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Articoli e note

n. 4/2007 - © copyright

GIANGIUSEPPE BAJ (*) e MAURIZIO LUCCA (**)

I moduli consensuali di esercizio del potere di pianificazione
 urbanistica nella L. Reg. Veneto 23 aprile 2004, n. 11

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Primo inquadramento.

Il tema degli accordi tra l’Amministrazione ed i soggetti interessati nell’ambito dei procedimenti di pianificazione territoriale costituisce una tra le più rilevanti novità introdotte dalla Legge Regionale Veneto n. 11 del 23 aprile 2004.

L’istituto anzidetto viene a configurarsi in primis all’interno di un fenomeno che presenta delle tracce di difformità rispetto all’ordinaria ricerca della parte negoziale, ricerca che connota il generale principio della scelta del contraente per mezzo di una procedura di evidenza pubblica; anzi si può affermare che l’accordo acclara una situazione nella quale l’Amministrazione pubblica insegue (persegue) il consenso del privato [1], per l’esercizio di un funzione pubblicistico, senza far uso dei poteri d’imperio, abbandonando la tradizionale visione di un Amministrazione solitaria nella quale il privato subisce la potestà unilaterale [2].

Si evince già da queste osservazioni prospettiche che l’accordo, conformemente al nomen juris, fra P.A. e privato è volto a regolamentare le modalità di futura esplicazione delle potestà pubbliche e di svolgimento dell’attività privata in vista del raggiungimento di una finalità ritenuta rilevante per l’interesse pubblico posto alla base del negozio [3].

Interesse pubblico che dovrà sottostare ai soli limiti di compatibilità che la legge, di volta in volta, stabilisce per ogni singolo negozio, atteso che spetta all’Ordinamento positivo determinare il trattamento giuridico del negozio stesso, cioè stabilirne i cosiddetti effetti giuridici obbligatori [4].

La ratio sottesa alla disciplina dell’istituto è esplicitata nell’art. 2, co. II, lett. c), che assume a contenuto e finalità della Legge “Il coinvolgimento dei cittadini, delle rappresentanze economico-sociali e delle associazioni individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n.349 “Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale” e successive modificazione, alla formazione degli strumenti di pianificazione e alle scelte che incidono sull’uso delle risorse ambientali [5].

A tal proposito, è noto che il più incisivo riconoscimento del diritto all’informazione inteso nella sua essenza partecipativa veniva codificato, nella disciplina nazionale, proprio in un ambito settoriale coincidente con l’istituzione del Ministero dell’Ambiente (ex Legge 8 luglio 1986, n. 349), le cui disposizioni, all’articolo 14, apparivano dotate di “forza espansiva”, capaci cioè di trasmettere i princìpi che le animavano oltre la materia specifica verso altri campi del diritto.

L’informazione riguardante l’ambiente rectius partecipazione è infatti l’oggetto di un preciso dovere da parte di tutta la pubblica amministrazione, non solo del Ministero, che è tenuta ad assicurare la conoscenza dei dati e delle notizie non solo limitato alle eventuali “parti interessate” ‑ normalmente i destinatari di provvedimenti ‑ ma rivolto a tutti i cittadini, qualificando il diritto di accesso come di un vero e proprio “diritto soggettivo pubblico” [6].

Detta finalità si è concretizzata, a livello precettivo, negli artt. 5, co. II, 6 e 7, co. I della L.R.Ven. n. 11 del 2004, collocati nel Capo II (“Forme di concertazione e partecipazione nella pianificazione”) del Titolo I enunciativo dei “Principi generali”.

Si ricava, dalla lettura di questi articoli, che l’accordo è un punto di arrivo verso un modello pluralistico e democratico di partecipazione che segna il tramonto inesorabile dell’autorità verso l’emergere di un’Amministrazione obiettivata “per accordi”, in un regime tendenzialmente paritario che segna il cambiamento prima che giuridico culturale e sociale, i cui effetti di questa evoluzione hanno comportato, nel piano pubblicistico, un recesso del principio e delle forme giuridiche dell’autorità pubblica, con un generale arretramento o depotenziamento della stessa funzione ordinatrice della “legge”, gradualmente sostituita dal svilupparsi del modello consensuale - partecipativo, sino a delineare un’Amministrazione condivisa, contrattata, negoziata: “obiettivata” [7].

L’Amministrazione “per accordi” determina la graduale sostituzione fra manifestazioni unilaterali o provvedimentali e manifestazioni negoziali nell’azione amministrativa, delineando un diverso rapporto fra potere pubblico e soggetto privato, che manifesta alla propria base l’affermazione di un principio di sostanziale pariteticità con immediati riflessi sul procedimento amministrativo, sul pluralismo delle forme provvedimentali atipiche (per accordi, appunto), sull’effettiva e sostanziale collaborazione fra le parti, in grado cioè di rappresentare in modo più idoneo e soddisfacente i diversi interessi presenti nella società civile, che tendono a comunicare tra loro per superare e prevenire i conflitti storici e concreti che li dividono [8].

Una prima riflessione, che depone a favore di questo modello procedimentale, discendente dalla collocazione sistematica delle norme, rivela come le forme “di coinvolgimento procedimentale” ivi previste, espressione dei principi generali della materia, si differenzino dalla partecipazione tipica all’iter di formazione e revisione dei Piani urbanistici, incentrata sulle “osservazioni” [9] dei soggetti interessati a titolo di mero apporto collaborativo nella fase procedurale ricompresa tra l’adozione e l’approvazione dello strumento di programmazione territoriale: quest’ultima modalità interlocutoria è, infatti, distintamente regolata dagli artt. 14 (P.A.T.), 18 (P.I.), 20 (P.U.A.), 23 (P.T.C.P.) e 25 (P.T.R.C.) del Titolo II della L.R.Ven. n.11 del 2004, rubricato “Strumenti di governo del territorio [10].

Gli accordi tra normativa regionale e nazionale.

Venendo alla disamina del complesso normativo sopra richiamato, è opportuno muovere dall’art. 6 (attesa l’essenzialità del suo nucleo dispositivo ai fini dell’inquadramento del tema in esame), il quale contempla la figura degli “accordi tra soggetti pubblici e privati” definendone i profili funzionali (“assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico”), strutturali (“determinare alcune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale ed urbanistica”) e procedimentali (“l’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme e pubblicità. L’accordo è recepito con il provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione ed è condizionato alla conferma delle sue approvazioni nel piano approvato”).

La rappresentazione di questa pluralità di profili si manifesta esteriormente, sia nel momento di adozione dello strumento di pianificazione, ove vengono stabiliti i limiti e la congruità dell’interesse pubblico sotteso, che alla conferma delle sue approvazioni nel piano approvato, ove viene postulato definitivamente la compatibilità dell’interesse pubblico, conferendo al provvedimento finale (cui è allegato l’accordo) la piena legittimazione a favorire la conclusione dell’“affare” (ovvero, la coincidenza di interessi diversi in ambito civilistico) favorendo la circolazione dei beni, in un mercato aperto dove l’accordo si presente simile, ma non coincidente, con il contratto (ex art. 1321 c.c.).

