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LE DECISIONI DEL
GIUDICE AMMINISTRATIVO
SULLA LEGGE ANTITRUST NELL'ANNO 1998
di GIAMPIERO AMORELLI [1]
SOMMARIO: 1. La ripartizione di competenze tra l'Autorità garante e la
Commissione U.E. (artt. 1 della l.at. e 54, comma 5, della l. 6 febbraio 1996,
n. 52). - 1.1. Le modalità di
ripartizione: a) l'attivazione
dell'Autorità; Segue: b) il cd. ne bis in idem comunitario.
– 1.2. La ripartizione di competenze con gli organi preposti alla vigilanza
sull'applicazione delle norme contenute nel Trattato SEE. – 2. Le intese e le
deroghe al divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza (artt. 2
e 4). – 2.1. Il concetto di <<intesa>>. – 2.2. Intese e posizioni
dominanti. – 2.3. la portata del <<divieto>> di intese
anticoncorrenziali. – 2.4. Intese e diritti di <<privativa>>. –
2.5. Intese e <<appalti pubblici>>. – 2.6. Il mercato
<<rilevante>>. – 2.7. Le deroghe al divieto di intese restrittive
della libertà di concorrenza. – 3. L'abuso di posizione dominante (art. 3). –
4. Imprese pubbliche ed in monopolio legale (art. 8). – 5. L'istituzione
dell'Autorità (artt. 10-11). – 5.1. La posizione istituzionale dell'Autorità. –
5.2. Il decreto sulle procedure istruttorie di cui all'art. 10, comma 5. – 6. I
poteri dell'Autorità in materia di intese restrittive della libertà di
concorrenza e di abuso di posizione dominante (artt. 12-15). – 6.1. Decisioni
sul procedimento. – 6.1.1. Le audizioni di cui all'art. 14, comma 1: a) partecipazione dei componenti
l'Autorità; Segue: b) modalità di conduzione. –
6.1.2. Le ispezioni di cui all'art. 14,
comma 2. – 6.1.3. I provvedimenti di cui all'art. 15, comma 1: la
partecipazione dell'Autorità. – 6.2. Le sanzioni di cui all'art. 14, comma 5:
ambito obiettivo di applicazione. – 6.3. I provvedimenti di cui all'art. 15,
comma 1: modalità di determinazione del contenuto dispositivo. – 6.4.
Ricostruzione e valutazione della fattispecie. – 6.4.1. La <<sanzione
amministrativa pecuniaria>> di cui all'art. 15, comma 1: a) principi di applicazione; Segue: b) la rateazione. – 7. La competenza giurisdizionale (art. 33). –
7.1. Situazione giuridica sostanziale e posizione processuale del denunciante.
– 8. Il ricorso straordinario al Capo dello stato (art. 8ss. del d.P.R. 24
novembre 1971, n. 1199).
1.
La
ripartizione di competenze tra l'Autorità garante e la Commissione U.E. (artt.
1 della l.at. e 54, co. 5, della l. 6 febbraio 1996, n. 52).
1.1. Le modalità di ripartizione:
a) l'attivazione dell'Autorità; b) il cd. ne bis in idem comunitario.
a)
Anche nel corso dell'anno 1998 il giudice amministrativo ha avuto modo di
portare la sua attenzione sulle problematiche attinenti il riparto di
competenze tra l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (d'ora in
avanti l'<<Autorità>>) e la Commissione U.E., con tre capi di
decisione contenuti in pronunce del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, sez. I (di seguito il <<TAR>>).
Con il primo dei suddetti capi di decisione – che si trae dalla
sentenza n. 96 dell'8 gennaio 1998 – il TAR, di nuovo avvalorando la versione
cd. ‘revisionista'del principio della <<doppia barriera>>, trasfusa
nell'art. 1, comma 3, della l. 10 ottobre 1990, n. 287 (d'ora in poi la
<<l.at.>>), ha ribadito, nel solco della sua precedente
giurisprudenza, che <<la preminenza della competenza comunitaria sui
comportamenti anticoncorrenziali che inficiano gli scambi tra gli stati membri,
riconosciuta dall'art. 1 della l. n. 287/90, non autorizza a ritenere
automaticamente inoperanti gli strumenti di tutela del mercato e della
concorrenza apprestati dall'ordinamento nazionale>>.
Il tal senso il Tribunale ha
giudicato concordanti sia il dato normativo interno che quello comunitario;
secondo l'organo di giustizia amministrativa, infatti, <<prevedendo che
“per le fattispecie in relazione alle quali risulti già iniziata una procedura
presso la Commissione delle Comunità europee… l'Autorità sospende
l'istruttoria, salvo che per gli aspetti di esclusiva rilevanza
nazionale”>>, l'art. 1 <<ipotizza che l'Autorità garante possa
rendersi comunque attiva in mancanza di analoghe iniziative in sede comunitaria
e che rimanga sempre competente ove emergano implicazioni circoscritte al
mercato interno>>. Non di meno, secondo l'organo giudiziario,
<<[u]n siffatto principio si rinviene… a livello sovranazionale, nel
Regolamento del Consiglio CEE n. 17/1962, rivolto a disciplinare l'applicazione
degli artt. 85 e 86 del Trattato, il cui art. 9 stabilisce che fino a quando la
Commissione non abbia iniziato alcuna procedura a norma dei precedenti artt. 2,
3 o 6 le autorità degli stati membri restano competenti per l'applicazione
dell'art. 85, par. 1, e dell'art. 86 del Trattato>>.
