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MASSIMILIANO ALESIO
(Avvocato -
Segretario Generale del Comune di Agnadello -CR)
I servizi pubblici locali: peso
della tradizione
e nuovo assetto delineato dalla Finanziaria 2002
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SOMMARIO: 1. Premessa; 2. Il servizio pubblico: dibattito e nozione; 3. I modelli gestionali nella L. 142/1990 e nei successivi "assestamenti"; 3.1. L'azienda speciale e le società miste; 4. Il nuovo assetto delineato dalla Legge Finanziaria 2002. Il quadro delle aspettative; 4.1. I servizi pubblici locali di rilevanza industriale; 4.2. I servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale; 4.3. La proprietà e la gestione degli impianti e delle reti; 4.4. Il Regolamento governativo; 4.5. Ulteriori questioni.
1. PREMESSA
A più di dieci anni dalla riforma dei servizi pubblici locali, operata dalla Legge 8 giugno 1990 n. 142, al capo VII, articoli 22 e 23, il legislatore nazionale, dopo gli infruttuosi tentativi di dar luogo ad una organica legislazione di revisione della materia (1), è intervenuto, attraverso un apposito articolo, il 35, della Legge Finanziaria 2002, n. 448 del 28/12/2001 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato). La scelta di ridisciplinare un delicato settore, quale quello dei servizi pubblici locali, attraverso un solo, pur se ponderoso, articolo trova comprensione in più di una ragione.
In primo luogo, è evidente che l'inserimento all'interno della Legge Finanziaria annuale assicura una maggiore probabilità di successo, in quanto ogni singola norma contenuta, pur se scollegata dalle altre, riguardo ai profili di contenuto e materia, viene funzionalizzata al perseguimento di finalità di ordine generale, le quali giustificano e favoriscono un'approvazione, talora non troppo meditata.
In secondo luogo, proprio l'inserimento della materia nella Legge Finanziaria sembra tradire l'intenzione di dar luogo non ad una vera e nuova riforma, ma ad un nuovo assetto, non definitivo (semmai esistesse qualcosa di definitivo nel vasto campo del diritto amministrativo!) (2), bensì provvisorio e destinato ad essere modificato entro un periodo di tempo non breve.
Infine, non appare arduo il palesare la sussistenza di ragioni di urgenza, le quali certo non potevano dar luogo ad un intervento di decretazione d'urgenza, da ricollegare, fra l'altro, all'incessante "normazione di supplenza", posta in essere dalla giurisprudenza.
Dunque, un intervento normativo, forse, destinato ad essere nuovamente rivisitato, il quale contiene, invero, indubbie novità.
E' oltremodo necessario, prima di esaminare l'articolo 35, analizzare l'oramai pregressa disciplina dei moduli gestionali, facendola precedere da un doveroso accenno circa il dibattito e la nozione di "servizio pubblico", i quali costituiscono tuttora temi imprescindibili per qualsiasivoglia pretesa interpretativa.
Infatti, non può non essere osservato che il dibattito e l'incessante ricerca di una convincente nozione di servizio pubblico, oltre alle modifiche di disciplina intervenute, costituiscono un assetto tralatizio, il quale, in considerazione pure delle connesse opzioni politiche e, talora, ideologiche, rappresenta un dato storico-giuridico (il peso della tradizione) non solo difficilmente superabile, ma invero prezioso, al fine di evitare pericolose "fughe verso l'ignoto".
2. IL SERVIZIO PUBBLICO: DIBATTITO E NOZIONE
Il dibattito sui servizi pubblici locali ha conosciuto un momento di ampia rilevanza con la crisi dello Stato sociale. L'interruzione del processo di crescita economica, avutosi agli inizi degli anni 70', determinò un notevole rallentamento del processo di crescita sociale. Il rivolgimento del sistema monetario internazionale, la crisi energetica, conseguente al primo schock petrolifero, determinarono un lungo periodo di stagflazione, cioè un periodo di compresenza di stagnazione ed inflazione.
L'andamento recessivo dell'economia influenzò negativamente la politica sociale, impedendogli di promuovere interventi di ampio respiro, come era accaduto precedentemente. Ovviamente, tali avvenimenti non potevano non avere ripercussioni sulla gestione dei servizi pubblici locali e, difatti, proprio in quegli anni prese piede un interessante dibattito circa i modelli di gestione ed il ruolo dei servizi pubblici locali in una società moderna.
Era chiaro che, in periodo di recessione, realizzandosi un minor afflusso di risorse ai bilanci delle Pubbliche Amministrazioni, occorreva trovare "nuove strade", alternative alla scelta fra riduzione della gamma dei servizi offerti ed aumento degli oneri relativi ai servizi. Il dibattito evidenziava, come nuova strada, quella della riorganizzazione dei servizi pubblici secondo modelli più efficienti, capaci di garantire all'incirca i medesimi livelli quantitativi e qualitativi dei servizi offerti, pur in presenza di una netta contrazione delle risorse disponibili. In altri termini, acquisiva autorevolezza e credito l'idea che, elaborando modelli di gestione più efficienti, era possibile far assumere un ruolo del tutto nuovo ai servizi pubblici: non più solo strumenti di equità sociale e redistributiva, ma pure elementi, sia di collegamento fra le diverse parti del sistema produttivo, che di impulso per lo sviluppo economico generale.
Successivamente, il dibattito, pur non trascurando gli argomenti di studio precedenti, ed anzi in coerenza con questi, si è in parte spostato su due precise problematiche: il rapporto servizi pubblici locali - crescita non equilibrata dell'economia; il rapporto servizi pubblici locali - Enti Locali.
Tralasciando la prima problematica (3), non integralmente afferente il discorso sui nuovi assetti gestionali, val la pena far qualche accenno alla seconda.
L'organizzazione giuridica degli Enti Locali affonda le sue radici, le sue linee portanti, nel modello di Stato centralizzato, di ispirazione bonapartista, che vedeva nei Comuni la periferia dell'organizzazione statale, atta a costituire una solida rete di contenimento delle forze centrifughe. Tale modello, ampiamente utilizzato al momento della costituzione del Regno d'Italia, venne esasperato dal fascismo nel ventennio di esaltazione dello Stato Centrale.
Negli ultimi decenni, com'è è ben noto, gli Enti Locali hanno cambiato completamente il loro modo di essere, abbandonando l'atteggiamento di ausiliarietà rispetto allo Stato e costruendo nei fatti la loro autonomia politica. Contemporaneamente all'affermarsi di una piena maturità politica delle Autonomie Locali, prendeva sempre più piede, in termini di raggiunta consapevolezza, un altro aspetto degli Enti Locali: l'aspetto produttivo, cioè come produttore di beni e servizi a vantaggio della collettività: Occorre subito dire che "il profilo produttivo" non costituisce certo cosa nuova per la realtà dei Comuni e delle Provincie. Ciò che fu davvero nuova fu la consapevolezza piena dell'importanza di tale settore e degli inevitabili riflessi, che ciò produceva in termini di rinnovamento delle vetuste strutture organizzative. Ecco che diventa centrale il discorso sui modelli gestionali, sulle migliori forme di gestione dei servizi pubblici locali. L'acquisita maturità politico-amministrativa, la presa di coscienza integrale dell'importanza del "settore produttivo" genera l'inevitabilità di un ampio dibattito sulla gestione, che a tutt'oggi non è certo concluso.
Lunga e ricca è la ricerca dottrinaria relativa alla nozione di "servizio pubblico" (4).
Tralasciando l'elaborazione dottrinaria del periodo precedente al secondo conflitto mondiale, occorre osservare che l'avvento del sistema costituzionale democratico non poteva non esplicare effetti sulla complessa problematica del servizio pubblico. Il punto di partenza per la ricerca fu rappresentato dall'articolo 43 della nuova Carta Costituzionale (5).