La norma, chiara nella sua formulazione di principio, estende il paradigma concettuale dell’“accordo integrativo di provvedimento”, di cui all’art. 11 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, al momento elaborativo delle scelte di regolamentazione urbanistica, senza distinzione tra strumenti sovra-comunali (P.T.R.C e P.T.C.P.) e comunali , all’interno di questi, tra P.A.T., P.I., P.U.A..

Ed è su questo modello di diritto positivo che l’accordo procedimentale è entrato a regime nell’esercizio dell’azione amministrativa, invero l’articolo 11, della legge 241 del 1990, ne generalizza l’applicazione - in toto - ai diversi e molteplici usi pubblici “in accoglimento di osservazioni e proposte presentate” dal soggetto privato che partecipa a pieno titolo nel procedimento, che “senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse” può lecitamente concludere accordi “al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, in sostituzione di questo”, configurando, per ragioni di carattere strutturale, la sua natura di atto consensuale [11].

Un senso logico e una coerenza interna a queste valutazioni fa si che l’accordo delineato dalla legge regionale codifica, in chiaro, la regola “già espressa da un consistente indirizzo interpretativo, secondo cui i contratti ad oggetto pubblico sono attratti, in larga misura, nella sfera di operatività del diritto privato, sfuggendo alla disciplina prevista per i provvedimenti amministrativi, salvi alcuni profili espressamente richiamati, quali la disciplina dei controlli. Del resto, sarebbe difficile spiegare in linea generale, perché debbano essere applicate ad un rapporto di derivazione consensuale le regole concernenti i provvedimenti unilaterali dell’amministrazione [12].

La forma scritta ad substantiam, la determinazione dell’organo titolare della competenza, l’incontro degli interessi pubblici e privati in ambito di pianificazione territoriale e urbanistica, l’applicazione della disciplina civilistica, in quanto compatibile, garantisce la piena legalità del contenuto contrattuale (ergo dell’accordo) che può così essere sicuramente ricondotto al modello consensuale – pattizio, nel quale l’esercizio della discrezionalità amministrativa è mediata anche dall’interesse del privato che coincide con quello pubblico (non ci può essere accordo senza sottoscrizione da parte di tutte le parti, privata e pubblica): “l’atto autoritativo non è più il solo strumento della cura di interessi pubblici, essenziale è il fine pubblico, fungibili sono gli strumenti attraverso cui perseguirlo (il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del contenuto del provvedimento finale). Il diritto privato assunto dalla sfera pubblica si rivela in sé neutro strumento organizzatorio o modulo convenzionale o pattizio dell’agire amministrativo (accordo ex art.11 della legge n. 241/1990) utilizzabile” (si diceva) “nei casi previsti della legge ed entro i limiti di meritevolezza dell’art. 1322 cod. civ [13].

L’accordo, nei termini delineati, è lo strumento per realizzare gli interessi pubblici in ambito di sviluppo territoriale in collaborazione diretta con i privati, in piena aderenza con i principi partecipativi, dando autonomia alla parte privata nei limiti di coincidenza con la potestà pubblica nell’assolvimento del primario interesse del buon andamento e imparzialità (ex art.97 Cost).

L’interesse pubblico, in questa linea di confine, riporta ad unità la manifestazione dei pubblici poteri, coniugando il contenuto discrezionale del provvedimento con gli strumenti del diritto civile, con una procedura non esclusivamente pubblicistica che si compenetra con le iniziative del privato alle quali il provvedimento amministrativo è accessivo.

In questa prospettiva, l’art. 6 della Legge Regionale realizza una vera e propria innovazione di sistema, posto che nel previgente ordinamento di settore l’unica ipotesi di accordo ammissibile era costituita dalla convenzione urbanistica conclusa tra l’Amministrazione ed il proprietario dell’area.

La convenzione urbanistica.

La convenzione urbanistica è un istituto di complessa ricostruzione, la cui attualità peraltro permane, stante il richiamo ad essa operato sia dall’art. 19, co. II, Legge Regionale citata, che la include nell’elenco degli elaborati da allegare al P.U.A., sia dall’art. 21, co. III, stessa fonte, in tema di costituzione di comparto urbanistico, in considerazione del suo inserirsi nel procedimento amministrativo concludentesi con l’approvazione di un Piano esecutivo di urbanizzazione (P.U.A.) e con il rilascio del titolo edificatorio, nonché della sua attitudine a definire, su un piano paritetico, gli impegni reciproci tra le parti in relazione ad uno specifico intervento, il piano finanziario, la ripartizione degli oneri, le caratteristiche e i tempi di realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti (abitativi, produttivi, etc.).

Proprio in virtù del collegamento con l’esercizio di una potestà autoritativa -quella del Comune in materia di disciplina del territorio- la convenzione urbanistica, per consolidata esegesi giurisprudenziale, viene ricondotta nello schema prefigurato dall’art. 11 della Legge n.241 del 1990, sussistendone il tratto caratterizzante, insito appunto nell’inerenza ad una potestà pubblicistica, della quale concorre, in forma negoziata, a determinare il modo e l’esito [14].

Non sfugge che la qualificazione giuridica della convenzione urbanistica (nello specifico, di lottizzazione ad esempio) si inquadri quindi, per pacifica giurisprudenza, all’interno degli accordi sostitutivi di provvedimento, dovendo “il giudice non indagare se sussista una persistente efficacia dell’art. 34 d. lgv. n. 80/98 in relazione ad ipotesi di preesistente giurisdizione amministrativa in materia urbanistica, fatta salva da C. Cost. n. 281/2004, giacché la giurisdizione del giudice amministrativo è radicata in virtù dell’art. 11, 5° comma, l. n. 241/1990 che configura “una ipotesi di giurisdizione esclusiva amministrativa non correlata ad una determinata materia, bensì ad una determinata tipologia di atto, quale che sia la materia che costituisce oggetto”, deponendo per una non configurabilità ontologica che possa distinguere una molteplicità di fasi o segmenti del rapporto da sottrarre alla cognizione del giudice amministrativo [15].

A confermare, inoltre il valore precettivo della convenzione - contratto sottoscritto, e il rimedio giurisdizionale, è la considerazione che l’eventuale difformità delle clausole tra quelle approvate nello schema di convenzione dal Consiglio comunale e quelle della convenzione di lottizzazione, effettivamente stipulata tra le parti, non comporta ipso iure, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c., la sanzione di nullità e/o inefficacia delle clausole per la violazione dell’art.28, 5° comma, della legge n. 1150/1942 ma (l’eventuale rinuncia da parte dell’Amministrazione, operata in sede di stipula della convenzione, alla riproduzione integrale di talune clausole dello schema di convenzione) configura un atto amministrativo suscettibile di autonoma e tempestiva censura in sede giurisdizionale, e quindi in grado di produrre effetti sino al momento dell’annullamento o del suo ritiro [16].

