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Con
l’atto della richiesta di invio della documentazione necessaria a comprovare
il possesso dei requisiti di incapacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, ai sensi dell’art. 10, comma 1 quater, della legge
n. 109 del 1994, l’impresa viene formalmente informata dell’avvio della
relativa procedura e quindi degli effetti che conseguono all’eventuale esito
negativo nella verifica, sicchè non è necessaria una seconda comunicazione
relativa alla determinazione di esclusione dalla gara e di incameramento della
cauzione. L’impresa è a conoscenza della procedura in corso, e può
intervenire rappresentando le proprie ragioni, secondo lo modalità di cui alla
legge 241 del 1990.
L’insufficienza degli atti prodotti non è di per se causa di esclusione dalla gara, se l’inidoneità della documentazione risulta oggettivamente imputabile ad un mero errore materiale o formale, che deve però risultare già tale al solo esame degli atti.
La
possibilità di concedere di rimediare ad errori formali verificatisi nel corso
degli accertamenti della verifica a campione, stabilendo un breve termine per
integrare la documentazione o, quanto meno, per richiedere i necessari
chiarimenti, non viola la par condicio
delle imprese concorrenti. La verifica campione prevista dall’art. 10, comma 1
quater, della legge n. 109 del 1994 non può assumere caratteri
ingiustificatamente formalistici, sottraendo alle gare le imprese che, in
possesso dei requisiti di partecipazione, sono incorse in errori formali o
materiali in occasione della tempestiva produzione dei documenti, sempre che gli
stessi siano agevolmente rilevabili dall'Ente appaltante al solo esame degli
atti (1).
(1) V. sul punto la nota di commento dell’Avv. MASSIMILIANO ALESIO, Una prima pronuncia in materia di verifiche a campione, riportata dopo il testo della sentenza.
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(Omissis)
DIRITTO
Nel merito, la controversia concerne la “verifica a campione” regolata dall’art. 3 comma 1 della legge 415 del 1998, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 10 della legge n. 109 del 1994. In tal modo, nell’ambito delle gare soggette alla cosiddetta legge Merloni, viene imposto alle stazioni appaltanti di provvedere all’accertamento della veridicità delle dichiarazioni rese dai concorrenti in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione, verifica da effettuare in un momento immediatamente anteriore alla lettura delle offerte e da limitare solo ad alcune (individuate per sorteggio) delle imprese partecipanti. Il tutto, nelle intenzioni del legislatore, per ridurre il rischio di offerte fittizie, finalizzate esclusivamente ad alterare il regolare andamento della procedura concorsuale, e quindi espressione di comportamenti collusivi.
Le
conseguenze dell’esito negativo della verifica sono stabilite dalla legge
nell’esclusione dell’offerente dalla gara, nell’escussione della cauzione
provvisoria, nella segnalazione del fatto all’Autorità per la vigilanza sui
lavori pubblici ai fini dell’applicazione di ulteriori misure sanzionatorie.
Ma le stesse conseguenze sfavorevoli sono previste anche nel caso in cui la
prova non sia fornita, ovvero l’impresa interpellata ometta in tutto o in
parte di produrre la documentazione necessaria allo scopo; in tale caso,
evidentemente, il legislatore equipara il concorrente inerte al concorrente
privo dei requisiti, prefigurando per il primo una presunzione assoluta di
carenza dei presupposti di partecipazione alla gara.
Venendo ora alla controversia oggetto del presente giudizio, va innanzitutto esclusa la violazione dell’art. 7 della legge 241 del 1990, in relazione ad una presunta omissione della comunicazione di avvio del procedimento.
A prescindere dalla natura dell’ente appaltante, e dalla sua eventuale soggezione alla normativa invocata, appare sufficiente al Collegio rilevare che, all’atto della richiesta di invio della documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria tecnico-organizzativa, ai sensi dell’art. 10, comma 1 quater della legge n. 109 del 1994, l’impresa viene formalmente informata dell’avvio della relativa procedura e quindi degli effetti che conseguono all’eventuale esito negativo della verifica, sicchè non è necessaria una seconda comunicazione relativa alla determinazione di esclusione dalla gara e di incameramento della cauzione.
L’impresa
è a conoscenza della procedura in corso, e può intervenire rappresentando le
proprie ragioni, secondo le modalità di cui alla legge n. 241 del 1990.