L'articolo 43 è l'unica norma costituzionale che si occupa dei servizi pubblici, e se ne occupa incidentalmente, disciplinando le collettivizzazioni (6). Gli oggetti delle collettivizzazioni sono le imprese in tre situazioni diverse: imprese in situazioni di monopolio; imprese relative a fonti di energia, imprese relative a servizi pubblici essenziali. Le prime due ipotesi sono semplici; non facile è, invece, la terza ipotesi, la quale comporta la prospettazione di un arduo problema: a quale nozione di servizio pubblico si riferisce la norma costituzionale ?
A tale interrogativo rispose Umberto Pototschnig, con un accurato studio (7) del 1964. Lo studioso sostenne che, al fine di delineare la nozione di servizio pubblico, occorre considerare la Costituzione nella sua interezza e, in particolare, il titolo III, dedicato ai rapporti economici. Pototschnig ritenne necessario ricollegare l'art. 43 Cost. con l'art. 41 III comma Cost., il quale dispone che la legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Il collegamento non è assolutamente fuori luogo, dal momento che l'art. 41 definisce l'ambito di applicazione del successivo art. 43, per cui, sosteneva Pototschnig, si può affermare che il servizio pubblico dipende dalle scelte del legislatore. In altri termini, il servizio pubblico è l'attività che il legislatore disciplina come tale per orientarla a fini sociali. Grazie allo studio di Pototschnig, la cosiddetta teoria oggettiva del servizio pubblico (o nozione di servizio pubblico in senso oggettivo) acquisisce forza e rilevanza, accanto alla mai tramontata tesi soggettiva, secondo la quale il servizio pubblico è costituito dall'esercizio di attività non autoritativa, assunta da un pubblico potere.
La teoria soggettiva venne accusata di essere incapace di cogliere gli esiti degli sviluppi normativi, orientati nel senso del disancoramento della gestione del servizio pubblico dal dato soggettivo necessariamente, o anche solo preferibilmente, pubblicistico. Alla base della teoria oggettiva, si pone il rilievo che, al pari delle funzioni pubbliche, anche le attività non autoritative di oggettivo rilievo collettivo possono essere esercitate, oltre che dalla P.A., anche da altri soggetti, operanti nella loro autonomia, attraverso la predisposizione di un'organizzazione economico-imprenditoriale (8).
Per quanto riguarda i servizi pubblici locali, è evidente che il legislatore ha voluto compiere uno sforzo di mediazione fra le due tesi, mutuando da ognuna delle due salienti rilievi. Infatti, l'articolo 112 I comma del D. Lgs. 267/2000 (9), accede, sostanzialmente, ad una nozione mista: da un lato, focalizza l'attenzione sul ruolo dell'Ente Locale, il quale deve provvedere alla gestione dei servizi (10), dall'altro tenta di delineare un qualche contenuto del servizio pubblico, affermando che esso deve avere per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali (11).
Attualmente, la dottrina, recependo l'influenza francese, afferma che il servizio pubblico presenta i seguenti essenziali caratteri: - attività di interesse generale; - attività svolta sotto l'egida di una P.A.; - l'attitudine del servizio ad adattarsi ai nuovi bisogni; - regime giuridico speciale, il quale implica l'obbligo della continuità del servizio e l'eguaglianza, oltre che il pieno accesso al medesimo.
3. I MODELLI GESTIONALI NELLA L. 142/1990 E NEI SUCCESSIVI "ASSESTAMENTI"
L'articolo 113 del D. Lgs. 267/2000, ora interamente sostituito dall'articolo 35 della L. n. 448 del 28/12/2001 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), Legge Finanziaria 2002, prevedeva i seguenti modelli di gestione dei servizi pubblici locali.
Gestione DIRETTA IN ECONOMIA, quando, per la modesta entità delle prestazioni e per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno costituire una Azienda o una Istituzione.
La gestione diretta in economia è caratterizzata dal fatto di essere esercitata dagli organi ordinari dell'Amministrazione locale, senza alcuna forma di autonomia. Conseguentemente, tale modello presenta delle caratteristiche del tutto peculiari: - il personale è quello comunale, o provinciale; - non ha un proprio bilancio, dal momento che le sue entrate e le sue uscite fanno parte integrante del bilancio comunale, pur se iscritte nella parte relativa alla contabilità speciale; - i provvedimenti relativi al servizio sono provvedimenti tipici dell'Ente Locale, per cui sono sottoposti alla relativa disciplina.
Gestione in CONCESSIONE A TERZI, quando sussistono ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale.
In linea generale, le ragioni che inducono a preferire tale modulo gestionale sono di natura tecnica, e si ricollegano alla difficoltà di reperire personale specializzato e tecnologie appropriate per lo svolgimento di date attività. In particolare, le ragioni di natura economica attengono ai probabili risparmi di spesa, che il modello dovrebbe far conseguire in taluni casi, mentre le ragioni di opportunità sociale sono da valutarsi, di volta in volta, in relazione alla singola specie di servizio. Secondo autorevole dottrina (12), le concessioni di pubblico servizio sono formule organizzatorie e non concessioni in senso proprio. In esse, si ha una scissione fra la titolarità del servizio e delle connesse attività, che spetta e rimane all'Ente concedente, e l'esercizio che viene trasferito al concessionario privato.
La separazione fra titolarità ed esercizio è elemento caratterizzante e distintivo della concessione di pubblico servizio, la quale può essere considerata una versione pubblicistica del rapporto di appalto o di agenzia, tipici del diritto privato. Il privato concessionario non imputa nulla (né atti, né attività, né risultati) all'Ente concedente, il quale esercita sul concessionario diverse potestà: potestà di direzione, di vigilanza di intervento repressivo, di intervento sostitutivo, di riscatto, etc.
D'altronde, il rischio di impresa resta integralmente a carico del concessionario (13). Per quanto concerne la scelta del concessionario, la giurisprudenza unanime ha sempre ritenuto doveroso procedere all’indizione di un'asta pubblica, così come previsto dall'articolo 267 del R.D. 1175/1931, il quale prevede la possibilità di ricorrere alla licitazione privata ed alla trattativa privata come residuale ed eccezionale (14).
Gestione a mezzo di ISTITUZIONE, quando lo svolgimento del servizio, di natura sociale, implichi un’attività non imprenditoriale. L'Istituzione costituisce un organismo strumentale dell'ente locale, dotato di autonomia gestionale, ma privo di personalità giuridica. Tale modulo organizzativo presenta elementi di difformità e di similitudine con l'azienda speciale. A differenza di quest'ultima, l'istituzione non esercita servizi di natura imprenditoriale, non ha personalità giuridica, né potestà regolamentare. Dell'azienda, invece, presenta la medesima organizzazione ed un'autonomia gestionale tendenzialmente simile (15).
Il principale problema teorico posto dal modello di gestione attiene alla nozione "servizi sociali", indubbiamente sfuggevole. Infatti, nella realtà è risultato difficile distinguere nettamente fra servizi imprenditoriali e servizi sociali, in quanto risulta arduo pensare all'esistenza di un servizio sociale non avente rilevanza imprenditoriale.