La convenzione urbanistica può annoverarsi tra i contratti ad oggetto pubblico che è attratta, in larga misura, nella sfera di operatività del diritto privato, “sfuggendo alla disciplina prevista per i provvedimenti amministrativi, salvi alcuni profili espressamente richiamati, quali la disciplina dei controlli. Del resto, sarebbe difficile spiegare in linea generale, perché debbano essere applicate ad un rapporto di derivazione consensuale le regole concernenti i provvedimenti unilaterali dell’amministrazione [17].

In dipendenza di ciò, non può disconoscersi che la convenzione urbanistica ovvero accessiva al titolo abilitativi rappresenta un istituto dai profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, ed è frutto dell’incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale retta dal codice civile [18], riconoscendo diritti pieni alle parti, disponendo l’esecuzione di alcuni lavori di interesse pubblico (opere di urbanizzazione) con quelli più prettamente inerenti l’esercizio di un’attività economico – imprenditoriale (ex art. 41 Cost.), rilevandosi i contorni di una disciplina di trasmissione dei diritti (estrinsecazione dello ius aedificandi) che è regolata dal diritto comune ben potendo, tra l’altro, richiedere al giudice l’esecuzione dell’azione specifica in caso di inadempimento alle obbligazioni contrattuali (ex art.2932 c.c.) [19].

Peraltro ad abundatiam è certo che l’eventuale difformità della convenzione di lottizzazione rispetto allo schema approvato dal Consiglio comunale non determina la parziale nullità della stessa, essendo necessario che i soggetti che vi abbiano interesse (i confinanti) impugnino espressamente l’accordo e gli atti amministrativi presupposti, anche impliciti, che sono sottesi alla scelta di stipulare un accordo difforme da quello delineato in precedenza dall’autorità amministrativa[20].

La riferita convenzione, tuttavia, integrando solamente i contenuti della strumentazione urbanistica di dettaglio, sostanzia(va) un modello di definizione consensuale limitato all’attuazione delle scelte di disciplina globale o per ampi comparti del territorio, già deliberate a monte ed unilateralmente dall’Amministrazione.

L’accordo si presenta allora più ampio rispetto alla strumento convenzionale e consente margini di apprezzamento superiori coincidenti con quelli prospettabili dalla parte privata, quella che può presentare le iniziative.

La partecipazione.

La portata innovativa dell’art. 6 della Legge n. 11 consiste, dunque, nell’avere previsto il coinvolgimento dei privati nella fase creativa, e non già solo attuativa, degli assetti pianificatori generali.

Ulteriore effetto derivante dalla norma in commento è quello di aver legittimato le intese, frutto di prassi negoziali diffuse, in forza delle quali il privato che intendeva edificare veniva beneficiato di un incremento della volumetria insediabile sull’area di proprietà, a fronte della cessione gratuita in favore del Comune di una porzione di immobile, in aggiunta all’assolvimento degli oneri imposti dalla normativa urbanistica (consistenti, ai sensi 16, co. II, del D.P.R. n. 380/2001, nell’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale della relativa quota di contributo, oppure nel pagamento della stessa).

Va anche evidenziato che nella determinazione del quantum negoziabile in termini di edificazione erogabili, il rapporto di convenienza economica dell’intervento, nella specie tra risorse private e pubbliche coinvolte, non prevede necessariamente il raggiungimento di un minimo determinato (predeterminato), per definire cioè un meccanismo di equilibrio tale da condizionare la legittimità delle scelte operate dall’amministrazione [21].

Non bisogna a tal proposito rammentare che, a fronte del raggiungimento di un determinato progetto di pianificazione (o urbanizzazione) da parte di soggetti privati, inteso come mezzo di riqualificazione urbanistica, l’Amministrazione comunale gode di un’ampia discrezionalità, che le consente di valutare con ampio margine i vantaggi economici derivanti dall’attuazione dell’intervento (di recupero), avendo come obiettivo primario la cura dell’interesse pubblico che viene a stabilizzarsi all’interno dell’accordo sottoscritto.

Ciò che rileva, infatti è che “il rapporto tra le risorse pubbliche coinvolte ed i vantaggi economici conseguiti dai privati promotori siano esplicitate nella documentazione allegata, senza tuttavia ricondurre tale rapporto ad un computo meramente matematico, bensì piuttosto ad una valutazione complessiva dei vantaggi derivanti alla collettività per effetto” delle scelta operate anche attraverso lo strumento negoziale [22].

Il problema, involto dalle clausole contrattuali di siffatto tenore, riguardava invece la mancanza di un parametro normativo al quale ancorare la pretesa comunale impositiva, anche se la giurisprudenza era incline a ritenere valide tali previsioni o perché frutto di una libera pattuizione tra le parti (sul rilievo che l’unilaterale predisposizione del contenuto dell’accordo ad opera dell’Amministrazione non esclude che la parte privata, nel sottoscrivere la convenzione conoscendone il contenuto, abbia inteso aderirvi restandone, quindi, vincolata), salvo il ricorso agli strumenti di tutela in caso di invalidità del contratto, oppure in ragione dell’indeterminatezza quantitativa degli oneri di urbanizzazione, che lascia un margine all’Amministrazione di commisurarne in concreto l’entità in relazione alla singola fattispecie procedimentale, oppure ancora sotto l’aspetto della meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti contraenti, sull’assunto che le prestazioni aggiuntive contemplate dall’accordo sono finalizzate, al pari di quelle previste dalla normativa urbanistica, alle esigenze di urbanizzazione dell’area [23].

Pare giusto rilevare che se per gli enti pubblici la capacità di agire nei rapporti contrattuali non è rimessa alla libera scelta degli organi chiamati a manifestare la volontà dell’ente, ma è strettamente correlata allo svolgimento da parte degli organi competenti di procedure definite in modo compiuto dal legislatore, e altrettanto doveroso accertare che i soggetti privati coinvolti abbiano la piena titolarità e disponibilità delle posizioni interessate, al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, idealmente deputato alla composizione delle possibili antinomie [24].

Orientamenti decisori, questi, che seppur giustificabili nell’ottica di un’equità distributiva, tendente a compensare il vantaggio connesso all’assegnazione di potenzialità edificatorie al fondo di proprietà privata con la traslazione gratuita, in favore del Comune, di aree o porzioni di edifici da destinare a servizi pubblici, sottacevano la reale mancanza di una fonte legislativa direttamente impositiva dell’obbligo a carico del privato, in coerenza ai dettami dell’art. 23 Cost., o (quanto meno) autorizzativa alla costituzione del vincolo obbligatorio, nei termini anzidetti, su base negoziale.

Non di rado, infatti, l’obbligo prestazionale derivava da una mera “dichiarazione unilaterale” sottoscritta dal soggetto interessato all’edificazione del suolo, non già da una convenzione, e poteva assumere contenuti esulanti dalla cessione di un bene quale standard di zona, inerendo ad un facere, id est ad un’attività realizzativa di opere pubbliche differenti, per tipologia, da quelle di urbanizzazione tassativamente elencate nell’art. 16, co. VII e VIII, del, Testo Unico sull’Edilizia (ex D.P.R. n. 380/2001), con conseguente violazione della normativa, cogente ed inderogabile, in materia di affidamento di lavori pubblici [25], la presuppone - com’è noto - il previo esperimento di procedure selettive del contraente privato [26].