Con la decisione n. 96/98, il TAR è tornato ad
illustrare anche la ratio delle
norme, interne e comunitarie, richiamate sopra, che, per esso, per un verso,
<<hanno per scopo… di evitare che, in ordine alla medesima fattispecie
intervengano due pronunce (a livello comunitario e nazionale), eventualmente
anche non concordanti>>, e, per l'altro, <<di impedire che, in
ordine a comportamenti infrattivi degli artt. 85 ed 86 del Trattato, si
determinino ritardi negli interventi repressivi a seguito di una sia pur
temporanea incertezza sull'autorità da ritenersi competente ad adottare le
misure intese a ripristinare l'equilibrio della concorrenza nei mercati,
laddove una medesima fattispecie sia portata contestualmente all'attenzione sia
dell'organismo comunitario sia di quello nazionale>>.
b) Con
l'ulteriore capo di pronuncia, che è contenuto nella successiva decisione n.
1902 del 10 giugno 1998, il TAR è tornato ad affrontare la problematica del cd.
ne bis in idem comunitario.
A riguardo l'organo giudicante ha precisato che
<<in tema di rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, vige il
principio di coordinamento, desunto dall'art. 1, co. 3, della legge n. 287/90, secondo
cui l'Autorità è sempre competente a conoscere una fattispecie applicando la
normativa interna a meno che la Commissione non abbia formalmente avviato un
procedimento ex artt. 85-86, avente ad oggetto la stessa fattispecie>>.
Con siffatta premessa, il Tribunale ha considerato, quindi, che
<<[c]oncretamente, ai sensi dell'art. 9, terzo comma, del Regolamento CEE
ed in conformità con l'interpretazione resane dalla Corte di Giustizia della CE
(cfr., tra le altre, sentenze del 6 febbraio 1973, Brasserie de Haecht, causa
48/72, e del 10 luglio 1990, Automec, causa T-64/89), sono considerati atti di
inizio della procedura, e come tali idonei a inibire l'intervento
dell'Autorità, solo quei provvedimenti che danno avvio ad un procedimento
formale suscettibile di concludersi con una decisione definitiva di
attestazione negativa (articolo 2, regolamento 17/62), di divieto (articolo 3,
regolamento 17/62) o di esenzione (articolo 6, regolamento 17/62)>>. Il
TAR ha escluso, di conseguenza, che nel caso riguardato, vi fosse obbligo di
applicare il principio del ne bis in idem,
risultando emessa una pura e semplice raccomandazione redatta ai sensi
dell'art. 3, par. 3, del regolamento n. 17 del 6 febbraio 1962, e quindi un
atto che <<non riveste, dal punto di vista formale e sostanziale, i
caratteri di decisione, né di attestazione negativa, con cui si accerta
l'inapplicabilità dell'art. 85.1, né di esenzione ex art. 85.3, che solo può
costituire una preclusione per le autorità nazionali di valutare
differentemente la stessa fattispecie ai sensi della normativa
nazionale>>.
Di un certo interesse, sempre con riferimento
alla portata preclusiva del ne bis in
idem comunitario, è la ulteriore considerazione, sempre contenuta nella
decisione n. 1902/98, per cui, <<anche nell'ipotesi in cui la Commissione
Europea avesse adottato in precedenza decisioni formali su una determinata
fattispecie, ciò non precluderebbe all'Autorità di vagliare nuovi e successivi
comportamenti delle imprese alla stregua della legislazione anticoncorrenziale
italiana nel frattempo intervenuta>>.
1.2.
La
ripartizione di competenze con gli organi preposti alla vigilanza
sull'applicazione delle norme contenute nel Trattato SEE.
Il terzo capo di decisione riguarda, infine, la
possibile interferenza tra le competenze dell'Autorità e quelle degli organismi
deputati, in forza dell'art. 55 dell'Accordo sullo Spazio economico europeo (la
stessa Commissione U.E. e l'Autorità EFTA)[2],
alla vigilanza sul rispetto dei precedenti artt. 53 e 54, che, tuttavia, il TAR
ha ritenuto inconfigurabile nel caso trattato – decisione n. 96/98 - in
considerazione dell'esigua commercializzazione del prodotto riguardato
nell'area della Zona europea di libero scambio (Islanda, Norvegia e
Lichtenstein).
2. Le intese e le deroghe al divieto
di intese restrittive della libertà di concorrenza (artt. 2 e 4).
2.1. Il concetto di <<intesa>>.
Nell'anno cui si riferisce la presente rassegna,
il TAR – decisione n. 1879 del 6 giugno 1998 – ha nuovamente portato la sua
attenzione sulle <<intese>> raggiunte mediante <<organismi
associativi>> di categoria per stabilire che, per configurare la natura
anticoncorrenziale della deliberazione sociale avente ad oggetto la fissazione
di tariffe, non è necessario che questa sia di natura giuridicamente vincolante,
atteso che l'adesione all'associazione e la conseguente ordinaria accettazione
da parte degli associati delle prescrizioni dalla stessa impartite sono
elementi idonei ad integrare l'esistenza di un accordo per la determinazione di
prezzi comuni in violazione di principi concorrenziali.
