitazione più prestigiosi, sarà indotto, dopo un periodo di tempo che può essere più o meno lungo, a seconda delle individuali motivazioni  e forza di volontà : ciò si risolve non solo in una frustrazione individuale per chi si trovi a dovere ridimensionare legittime aspirazioni personali per cause non imputabili a sè, ma anche un inaccettabile spreco di risorse per la collettività.[18]

Il perseguimento di tale esigenza si scontra con l’ ostacolo rappresentato dal numero imponente dei candidati che si presentano a sostenere questo tipo di prove [19]con una preparazione spesso superficiale e approssimata [20] che costringe, comunque, i commissari a fronteggiare in tempi ristretti ( che, per l’esame da avvocato non può essere superiore a sei mesi salva la concessione di una eccezionale e motivata proroga ), la correzione di migliaia di elaborati redatti in forma sciatta e, a volte, incomprensibile. Per non giungere, anche agli esami di abilitazione, ai tempi  insopportabilmente lunghi, che ben conoscono i candidati al concorso per uditore giudiziario, si è instaurata spontaneamente la prassi di procedere ad una lettura estremamente veloce dei compiti con l’indicazione finale del solo punteggio riportato, senza alcun commento né l’indicazione degli errori o delle lacune che hanno cagionato la non idoneità. Il Consiglio di Stato ritiene, affermandolo anche in alcune sentenze, che occorra garantire, anche in questo settore, una efficacia effettiva  dell’azione amministrativa : << La ragione di applicare alla materia concorsuale principi meno rigorosi si collega alla pratica impossibilità di richiedere alle commissioni, già onerate in taluni concorsi (non escluso di certo quello per la abilitazione alla professione forense)  un compito assai pesante, l’ulteriore fatica di motivare in modo esteso ed esplicito centinaia o migliaia di elaborati scritti ; il che renderebbe ancora più lunghi i tempi di correzione, con gravissimi disagi per i concorrenti e per gli interessi pubblici connessi alla procedura senza peraltro attribuire nella sostanza garanzie significativamente maggiori  >> [21].  Proprio per perseguire queste finalità, il Consiglio di Stato, questa volta in sede consultiva,  aveva espresso parere favorevole alla modifica dei criteri  di valutazione nei concorsi, nel senso di semplicemente << assegnare >> e non più di << motivare >> i punteggi attribuiti ai candidati << essendo la graduazione numerica un modo di differenziare le valutazioni >>[22].

Si è però giustamente replicato [23]come non si possa disapplicare l’art. 3  L. cit. solo in nome delle esigenze di << efficacia e di economicità dell’azione amministrativa >>[24]in quanto ciò si risolve, alla fine, in un deficit di tutela e di rispetto umano dei candidati che mantengono comunque il diritto morale, oltreché giuridico, di sapere concretamente perché sono stati giudicati non idonei.

La soluzione più logica e foriera di immediati riscontri positivi  appare essere quella di aumentare il numero dei Commissari attribuendo loro anche una ragionevole indennità di presenza per incentivarne l’operato [25]. Occorre prendere atto che il numero dei candidati è decuplicato rispetto a vent’anni fa, comportando la necessità di un corrispondente aumento degli esaminatori per continuare a mantenere lo stesso rapporto di proporzionalità sussistente in passato, fornendo la concreta possibilità di una valutazione maggiormente meditata e motivata.   

Purtroppo le notizie che giungono dal Parlamento sono tutt’altro che buone in quanto i soli disegni di legge presentati su questa tematica [26]si limitano a prevedere la necessità di una motivazione espressa e approfondita senza tenere alcun conto delle inevitabili conseguenze che l’adozione legislativa di tale principio comporta.

 

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[1]  Sulla definizione di diritto vivente e le implicazioni che ne conseguono :  D.Nocilla  A proposito di << diritto vivente >>  in Giur. Cost.  1981, 1876 ;  A. Anzon  La Corte Costituzionale e il diritto vivente  in  Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova  1985, 5 ss. ;  G.Zagrebelsky  La dottrina costituzionale e il diritto vivente   in  Giur. Cost.  1986, 1148 ;  A.Pugiotto  Sindacato di costituzionalità e diritto vivente “, Milano  1994.