Sul punto, si segnala che la Corte Costituzionale enuncia che “il ricorso a procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente non può peraltro essere ritenuto incompatibile con gli accordi tra privati e pubblica amministrazione, giacché la possibilità che tali procedure siano svolte dagli stessi privati risulta già ammessa nell’ordinamento proprio nella fattispecie oggetto della richiamata pronuncia della Corte di giustizia e disciplinata in modo conforme dal citato art. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994, come sostituito dalla legge n. 166 del 2002 [27].

Sotto gli evidenziati profili, quindi, l’art. 6 della L.R.Ven. n. 11 del 2004 attrae nell’orbita del giuridicamente rilevante (e lecito) una prassi di dubbia legittimità.

La disciplina.

Venendo ai contenuti della disciplina, è opportuno soffermarsi sul secondo comma dell’art. 6, a tenore del quale “gli accordi di cui al comma 1 sono finalizzati alla determinazione di alcune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale ed urbanistica”.

Il dato letterale della norma limita la negoziabilità delle scelte urbanistiche alla determinazione del contenuto di “talune” previsioni pianificatorie e, quindi, esclude la configurabilità di un modello generale di co-gestione del territorio tra pubblico e privato.

Da qui la necessità di delimitare (senza pretese di esaustività) l’ambito oggettuale degli accordi integrativi di provvedimenti in materia urbanistica, anche rispetto al più generale modello delineato nella Legge del procedimento amministrativo.

Un valido ausilio interpretativo può, in tal senso, provenire dall’elaborazione pretoria del modulo consensuale di cui all’art. 11 della Legge n. 241 del 1990, nel cui genus rientra, come sopra evidenziato, l’accordo accessivo agli strumenti di pianificazione territoriale.

Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che il meccanismo pattizio in questione è diretto “a fornire alle parti un’utilità maggiore di quella derivante dalla mera adozione del provvedimento finale”, mirando al raggiungimento di “un equilibrio degli interessi non altrimenti raggiungibile per via autoritativa”; a tal fine occorre che il provvedimento finale contenga “clausole che, in difetto di accordo non sarebbero facilmente accettate dal privato” in quanto “per lui gravose [28].

Infatti, per i grandi progetti di intervento, l’accordo concilia sia i rapporti fra enti pubblici e privati, sia i rapporti tra questi enti o l’amministrazione che li riassume, e le imprese pubbliche e private, o più propriamente le imprese private del settore pubblico [29].

Del resto, non è indubbio che la legislazione già conosceva esempi di accordi tra amministrazioni e li aveva disciplinati come naturale alternativa al modo autoritativo di amministrazione, proprio di una P.A. gerarchica e accentrata.

Gli esempi non mancano e si inseriscono nella logica di collaborazione, con importanti riflessi organizzativi: anzi, nella generalità dell’esperienza giuridica e sociale organizzazione e accordo si implicano vicendevolmente in modo continuo e compenetrato tanto da identificare le due facce di una stessa realtà, quella che si suole definire del comportamento cooperativo, da cui discende che l’organizzazione è creata mediante accordi dai soggetti per lo svolgimento di una o più attività di comune interesse, e a sua volta comprende i soggetti, li crea o li supera mediante lo strumento dell’accordo avendo di mira principale le attività e gli scopi da perseguire, anche se gravosi per il privato che partecipa [30].

Un innegabile vantaggio deriva, infatti alla P.A. dalla utilizzazione dell’accordo in merito all’attuazione dello stesso: a fronte dell’agire consensuale è ipotizzabile un comportamento condiscendente del privato, mentre l’esercizio autoritativo del potere comporta il rischio della disobbedienza [31].

Un esempio di ciò deriva dalla convenzione espropriativa di cessione bonaria, laddove l’opzione tra amministrazione unilaterale e amministrazione negoziale assume un rilevante significato in termini di possibili esiti (positivi) del procedimento instaurato.

Non è un caso quindi che il riconoscimento pieno di questa propensione “neocontrattualistica”, sia stato dalla dottrina già individuato in quel “principio della contrattualità”, che intitolava l’art. 5 del progetto della Commissione Nigro del 1984, da cui sarebbe poi derivata l’articolo 11 della legge n.241 del 1990, che assimila le nozioni della civilistica nella capacità di agire della P.A. senza alcuna mediazione di norme, ma al contrario allargando il confine contrattuale per accordi provvedimentali sostitutivi di atti autoritativi, per ricomprendere nell’atto amministrativo i vincoli delle obbligazioni.

Una precisa estensione degli accordi procedimentali fatta valere, con un criterio di “compatibilità”, ad una totalità di istituti (negozi, patti, o accordi) giuridici, ai sensi dell’articolo 1324 del codice civile, può ora ritenersi praticabile “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale [32], che con una tecnica legislativa che ripudia i concetti astratti e mira a ragionare secondo categorie giuridiche modellate, il più possibile, secondo tipologie economico – sociali, concorre a non escludere la possibilità di applicare a tutti gli altri negozi giuridici, inter vivos e a contenuto patrimoniale, le norme applicabili per i contratti, aprendo ogni margine di operatività delle disposizione del novellato primo comma dell’articolo 11 della legge 241/90 [33].

Applicando dette coordinate ermeneutiche alla fattispecie normativa in esame, appare corretto inferire, sulla scorta di una recente impostazione dottrinaria [34], l’inutilità della qualificazione dell’accordo integrativo di provvedimenti urbanistici come mera “adesione del privato agli effetti che da essi normalmente derivino.

Al fine di sperimentare una diversa e più compiuta ipotesi ricostruttiva è, invece, prospettabile che il privato, allo scopo di attualizzare l’aspettativa, giuridicamente non tutelata, ad una capacità insediativa residenziale del proprio fondo, oppure allo scopo di evitare un mutamento dell’assetto conformativo della proprietà in senso pregiudizievole (si pensi alla modifica urbanistica che imprima una destinazione agricola al suolo edificabile), mutamento pur sempre rimesso alla potestà discrezionale di pianificazione territoriale, assuma ex contractu un obbligo “ulteriore e diverso” rispetto a quello che la normativa urbanistica gli impone; al contempo, è verosimile supporre che l’Amministrazione auto-limiti la propria discrezionalità in materia, attribuendo o conservando vocazione edificatoria ad un fondo quale “corrispettivo” dell’obbligo del proprietario di intraprendere un’attività (di facere o di dare) che ecceda le finalità di stretta urbanizzazione dell’area oggetto di trasformazione edilizia.

Ed è sotto questo profilo che acquista emblematico rilievo il contenuto del primo comma dell’art. 6 della Legge Regionale più volte citata, secondo cui gli accordi in materia urbanistica sono rivolti ad “assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico”.