E’
fondata, invece, la censura incentrata sull’errata applicazione dell’art.
10, comma 1-quater, della legge n. 109, seppur nei limiti che si
preciseranno.
Come si è detto, l’insufficienza degli atti prodotti non è di per sé causa di esclusione dalla gara, se l’inidoneità della documentazione risulta oggettivamente imputabile ad un mero errore materiale o formale, che deve però risultare già tale al solo esame degli atti.
Nella circostanza, allora, essendo stato addebitato alla ricorrente di non aver prodotto i bilanci degli anni 1993 e 1994 per la Cai S.r.l. (v. nota prot. n. 424 del 9 agosto 1999), si sarebbe dovuto al contempo considerare che erano stati presentati i documenti contabili inerenti una società omonima rispetto a quella di cui la Cai S.r.l. aveva acquisito un ramo d’azienda (Soreco S.r.l. con sede in Rivoli), e che tale situazione rivelava obiettivamente un errore materiale nella trasmissione degli atti (errore indotto peraltro dalla Camera di Commercio di Torino, che aveva rilasciato atti concernenti altra ditta).
Già dalla nota del 28 giugno 1999, recante la comunicazione dell’esclusione dalla gara, risultava evidente che l’incompletezza della documentazione riguardava l’incoerenza tra bilanci degli esercizi 1993/1994, relativi alla Soreco S.r.l. con sede in Torino, e bilanci degli anni 1995/1996/1997, relativi alla Soreco S.r.l. con sede in Rivoli; sicché avrebbe dovuto l’ente appaltante ammettere la ricorrente a rimediare all’errore materiale, oggettivamente evidente, stabilendo un breve termine per integrare la documentazione, o quanto meno avrebbe dovuto richiedere i necessari chiarimenti (ad es., a proposito dell’attinenza alla Cai S.r.l. della documentazione inerente la Soreco S.r.l.).
Né
si sarebbe in tal modo violata la par
condicio delle imprese concorrenti, in quanto la verifica a campione
prevista dall’art. 10, comma 1-quater, della legge n. 109 del 1994 non può
assumere caratteri ingiustificatamente formalistici, sottraendo alle gare le
imprese che, in possesso dei requisiti di partecipazione, sono incorse in errori
formali o materiali in occasione della tempestiva produzione dei documenti,
sempre che gli stessi siano agevolmente rilevabili dall’ente appaltante al
solo esame degli atti. Ciò anche in relazione al favor
per la massima partecipazione alle gare, che costituisce un principio generale
nel settore dei pubblici appalti.
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MASSIMILIANO
ALESIO
(Avvocato)
Una
prima pronuncia in materia di verifiche
a campione
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La
sentenza che si commenta costituisce la prima pronuncia giurisprudenziale in
materia di verifiche a campione, previste dall’art. 10, 1° comma quater,
della legge 109/1994
(legge quadro in materia di lavori pubblici), così come modificata ed integrata
dalla legge 415/1998 [1].
L’istituto
della verifica a campione costituisce, senza alcun dubbio, una novità rilevante
e, per taluni aspetti, pure in controtendenza rispetto al panorama normativo dei
pubblico appalti, che si è affermato negli ultimi anni.
Lo scopo dell’istituto è quello di scoraggiare le dichiarazioni mendaci dei partecipanti alle gare, le quali potrebbero influire sul calcolo della anomalia e, quindi, sull’aggiudicazione, ponendo in essere condotte collusive, potenzialmente ricollegabili al reato di turbata libertà degli incanti, di cui all’art. 353 c.p. [2].
Viene espresso, in tal modo, un chiaro senso di sfiducia verso le dichiarazioni effettuate dalla ditte partecipanti ed in ultima analisi, verso la piena funzionalità ed efficacia delle misure di semplificazione amministrativa.
Queste, secondo il fine dell’istituto ora evidenziato, debbono essere
sottoposte ad un attento controllo, pure a campione, al fine di tutelare
l’interesse pubblico ad ottenere veritiere dichiarazioni dei privati,
soprattutto in un settore, quale quello dei pubblici appalti, di indubbia
delicatezza [3].
Tale scopo viene contestato da diversi studiosi, i quali ritengono che del tutto
priva di ragione appare la preventiva verifica sui requisiti di un campione di
concorrenti [4].