[2]  Corte Cost. ord. n. 848 /1988  in  Giur. Cost. 1988, 4042 ;  ord. n. 77 / 1990, ivi, 342 ;  ord. n. 269 / 1991, ivi, 2159 ;  ord. n. 87 / 1994, ivi, 1994, 843 ;  ord. n. 410 /1994, ivi, 1994, 3632.

In dottrina : V.Crisafulli  Questioni in tema di interpretazione della Corte costituzionale nei rapporti con la interpretazione giudiziaria, ivi, 1956, 931 ; M.Mazziotti “ Osservazioni all’ord. n. 128 / 1957, ivi, 1957, 1226.     

[3]  G.Zagrebelsky, voce “  Processo Costituzionale “ in Enc. Diritto, Milano, vol. XXXVI, 1987, 646.

[4] La prima pronuncia della Corte sul punto  è stata Corte Cost. n. 30 /1990 in Giur. Cost. 1990, 103, seguita da Corte Cost. n. 130 /1993, ivi, 1993,1048 ;  n. 257 /1994, ivi, 1994, 2089 ; n. 463 / 1994, ivi, 1994, 3985 ; n. 58 / 1995, ivi, 1995, 493 ; n. 110 / 1995, ivi, 1995, 902 ; n. 345 / 1995, ivi, 1995, 2594 ; n. 350 /1997, ivi, 1997, 3435.

[5]  Corte Cost. 58 /1195 cit., 499

[6]  Corte Cost. 58 / 1995 cit., 499.

[7]  Si pensi a Corte Cost. n. 61 / 1995  in  Diritto penale e processo 1995, 1309 con nota di P.Pittaro “ L’ignoranza dei doveri militari : scusabile se inevitabile “, in Giur. Cost. 1995, 525 con osservaz. di M.Petrone “ L’efficacia scusante dei doveri militari “,  in Riv. pen. 1995, 61 con nota di A. Tencati “ L’errore nel diritto penale militare “, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 39 c.p.m.p.  nella parte in cui non esclude << dall’inescusabilità dell’ignoranza dei doveri inerenti allo stato militare l’ignoranza inevitabile >>, e a Corte Cost. n. 284 / 1995 in Cass. pen. 1995, 2799 con nota di G.Mazzi “ Sanzioni sostitutive, reati militari e principio di complementarietà “, che ha riconosciuto l’applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati militari, applicabilità sempre negata dalla Corte di Cassazione.

Recentemente il Trib. Mil. di Torino ha emanato un’interessante ordinanza in cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art.260 c.p.m.p. così come viene costantemente interpretato dalla Suprema Corte : Trib. Mil. Torino ord. 12 / 1 / 1999  in  Gazz. Uff. 1999, I Serie speciale, n. 19, 17 ss.

[8]  Si citano, a solo titolo esemplificativo, A.M. Sandulli “ Manuale di Diritto Amministrativo “, Napoli   XV ediz., 1989, 693 - 694 ;  M.S.Giannini  Diritto Amministrativo “, Milano  II ediz., 1988, 688- 689. 

[9]  C.d.S. 4 / 3 / 1980 n. 144  in  Cons.St. 1980, I, 167  ;  10 / 6 / 1980   n. 645, ivi, 1980, I, 869.

[10] Art. 3  L. 241 / 1990 : << Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti  l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi e il  personale deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale >>.  

[11]  T.A.R. Marche  28 / 2 / 1992  n. 112  in  T.A.R.  1995, I, 630 ; 1 / 4 / 1992  n. 160, ivi, 1992, I, 1568 e 2146 ;  12 / 2 / 1993  n. 65  in  Cons. St. 1993, I, 1301 ;  T.A.R. Sicilia 21 / 12 / 1994   n. 2794  in  T.A.R. 1995, I, 417 e 921 ;  Cons. Giust. Amm.  31 / 5 / 1995 n. 228  in  Cons. St.  1995, I, 942 ;  T.R.G.A.  20 / 11 / 1995  n. 317  in  T.A.R.  1995, I, 128, con riferimento al concorso per posti di ricercatore universitario ; T.A.R. Puglia   25 / 3 / 1997, ivi, 1997, I, 2077  ;  T.A.R. Lombardia  3 / 6 / 1998, ivi, 1998, I, 3025 ;  30 / 6 / 1998, ivi, 1998, I, 3045.