Trattasi, in sostanza, di “proposte progettuali ed iniziative” formulate ed assunte dal privato in qualità di promotore di opere pubbliche ex art. 37 bis della Legge n.109/1994 (ora, art.153 del Dec. Lgs. n.163/2006), diverse da quelle di urbanizzazione, che, valutate dall’Amministrazione come rispondenti alle esigenze di sviluppo sociale ed economico della comunità locale, sono idonee a fondare quello scambio di “prestazioni”, realizzativo di un assetto di interessi non altrimenti definibile con gli strumenti autoritativi, posto a base della c.d. “urbanistica contrattata”, alla quale l’art. 6 della Legge n.11/2004 conferisce, innovativamente, dignità di legge.

Quanto agli aspetti procedimentali della disciplina, si osserva che “l’accordo” di cui al primo comma dell’art. 6, oltre ad essere soggetto alle “medesime forme di pubblicità e di partecipazione” prescritte per lo strumento di pianificazione cui accede, è “recepito con il provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione” ed è “condizionato alla conferma delle sue previsioni nel piano approvato” (art. 6, co. III).

La previsione evidenzia che l’accordo tra l’Ente pubblico locale ed il privato, avente ad oggetto “proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse”, si perfeziona secondo gli schemi civilistici di formazione della volontà contrattuale anteriormente alla delibera di adozione del Piano urbanistico che lo recepisce, mentre l’efficacia dell’accordo stesso resta subordinata alla condizione sospensiva dell’approvazione dello strumento di pianificazione, come già annotato.

L’evento condizionante, più in particolare, si traduce in una valutazione degli interessi coinvolti nella vicenda deliberativa che l’Amministrazione rinnova successivamente alla formazione dell’intesa, connotata dalla convergenza di elementi di stampo pubblicistico e negoziale, alla luce delle osservazioni presentate dai terzi –ai quali l’“accordo non può arrecare pregiudizio”, ai sensi del secondo comma dell’art. 6- nel corso dell’iter di approvazione del Piano urbanistico.

La formazione dell’accordo deve necessariamente rispettare i principi costituzionali di legalità, insiti nella fase prodromica o strumentale al provvedimento finale, momento ineliminabile di trasformazione del potere in atto e di determinazione del c.d. interesse pubblico primario, rappresentato sia nel momento di adozione che di successivo controllo dell’atto deliberativo.

La deliberazione caratterizza, inoltre l’aspetto procedimentale potendo riassumere le ragioni di fatto e di diritto della scelta (la motivazione, ex art.3 della Legge n.241/1990), la disponibilità finanziaria e l’oggetto dell’accordo che ne seguirà, con un grado di obiettiva concludenza dispositiva tale da costituire il paramento di raffronto della norma agendi per l’attività del responsabile del procedimento [35].

In dipendenza di ciò, la stipulazione di accordi disciplinati dall’art. 11, della legge n. 241/90 sono contratti di diritto comune ad oggetto pubblico in cui, nonostante il vincolo teleologico di scopo, una volta perfezionato l’accordo, e salvo il diritto di recesso della P.A., entrambe le parti restano vincolate all’esecuzione dell’accordo occupando reciproche posizioni giuridiche di diritto – obbligo, ma sempre sotto la giurisdizione del giudice amministrativo e non dell’autorità ordinaria, atteso che “l’accordo” è “un modulo di attività amministrativa alternativo al provvedimento, funzionalizzato (oggettivamente orientato) all’esercizio del potere amministrativo, in cui la P.A. anche dopo la stipula rimane titolare di un potere pubblicistico (più che di recesso, di autotutela in via generale) a fronte del quale la posizione soggettiva posseduta dal privato assume consistenza di interesse legittimo [36].

Norma di chiusura e moduli consensuali.

Infine, l’ultimo comma dell’art. 6 stabilisce che “Per quanto non disciplinato dalla presente legge, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 11, commi 2 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

L’enunciata clausola di salvezza e di rimando alla disciplina generale in materia di procedimento amministrativo, solleva un problema di compatibilità tra l’istituto dell’accordo integrativo di provvedimenti urbanistici, come configurato nella Legge Regionale, ed il divieto di negoziabilità della funzione pubblica pianificatoria e programmatoria, sancito dall’art. 13 della L. n. 241 del 1990.

Il problema è risolvibile nell’ottica dell’art. 22 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativi, il quale, in conformità all’assetto distributivo delle competenze legislative tra Stato e Regioni emergente dal riformato Titolo V della Costituzione, conferisce rilievo suppletivo alla Legge n. 241 del 1990, condizionandone l’operatività alla mancanza di normativa regionale ad hoc e legittimando, correlativamente, quest’ultima ad incidere sui contenuti della disciplina statale (“Fino alla data di entrata in vigore della disciplina regionale di cui all’articolo 29, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dall’art. 19 della presente legge, i procedimenti amministrativi sono regolati dalle leggi regionali vigenti. In mancanza, si applicano le disposizioni della legge n. 241 del 1990 come modificata dalla presente legge”) [37].

In questo quadro ricostruttivo, pertanto, la deroga al divieto stabilito dall’art. 13 della L. n. 241 del 1990[38], conseguente all’introduzione, ad opera della L.R.Ven. n. 11 del 2004, dell’istituto dell’accordo integrativo di provvedimenti urbanistici, si rivela legittima alla stregua del rinnovato quadro costituzionale, nonché adeguata a criteri di razionale giustificatezza, in quanto sottende l’esigenza di garantire, nel generalizzato prevalere degli interessi economici, l’efficienza e la competitività del sistema amministrativo, avvalendosi di soggetti privati nella realizzazione di programmi pubblici ed assicurando, nel rispetto del principio di democraticità dell’ordinamento, la partecipazione funzionale del destinatario dell’atto.

Ulteriore modulo di esercizio consensuale della potestà di pianificazione urbanistica è delineato nel secondo ed ultimo comma dell’art. 5 della Legge n. 11, a mente del quale “L’amministrazione procedente assicura, altresì, il confronto con le associazioni economiche e sociali portatrici di rilevanti interessi sul territorio e di interessi diffusi, nonché con i gestori di servizi pubblici e di uso pubblico invitandoli a concorrere alla definizione degli obiettivi e delle scelte strategiche individuate dagli strumenti di pianificazione”.

La norma valorizza, nel contesto specialistico della disciplina urbanistica regionale, la partecipazione procedimentale, ispirata al favor per l’acquisizione di contributi tecnici e conoscitivi capaci di ottimizzare la ponderazione di fatti ed interessi sintetizzata nel provvedimenti finale, imponendo all’Amministrazione attiva il “confronto” sia con gli enti esponenziali degli interessi economici e sociali (es. Associazioni rappresentative delle categorie degli Imprenditori e dei Commercianti, Ordini e Collegi professionali, Associazioni di tutela ambientale individuate ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 449 del 1986, etc.), sia con gli enti portatori degli interessi diffusi di cui all’art. 9 della Legge n. 241 del 1990, nozione, quest’ultma, tradizionalmente coincidente con i Comitati istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, caratterizzati dalla proiezione di fatto degli interessi dei soggetti partecipanti.