La contestazione, seppur legata a talune ragionevoli argomentazioni, di cui fra breve si dirà, sembra non pienamente condivisibile, perché trascura il punto saliente della questione : non è possibile recepire, acriticamente e senza alcun controllo, le dichiarazioni sostitutive dei privati, in un settore, quale quello dei pubblici appalti, ove l’affidabilità delle dichiarazioni medesime costituisce un imprescindibile valore.
I comportamenti collusivi, che la giurisprudenza penale più volte ha portato alla luce, hanno evidenziato l’insufficienza di un controllo effettuato solo a monte, cioè al termine della procedura, nei riguardi dell’aggiudicatario, seppur provvisorio.
Occorre, invece, introdurre strumenti di verifica preventiva, al fine di
selezionare imprese corrette ed affidabili, in primis sotto il profilo della
veridicità di ciò che si dichiara, espellendo, in maniera pure indiretta,
quelle inaffidabili e non trasparenti nel loro agire. L’istituto della
verifica a campione sembra rispondere pienamente a questa esigenza.
Nondimeno,
tuttavia, occorre onestamente rilevare che l’istituto crea diversi problemi.
In primo luogo, vi è da rilevare che il termine dei dieci giorni, per presentare tutta la documentazione richiesta, sembra troppo esiguo, e tale da porre in sicura difficoltà l’impresa sorteggiata.
A tal proposito, contrariamente a quanto sostenuto da taluno [5], la decorrenza del termine va collegata al ricevimento della richiesta, e non certo dalla data di invio, altrimenti il termine da esiguo diventerebbe addirittura impossibile da rispettare, con esiti applicativi al limite del paradosso.
In secondo luogo, la verifica a campione produce un rallentamento della procedura di gara. Rallentamento sotto due precisi profili. Sotto un profilo meramente temporale e materiale, in quanto la commissione di gara non può non seguire, dopo aver esaminato la documentazione generale, la seguente procedura, la quale sposta in avanti, anche in modo rilevante, il momento dell’aggiudicazione: - sorteggio delle offerte; - verbalizzazione del sorteggio; - sospensione della gara; - comunicazione alle ditte sorteggiate; - invio della documentazione richiesta; - esame della documentazione; - comunicazione esito della valutazione della documentazione; - nuova seduta di gara, con apertura delle buste ed aggiudicazione provvisoria.
Anche sotto un profilo di qualità tecnica delle
operazioni di gara, si produce un rallentamento, in quanto è indubbio che
l’esame della documentazione, a seguito pure del D.P.R.
25.01.2000 n. 34 (Regolamento recante l’istituzione del sistema di
qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, ai sensi dell’art. 8
della L. 109/1994, e successive modificazioni; cosiddetto Decreto Bargone),
richiede precise e specialistiche conoscenze tecniche, in possesso, in realtà,
solo di esperti consulenti finanziari. In terzo luogo, non bisogna sottovalutare
il fatto che la verifica potrà dar luogo ad un diffuso contenzioso, in quanto
l’ammissione o l’esclusione di un concorrente non rileva solo fra il
sorteggiato e la stazione appaltante. Infatti, la decisione presa a seguito
della verifica può incidere pure sul calcolo della soglia di offerta anomala,
per cui le altre imprese potrebbero dimostrare la sussistenza di un loro
eventuale interesse a ricorrere, in quanto pregiudicate dalla decisione
medesima.
Val la pena di ricordare che una posizione di totale contrarietà all’istituto della verifica, è stata palesata in dottrina, seppur isolata sotto il profilo della globalità della critica, giungendo addirittura ad affermare che il meccanismo è incostituzionale per manifesto eccesso di potere legislativo, in quanto riguardante norme che sono in piena contraddizione con i recenti mutamenti legislativi in tema di autocertificazione (Leggi 127/97 e 191/98, oltrechè dal D.P.R. 403/98) ed in contrasto con i più elementari principi di buona amministrazione [6]. La critica appare troppo radicale.