2.2. Intese e posizioni
dominanti.
Il rapporto tra la disciplina dell'intesa
restrittiva della concorrenza e quella dell'abuso di posizione dominante è
stato oggetto di esame, da parte del TAR, con la già cit. decisione n. 96/98,
che, con argomentazione di notevole rilievo esegetico, ha escluso che le due
discipline possano trovare applicazione alternativa, almeno nel caso in cui il
comportamento anticoncorrenziale è riconducibile ad un soggetto operante in
regime di monopolio. A riguardo, il Tribunale ha così motivato: <<mentre
le intese che abbiano per oggetto od effetto l'impedimento del gioco della
concorrenza sono vietate di per sé, l'abuso di posizione dominante rivolto allo
stesso effetto è sanzionato solo in quanto si riscontri l'ulteriore elemento
del danno ai consumatori, non essendo stata, evidentemente, ritenuta
sufficiente dal legislatore, in un mercato in cui già è ridotta o addirittura
assente la concorrenza, la lesione di potenziali interessi di altri soggetti ad
entrare sul mercato, che non trovi riscontro in un interesse concreto dei
consumatori, da accertarsi di volta in volta, in relazione alle modalità di uso
della posizione dominante>>.
Sempre
con riferimento al rapporto tra intese e posizioni dominanti la stessa
decisione n. 96/98, ha escluso che, in presenza di un diritto esclusivo con
contenuto economico, il comportamento dispositivo del soggetto titolare possa
integrare la fattispecie di <<intesa>> di cui all'art. 2 della
l.at. anziché quella di abuso di posizione dominante di cui all’art. 3.
Quand'anche, infatti, detto comportamento sia posto in essere mediante lo
strumento convenzionale, rileverebbe comunque, per le norme poste a tutela
della concorrenza, la posizione di monopolista del titolare del diritto e la
determinazione di questo di procedere, a monte, all'atto dispositivo favorendo
l'uno o l'altro dei soggetti operanti sul <<potenziale>> mercato.
Con la
decisione n. 1902/98, infine, il TAR ha rimarcato che, conformemente alla
giurisprudenza comunitaria, non costituisce, per l'Autorità, impedimento a
qualificare l'accordo tra due soggetti operanti sul mercato come contrario
all'art. 2 della l.at. il fatto che il medesimo sia frutto di
<<imposizioni>> esercitate da uno dei due soggetti posto in
posizione dominante.
2.3. La portata del
<<divieto>> di intese anticoncorrenziali.
Con la decisione n. 1879/98, l'organo giudicante
ha ribadito che, a mente dell'art. 2, comma 2, della l.at., l'indagine e
l'accertamento di concreti effetti negativi nell'accordo non sono necessari,
giacché la norma vieta le intese già per il semplice fatto di avere per
<<oggetto>>, oltre che per effetto, di comprimere le regole
concorrenziali sul mercato. Né ha rilievo, secondo il Tribunale, che l'intesa
persegua anche finalità ulteriori, essendo sufficiente, per la relativa
censurabilità, l'oggettivo contrasto con la norma e potendo, tutt'al più, ogni
diversa circostanza, essere valutata sotto il profilo della graduazione della
sanzione o, ancora, legittimare una richiesta di autorizzazione in deroga ai
sensi dell'art. 4 della l.at.
Circa lo scambio di informazioni tra imprese, il
TAR ha confermato, poi, con la già cit. decisione n. 1902/98, che questo
realizza una forma di collaborazione non infrattiva quando concerne opinioni,
esperienze, ricerche di mercato e dati statistici; detto scambio, viceversa,
diviene illegittimo quando, per le caratteristiche e le modalità di esecuzione,
il tipo e la frequenza dei dati trasmessi ai concorrenti, ha un contenuto
strumentale alla verifica dell'attuazione delle politiche commerciali comuni
(nella fattispecie l'Autorità aveva accertato che il regolare scambio di
informazioni sulle politiche di vendita ed i prezzi tra i soci imprenditori di
un organismo costituente “centrale comune di vendita” riguardava dati e notizie
di carattere strategico, la cui disponibilità consentiva la previsione e la
conoscenza della politica commerciale delle imprese concorrenti, eliminando in
tal modo l'alea legata al rischio dell'attività imprenditoriale).
Sempre
con riferimento alla qualificazione dell'intesa come illecita, il Tribunale ha
ravvisato, quindi, con la decisione n. 96/98, che – essendo rinvenibile
nell'ordinamento, <<a livello di principio generale, una valutazione
legale di cinque anni in ordine alla possibilità di limitare la
concorrenza>> (artt. 2557 e 2596 del cod. civ.) – occorre verificare,
<<almeno a livello teorico>>, in presenza di una restrizione
triennale, la possibilità che le condizioni di concorrenza si riespandano al
termine del periodo di validità del contratto per effetto di iniziative
assumibili da altri soggetti potenzialmente interessati al mercato.