Forse, "servizio sociale senza rilevanza imprenditoriale" vuol significare servizi senza scopo lucrativo, sempre che un vero lucro sia rinvenibile nei servizi di tipo industriale, oppure servizi per i quali non è previsto un corrispettivo. Il problema è stato in parte risolto dallo stesso legislatore nazionale, il quale all'articolo 128 comma II del D. Lgs. 112/1998, a cui fa espresso rinvio l'articolo 1 comma II L. 238/2000 (16) (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), stabilisce che per "servizi sociali", si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
Dunque, una nozione di servizi sociali, che supera definitivamente la vecchia concezione che collegava indissolubilmente la "socialità" di un'attività a fasce di persone ritenute marginali e verso specifiche categorie economiche e sociali. L'accento della definizione ora illustrata è, invece, sulla finalità di assicurare il benessere "psico-fisico" della persona, riconoscendo l'esigenza di fornire servizi per il superamento delle varie situazioni di bisogno e di difficoltà, non solo economica, che ostacolano tale obiettivo. Ben vero, anche la giurisprudenza ha recepito tale nozione, invero anticipandola per taluni aspetti: I servizi sociali, per i quali è obbligatoria la forma dell'istituzione, sono quei servizi che esulano dall'ambito dei servizi cosiddetti "produttivi" (energia elettrica, gas, rifiuti, trasporti), contenendo spiccati caratteri di socialità, quali mense, asili nido e biblioteche (TAR Lazio, sez. I, n. 1.512 del 30/09/1997).
Prima di occuparci delle aziende speciali e delle società miste, è opportuno trattare sinteticamente le linee generali di due modelli di gestione, quali le convenzioni ed i consorzi, i quali, pur non essendo catalogate dal vecchio articolo 113 come forme di gestione, sostanzialmente lo sono lo stesso, seppur in forma associativa, stante l'esplicito richiamo della normativa di riferimento ai servizi. Infatti, l'articolo 30, nel disciplinare le convenzioni, stabilisce che gli enti locali danno vita a loro, al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati. Parimenti, l'articolo 31, in tema di consorzi, prevede la loro costituzione proprio per la gestione associata di uno o più servizi, oltre che per l'esercizio associato di funzioni. Inoltre, non deve essere dimenticato che tali modelli sono attualmente del tutto validi e vigenti, in quanto non sono stati "toccati" dall'articolo 35 della Legge Finanziaria 2002.
Gestione a mezzo di CONVENZIONI. L'articolo 30 del D. Lgs. 267/2000 prevede le convenzioni, come accordi organizzativi, cui accedono gli enti locali, al fine di far fronte ad esigenze di collaborazione, grazie al coordinamento gestionale nell'esercizio di funzioni, servizi ed attività, senza che sia necessario realizzare una nuova e stabile struttura organizzativa dotata di personalità giuridica. Per quanto concerne la natura giuridica, va osservato che, in linea generale, le convenzioni sono contratti di diritto privato, pur se presentanti ovvi rilievi pubblicistici, dovuti alla natura dei soggetti pubblici stipulanti ed ai fini pubblici da perseguire. La funzione di modello gestionale di pubblici servizi locali è confermata dallo stesso legislatore, il quale, oltre alle convenzioni facoltative, prevede pure le convenzioni obbligatorie, che si hanno, appunto, quando lo Stato o la Regione, per le materie di rispettiva competenza, individuano con legge i casi in cui occorre procedere ad una convenzione per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio, oltre che per la realizzazione di un'opera.
Gestione a mezzo di CONSORZI. L'articolo 31 del D. Lgs. 267/2000 prevede i consorzi quali strutture associative, dotate di personalità giuridica, costituite dagli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi o funzioni. La funzione di modello gestionale dei consorzi viene confermata dalla giurisprudenza, anche recente: IL consorzio rappresenta uno dei possibili strumenti a gestione associata di uno o più servizi pubblici, indipendentemente dalla natura degli stessi, in quanto la forma consortile è la sola che consenta lo svolgimento del servizio per il tramite di un soggetto giuridicamente distinto dai consorziati (TAR Toscana, sez. I, n. 105 del 03/03/1999). Il legislatore riconosce agli enti locali ampio margine di valutazione circa l'opportunità di riunirsi in consorzio (consorzio facoltativo), provvedendo, preliminarmente, alla stipulazione di una convenzione. Tuttavia, occorre riconoscere che il consorzio costituisce un modello in via di superamento, e ciò viene espressamente confermato dal legislatore, il quale all'articolo 273 comma IV D. Lgs. 267/2000 richiama il vecchio articolo 60 L. 142/1990, recante l'obbligo di procedere alla revisione od anche alla soppressione dei consorzi esistenti.
3.1. L'AZIENDA SPECIALE E LE SOCIETA' MISTE
In relazione alla complessità delle problematiche ed alle connessioni intercorrenti, è opportuno procedere ad una trattazione distinta per le aziende speciali e per le società miste.
Gestione a mezzo di AZIENDA SPECIALE, quando lo svolgimento del servizio implica un’attività imprenditoriale, anche relativa a più servizi, caratterizzata da snellezza, managerialità ed economicità.
Nella nuova disciplina, introdotta a suo tempo dalla L. 142/1990, l'azienda speciale, ex azienda municipalizzata, è un ente strumentale dell'Ente Locale, dotata di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto. L'attribuzione della personalità giuridica ha rappresentato una tappa fondamentale dell'evoluzione dell'azienda verso un modello che punti alla costituzione di un'impresa pubblica locale efficiente e funzionalmente responsabile. Le aziende speciali possono essere ricomprese nell'ambito degli Enti Pubblici Economici, in quanto, pur sottoposte a poteri di indirizzo e vigilanza da parte dell'Ente territoriale, sono dotate di incisive autonomie. Il legislatore ha, infatti, attribuito alle stesse una particolare snellezza operativa, al fine di soddisfare al meglio gli interessi pubblici affidati.
Due sono le problematiche di maggior interesse e di perdurante attualità, che hanno interessato le aziende speciali.
In primo luogo, ci si è posti il problema se l'azienda potesse operare al di fuori del territorio di riferimento. Invero, il problema è stato posto, e si pone tuttora anche per le società miste, per cui è ben possibile addivenire ad una trattazione unitaria del problema (17).
Infatti, se è vero che, in riferimento alle Aziende speciali occorre verificare l’attuale vigenza dell’art. 5 del D.P.R. 902/1986, per le Società miste occorre, parallelamente, verificare la sussistenza di un “eventuale collegamento legittimante”, il quale deve essere presente anche nel caso delle Aziende speciali, proprio in virtù della norma or ora richiamata. Per quanto concerne più strettamente le Aziende speciali, come prima si anticipava, occorre verificare se l’art. 5 citato sia ancora attualmente in vigore, oppure sia stato abrogato dal successivo art. 24 della L. 142/1990, ora art. 30 del D. Lgs. 267/2000, il quale disciplina le convenzioni fra Enti Locali. L’art. 5 del D.P.R. 902/1986 stabilisce che il Comune può deliberare l’estensione dell’attività della propria Azienda di servizi al territorio di altri Enti Locali, previa intesa con i medesimi, sulla base di preventivi di impianto e di esercizio formulati dall’Azienda stessa. Il problema dell’attuale sopravvivenza dell’attuale art. 5 non è di poco conto, in quanto, se la norma fosse stata abrogata, ai fini dell’estensione dell’attività di una Azienda speciale in un altro Comune, basterebbe una semplice convenzione senza la necessaria presenza di “quel collegamento funzionale”, di cui la giurisprudenza si è a lungo intrattenuta e tuttora si intrattiene.
Secondo un orientamento fortemente minoritario, la norma dell’art. 5 non esiste più, per cui l’estensione è possibile sulla base di una singola convenzione. La tesi fu sostenuta dal T.A.R. Piemonte (sez. II, n. 373 del 29/06/1995), affermando che l’Azienda speciale può liberamente partecipare alla licitazione privata per l’affidamento della gestione del servizio pubblico di un altro Comune. La tesi trova altri cenni nella giurisprudenza (T.A.R. Veneto, sez. I n. 1304 del 11/08/1997; T.A.R. Sardegna n. 1257 del 10/10/1997; T.A.R. Veneto, n. 266 del 03/03/1999) ed, invero, trova anche una recente conferma in una sentenza del T.A.R. Campania, sez. Salerno (n. 520 del 16/11/1999), laddove si afferma che lo svolgimento del servizio tramite Azienda speciale di un altro Comune non richiede necessariamente la creazione di un consorzio, ben potendo essere realizzata anche per il tramite di una convenzione fra Enti.