Tuttavia, occorre rilevare che la verifica a
campione, come si affermava prima, è un istituto che sembra andare in
controtendenza rispetto alle recenti semplificazioni amministrative. In realtà,
a ben vedere, l’istituto costituisce un interessante, seppur pesante,
strumento di controllo, rivolto ad aumentare il tasso di affidabilità e di
trasparenza nel delicato settore dei pubblici appalti. I valori
dell’affidabilità e della trasparenza, seppur a costo di un certo
rallentamento delle procedure, sembrano meritare una degna attenzione e
conseguente attuazione!
L’istituto
è, dunque, innovativo e pieno di problematiche applicative, per cui sono
attese, con vivo interesse, le prime pronunce giurisprudenziali in materia [7].
La
pronuncia in esame enuncia due interessanti principi.
Viene
chiaramente affermato che la richiesta di invio della documentazione, idonea a
comprovare il possesso dei requisiti dichiarati, di capacità
economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, equivale ad una formale
comunicazione di avvio del “procedimento di verifica e di valutazione”.
L’impresa, nel rispetto degli artt. 7 e seguenti L. 241/1990, può e deve, non
solo inviare la documentazione richiesta, ma chiedere copie
di eventuali atti rilevanti e presentare memorie scritte ed altri
documenti.
La
comunicazione di avvio di procedimento costituisce, insieme al diritto di
accesso ai documenti amministrativi, uno dei principali strumenti, diretti a
realizzare trasparenza e partecipazione nel procedimento amministrativo. La
dottrina [8]
ha lungamente esaminato i diversi profili della comunicazione di avvio, e la
giurisprudenza non è stata certo da meno, contribuendo in misura rilevante
all’elaborazione di fondamentali principi applicativi.
Nella fattispecie in esame, cioè nell’ambito dell’istituto della verifica a campione, la giurisprudenza chiarisce che la comunicazione di richiesta della documentazione equivale a comunicazione di avvio procedimentale.
A tal
proposito, occorre evidenziare che le stazioni appaltanti, al fine non solo di
pervenire ad una formale applicazione della normativa, ma pure per fornire
all’impresa sorteggiata tutte le opportune informazioni, debbono indicare,
nella medesima lettera di richiesta documenti, i seguenti dati, previsti
dall’art. 8 L. 241/1990: a) Amministrazione competente; b) Oggetto del
procedimento promosso; c) Ufficio e persona responsabile del procedimento; d)
Ufficio in cui si può prendere visione degli atti.
Dunque,
non occorre una nuova e distinta comunicazione di avvio, essendo sufficiente la
richiesta di invio della documentazione. Ciò comporta, senza dubbio, una
semplificazione procedurale, certo benvenuta, per la concreta applicazione di un
istituto, il quale, pur se per fondate ed inequivocabili esigenze di affidabilità
e trasparenza, comporta un rallentamento dei tempi di aggiudicazione.
Tuttavia, occorre rilevare che la sentenza in esame presenta un’espressione non propriamente corretta, laddove afferma che ….non è necessaria una seconda comunicazione relativa alla determinazione di esclusione dalla gara e di incameramento della cauzione. Invero, la comunicazione di esclusione, in quanto comunicazione di conclusione del procedimento e del suo relativo esito, deve essere necessariamente effettuata, come prima si è rilevato.
La ditta sorteggiata deve, ovviamente, essere
informata dell’esito del procedimento, al fine di poter far valere le sue
ragioni nel caso in cui si ritenesse lesa. Forse, si è trattato di un semplice
errore di esternazione di pensiero, il quale andava espresso in maniera più
lineare, onde non dar luogo a pericolosi equivoci.
Il secondo principio enunciato, seppur ricollegabile a precedente giurisprudenza in materia di appalti pubblici [9], è importante perché ribadisce un giusto assunto di base: non può escludersi dalla gara l’impresa che ha inviato una documentazione inidonea, in diretta conseguenza di un mero errore materiale o formale.
Nel
caso di specie, l’impresa aveva inviato taluni documenti contabili, relativi a
un’altra impresa omonima, per cui la documentazione era risultata incompleta.
Giustamente e legittimamente, il T.A.R. Piemonte ha considerato tale errore come
materiale, stante la circostanza giustificatrice dell’omonimia, per cui ha
statuito che l’ammissione non violava in alcun modo la par condicio
delle imprese ricorrenti.