2.4. Intese e diritti di
<<privativa>>.
La relazione tra intese e diritti di privativa è stata oggetto
principale della decisione del TAR n. 96/98, concernente delibera con la quale
l'Autorità ha considerato intese ai sensi dell'art. 2 della l.at. quelle
avvenute mediante contratti di cessione, da parte dell'Associazione italiana
calciatori alla soc. Panini, del diritto di riprodurre le immagini dei
calciatori professionisti in tenuta da gioco al fine di confezionare e
commercializzare album di figurine e relative figurine autoadesive, nonché
altri prodotti appartenenti al collezionabile editoriale.
Secondo il Tribunale, siffatto diritto non è
riconducibile, contrariamente a quanto sostenuto dall'Autorità, a quello puro e
semplice di riproduzione e diffusione dell'immagine della
<<persona>> del calciatore - sottoposto al regime di circolazione
di cui agli artt. 96ss. della l. 22 aprile 1941, n. 633 – ma a quello relativo
al calciatore eletto ad <<atleta-simbolo>>, come tale risultante
dalla immedesimazione con la maglia della società, in posa stereotipa e mirata
a far risaltare il simbolo di squadra e ad enfatizzarne il ruolo. Per il
T.a.r., dunque, la cessione dell'AIC alla soc. Panini ha riguardato un diritto
nuovo ed irriducibile a quelli di cui si compone, frutto, sì, della concorrenza
tra <<immagine-ritratto>> e diritti di privativa originari (di
società sportive, sponsors, leghe
calcistiche e federazione calcistica), ma con un valore di mercato distinto.
L'organo giudiziario ha ritenuto, in conseguenza, carente il provvedimento
dell'Autorità nella parte in cui questa ha omesso di motivare circa la
<<meritevolezza>> di protezione di siffatto nuovo diritto (con
simmetrica limitazione dell'applicabilità dell'art. 2 della l.at), con
riferimento all'<<attività della Associazione>> e
all'<<incidenza dello sfruttamento di tale diritto esclusivo […] sul perseguimento
degli scopi statutari di questa, scopi nettamente distinti da quelli
dell'attività agonistica dei calciatori e quindi suscettibili di un
apprezzamento ex se>>.
2.5. Intese e <<appalti
pubblici>>.
Con la decisione n. 972 del 9 marzo 1998, il Tribunale
ha centrato la sua attenzione sul rapporto tra la portata del divieto di cui
all'art. 2, comma 2, della l.at. e la normativa in tema di appalti pubblici
statuendo che, ove con legge sono fissate tariffe minime inderogabili per la
remunerazione di servizi (nella specie di trasporto scolastico), non sono
censurabili i comportamenti delle imprese diretti a contrastare l'effettuazione
di gare pubbliche al massimo ribasso, che, in quanto aventi a base d'asta
tariffe inferiori o pari a quelle minime stabilite, non possono che condurre
all'assegnazione degli appalti in relativa violazione.
2.6. Il mercato
<<rilevante>>.
I criteri di determinazione del mercato rilevante
sono stati pure oggetto della decisione n. 1902/98, con la quale il TAR ha
rimarcato che, secondo il criterio di origine comunitario, questo va
individuato sulla scorta di tutti gli elementi decisivi tanto dal lato della
domanda che da quello dell'offerta (a riguardo il Tribunale ha avvalorato la
adeguata applicazione del criterio da parte dell'Autorità, che, dopo aver
individuato, dal lato della domanda, i principali consumatori ed il grado di
sostituibilità dei prodotti interessati e, dal lato dell'offerta, gli impianti
produttivi e la dislocazione dei depositi, ha concluso col far coincidere il
mercato geografico rilevante degli esplosivi pulverulenti ad uso civile con i
confini nazionali).
2.7. Le deroghe al divieto di
intese restrittive della libertà di concorrenza.
Con ulteriore capo di decisione contenuto nella sentenza
n. 1902/98, il Tribunale ha statuito che, a norma dell'art. 4 della l.at.,
l'autorizzazione in deroga può essere concessa solo su istanza delle parti
interessate, le quali devono offrire elementi e circostanze concrete, in modo
da porre in grado l'Autorità di esaminare e valutare se l'intesa possieda i
requisiti necessari alle imprese per usufruirne (miglioramento delle condizioni
di offerta, vantaggio per i consumatori, necessità delle restrizioni, non
eliminazione della concorrenza); dell'autorizzazione in deroga non può farsi
questione, perciò, per la prima volta innanzi al giudice, ove è in discussione
la valutazione della condotta anticoncorrenziale come individuata nel corso del
relativo procedimento e culminata, poi, nell'accertamento di intese vietate
alla stregua della normativa procompetitiva.
3. L'abuso di posizione dominante
(art. 3).
Nel corso del 1998, non si sono registrate
decisioni originate da fattispecie di abuso di posizione dominante. Nelle due
decisioni nn. 96/98 e 1902/98, riportate al precedente punto sub 2.2., sono contenute comunque
pronunce di rilievo esegetico circa il rapporto tra l'abuso di posizione
dominante e le intese.
4. Imprese pubbliche e in
monopolio legale (art. 8).