[12]  C.d.S.   31 / 5 / 1995  in  Cons. St. 1995, I, 942 ;  29 / 1 / 1998, ivi, 1998, I, 38. 

[13]  Così espressamente C.d.S.  13 / 5 / 1998  in  Cons. St. 1998, I, 784.  Tra le altre decisioni che adottano questo tipo di argomentazioni : C.d.S.  15 / 10 / 1993 n. 727, ivi, 1993, I, 1301 ;  19 / 9 / 1995  n. 1323, ivi, 1995, I, 1229  la quale ribadisce la validità di tale orientamento, pur riconoscendo la necessità di motivare il punteggio negativo attribuito in caso di unico candidato ad un pubblico concorso ;  27 / 5 / 1996 n. 1536, ivi, 1996, I, 1935.

[14] Così espressamente T.A.R. Lombardia  3 / 6 / 1998  cit.

[15] Questa impostazione è stata sviluppata con il massimo livello di approfondimento  da P.Virga  Il provvedimento amministrativo “, Milano II ediz., 1972. Le conclusioni del suo pensiero si trovano anche  nel volume “ Diritto Amministrativo. Atti e ricorsi “ Milano V ediz., 1999, 5 - 6  e 26 ; Nello stesso senso anche  G.Landi / G.Potenza / V.Italia  Manuale di diritto amministrativo “, Milano XI ediz., 1998, 234, che espressamente escludono dall’ambito provvedimentale << i giudizi... delle Commissioni esaminatrici che, a seguito di prove d’esame o di valutazione di titoli, dichiarano l’idoneità o inidoneità degli aspiranti ad un titolo di studio, ad un pubblico impiego ecc. >> ;  A.M.Sandulli, op. cit., 639.

Altra parte della dottrina, invece, ha distinto il provvedimento come l’atto finale della fase procedimentale che influisce sulle situazioni soggettive dei privati, rispetto ai meri atti amministrativi che costituiscono, invece, momenti strumentali del procedimento.

Questa impostazione, che sembra ormai prevalere nella letteratura pubblicistica, è stata propugnata per primo dal compianto M.S.Giannini, op. cit., 672 ss., ed è stata poi seguita da R.Galli  Corso di diritto amministrativo “, Padova II ediz., 1994, 464 , da V.Cerulli Irelli  Corso di diritto amministrativo “, Torino II ediz., 1997, 503 e da R.Villata  in  Diritto Amministrativo “ a cura di L.Mazzarolli - G.Pericu - A.Romano - F.A.Roversi Monaco - F.G.Scoca, Bologna II ediz., 1998, 1407 ss 

[16]  C.d.S.  27 / 5 / 1996 n. 747  in  Cons. St. 1996, I, 987 ;  29 / 7 / 1997  n. 309  in  Foro Amm. 1997, 3147 ;  29 / 12 / 1997  n. 583  in  Cons. St. 1997, I, 1751. 

[17] Si consideri che l’ordinanza del Trib. Militare di Torino, citata nella nota 7, pende ormai da quattordici mesi...

[18]    Per ricordare le mie passate esperienze concorsuali, le Commissioni competenti avevano impiegato sei mesi  per correggere le prove scritte all’esame di abilitazione alla professione legale, otto mesi per correggere le prove scritte al concorso per Procuratore dello Stato, undici mesi per le corrispondenti prove richieste al concorso per uditore giudiziario militare, e ben sedici mesi ( ! ) prima di comunicare i candidati ammessi alla prova orale del concorso per uditore giudiziario ordinario.