Secondo la tesi maggioritaria, invece, l’art. 5 è tuttora vigente, per cui non è possibile l’estensione sulla base di una semplice convenzione.
La tesi è stata esposta nella fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 475 del 23/04/1998, laddove venne statuito che l’Azienda municipalizzata di un Comune può anche estendere il proprio servizio in un altro Comune, ma a patto che ciò realizzi una integrazione funzionale della propria attività con quella del Comune vicino, sicchè vengano in tal modo soddisfatte anche le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’Ente che l’ha costituita. Una originaria specificazione del collegamento funzionale era stata già effettuata dal Consiglio di Stato, sez. V, n. 174 del 14/11/1996, laddove si evidenziava l’imprescindibilità, ai fini dell’estensione, di un collegamento funzionale fra il servizio eccedente l’ambito locale e la necessità della collettività locale. La tesi è stata, poi, più volte confermata (Consiglio di Stato, sez. V, n. 432 del 06/04/1998; T.A.R. Marche n. 146 del 12.02.1999; Consiglio di Stato, sez. V, n. 631 del 11.06.1999; T.A.R. Liguria, n. 475 del 30.09.1999; T.A.R. Lombardia – Milano, sez. III, n. 3687 del 15/11/1999; T.A.R. Lombardia – Brescia, n. 8 del 14/01/2000), fino ad arrivare a due ulteriori e recenti pronunce confermative: una del Consiglio di Stato, sez. V, n. 1520 del 20/03/2000 e l'altra del T.A.R. Emilia-Romagna – Parma, n. 422 del 11/09/2000.
Per quanto concerne le Società miste, come prima si diceva, la problematica è alquanto similare, stante la necessità, anche in tale caso, della presenza di un collegamento funzionale. Ciò è confermato dalla giurisprudenza; si veda ad esempio: T.A.R. Liguria, n. 475 del 30/09/1999, ove si afferma che l’estensione dell’attività di una società a prevalente capitale pubblico al di fuori del territorio dell’Ente Locale che l’ha costituita presuppone, comunque, un collegamento funzionale, anche se non territoriale, tra il servizio eccedente l’ambito locale e la necessità della collettività locale, collegamento che non può essere ridotto al puro dato dell’interesse imprenditoriale.
Tuttavia, una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (sez. V, n. 4.586 del 03/09/2001) ha operato un sostanziale ribaltamento dei pregressi orientamenti, affermando che la società mista può operare anche al di fuori del territorio degli enti di riferimento, a condizione che tale impegno extraterritoriale non distolga, in concreto, risorse e mezzi dal compito primario, senza apprezzabili ritorni di utilità per le collettività di riferimento. In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, il vincolo funzionale che lega la società mista alle collettività assume carattere residuale rispetto ad un soggetto, quale la società mista medesima, imprenditoriale di diritto privato, e va valutato al fine di evitare che l'attività extraterritoriale possa arrecare pregiudizio a quella principale (18).
Il secondo fondamentale ed attuale problema, che investe le aziende speciali, è rappresentato dalla necessità di addivenire alla trasformazione delle medesime in società miste, ed alla relativa procedura. Invero, occorre subito evidenziare che il problema è stato in gran parte risolto dal legislatore nazionale, il quale, con la L. 127/1997, ora recepita dall'articolo 115 D. Lgs. 267/2000, ha introdotto una procedura chiara e semplificata.
Prima della L. 127/1997, introduttiva della procedura speciale, il passaggio da azienda speciale a società mista era indubbiamente difficile. Il problema di fondo è che, da un punto di vista meramente teorico, sussistono difficoltà a trasformare una persona giuridica, quale l’azienda speciale, in un’altra persona giuridica, la società mista. La difficoltà teorica era dovuta principalmente al fatto che non esisteva nell’ordinamento alcuna norma che disciplinasse una procedura di tale genere. Conseguentemente, mancando una normativa ad hoc, occorreva seguire una procedura lunga e complicata (19).
Con la Legge 127/1997 (ora, art. 115 D. Lgs. 267/2000), è stata introdotta una procedura fortemente semplificata ed ispirata da un chiaro favor nei riguardi della trasformazione delle aziende. A tal proposito, si pensi ai diversi e rilevanti benefici fiscali previsti. La prima fase della nuova procedura prevede l’approvazione della deliberazione di trasformazione, quale atto d’inizio della procedura. Dunque, la trasformazione dell’azienda speciale per giungere poi alla costituzione della società prende origine da un atto unilaterale, fatto indubbiamente innovativo in tema di costituzione di società, la quale, invece, ha alla propria base un contratto associativo. La deliberazione di trasformazione tiene, infatti, luogo di tutti gli adempimenti in materia di costituzione delle società previsti dalla normativa civilistica. Per un periodo non superiore a due anni, il Comune può rimanere socio unico azionista (20).
Durante tale periodo, il Comune deve cercare altri soci privati e pubblici, per la necessaria estensione della compagine sociale. Il termine di due anni è da intendersi come perentorio, in quanto la possibilità prevista di rimanere socio unico azionista, in favore del Comune, è considerata come derogatoria, rispetto al modello teorico di gestione, che esige come imprescindibile corollario la partecipazione di più soggetti. Altra peculiarità della nuova procedura è la possibilità, attribuita al Comune, di determinare il capitale iniziale della costituenda società in maniera unilaterale, mediante una stima contenuta nella stessa deliberazione di trasformazione.
La determinazione unilaterale del Comune incontra, però, un limite, nel senso che il valore non può essere inferiore al fondo di dotazione dell’azienda speciale, risultante dall’ultimo bilancio di esercizio approvato, e comunque in misura non inferiore all’importo minimo per la costituzione delle società medesime. L’art. 115 prevede, inoltre, che l’eventuale residuo del patrimonio netto conferito è imputato a riserve e fondi, preservando, se possibile, le denominazioni e le destinazioni originarie. Importante e fondamentale corollario della procedura di trasformazione è rappresentato dal subingresso della costituenda società in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi dell'azienda speciale.
Dunque, tutti i diritti e gli obblighi, sussistenti ed antecedenti alla trasformazione, rimangono in vita e sono imputati alla società mista. Entro tre mesi dalla costituzione della società, gli amministratori debbono procedere alla definitiva determinazione del patrimonio, richiedendo ad un esperto, designato dal tribunale, una relazione giurata, ai sensi dell’art. 2343 I c. del codice civile. Entro i successivi sei mesi dal recepimento di tale relazione, gli amministratori determinano i valori definitivi di conferimento. Una volta determinati questi, è possibile procedere alla vendita delle azioni. La particolare procedura introdotta prevede pure la possibilità di una scissione di un ramo di azienda, con la destinazione della medesima ad una società di nuova costituzione.
Gestione a mezzo di SOCIETA' MISTE. La gestione in forma societaria dei servizi pubblici locali ha da sempre costituito un problema di non poco conto, in considerazione del fatto che il R. D. 2578/1925 (Approvazione del Testo Unico della legge sull'assunzione dei pubblici servizi da parte del Comune e delle Provincie) non menziona in alcun modo le società. Su tale mancata previsione normativa, la dottrina dominante, per lungo tempo, ha fondato il proprio orientamento negativo circa la possibilità di costituire società di capitali a partecipazione pubblica locale. Tale orientamento ha fruito pure del sostegno giurisprudenziale, consolidatosi con il parere n. 373 emesso dal Consiglio di Stato il 06/03/1956 (21).