Nel periodo di riferimento si è registrato un
solo capo di pronuncia sulla portata dispositiva dell'art. 8 della l.at. nella
decisione n. 96/98, con la quale il TAR, pronunciando a titolo di obiter dictum, ha ipotizzato
l'applicabilità del comma 2 – secondo cui le disposizioni sostanziali in materia
di concorrenza non si applicano alle imprese che operano in regime di monopolio
legale sul mercato per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli
specifici compiti loro affidati – ai diritti di <<privativa>>,
<<non potendosi escludere, in via assoluta>> - così ha affermato -
<<che la ratio sottesa a tale norma possa rinvenirsi in tutte le
situazioni in cui un soggetto acquisisca una posizione monopolistica attraverso
l'acquisto originario o derivato di diritti considerati esclusivi, per la loro
natura, dallo stesso ordinamento, tutte le volte che tali diritti siano
suscettibili di utilizzazione economica e determinino perciò un
mercato>>.
5. L'istituzione dell'Autorità
(artt. 10-11).
5.1 La posizione istituzionale
dell'Autorità.
Sul piano istituzionale assume notevole rilievo
di principio il parere del Consiglio di stato, sez. I, Comm. spec., prot. n.
4/98 (più avanti il <<Cons.stato>>), il quale, nel dirimere la
questione relativa alla proponibilità del ricorso straordinario al Capo dello stato
avverso provvedimento emesso in materia di pubblicità ingannevole, ha
approfondito, incidentalmente, la tematica della natura dell'Autorità giungendo
alla conclusione che questa partecipa a pieno titolo della funzione
amministrativa.
A sostegno della tesi la sezione consultiva ha
testualmente considerato quanto segue: <<…l'istituzione di autorità così
dette indipendenti, chiamate ad operare in piena autonomia rispetto agli
apparati dell'esecutivo ed agli organi di ogni Amministrazione, risponde all'esigenza
di dare corpo ad una funzione amministrativa di garanzia in ragione della quale
è configurata l'indipendenza dell'organo. In questo senso la Corte
Costituzionale, con una pronuncia che riveste portata generale anche se
occasionata dalla istituzione, ad opera dell'art. 4 della legge 11 febbraio
1994, n. 109, dell'Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici (sentenza 7
novembre 1995, n. 482), ha osservato come “le attribuzioni dell'Autorità non
sostituiscono ne surrogano alcuna competenza di Amministrazione attiva o di
controllo”. Ciò non di meno, nell'attuale assetto costituzionale, la funzione
di garanzia esercitata dalle Autorità indipendenti è incardinata nella funzione
amministrativa, non solo per il fatto che gli organi che la esprimono sono collocati
al di fuori dell'ambito di cui all'art. 102 della Costituzione, ma anche perché
le norme ne conformano l'attività secondo caratteri oggettivi di concretezza,
spontaneità e discrezionalità che sono propri dell'attività
amministrativa>>. In tal senso, il Cons.stato ha proseguito sostenendo
che <<[l]a natura amministrativa dell'attività trova conferma, sul piano
del diritto positivo, proprio nel caso dell'Autorità garante della concorrenza
e del mercato, che è costruita intorno ad un nucleo centrale rappresentato da
una attività di qualificazione giuridica di atti e fatti rispetto alle regole
materiali che governano il mercato, in tema di concorrenza e di pubblicità
ingannevole, esercitata da un organo dotato di un grado di indipendenza più
accentuato rispetto ad altre autorità. Il che, a prima vista, sembra rendere
più stretto l'accostamento, sotto il profilo oggettivo, con la funzione
giurisdizionale. Tuttavia, l'esercizio dei poteri di indagine, di istruttoria,
di sospensione cautelare e di irrogazione delle sanzioni affidati alle cure
dell'Autorità (artt. 12, 14, 15, 17, 18 e 19 della legge 10 ottobre 1990, n.
287; art. 7 del D. Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74), non è collegato ad una
posizione di indifferenza dell'organo decidente verso gli interessi coinvolti.