Il
Tribunale Amministrativo ha dato applicazione, nel caso di specie, al
fondamentale principio della “massima partecipazione alle pubbliche gare”,
in virtù del quale meri errori formali o materiali, non incidenti sulla par
condicio dei partecipanti, non devono condurre all’esclusione di imprese,
in quanto costituisce primario interesse pubblico la più ampia partecipazione
alle gare [10].
Solo un’ampia partecipazione consente di tutelare due precisi valori guida,
riconosciuti pure in sede comunitaria: - Il valore della concorrenza, da non
alterare per questioni puramente formali; - Il valore della ricerca
dell’offerta più conveniente, tutelabile solo per la più ampia
partecipazione alle gare.
L’Istituto
della verifica a campione è, indubbiamente, interessante, seppur di non facile
applicazione. Per tale ragione, oltre che per le esigenze di tutela dei diversi
interessi pubblici prima evidenziati, talora in potenziale conflitto fra di
loro, si resta in attesa di nuovi pronunciamenti nella speranza di ottenere
preziosi chiarimenti, per l’agire di una Pubblica
Amministrazione sempre più trasparente e democratica.
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Bibliografia:
1)
AA. VV., Commento alla legge quadro sui lavori pubblici sino alla
Merloni Ter, a cura di L. Giampaolino, M.A.
Sandulli e G. Stancanelli, Milano 1999.
2)
B.
Bosetti, La nuova legge sui lavori pubblici,
Trento 1999.
3)
F.
Caringella, C. Barbarossa, S. Carra, A. Pagano, Il nuovo volto degli
appalti pubblici, Napoli 1999.
4)
A. Mascolini, La Merloni/Ter, Il primo commento alla nuova legge
Merloni, Carocci Editori 1999.
5)
M.
Miguidi, I lavori pubblici dopo la Merloni Ter, Milano
1999.
6)
F. Petullà,
Le nuove regole per gli appalti, La legge Merloni Ter, EPC
Libri 1999.
7)
A. Tabarrini e L. Tabarrini, Le nuove norme in materia di lavori
pubblici, commento alla Merloni Ter, Rimini
1999.
8)
D. Tassan Mazzocco , C. Angeletti, M. Zoppolato, Legge quadro sui
lavori pubblici (Merloni Ter), Milano 1999.
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[1]
Art. 10 I comma quater della legge 109/1994: I
soggetti di cui all’art. 2 comma 2, prima di procedere all’apertura
delle buste delle offerte presentate, richiedono al numero di offerenti non
inferiore al 10% delle offerte presentate, arrotondato all’unità
superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni
dalla data della richiesta medesima, il posseso dei requisiti di capacità
economico- finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto
bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero
non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o
nell’offerta, i soggetti aggiudicatori procedono all’esclusione del
concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria
e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti
di cui all’art. 4, comma 7, nonché
per l’applicazione delle misure sanzionatorie di cui all’art. 8,
comma 7. La suddetta richiesta è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni
dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all’aggiudicatario ed al
concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi
fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso in cui essi non forniscano la
prova o non confermino le loro dichiarazioni, si applicano le suddette
sanzioni e si procede alla determinazione della nuova soglia di anomalia
dell’offerta ed alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione.
[2]
Art. 353 c.p.: 1 - Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o
altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o
nelle licitazioni private per conto di Pubbliche Amministrazioni, ovvero ne
allontana gli offerenti, è punito con la reclusione fino a due anni e con
la multa da £ 200.000 a £ 2.000.000. 2 – Se il colpevole è persona
preposta dalla legge o dalla autorità agli incanti o alle licitazioni
suddette, la reclusione è da 1 a 5 anni e la multa da £ 1.000.000 a £
4.000.000. 3 – Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel
caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico
ufficiale o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà. Per
quanto riguarda la condotta incriminabile, si vedano le seguenti
interessanti sentenze:- Il reato di turbata libertà degli incanti sussiste non solo quando, con
l’uso di uno dei mezzi previsti dall’art. 353 c.p., la gara non può
essere effettuata rimanendo deserta, ma anche quando non si impedisce lo
svolgimento della gara ma se ne disturba la regolarità, influenzandone o
alterandone il risultato che, senza l’intervento perturbatore, avrebbe
potuto essere diverso (Cassazione Penale, sez. VI, n. 9845 del
20.09.91); - Il reato di turbata
libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p., può commettersi, oltre
che nei modi specificamente tipizzati in detta norma (violenza, minaccia,
doni, promesse, collusioni), anche con mezzi fraudolenti diversi dalla
collusione e non individuati nominativamente dal legislatore. Anche il
mendacio può costituire mezzo fraudolento quando provenga dagli organi
addetti ai pubblici incanti o preposti a una fase qualsiasi dall’iter
formativo del relativo procedimento concorsuale (Cassazione Penale, sez.