Tuttavia, l'orientamento negativo non ha impedito il continuo e notevole diffondersi delle società a partecipazione pubblica locale, ed il mutar di opinione da parte della giurisprudenza. Difatti, la giurisprudenza amministrativa più recente, anche prima della L. 142/1990, che ha fornito una consacrazione formale del modulo gestionale, sosteneva l'ammissibilità, in base alla generale capacità di diritto privato dei Comuni (22).
In particolare, lo schema si era sviluppato in base alla constatazione che il ricorso alla struttura societaria consente alle autonomie locali di condividere il rischio di impresa con altri soggetti, fisiologicamente più abituati alla relativa sopportazione. Nel prendere atto dell'esistenza di tale modulo gestionale, la L. 142/1990 aveva originariamente coniato l'istituto della società per azioni a prevalente o totale partecipazione pubblica locale. Il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria era stato soppresso in seguito dalla L. 498/1992, la quale, all'articolo 12, aveva previsto la facoltà di costituire spa, senza il vincolo predetto. Inoltre, il testo originario della L. 142/1990 faceva esclusivo riferimento alle spa, come modulo organizzatorio di gestione dei servizi pubblici locali. Ne era sorto un problema interpretativo, il quale aveva impegnato sia la giurisprudenza che la dottrina (23). Il testo dell'articolo 22 L. 142/1990 venne, poi, riformulato, risolvendo in radice la questione, pur con il vincolo della prevalenza del capitale pubblico locale.
Discussa è risultata la natura giuridica delle società miste. Su tale punto, si è registrata una frontale contrapposizione, tra quanti ritenevano trattarsi di società di natura interamente privatistica, sottoposte esclusivamente alla disciplina delle società commerciali, e quanti, sottolineandone il carattere di specialità, reputano che quello societario era solo un paravento, dietro il quale si cela una struttura organicamente collegata all'ente locale, ossia un mero organo strumentale (24).
Il dibattito in questione si è, poi, esteso fino ad affrontare il problema se le società miste possano essere considerate come "organismi di diritto pubblico".
Prima di rispondere al quesito in esame, occorre chiarire il concetto di organismo di diritto pubblico.
L’art. 1 della Direttiva 93/37/CEE dispone che, per organismo di diritto pubblico, si intende qualsiasi organismo presentante i seguenti tre elementi:
- Deve essere istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale.
- Deve essere dotato di personalità giuridica.
- L’attività deve essere finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli Enti Pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure deve presentare una gestione soggetta ad un controllo da parte di questi ultimi soggetti, oppure deve avere un organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza costituito da membri, dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli Enti Pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Affinchè si abbia un organismo di diritto pubblico, occorre la compresenza di tutti e tre i citati elementi (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, C-44/96 del 15/01/1998).
La figura dell’organismo di diritto pubblico, è nata, in sede comunitaria, per l’evidente esigenza di dettare una disciplina il più possibile uniforme per realtà soggettive ed organizzative, quali quelle presenti nei singoli Stati membri, del tutto peculiari e diverse fra di loro.
Gli ultimi due elementi di identificazione non sono di difficile individuazione. Il problema, invece, è capire la natura intima del primo elemento, cioè quali siano questi bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale. Su tale problema, si è sviluppato un ampio dibattito, sia dottrinario che giurisprudenziale.
Taluni autori (Police, Gattamelata (25)) hanno fatto riferimento ad un criterio eminentemente formale, ed hanno sostenuto che si è in presenza di tali bisogni se la figura organizzativa pubblica non ha la forma della Società per Azioni, in quanto questa, a loro dire, è la forma tipica in cui si manifesta la natura industriale e commerciale di un organismo. La tesi esposta appare insufficiente, non solo perché formale, ma anche perché non chiarisce in alcun modo la natura dei bisogni in esame.
Secondo un’altra tesi (Virgilio (26)), si è in presenza di un organismo di diritto pubblico laddove il fine unico del medesimo sia quello di sopperire a talune necessità tipiche della collettività organizzata. Anche tale tesi è apparsa insufficiente. Invero, secondo la migliore concezione (Villata (27), Righi (28)), il carattere non industriale o commerciale va correlato ad attività non assoggettate a regole di mercato, per cui è possibile dire che l’organismo di diritto pubblico è quella figura organizzativa che, oltre a presentare gli altri due elementi visti, soddisfa specificamente bisogni di interesse generale, correlati ad attività non soggette alle regole concorrenziali.
Delineata questa definizione di organismo di diritto pubblico, vi è da dire che la netta maggioranza della dottrina afferma che le Società miste possono essere considerate a pieno titolo organismi di diritto pubblico. Anche la giurisprudenza conferma tale identificazione: la Società a totale partecipazione pubblica, costituita per la gestione di servizi pubblici, rientra nel novero degli organismi di diritto pubblico e, più in generale, delle amministrazioni aggiudicatrici (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1478 del 28/10/1998) (29).
Occorre evidenziare che un’attenta dottrina (Cammelli, Ziroldi (30)), pur affermando la possibilità dell’identificazione proposta, afferma che Società mista ed organismo di diritto pubblico danno luogo a due realtà sostanzialmente non omogenee. La posizione contraria è sostenuta da una sentenza della Corte di Cassazione (Cassazione Civile, SS.UU., n. 4991/1995), la quale espressamene statuisce che la S.p.A. a prevalente capitale pubblico non è un organismo di diritto pubblico, perché non difetta del fine di carattere industriale o commerciale, e pertanto non è tenuta all’applicazione della disciplina di attuazione delle Direttive Comunitarie, nel caso di affidamento a terzi di appalti di lavori, ancorchè relative ad opere strumentali al pubblico servizio.
Lo scontro fra le due correnti di pensiero ha favorito, poi, inevitabili divergenze in merito alle modalità di costituzione delle società: i sostenitori della tesi privatistica optano per la piena libertà di scelta degli azionisti privati da parte dell'ente locale; i fautori della tesi pubblicistica ritengono necessario lo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica.
In altri termini, il problema è il seguente: occorre seguire una procedura di gara, o altra tipologia di confronto concorrenziale, per la scelta dei soci privati?
In via preliminare, occorre anticipare che la schiacciante maggioranza, sia della dottrina che della giurisprudenza, sostiene la necessarietà della gara.
Per quanto concerne le società miste a prevalente capitale privato, l’indispensabilità della gara è espressamente consacrata nell’art. 12 della Legge n. 498/1992. La gara in tal caso dovrà svolgersi secondo le procedure previste dal DPR 533/1996. Il problema si pone, invero, per le società miste a prevalente capitale pubblico locale, per le quali la normativa nulla prevede.
Secondo la tesi dominante, come detto, anche nel caso delle società miste a prevalente capitale pubblico locale, occorre procedere a gara per la scelta del socio privato. Le argomentazioni che vengono avanzate a sostegno riguardano prevalentemente la necessarietà di tutelare valori costituzionali e paracostituzionali, quali la trasparenza e il buon andamento dell’azione amministrativa, oltre che il confronto concorrenziale. Nella sentenza TAR Piemonte, Sez. II, n. 159 del 21/03/1996, si afferma esplicitamente che la mancanza di una gara creerebbe una sorta di enclave soggetta ad un regime privatistico in un ambito da sempre di pertinenza di procedimenti amministrativi diretti a garantire il confronto concorrenziale, che solo assicura la trasparenza ed il buon andamento dell’amministrazione. Similari considerazioni furono effettuate anche dalla Sentenza TAR Toscana, Sez. II n. 580 del 18/08/1997, laddove si affermava che non sembra sussistere in alcun modo una qualche plausibile ragione per svincolare la ricerca dei soci privati da un criterio (quello della pubblicità, trasparenza e concorrenzialità nelle offerte), tipico delle procedure pubblicistiche in quanto preordinato a rendere effettive le garanzie di imparzialità e buona amministrazione, che debbono presiedere a qualsiasi scelta compiuta dagli amministratori pubblici.