Ma è finalizzato all'attribuzione a tale soggetto di un ruolo di cura
dell'interesse pubblico alla regolazione dell'iniziativa economica privata in
funzione della tutela della concorrenza e del mercato (artt. 1 e 10 della legge
n. 287); valori giuridici che vanno difesi non solo nei confronti dei privati
ma anche delle imprese pubbliche o a prevalente partecipazione statale (art. 8
della legge n. 287)>>. Ed ancora: <<[n]ella prospettiva delineata
dal legislatore… l'indipendenza dell'Autorità va riguardata non come
separatezza dall'ordinamento generale, ovvero, in altri termini, come
“l'espressione di una profonda trasformazione delle concezioni relative
all'intervento dello Stato nell'economia, dettata dalla necessità che lo
svolgimento di talune attività economiche sia controllato da soggetti
imparziali, in posizione di equidistanza rispetto agli interessi pubblici e
privati in gioco” (pagina 2, ultimo periodo, delle controdeduzioni presentate
dall'Autorità in data 21 luglio 1995). Bensì, come esaltazione del carattere
dell'imparzialità, cioè di uno dei valori giuridici fondamentali dell'attività
amministrativa (art. 97, comma 1, della Costituzione), che prende la forma di
un “organismo dello (Stato) sia pure dotato di alto grado di indipendenza nei confronti
del potere esecutivo” (Cons.St., sez. VI, 25 novembre 1994, n. 94). Il che vuol
dire, in altri termini, un ufficio pubblico collocato fuori dai Dicasteri, ma
non per questo avulso dall'indirizzo politico espresso dagli organi ordinari
nelle forme previste dalla Costituzione (art. 94 e 95 della Costituzione),
secondo i raccordi procedimentali stabiliti dalla legge n. 287 del 1990. Non a
caso, infatti, l'esercizio da parte dell'Autorità del potere nel quale
maggiormente è presente il carattere della discrezionalità amministrativa, cioè
la concessione di deroghe al divieto di intese restrittive della libertà di
concorrenza (art. 4 della legge n. 287) è stato limitato dalla necessaria
adozione, in linea generale e preventiva, di criteri da parte del Consiglio dei
Ministri (art. 25 della legge n. 287), riconducendo per tale via la
responsabilità politica delle scelte al circuito fiduciario Governo
Parlamento>>. L'organo consultivo ha osservato infine:
<<[l]'ulteriore conferma del carattere amministrativo della funzione
svolta dall'Autorità, avuto riguardo alle garanzie processuali, sta nel fatto
che la disciplina positiva, mentre da un lato non prevede che contro gli atti
di esercizio di una pretesa attività paragiurisdizionale sia ammissibile
ricorso in Cassazione per violazione di legge (art. 111 Costituzione),
dall'altro stabilisce con chiarezza come i ricorsi contro provvedimenti
amministrativi da essa adottati rientrino nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo (art. 33 della legge n. 287) e che debbano essere
proposti davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, cioè ad un
organo giurisdizionale di primo grado>>.
5.2. Il decreto sulle procedure
istruttorie di cui all'art. 10, comma 5.
Con atto n. 170/97, emesso all'adunanza del 15
dicembre 1997[3], la sezione
consultiva per gli atti normativi del Cons.stato, esprimendo parere sul nuovo
<<regolamento recante norme in tema di procedure istruttorie di
competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato>>
(emanato, poi, con d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217[4],
che ha abrogato e sostituito il precedente d.P.R. 10 settembre 1991, n. 461),
ha chiarito che il termine di novanta giorni dalla entrata in vigore della
l.at. previsto per lo stabilimento di <<procedure istruttorie>> atte
a garantire agli interessati <<la piena conoscenza degli atti istruttori,
il contraddittorio e la verbalizzazione>> <<non può ritenersi
elemento impediente al riesercizio del potere regolamentare, atteso che a tale
termine non può attribuirsi natura perentoria e, comunque, esso non potrebbe
che riferirsi al primo esercizio del potere normativo da parte del Governo;
infatti, altrimenti opinando, si conseguirebbe l'effetto di “ingessare” il
testo normativo emanato, con la conseguenza di introdurre una vera e propria
alterazione ordinamentale nel rapporto di successione tra fonti normative
pariordinate>>.
6. I poteri dell'Autorità in
materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di
posizione dominante (artt. 12-15).
6.1. Decisioni sul
procedimento.
6.1.1. Le audizioni di cui all'art.
14, comma 1: a) partecipazione dei
componenti l'Autorità; b) modalità di
conduzione.
a) Con
la decisione n. 96/98 – premesso in generale che l'Autorità, nella sua
espressione collegiale è l'unico organo competente ad assumere decisioni nelle
materie indicate dalla l.at. – il TAR ha ravvisato rispondente ad un corretto
ed ordinato svolgimento delle funzioni amministrative che l'attività di
raccolta dei dati, delle notizie, delle informazioni, l'acquisizione di
documentazione ed ogni altra attività istruttoria propedeutica al provvedimento
finale vengano svolte dagli apparati organizzativi nei quali si articolano gli
uffici dell'Autorità. Tra le suddette attività rientrano, secondo il TAR, anche
le audizioni di cui all'art. 14, comma 1, per le quali, quindi, non è
necessaria la presenza dell'Autorità, tanto più che l'art. 4, comma 4, del
d.P.R. 10 settembre 1991, n. 461, ne dispone la analitica verbalizzazione.
Secondo il Tribunale, peraltro, non si può aderire neanche alla tesi secondo la
quale occorrerebbe, nelle audizioni, la presenza di almeno un componente
l'Autorità, sia perché questa è organo collegiale sia perché il legislatore ha
attribuito ai funzionari dell'Autorità, nell'esercizio delle loro funzioni, la
qualità di pubblici ufficiali (art. 14, comma 4, della l.at.). La stessa l.at.,
d'altra parte – ha evidenziato il TAR – presuppone l'esercizio di un'attività
istruttoria autonoma da parte degli uffici, come si ricava dalle previsioni in
tema di ispezioni, perizie e analisi (art. 14, comma 3), di talché tanto il
d.P.R. n. 461 del 1991 che il regolamento interno emanato il 29 maggio 1995[5]
appaiono muoversi <<entro le direttrici tracciate dal legislatore
primario>> nel disciplinare gli adempimenti istruttori.
b)
Quanto, poi, alle modalità di conduzione delle audizioni, il TAR, con la stessa
decisione n. 96/98, ha statuito che l'obbligo dell'Autorità di indicare lo
<<scopo>> previsto dall'art. 4, comma 5, lett. b) del d.P.R. n. 461 del 1991 attiene all'adempimento istruttorio
da compiere, del quale devono essere portate a conoscenza del destinatario le
finalità, ma non ad ogni singolo quesito che, nell'ambito di tale adempimento,
venga posto.