[19]  Si riportano due testimonianze sugli effetti concreti  derivanti da questa situazione, con specifico riferimento alla professione legale : << 109.000 avvocati iscritti oggi in Italia costituiscono oggettivamente un problema di ordine pubblico. Questo è il problema oggi fondamentale, col quale si dovranno necessariamente fare i conti i prossimi anni >> ( intervento del Cons. Angelo Converso al Convegno  L’Avvocatura tra funzione pubblica , corporazione e attività di impresa : una crisi di identità ?    in  Giur. it. 1999, V, 1766 ) ;

<< L’Italia è di gran lunga il paese dell’Unione Europea con il maggior numero di avvocati che, allo stato, sono oltre centodiecimila. Per fare un raffronto basta prendere in considerazione la vicina Francia dove, a dicembre 1996, gli avvocati erano circa trentaseimila, di cui soltanto ottantacinque ( ! ) abilitati a difendere dinanzi alle Magistrature Superiori. Tale rapporto è destinato a deteriorarsi anno per anno, posto che, a quanto pare, gli albi professionali ogni anno si arricchiscono di circa diecimila unità >> (Relazione del Prof. G.Verde all’inaugurazione dell’anno giudiziario 1999 : “ La giustizia italiana agli albori del 2000  in  Foro it. 1999, V, 87 ).  

[20]  Mi  permetto di citare alcuni brani, assai efficaci, tratti dalla Relazione del Presidente della Commissione esaminatrice del concorso per uditore giudiziario indetto con  D.M. 6 / 3 / 1986 : << tratto caratteristico che emerge dalla lettura dei tremila elaborati è, invero, la palese inettitudine della maggioranza dei candidati al componimento scritto, riscontrabile anche in parecchi di coloro che hanno ottenuto l’ammissione. I candidati non sanno esprimersi in modo chiaro ed in forma passabile ; ciò dipende sicuramente dalla impostazione degli studi universitari di giurisprudenza... Buona parte dei temi sono così poveri da stentare a credere che gli autori legittimamente si fregino del titolo di dottore in Giurisprudenza. Di fronte a parecchi di essi si sarebbe tentati di interdire in perpetuo ai redattori l’accesso ai pubblici concorsi >>

[21]  Questa affermazione, crudele nei confronti dei candidati , ma efficace nella sua sincerità e rivelatrice della radice profonda della linea interpretativa propugnata da Palazzo Spada, si legge in  C.d.S.  583 / 1997 cit. 

[22]  Così  C.d.S.  Ad.Gen  9 / 11 / 1995   n. 120  in  Cons. St. 1996, I, 2025                            

[23]  T.A.R. Puglia  n. 207 / 1997  cit.

[24]  Così, espressamente, C.d.S.  27 / 9 / 1994  n. 739  in  Cons. St. 1994, I, 1206.

[25]   << Gli esami di avvocato vengono considerati un compito fastidioso e residuale dagli stessi membri delle Commissioni  preposte a svolgerli. Quando nei Consigli di Facoltà si deve procedere a designare i docenti da inserire in queste commissioni si verifica, immancabilmente un fuggi fuggi generale, perché si tratta di un compito enormemente dispendioso e delicato sul piano dell’impegno tecnico che richiederebbe.

Mi parrebbe urgente, pertanto, che anche sotto questo profilo fosse assunta una qualche iniziativa diretta ad imprimere alle commissioni giudicatrici una maggiore qualificazione tecnica e, insieme, ad incentivare e a non scoraggiare (come purtroppo accade attualmente) lo svolgimento di un’attività di così vitale importanza per il futuro della professione... >> (tratto dall’intervento del Prof. Gino Cavalli al Convegno “ L’Avvocatura... “  cit., 1772.

[26]  Nel mese di luglio 1999, e cioè all’indomani della << stangata milanese >> agli esami di Avvocato (17,6 % di candidati promossi ), sono stati  presentati alla Camera dei Deputati il D.d.l. 6233 / Pisapia, e al Senato della Repubblica i D.d.l.  4154 / Bedin e  4191 / Duva.  Tali disegni di legge sono tra loro equivalenti in quanto si limitano a prevedere espressamente che << la motivazione non può consistere in una valutazione esclusivamente numerica e deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria >>.

Ovviamente nessuno dei disegni di legge contiene alcun  riferimento alle strutture e al personale necessario per rendere concreta e attuale, e non meramente ideale, tale disposizione che non si può, in astratto, non condividere.


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