La tesi è stata confermata altre volte (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 192 del 19/02/1998: la famosa sentenza A.M.G.A. S.p.a./Comune di Ventimiglia, ITALGAS ed altri; - Consiglio di Stato, Sez. V, n. 435 del 06/04/1998; - TAR Lombardia, Sez. III, n. 3.448 del 21/10/1999; - TAR Puglia, Sez. Lecce II, n. 108 del 19/01/2000), fino ad arrivare alla recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4.850 del 19/09/2000, nella quale il principio della gara viene ampiamente riconfermato.
Accanto alla tesi dominante della gara, occorre far cenno alla minoritaria concezione, secondo la quale non vi è obbligo di gara. Tale tesi fu espressa per la prima volta con la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 708 del 24/06/1995, nella quale si argomentava sulla base della non applicabilità dell’art. 12 Legge n. 498/1992 alle Società miste maggioritarie. Tale minoritaria posizione è stata, invero, ripresa da una successiva, pur se isolata, sentenza del TAR Toscana, Sez. II (n. 208 del 19/02/1999), nella quale si affermava che le attuali previsioni normative autorizzano l’Ente a non ricorrere necessariamente alle procedure dell’evidenza pubblica.
4. IL NUOVO ASSETTO DELINEATO DALLA LEGGE FINANZIARIA 2002. IL QUADRO DELLE ASPETTATIVE
Dunque, dopo decenni di discussioni sulla necessità di approntare una nuova (31) riforma, dopo il naufragio del precedente disegno di legge (AC 7.042; AS 4.014), il delicato settore dei servizi pubblici locali conosce, finalmente, una nuova disciplina organica, che tenga conto dell'evoluzione giurisprudenziale, oltre che delle novità tecnologiche intervenute. Si è già prima detto, che la neo-riforma nasce con un respiro alquanto corto, in quanto, al di là delle diverse critiche formulabili e formulate, di cui si tratterà, appare evidente un suo "profilo di provvisorietà", rilevabile innanzitutto nel rinvio ad un futuro regolamento governativo.
Invero, la riforma era tanto attesa anche perché numerose ed intense erano, e lo sono tuttora, le aspettative in materia. In tutti gli svariati convegni organizzati, in tutti i contributi, dottrinari e non sulla materia, sono venute maturando, infatti, una serie di "aspettative di riforma", che possono essere così sintetizzate:
- Riorganizzare la domanda di servizi pubblici locali. Attribuire alle Regioni la responsabilità della definizione di bacini di utenza territoriali, di dimensioni adeguate a garantire la riorganizzazione e l'erogazione dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale.
Attribuire agli enti locali, ricompresi nei bacini di utenza, la responsabilità di esercitare, in modo unitario, tutte le funzioni amministrative, d'indirizzo e di vigilanza nei confronti della gestione e dei gestori di servizi pubblici locali.
- Garantire standard uniformi e costi trasparenti. Istituire, come già avvenuto per i settori dell'energia elettrica, del gas e delle telecomunicazioni, anche nel settore dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale, un'autorità di regolazione, incaricata di controllare l'attività degli operatori, il rispetto della missione d'interesse generale e delle regole di concorrenza, le tariffe, la qualità del servizio e la protezione dei consumatori.
- Separare il legame diretto tra imprese e amministrazioni locali. Prevedere una data certa, entro la quale, gli enti locali debbono trasformare gli attuali soggetti gestori, a struttura non societaria, in società di capitali, cui delegare la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale, individuando pure forme di partecipazione dei lavoratori al capitale di dette società e di indirizzo sulle scelte di gestione. Prevedere che gli enti locali, che hanno già costituito società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, costituiscano a livello societario una gestione separata delle reti fisse e dei relativi impianti, mediante la costituzione di una specifica entità “indipendente”, prevedendo – in modo vincolante – che i soci privati non possano essere detentori di alcun diritto di voto su tali assets.
- Chiudere l’era degli affidamenti diretti. Prevedere per gli enti locali l’obbligo di definire, per le singole tipologie di servizio, la durata degli affidamenti diretti alle società di capitali, da loro costituite. La durata dell’affidamento diretto dovrà essere fissata in relazione all’importanza degli investimenti da realizzare, posti direttamente a carico della società di gestione; in ogni caso, non potrà superare le date di scadenza degli affidamenti, previste dalle leggi attuative delle direttive comunitarie relative ai settori dell’energia elettrica e del gas.
- Mettere a gara l'affidamento dei servizi pubblici locali. Mettere a gara l'affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale, sulla base di specifici contratti di programma, per quanto riguarda gli investimenti, e di servizio, per quanto concerne l'universalità, la sicurezza, le tariffe e la qualità del servizio, approvati dagli enti locali, ricompresi nel bacino di utenza territoriale, e sottoposti al controllo dell'autorità di settore. Prevedere che alle gare per l’affidamento dei servizi pubblici locali non possano partecipare le società, che in Italia o all'estero, gestiscono servizi similari in regime di affidamento diretto o di altra procedura non ad evidenza pubblica, salvo tassative eccezioni.
- Mantenere la proprietà pubblica della reti. Prevedere che gli enti locali debbano mantenere la proprietà pubblica delle reti e dei relativi impianti fissi, il cui esatto perimetro definito dall'ente locale, dovrà essere approvato dall'autorità di settore sulla base della valutazione del carattere non concorrenziale di tali assets.
- Promuovere lo sviluppo di un mercato concorrenziale
Definire specifici sistemi di incentivazione, da attribuire alle Regioni, che consentano alle società di gestione servizi pubblici locali a rilevanza industriale di raggiungere - nei tempi più brevi possibili - una scala produttiva efficace e/o di evolvere con rapidità verso la creazione di aziende multiservizio.
Non è certo facile, a poche settimane dall'entrata in vigore, esprimere giudizi sicuri circa la rispondenza del contenuto della riforma alle predette attese. Certo, invece, è che lo strumento tecnico usato non favorisce un'immediata comprensione e percezione delle novità.
La riforma è stata tecnicamente introdotta con un sol articolo: l'articolo 35 della L. 448/2001. La scelta tecnica adottata è sicuramente censurabile, in quanto come vedremo, la retta comprensione della disciplina risulta in parte compromessa proprio dall'inadeguatezza dello strumento. Tuttavia, è evidente che se si voleva introdurre una "disciplina riformatrice" in materia attraverso lo strumento della Legge Finanziaria, i risultati non potevano certo essere diversi (32).
L'articolo 35 consta di ben sedici commi. Il primo comma, addirittura, contiene la disciplina del nuovo articolo 113 (Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale) del D. Lgs. 267/2000, cioè la disciplina dei principali e più importanti servizi pubblici locali (!). Nei successivi quindici commi vengono previste interessanti novità, che certo meritavano una "sede tecnica" più appropriata e chiara. Ma, tant'è!
Al fine di orientarsi all'interno dei ginepraio di commi e norme, è opportuno procedere organicamente per settori; per cui ci occuperemo, in primo luogo, dei servizi aventi rilevanza industriale, poi di quelli senza rilevanza industriale, per poi esaminare la nuova disciplina in materia di proprietà e gestione delle reti e degli impianti, ed, infine il previsto regolamento governativo, oltre ad ulteriori questioni.
4.1. I SERVIZI PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA INDUSTRIALE
Costituisce indubbio merito della neo-riforma aver abbandonato il riferimento all'imprenditorialità di un servizio, quale elemento di discrimine fra diversi servizi pubblici locali, ed aver introdotto il criterio della rilevanza industriale. Si è già detto prima, come l'utilizzo da parte del legislatore dell'espressione servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale, in riferimento al modello gestionale dell'istituzione, abbia creato ben più di un equivoco, in quanto, oramai, ogni servizio pubblico viene svolto in forma di impresa. Invero, se, ai sensi dell'articolo 2082 c.c., i caratteri qualificanti dell'impresa e dell'imprenditore sono rappresentati dall'esercizio di un'attività economica, organizzata, esercitata professionalmente ed avente per fine la produzione o lo scambio di beni o servizi (33), è ben evidente che questi sono quasi sempre rinvenibili.