VI n. 8259 del 30.08.1993). Per
un esame più approfondito: L. Ferrajoli I
reati in materia di appalti, ediz. Sole 24 Ore 1997.
[3]
Non bisogna dimenticare che l’art. 11 I comma del D.P.R. 403/1998 prevede
espressamente la possibilità di controlli a campione sulla veridicità
delle dichiarazioni.
[4]
D. Tassan Mazzocco, C. Angeletti, M. Zoppolato, Legge
quadro sui lavori pubblici (Merloni Ter), Milano, 1999, pag. 108.
[5]
B. Bosetti, La nuova legge sui lavori pubblici, ed. ICA, 1999, pag. 86.
[6]
M. Miguidi, I lavori pubblici dopo la Merloni ter, Giuffrè 1999, pag. 211.
[7]
L’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha emanato, in data
30/03/2000, l’atto di regolazione n. 15/2000, con il quale ha chiarito
talune questioni relative alla verifica a campione, affermando che: - Il
procedimento di verifica è obbligatorio per tutte le gare con almeno due
concorrenti; - Il procedimento di verifica non ha luogo nel caso di
trattativa privata, pur se la medesima sia preceduta da una gara informale;
- La determinazione del numero delle imprese, da assoggettare a verifica,
deve avvenire con riferimento alle domande di partecipazione che siano state
previamente considerate ammissibili; - Il termine dei 10 giorni, entro il
quale occorre documentare i requisiti indicati, è da considerare come
perentorio ed improrogabile; - E’ possibile comprovare i requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi mediante autocertificazione,
con riferimento a quei soli dati e fatti risultanti da certificati che in
alternativa potrebbero essere rilevati da uffici pubblici; - Non è
possibile l'ammissione con riserva alla gara
di partecipanti sorteggiati, che non abbiano comprovato il possesso
dei requisiti.
[8]
La comunicazione di avvio del procedimento è stata oggetto di un vasto
interesse da parte della dottrina; in particolare: G. Virga
La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998; R.
Caravita e L. Ferraris, La
partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2000.
[9]
Non può dichiararsi l’esclusione di
un concorrente da una gara per l’aggiudicazione di un contratto di appalto
per irregolarità documentali di ordine puramente formale, non determinanti
sostanziali alterazioni del procedimento, purché l’irrituale
presentazione di documenti non contrasti con le espresse prescrizioni del
bando di gara o della lettera di invito “a pena di esclusione”
(Consiglio di Stato, sez. VI, n. 600 del 28.04.1994). Il
principio, in virtù del quale l’esclusione da una gara per inosservanza
delle formalità delle offerte può essere comminata solo se le relative
prescrizioni rispondano ad un particolare interesse della P.A. e
garantiscono la parità dei concorrenti, ha un mero carattere suppletivo,
perché opera soltanto laddove una formalità non sia espressamente prevista
a pena di esclusione dalla gara. In tal caso, vige il diverso principio
della imperatività dell’atto amministrativo ed il criterio teleologico
recede di fronte al criterio formale (Consiglio di Stato, sez. V, n.
1277 del 07.09.1995).
[10]
Da ultimo : L’invito a regolarizzare la documentazione prodotta nella gara per
l’aggiudicazione di un contratto della P.A., ancorchè codificato in una
normativa avente un oggetto ben definito (art. 21 D.Lgs. 406/1991),
costituisce istituto di carattere generale, che nella sua concreta
applicazione incontra il solo limite del rispetto della “par condicio”
delle imprese partecipanti, atteso che la sua ratio va individuata
nell’esigenza di pubblico interesse di assicurare la massima
partecipazione alla gara e di evitare che l a detta esigenza possa essere
compromessa da carenze di ordine veramente formale nella documentazione
comprovante il possesso dei prescritti requisiti di partecipazione (Consiglio
di stato, sez. V, n. 177 del 17/02/1999).