Il disposto in esame cela un profilo di innovatività rispetto al contenuto previsionale dell’art. 9, della Legge n. 241/1990, poiché mentre quest’ultimo contrassegna(va) come “facoltativa” la partecipazione procedimentale degli enti portatori di interessi diffusi, l’art. 5, co. II, della L.R.Ven. n 11 del 2004, la qualifica come doverosa, ancorchè limitatamente all’iter preordinato alla formazione delle scelte urbanistiche di carattere “strategico”.

Per il resto, la contrapposizione tra le due categorie di enti sopra evidenziate riflette la nota distinzione tra soggetti collettivi titolari di un interesse qualificato dall’ordinamento in termini di specificità rispetto alla sfera della collettività indifferenziata (“associazioni economiche e sociali portatrici di rilevanti interessi sul territorio”) ed enti (portatori di “interessi diffusi”) titolati a fornire un semplice apporto collaborativo non correlato ad un interesse sostanziale di base [39].

A tale distinzione corrisponde quella tra partecipazione procedimentale e legittimazione processuale, nel senso che l’illegittimità del provvedimento finale, anche se ricollegata alla vulnerazione delle facoltà partecipative riconosciute ai soggetti chiamati a titolo collaborativo a prendere parte alla procedura, è deducibile in giudizio non dal partecipante in quanto tale, ma dai soli soggetti direttamente incisi dall’atto conclusivo, ovvero dai titolari di un interesse sostanziale, con esclusione quindi degli enti portatori di interessi diffusi.

Tale conclusione non muta nell’impianto della L.R.Ven. n. 11 del 2004, l’art. 5, co. II, configurandosi come norma sul procedimento, priva di implicazioni processuali sul piano della legittimazione a ricorrere.

Da ultimo, l’art. 7 della Legge m.11 inserisce l’accordo di programma nell’ordinamento urbanistico generale della Regione Veneto, ampliandone lo spettro di afferenza che, nel contesto della L.R.Ven. n. 23 del 1999, era circoscritto alla procedura approvativa dei programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale.

L’accordo di programma, nella configurazione impressa all’istituto dal citato art. 7 della L.R.Ven. n. 11 del 2004, conserva inalterati gli elementi che lo tipicizzano quale modulo procedimentale concordato, attraverso una conferenza di servizi, tra una pluralità di Enti pubblici con competenze reciprocamente concorrenti (art. 7, co. I cit.), diretto ad agevolare temporalmente la conclusione di un procedimento amministrativo per l’esecuzione di interventi, opere o programmi di intervento suscettibili di coinvolgere più livello di governo.

Permane immutato anche il profilo dell’efficacia, in quanto l’accordo approvato con Decreto del Presidente della Regione comporta variazioni agli strumenti urbanistici incompatibili con l’opera o con gli interventi pianificati (art. 7, co. II e V cit.).

Tuttavia, con previsione divergente e nuova rispetto alla disciplina statale di riferimento, compendiata nell’art. 34 del T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267/2000), l’art. 7 della L.R.Ven. n. 11 del 2004 reca, al primo comma, un esplicito richiamo ai soggetti privati con riguardo sia al momento dell’iniziativa diretta alla conclusione dell’accordo di programma, sia a quello regolativo dei rapporti intercorrenti tra le Amministrazioni Pubbliche ed i privati stessi, statuendo che detti rapporti “sono disciplinati da un atto unilaterale d’obbligo o da una convenzione da allegare all’accordo di programma”.

È dunque da ritenere che i privati, benché estranei alla partecipazione formale all’accordo di programma, non figurando tra i soggetti sottoscrittori, possano concorrere alla predisposizione del relativo contenuto, intervenendo ai lavori della Conferenza di servizi.

Ciò in aderenza allo spirito riformatore che contraddistingue il sistema degli “accordi” nel disegno della Legge Regionale n. 11/2004, nella prospettiva di un utilizzo normativo sempre più crescente di moduli negoziali per l’attuazione dei compiti istituzionali della P.A., tendente al superamento dell’originaria conformazione dell’agire amministrativo mediante atti espressivi della potestà d’imperio.

 

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(*) Avvocato del Foro di Padova.

(**) Direttore – Segretario Generale del Comune di Vigonza.

[1] L’innovativo modulo convenzionale dell’azione amministrativa si concretizza nel fatto che l’Amministrazione, “nell’esercizio delle pubbliche potestà, va alla ricerca del consenso con il privato, raggiungendo un assetto di interessi concordato che costituirà il contenuto dei provvedimenti amministrativi di sua competenza”, T.A.R. Puglia – Lecce, sez.I, 31 luglio 2006, n. 4090. Vedi anche, T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez. I, 4 luglio 2006, n. 790.

[2] Cfr. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, pag.403.

[3] Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2007, n. 912.

[4] Cfr. T.A.R. Campania - Napoli, sez. IV, 14 settembre 2004, n. 11999, che riteneva escludersi che nel contratto di compravendita l’Amministrazione avesse inteso disciplinare, attraverso strumenti negoziali, l’esercizio di pubblici poteri, tenuto conto (si diceva) del principio di tipicità degli accordi sostitutivi, di cui all’art.11 della legge n.241, configurabili solo “nei casi previsti dalla legge” (ex multis Cons. Stato, sez.IV, 3 novembre 1999, n.1657), con la conseguenza che il venir meno “nei casi previsti dalla legge”, generalizza un principio di attrazione degli accordi dalla giurisdizione civile a quella amministrativa, facendo venir meno le considerazioni che “la stipula del contratto rappresenta in ogni caso “lo spartiacque tra la fase pubblicistica del rapporto (attratta nella giurisdizione del giudice ordinario) e quella paritetica di esecuzione (riservata alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria)”, salvo che non residuino poteri di tipo autoritativo”.

[5] La partecipazione del privato alle scelte urbanistiche delineate dalla norma risponde più apertamente al dovere di applicazione - in ambito amministrativo - dei principi di buona fede e correttezza (ex artt.1366 e 1367 c.c.), finalizzati ad una più adeguata motivazione delle scelta operata per consentire così la verifica, concreta e puntuale, del perseguimento dell’interesse pubblico in termini di sostanziale pubblicità. Pubblicità intesa come espressione di partecipazione e accessibilità al procedimento e agli atti amministrativi, in esecuzione diretta con il principio costituzionale del buon andamento e di imparzialità, sempre verificabili non in astratto ma nel concreto esercizio dell’agire pubblico, cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2003, n. 5309; sez. V, 4 aprile 2002, n. 1857; sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 397; T.A.R. Veneto, sez. I, 5 ottobre 2001, n. 5983.

[6] Vedi, il Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n.195, Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale dove si dispone che “l’autorità pubblica rende disponibile, secondo le disposizioni del presente decreto, l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse”.

[7] Cfr. BENVENUTI, L’amministrazione obiettivata: un nuovo modello, in Riv. Trim. scienza dell’amm., 1978, pag.6.

[8] NIGRO, Il procedimento amministrativo tra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione, in Atti del Convegno di Messina – Taormina del 25 – 26 febbraio 1988, in Il procedimento amministrativo fra riforme legislative e trasformazioni delle amministrazioni, Milano, 1990, pag.161. Cfr. BERTI, Il principio contrattuale nell’attività amministrativa, in Scritti in onore di GIANNINI, Milano, 1988, pag.56.