Dunque, servizi pubblici locali a rilevanza industriale sono quelli diretti alla trasformazione dei prodotti naturali, con connessa produzione di manufatti o prestazioni correlate. In tal senso, tali servizi sono quelli tradizionalmente definiti come "produttivi", cioè quelli connessi alla gestione del ciclo integrato delle acque (servizio idrico integrato), ai trasporti, alla raccolta e smaltimento di rifiuti, alla produzione ed erogazione di energia elettrica, di gas, etc. Tuttavia, proprio al fine di evitare residui dubbi interpretativi ed applicativi, viene espressamente previsto che, con un regolamento governativo (art. 35 comma XVI), verranno individuati i servizi di cui all'articolo 113 comma I, cioè i servizi aventi rilevanza industriale.
Vengono espressamente fatte salve, in materia di servizi a rilevanza industriale (34), le disposizioni previste per i singoli settori e quelle nazionali di attuazione delle normative comunitarie. E' stato riportato il testo dell'art. 113 comma I del D. Lgs. 267/2000, così come novellato dall'articolo 35 comma I, in quanto l'espressione non appare del tutto chiara. Ed, infatti, a cosa vuol alludere quell'inciso "disposizioni nazionali di attuazione delle normative comunitarie", distinto dal primo pezzo disposizioni previste per i singoli settori? L'unica risposta sensata sembra essere la seguente: restano salve, cioè non sono intaccate dalla riforma ex art. 35, le discipline di settore (ad esempio, la L. 36/1994, in tema di servizio idrico integrato; il D. Lgs. 422/1997, in materia di trasporto pubblico locale; il D. Lgs. 79/1999, in materia di energia elettrica, il D. Lgs. 164/2000, in tema di gas), e quelle altre discipline, pur non settoriali, ma di attuazione di normative comunitarie.
Anche così, invero, l'espressione presenta qualche residua opacità, poiché si potrebbe, forse, pensare che, avendo parlato di disposizioni previste per i singoli settori, senza alcun riferimento a fonti statali o regionali, il legislatore abbia già recepito la recente riforma del titolo V della Costituzione, laddove la materia dei "servizi pubblici locali" sembra essere divenuta di competenza regionale. In tal modo, il "disancoramento" da qualsiasi forma di riferimento ad una precisa tipologia di fonte normativa, sembra proprio far salva la futura normazione regionale in materia. In secondo luogo, è ben evidente che il legislatore nazionale si è reso conto che la materia dei "servizi pubblici locali" può essere "interessata" anche da normativa comunitaria non di settore, che venga recepita in sede nazionale: Si pensi, ad esempio, alla normativa in materia di tutela della concorrenza, che non può non esplicare effetti nel nostro settore (35).
I servizi pubblici locali a rilevanza industriale vanno affidati attraverso l'espletamento di gare con procedure di evidenza pubblica. La regola generale della gara, posta dall'articolo 113 comma V novellato, è diretta, ovviamente, a tutelare il dispiegarsi della libera concorrenza nel settore e viene pienamente incontro alle aspettative illustrate. Alla gara possono partecipare le società di capitali, ad esclusione delle seguenti: - società, che in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali, in virtù di un affidamento senza gara (affidamento diretto, con procedura non ad evidenza pubblica, con rinnovo) (36); - società controllate, collegate, o controllanti di quelle precedenti; - società miste a partecipazione maggioritaria degli enti locali, cui sia stata affidata la gestione separata delle reti e degli impianti con affidamento diretto; - imprese idonee, cui sia stata affidata la gestione separata delle reti e degli impianti, a seguito di procedura ad evidenza pubblica.
Il principio generale della gara, in quanto manifestazione di corposa ed indubbia novità, fa assumere particolare significato alle modalità di svolgimento delle gare. Ai sensi del comma VII del novellato articolo 113, nella predisposizione del bando dovranno essere rispettati gli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza, mentre l'aggiudicazione dovrà avvenire sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza, oltre che delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo ed il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale (37).
I criteri generali di gara ora enunciati sono indubbiamente complessi e di non facile "traduzione" nel singolo bando di gara. A conferma di tale impressione, i primi commentatori hanno evidenziato tale aspetto, giungendo, addirittura, ad affermare che la gara sarà "un esercizio di risoluzione della complessità", che raramente potrà concludersi senza contenziosi, qualora l'oggetto della gara medesima fosse veramente interessante e qualora la platea dei pretendenti fosse veramente molteplice ed indipendente (38). I criteri di gara devono essere indicati anche nel contratto di servizio, il quale diventa lo strumento primo di regolazione dei rapporti fra Enti Locali e società di gestione del servizio, oltre che di gestione delle reti e degli impianti. Il contratto di servizio va allegato ai capitolati di gara e deve prevedere pure i livelli dei servizi da garantire ed adeguati procedimenti di verifica del rispetto dei medesimi.
La regola generale della gara, ora illustrata nei suoi contorni applicativi, conosce una non irrilevante ed iniziale deroga. Il comma II dell'articolo 35 stabilisce, infatti, che il già citato regolamento governativo, laddove non sia previsto, da parte delle normative di settore, un congruo periodo di transizione, deve indicare i termini di scadenza o di anticipata cessazione della concessione rilasciata con procedure diverse dall'evidenza pubblica, comunque non inferiori a tre anni e non superiori a cinque anni. E' evidente che la previsione di un periodo di transizione risponde alla logica di consentire alle società miste già costituite, o in corso di costituzione, di potersi preparare con maggior tranquillità all'impatto con il mercato.
Da più parti, infatti, è stato paventato il rischio di una "colonizzazione" dei nostri servizi pubblici locali, potenzialmente attuabile da parte di società estere. Tuttavia, il periodo di transizione, previsto in misura massima pari a cinque, ma con corpose possibilità di aumenti, anche cumulativi (art. 35 III e IV comma), non sembra essere del tutto breve, dando, invece, l'impressione di voler, forse, rinviare l'effettiva liberalizzazione del settore (39). Questa non breve fase di transizione dovrà, poi, essere oggetto di valutazione in sede di giudizio di omogeneità della medesima con i principi comunitari in materia; è non mancano, come vedremo, voci preoccupate.
Al fine di garantire un'effettiva concorrenza, ed evitare condotte fraudolenti, il comma X del novellato articolo 113 stabilisce che è da intendersi come vietata ogni forma di differenziazione del trattamento tributario dei soggetti gestori. Parimenti, risultano vietate le erogazioni, da qualsiasi soggetto dovute, di contribuzioni ed agevolazioni per la gestione dei servizi. I divieti enunciati si correlano al ben noto principio comunitario di "illegittimità degli aiuti pubblici alle imprese" (cd. divieto degli aiuti di Stato), di cui all'articolo 87 (ex 92) del Trattato. E' ben chiaro che la decisione di uno Stato di concedere ad un impresa un aiuto produce effetti anticoncorrenziali, poiché pone l'impresa beneficiaria in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti, alterando la concorrenza.
4.2. I SERVIZI PUBBLICI LOCALI PRIVI DI RILEVANZA INDUSTRIALE
Come già prima detto, l'articolo 35 della Finanziaria 2002, innovando in materia, ha distinto fra servizi pubblici locali con rilevanza industriale e privi di tale rilevanza (40). I servizi senza rilevanza industriale sono, grosso modo, identificabili nei servizi sociali, di cui si è parlato prima in tema di Istituzione, e nei servizi culturali.