6.1.2. Le ispezioni di cui all'art.
14, comma 2.
Il già cit. parere del Cons.stato n. 170/97 ha
avuto ad oggetto anche la potestà ispettiva riconosciuta ai funzionari
dell'Autorità dall'art. 14, comma 2, della l.at. ed, ora, dall'art. 10, comma
5, del d.P.R. n. 217 del 1998. In particolare, quanto a quest'ultima
disposizione, l'organo consultivo ha espresso l'opinione che <<la potestà
[…] di procedere ad ispezioni deve ritenersi riferita a “tutti i locali” dell'azienda, pertinenze comprese, senza
possibilità di estendere la portata della disposizione anche a luoghi di
residenza o di domicilio assolutamente estranei all'attività aziendale oggetto
di indagine>>.
6.1.3. I provvedimenti di cui
all'art. 15, comma 1: la partecipazione dell'Autorità.
Con ulteriore capo di pronuncia, la decisione n.
96/98 ha rivolto la sua attenzione, poi, alla norma di cui all'art. 25 del
regolamento interno del 1995, che, prevedendo che la deliberazione della
Autorità è assunta <<sulla base delle proposte trasmesse dagli
uffici>>, è stato censurato per violazione delle competenze
dell'Autorità.
A riguardo il TAR ha osservato, tuttavia, che la
disposizione prevede espressamente la nomina di un relatore fra i membri
dell'Autorità, che introduce la discussione, formula e illustra le sue
conclusioni, secondo uno schema procedimentale usuale nell'attività di ogni
organo collegiale. Conseguentemente, ha ritenuto il Tribunale, la circostanza
che il relatore si avvalga di proposte provenienti dagli uffici non conferisce
a queste alcuna dignità di momento procedimentale, rimanendo le stesse
<<circostanze di fatto, utili, secondo modalità organizzative interne, ad
una più esaustiva disamina di tutti gli elementi, spesso assai complessi, che
concorrono ad integrare ciascuna fattispecie oggetto di deliberazione>>.
6.2. Le sanzioni di cui all'art.
14, comma 5: ambito obiettivo di applicazione.
Con la decisione n. 1885 del 6 giugno 1998, il
TAR Lazio, tornando sui limiti obiettivi di applicazione dell'art. 14, comma 5,
della l.at. – concernente il potere dell'Autorità di sanzionare i comportamenti
di rifiuto e omissione di fornitura di informazioni e/o di esibizione di
documenti nonché di fornitura di informazioni e/o di esibizione di documenti
non veritieri – ha statuito che la legge punisce la mancata collaborazione con
l'Autorità indipendentemente dall'esito del procedimento avviato per reprimere
un comportamento anticoncorrenziale (nella fattispecie, il TAR ha riconosciuto
la legittimità della sanzione pecuniaria irrogata nei confronti di un operatore
che aveva omesso di esibire un documento idoneo a dimostrare il suo
atteggiamento di sostanziale adesione ad un tariffario, ritenendo ininfluente
che, a causa del comportamento degli utenti, il medesimo non sia stato sempre
applicato).
6.3. I provvedimenti di cui all'art.
15, comma 1: modalità di determinazione del contenuto dispositivo.
Con interessante capo di pronuncia contenuto
nella più volte cit. decisione n. 1902/98, il TAR ha stabilito che il contenuto
dispositivo del provvedimento ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 15, comma 1,
della l.at. va determinato, per principio generale, alla stregua della relativa
motivazione, di talché il complesso delle proposizioni precettive – cessazione
della continuazione delle intese ed astensione futura da ogni intesa vietata –
va correttamente individuato con riferimento diretto alle accertate intese
restrittive della concorrenza, le quali devono quindi cessare per consentire il
ripristino delle condizioni di competitività. Circa, poi, le modalità concrete
e le soluzioni opportune da adottare per eseguire il contenuto
dell'imposizione, l'organo di giustizia amministrativa ha aggiunto che
<<non è compito dell'Autorità indicare i concreti e puntuali
comportamenti che le imprese devono tenere a tal fine sul mercato, in quanto
altrimenti, essa verrebbe ad intromettersi indebitamente nella libertà di
iniziativa economica delle singole imprese stesse>>.
6.4. Ricostruzione e
valutazione della fattispecie.