[9] Le “osservazioni” presentate dai privati, atto endoprocedimentale destinato potenzialmente a condizionare la stesura definitiva del provvedimento, sono essenzialmente meri apporti collaborativi dati dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico, e non costituiscono in alcun modo un onere per l’interessato, Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n.3594; sez. IV, 31 gennaio 2005, n.249; sez. IV, 15 giugno 2004, n.3908; sez. IV, 15 luglio 1992, n.682.

[10] Infatti, il principio di partecipazione, in via generale, viene salvaguardato “nell’ambito della disciplina di formazione dello strumento urbanistico primario comunale, pubblicazione del piano, presentazione delle osservazioni e loro esame”, T.A.R. Friuli - V. Giulia, 24 luglio 1994, n.349, vedi T.A.R. Marche, 5 novembre 1999, n.1264 e Cons. Stato, sez. V, 31 luglio 1998, n.1144. Sicché, la partecipazione resta ferma alle particolari norme che regolano la formazione degli strumenti urbanistici (cfr. art.13 della Legge 241/90), avendo il Legislatore inteso evitare una duplicazione del contraddittorio tra la P.A. e il privato, con l’effetto di garantire comunque la partecipazione dei vari interessi coinvolti nel procedimento, “ove la normativa di settore non preveda l’apporto informativo e collaborativo dell’amministrato”, al punto da rimarcare che “non può e non deve escludersi il rispetto della norma di cui all’art. 7 della L. 241/1990 anche in presenza di atti amministrativi generali o di regolamentazione organizzativa” ove non sia assicurata la partecipazione, Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2005, n.1236, idem T.A.R. Abruzzo – L’Aquila, 3 aprile 2006, n.205.

[11] Ne consegue che “l’accordo tra amministrazione e privato non può essere considerato svilente il perseguimento dell’interesse pubblico da parte dell’amministrazione, sol perché presuppone l’incontro con la volontà del privato e la costituzione in capo a questo di una situazione giuridica di diritto soggettivo a fronte del vincolo assunto dall’amministrazione medesima, laddove anzi è in grado di fornire utilità ulteriori ad entrambe le parti, in primo luogo, in termini di certezza e stabilità di un assetto di interessi su cui le parti medesime hanno prestato il mutuo consenso”. GIULIETTI, La conclusione di accordi tra amministrazioni e privati dopo la legge n. 15 del 2005: ambito applicativo e profili sistematici, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

[12] Cons. Stato, V, 13 marzo 2000, n. 1327.

[13] Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2636.

[14] Nello specifico, la convenzione urbanistica ha la precipua funzione di regolamentare i rapporti tra il Comune e i soggetti attuatori (c.d. lottizzanti e loro aventi causa) relativamente agli interventi di edilizia privata che attueranno, in particolare, fissando gli obblighi di realizzazione delle opere di urbanizzazione, di cessione delle aree al Comune per l’urbanizzazione primaria e secondaria, nonché i tempi e le modalità di attuazione del piano, T.A.R. Sardegna, sez.II, 14 marzo 2007, n. 451.

[15] Cass. Civ., Sez. Un., 17 gennaio 2005, n. 732, ex multis T.A.R. Lombardia - Milano, sez. II, 7 febbraio 2007, n. 193; Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2004, n.390; Cass. Civ., Sez. Un., 11 agosto 1997, n.7452.

[16] Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2001, n. 2284. Da questo discende che l’eventuale contrasto tra quanto deliberato dall’organo comunale e quando effettivamente sottoscritto tra le parti, avendo la determinazione di approvazione dell’accordo sottesa alla stipula univocamente natura di atto amministrativo, deve essere censurata in sede giurisdizionale nell’usuale termine di decadenza a pena di inoppugnabilità, Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2636 e sez. IV, 6 novembre 1998, n. 1448.

[17] Cons. Stato, V, 13 marzo 2000, n. 1327. Questa considerazione induce a ritenere che la statuizione generale prevista dall’art. 11 della legge 241 del 1990 “non rappresenta la norma base su cui fondare un autonomo potere di conclusione di contratti di diritto pubblico… ma, più semplicemente, è una disposizione che autorizza l’amministrazione a rendere giuridicamente possibile l’oggetto del contratto, inteso come figura generale ed unitaria del pensiero giuridico, secondo una relazione di species a genus, laddove l’elemento individualizzante è rappresentato dall’oggetto e cioè dal potere amministrativo”, MONTEFERRANTE, La nuova disciplina degli accordi procedimentali: profili di tutela giurisdizionale, in www.giustizia-amministrativa.it.

[18] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 33.

[19] È chiaro che la convenzione di lottizzazione conclusa dalla p.a. col privato interessato al rilascio di una concessione edilizia non assume valenza privatistica ed autonoma rispetto all’atto autoritativo di concessione, ma si inserisce nel procedimento amministrativo finalizzato al rilascio di essa (essendo imposto dalla p.a. come momento necessario di tale procedimento e condizionando l’adozione del provvedimento), pertanto, la competenza giurisdizionale in ordine alla controversia relativa all’adempimento degli obblighi nascenti dalla convenzione di lottizzazione non può non appartenere allo stesso giudice che è competente a conoscere del provvedimento di concessione edilizia”, Cass., sez. unite, 7 febbraio 2002, n.1763.

[20] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2001, n.2284.

[21] Medesime conclusioni possono argomentarsi con riferimento alla perequazione, e al riparto dei vantaggi a favore di un comparto rispetto ad un altro coinvolto nell’assetto urbanistico, atteso che la nozione di perequazione non può coincidere con quella di necessaria omogeneizzazione fra aree strutturalmente contraddistinte da caratteristiche diverse, ovvero di necessaria differenziazione del ‘catalogo’ di tipizzazioni presenti nel comparto. È stato chiarito che la nozione di perequazione, intesa come equa distribuzione, fra situazioni omogenee, degli oneri e dei vantaggi derivanti dalle previsioni di Piano, “attiene unicamente ai caratteri – per così dire – ‘funzionali’ delle aree coinvolte ed alle loro caratteristiche obiettive, mentre non può e non deve essere interpretata di guisa tale da coinvolgere gli aspetti – per così dire – ‘sociali’ relativi agli interessi dei singoli proprietari, con conseguente valutazione individuale delle singole vicende proprietarie e degli interessi ad esse sottesi”, ben potendo la P.A. formare un comparto appartenente ad un solo soggetto in relazione al soddisfacimento dell’interesse pubblico prevalente, T.A.R. Puglia – Lecce, sez.I, 8 marzo 2007, n. 957.

[22] T.A.R. Veneto, sez.II, n.3293/2006.

[23] Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 5 luglio 2002, n.670 e Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 33.

[24] Cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez.II, ter, 3 marzo 2006, n.1677.