6.4.1. La <<sanzione
amministrativa pecuniaria>> di cui all'art. 15, comma 1: a) principi di applicazione; b) la rateazione.
a) Con
la decisione n. 1902/98, il TAR Lazio, richiamandosi agli orientamenti
comunitari, ha stabilito che, nell'irrogare la sanzione di cui all'art. 15,
comma 1, della l.at., deve trovare applicazione il principio secondo cui
occorre accordare prevalenza all'interesse dei consumatori e dei cittadini alla
scoperta delle intese vietate rispetto all'interesse ad irrogare ammende alle
imprese che, collaborando con le autorità competenti, consentono di scoprire e
vietare cartelli o che contribuiscono al raggiungimento di tali obiettivi;
conseguentemente il Tribunale ha ritenuto adeguatamente motivata
l'<<esenzione>> concessa ad un'impresa la cui collaborazione è
risultata decisiva per la scoperta dell'intesa vietata, sebbene questa vi
avesse partecipato.
b) Con
ulteriore capo di pronuncia il TAR ha stabilito poi, che, per effetto
dell'espresso rinvio operato dall'art. 31 della l.at. alle disposizioni
contenute nel capo I, sezioni I e II, della l. 24 novembre 1981, n. 689, il
relativo art. 26 disciplina il pagamento rateale della sanzione pecuniaria e
non il d.lgs. 27 aprile 1991, n. 127 (attuazione delle direttive CEE in materia
societaria, relative ai conti annuali e consolidati, ai sensi dell'art. 1,
comma 1, della l. 26 marzo 1990, n. 69), che riguarda una disciplina specifica.
Peraltro, in applicazione dell'art. 26 della l.
n. 689 del 1981, il Tribunale ha ritenuto, con riferimento alle
<<condizioni economiche disagiate>> richieste per la rateazione,
che è ragionevole il criterio seguito dall'Autorità, di non concedere il
pagamento rateale quando l'andamento economico delle imprese sia stato, nel
triennio precedente all'irrogazione, costantemente positivo, e ciò perché
<<solo tale situazione può escludere attendibilmente la sussistenza di
quelle difficoltà economiche attuali al momento della verifica, che sono il
presupposto per l'esercizio del potere discrezionale della concessione della
rateazione>>. <<Il criterio è in sé logico>> - ha aggiunto,
inoltre, l'organo giudiziario - <perché risponde alla finalità sostanziale
della norma che è quella di evitare qualsiasi compromissione della correntezza
delle imprese, e per ciò stesso non comprende anche la valutazione degli
eventuali effetti negativi che il pagamento in un'unica soluzione potrebbe
determinare sulla redditività delle imprese cioè sulla capacità di produrre
utili>>. Infatti, ha concluso il TAR, <<occorre considerare da un
lato che la redditività è legata alla politica ed alle strategie
dell'imprenditore, e dall'altro che il grado di incidenza sulla liquidità delle
imprese stesse è rappresentato dalla bassa misura percentuale stabilita
dall'Autorità con riferimento al fatturato, che è un dato obiettivo
rappresentato dalla realtà economica dell'azienda>>.
7. La competenza giurisdizionale
(art. 33).
7.1. Situazione giuridica
sostanziale e posizione processuale del denunciante.
Nell'anno 1998, il TAR ha avuto modo di ribadire
e consolidare l'indirizzo giurisprudenziale assunto nel biennio precedente in
ordine alla posizione del soggetto denunciante, sotto i profili sostanziale e
processuale.
In tal senso, l'organo di giustizia, con le
decisioni nn. 2746 del 29 settembre 1998 e 2952 del 15 ottobre 1998, è tornato
a sostenere che nei procedimenti repressivi il soggetto denunciante non assume
una posizione di interesse tutelata né all'apertura del procedimento né, tanto
meno, alla conclusione di questo in senso conforme alle sue aspettative,
essendo titolare solo di un interesse di mero fatto che lo abilita, se del
caso, ad intervenire nell'eventuale giudizio instaurato dall'unico soggetto
legittimato a reagire, ovverosia il destinatario dell'attività sanzionatoria.
Secondo le anzidette decisioni, <<[t]ale
principio è senz'altro applicabile anche in relazione all'esercizio, da parte
dell'Autorità Garante, delle attribuzioni previste dalla legge n. 287/90, posto
che, nella verifica dell'esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti dagli
artt. 2 e 3 di detta legge, l'Autorità procede d'ufficio, essendo i suoi poteri
preordinati esclusivamente alla tutela oggettiva del diritto di iniziativa
economica nell'ambito del libero mercato e non alla garanzia di posizioni
individuali degli operatori di quest'ultimo>>. <<Ne consegue>>
- ha proseguito il TAR - <<che, a fronte dell'esplicazione dei poteri
stessi, tutti gli altri soggetti diversi da quelli direttamente incisi, siano
essi consumatori, siano imprese concorrenti, sono titolari di un mero interesse
diffuso, indifferenziato rispetto alla posizione di pretesa della generalità
dei cittadini a che le autorità preposte alla repressione dei comportamenti
infrattivi attuino correttamente e tempestivamente i poteri che sono loro, a
tale specifico fine, conferiti dall'ordinamento>>.
8. Il ricorso straordinario al
Capo dello stato (art. 8ss. del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199).
Con il parere cit. al precedente punto sub 5., il Cons.stato ha ritenuto
proponibile, in fattispecie concernente la pubblicità ingannevole, ma con
argomentazioni estensibili alla disciplina antitrust,
il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica di cui agli artt. 8ss.
del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, avverso i provvedimenti dell'Autorità
garante.
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[1] Avvocato in Roma.