[25] Vedi, Corte di Giustizia, 12 luglio 2001, in causa C-399/98, dove si conclude che nel diritto comunitario, al di fuori delle procedure previste dalla direttiva sugli appalti pubblici, non è consentito al titolare di un titolo abilitativi (o convenzione) la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione, quando il valore superi la soglia comunitaria (ora, art.32 del Dec. Lgs. 163/2006).

[26] In effetti, l’attività contrattuale della pubblica amministrazione è retta, salvo i casi specificamente esclusi, dalle regole dell’evidenza pubblica, sia in base alla vigente normativa nazionale sia in base alla normativa comunitaria ed alle relative leggi di recepimento, così T.A.R. Veneto, sez.I, 28 febbraio 2007, n.580; T.A.R. Sardegna, sez. I, 23 febbraio 2007, n. 309; Corte Giustizia C.E., sez.I, 18 gennaio 2007 (procedimento C-220/05; T.A.R. Valle D’aosta – Aosta, 21 novembre 2006, n.149; T.A.R. Lazio - Roma, sez.I, 23 agosto 2006, n. 7375; Corte Cost., 17 marzo 2006, n.104.

[27] Corte Cost., 28 marzo 2006, n.126. Vedi, TULUMELLO, L’urbanistica consensuale, la concorrenza e gli accordi amministrativi: cronaca di una incostituzionalità annunciata, in www.giustamm.it, 2006, n.3, che, a commento della sentenza citata, evidenzia come “l’affermazione è da tempo pacifica: non è la natura pubblica o privata del soggetto aggiudicatore che rileva, ma la necessità che tale soggetto ricorra all’evidenza pubblica. Un accordo fra amministrazione e privati sarebbe dunque in teoria ammissibile, purché il privato, anziché provvedere direttamente alla gestione, effettui la scelta del gestore secondo un procedimento concorsuale”.

[28] Cons. Stato, 15 maggio 2002, n. 2636.

[29] Cfr. BERTI, Dalla unilatralità alla contestualità nell’azione amministrativa, in L’accordo nell’amministrativa, Roma, Formez, 1988, p.33.

[30] Cfr. BERTI, Dalla unilateralità, cit., p.43.

[31] Cfr. PERICU, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 1993, p.1362.

[32] Vedi, CERULLI IRELLI, Il negozio come strumento di azione amministrativa, in www.giust.it., 2002, n.6, ove si evidenzia che “con riferimento all’utilizzabilità del modulo negoziale nell’attività amministrativa, non si tratta soltanto di individuare l’area del contratto, ma anche quella degli atti unilaterali a carattere negoziale (art. 1324, cod. civ.); adesso ampiamente presenti nella gestione del rapporto di lavoro pubblico, nell’ambito della quale quegli atti che in larga misura erano considerati provvedimenti amministrativi nel precedente ordinamento sono diventati negozi unilaterali nell’ordinamento vigente. Ebbene, ove si intende introdurre una norma di carattere generale”, quale quella per accordi di tipo negoziale “si fa riferimento a questo spazio che tecnicamente si presta all’utilizzo del diritto privato, mediante contratti o mediante atti unilaterali a carattere negoziale”.

[33] A ben vedere, l’articolo 1324 c.c. non fa alcun riferimento al contratto ma anzi “parla di atto e non di negozio, ma deve ritenersi che il legislatore abbia utilizzato questa terminologia al solo fine di non prendere posizione in merito alla possibilità di dar vita alla categoria negoziale. Atto è pertanto sinonimo di negozio unilaterale. La disciplina del contratto, dunque, domina sovrana quando c’è patrimonialità, con una forza espansiva che va peraltro al di là dell’art.1324. Interessi superindividuali possono infatti essere perseguiti da norme imperativa in particolari settori privatistici… Ma, ancor più decisamente, la P.A. può scegliere anche il modello convenzionale per realizzare i propri interessi pubblici. In specie essa può concludere con l’interessato accordi al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento amministrativo o, nei casi previsti dalla legge, di sostituirlo. A questi accordi (stipulati in forma scritta a pena di nullità, nel perseguimento del pubblico interesse, che, ove si modifichi, legittima il recesso unilaterale della P.A. salvo indennizzo) si applicano i principi in materia di obbligazione e contratti, con il criterio di compatibilità”, GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, pag.752.

[34] Vedi, MAGRI, Gli accordi con i privati nella formazione dei piani urbanistici strutturali, in Rivista Giuridica dell’Urbanistica, 2004, n.4, pgg. 538 ss.

[35] È indispensabile distinguere una fase interna e preparatoria che si concretizza in una deliberazione di adozione – approvazione dell’accordo, e una fase successiva, relativa alla conclusione dell’accordo, di competenza degli organi rappresentativi dell’Ente, con la quale si attua la volontà negoziale, come tale idonea a creare vincoli giuridici con i terzi, Cass. civ., sez.II, 24 gennaio 2000, n.741.

[36] T.A.R. Puglia – Bari, sez. II, 17 febbraio 2005, n. 592, il Tribunale ha, inoltre precisato che le convenzioni – accordi (di cui alla legge n.765 del 1967), su conforme giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, Sez.Un., 15 dicembre 2000, n.1262, costituiscono strumenti di pianificazione di tipo attuativo del P.R.G. ed hanno natura d’“accordi sostitutivi del provvedimento” disciplinati dall’art 11 della I. n. 241 del 1990.

[37] Si rinvia a BIONDI – GIANNÌ, Ambito soggettivo di applicabilità delle norme contenute nella legge n. 241/1990 come integrate e modificate dalla legge n. 15/2005, in www.giustamm.it., 2005, n.5, dove si analizza tale aspetto dal quale, a seguito della legge di riforma del titolo V della Costituzione ad opera della Legge Cost. n. 3/2001, alla potestà legislativa esercitata dallo Stato e dalle Regioni “al criterio del rapporto gerarchico tra le fonti subentra, quindi, il criterio della “competenza” per materia… Considerato che la legge dello Stato è cedevole nel momento in cui le regioni intervengono con proprie leggi nelle materie di propria competenza, e fermo restando il pieno ed incondizionato rispetto dei principi dell’ordinamento comunitario e dei criteri posti nei primi tre articoli della legge n. 241/1990” evidenziando che “l’unico limite imposto alle regioni è “il rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, pertanto le regioni ben potrebbero prevedere modelli procedimentale autonomi e diversi da quelli introdotti dalla legge n. 241”. Cfr. T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. II, 13 marzo 2007, n. 809.

[38] Emerge che se in relazione ai procedimenti concernenti gli atti di cui all’art.13 della Legge n.241/90, nella fase preparatoria non sono consentiti né l’accesso né la partecipazione, trattandosi di un differimento e non di una esclusione del diritto di accesso, che ricorrendone i presupposti può essere consentito dal momento della formazione del provvedimento finale, con gli accordi delineati dalla Legge Regionale n.11 la fase partecipativa viene anticipata nel momento redazionale - istruttorio, e quindi invertendo i limiti posti dalla norma generale, cfr. Cons. Stato, sez.V, 5 febbraio 2007, n.453.

[39] Cfr. T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, 9 febbraio 2007, n.1090 e sez. III, 6 febbraio 2007, n. 868.


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