Occorre subito dire che nei riguardi dei servizi privi di rilevanza industriale, la normativa di riforma potrebbe apparire scarsamente innovatrice, ad un primo esame. Tale impressione di disciplina sostanzialmente conservatrice, come da taluno evidenziato (41), invero non sembra reggere ad un'analisi più analitica, mirata soprattutto ai modelli di gestione. Infatti, le forme di gestione previste sono numerose e diverse rispetto al passato.
Per i servizi pubblici locali senza rilevanza industriale, il modello generale di gestione non è la società di capitali, scelta in base a procedura di evidenza pubblica, ma l'affidamento diretto in favore di Istituzioni, aziende speciali, anche consortili, società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali e regolate dal codice civile. Dunque, se, in riferimento ai "servizi industriali", i vetusti modelli dell'azienda speciale e dell'azienda speciale consortile vengono del tutto abbandonati, viceversa, per i "servizi non industriali" vengono mantenuti, accanto al modello primo di riferimento, l'Istituzione, ed aggiungendo pure la società mista.
La varietà di modelli previsti, invero, è ancor più ampia, in quanto viene espressamente prevista la gestione diretta in economia (un vecchio modello del "Comune interventista", che palesa tuttora la sua perdurante vitalità e, fors'anche, necessarietà!!), qualora si riveli opportuno, in considerazione delle modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio. Ancora, è possibile "affidare a terzi", in base a procedure di evidenza pubblica e nel rispetto della normativa di settore, i servizi senza rilevanza industriale, compresi pure i servizi culturali e quelli afferenti il tempo libero.
L'affidamento a terzi, quale modulo gestionale, è stato posto in evidenza, mediante l'apposizione di virgolette, in quanto sembra richiamare il modello della concessione di servizio pubblico, o concessione a terzi, invero eliminato dall'articolo 35 delle Finanziaria medesima, attraverso la formale abrogazione, disposta al comma XIII, degli articoli 265 (Concessioni all'industria privata), 266 (Capitolati), e 267 (Modalità delle concessioni) del R.D. 1175/1931 (Testo Unico per la Finanza Locale), il quale costituiva il fondamento normativo base dell'istituto. Allora, se il modello della concessione a terzi è stato abolito, si è dunque in presenza di un nuovo modello, di natura promiscua e dai confini incerti: l'affidamento a terzi con gara.
All'interno della categoria dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, il legislatore della Finanziaria 2002 individua, come sottocategoria caratterizzata da un certo profilo di autonomia, i servizi culturali e del tempo libero, i quali possono essere affidati direttamente anche (42) ad associazioni e fondazioni, costituite dagli Enti Locali o da loro partecipate. Dunque, fanno il loro ingresso altri due nuovi modelli, seppur riferiti ad un sottosettore dei servizi, dei quali, particolarmente il secondo, le fondazioni, si discuteva invero da tempo. Stante la scarsità di dati rinvenibile nella normativa di riforma, non può che farsi riferimento alla disciplina civilistica in materia, alla quale si rinvia: codice civile, libro primo, titolo II, capo II, articoli 14-35 (43).
Anche in tema di servizi non industriali, i rapporti fra gli Enti Locali ed i soggetti gestori sono regolati dai contratti di servizio.
4.3. LA PROPRIETA' E LA GESTIONE DEGLI IMPIANTI E DELLE RETI
La Finanziaria 2002 ribadisce, finalmente in modo sufficientemente chiaro, che le reti, gli impianti e tutte le altre dotazioni, destinate all'esercizio dei servizi pubblici industriali, sono di proprietà degli Enti Locali. L'affermazione a chiare lettere di un tale assunto potrebbe apparire una banalità, in quanto sembrerebbe ovvio che gli impianti strumentali al servizio siano di proprietà di Comuni e Province, che, fra l'altro, hanno largamente finanziato la loro realizzazione. Tuttavia, talvolta, proprio le cose ovvie abbisognano di un ulteriore chiarimento, in quanto si è in presenza di dinamiche di forti interessi in gioco.
Il principio della proprietà degli Enti Locali viene consacrato al comma II del novellato articolo 113, il quale dispone che gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all’esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo quanto stabilito dal comma 13. Dunque, gli Enti Locali sono proprietari degli impianti e non possono cederli, a meno che non si rientri nella particolare ipotesi prevista dal comma XIII.
Tale comma prevede la possibilità di conferire la proprietà delle infrastrutture a società di capitali, di cui gli Enti Locali medesimi detengono la maggioranza, che è incedibile. Tali società, nella previsione normativa, sembrano avere la sola funzione di porre le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore. Quindi, non possono essere confuse con il soggetto gestore. Invero, non si comprende bene la funzione e l'utilità di tali società, le quali non sono né gestori del servizio, né gestori della rete (44). Ad ogni modo, è ben evidente che, proprio in base alle ultime novelle legislative, la proprietà degli impianti, ad eccezione dell’ipotesi ora vista, la quale presuppone un espresso e formale atto di conferimento, da motivare più che congruamente, appartiene ai Comuni ed alle Provincie.
La proprietà degli impianti in capo agli Enti Locali esplica anche la funzione di consentire il passaggio della detenzione dei medesimi da un gestore ad un altro. Infatti, il comma IX del novellato articolo 113 stabilisce che alla scadenza del periodo di affidamento, e in esito alla successiva gara di affidamento, le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali o delle società di cui al comma 13 sono assegnati al nuovo gestore. Per quanto concerne gli impianti realizzati in attuazione dei piani di investimento, previsti in sede di gara, l'Ente Locale, riacquistata la detenzione dei medesimi, li assegna in detenzione al nuovo gestore, il quale dovrà corrispondere al gestore uscente un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui ammontare è indicato nel bando di gara.
Si è insistito sull'uso del termine "detenzione", perché deve essere ben chiaro che il soggetto gestore, sia esso una società di capitali privata, o sia una società mista, ha solo la detenzione e non il possesso degli impianti. Infatti, com'è ben noto in sede civilistica, il possesso implica, ai sensi dell'articolo 1.140 I comma c.c., la volontà, da parte del possessore, di esercitare sul bene i poteri del proprietario o del titolare di altro diritto reale (animus possidendi). Viceversa, nella detenzione, il detentore ha la volontà di avere la cosa a propria disposizione, senza l'intenzione di esercitare su di essa i poteri del proprietario o del titolare di altro diritto reale (animus possidendi), ma anzi nel riconoscimento che altri soggetti siano i proprietari (laudatio possessoris).
Dunque, il gestore è solo detentore degli impianti e delle reti, perché ben sa che la proprietà dei medesimi è degli Enti Locali (45).
I gestori uscenti, secondo i termini che saranno indicati dal regolamento, dovranno reintegrare gli Enti Locali nella detenzione (46) degli impianti e di tutte le altre attrezzature utilizzate per la gestione del servizio. I nuovi gestori avranno diritto a ricevere, dai gestori uscenti, come già prima detto, un indennizzo.
Dunque, la disciplina di riforma delinea un quadro di disciplina ordinaria, in tema di proprietà delle reti e degli impianti, alquanto chiaro: Le reti sono di proprietà degli Enti Locali, i quali, al fine di consentire la gestione del servizio, assegnano in detenzione le reti medesime ai gestori, scelti a seguito di gara con procedura di evidenza pubblica. Al termine del periodo di gestione, la detenzione delle reti passa dal vecchio al nuovo gestore, previo il pagamento di un indennizzo, in relazione agli impianti realizzati dall'uscente, in attuazione dei piani di investimento (47).
Nel caso in cui la proprietà delle reti e degli impianti sia di società miste, con partecipazione maggioritaria degli Enti Locali (eccezione alla regola generale della proprietà in capo agli Enti Locali medesimi), il comma IX dell'articolo 35 Finanziaria 2002, prevede lo scorporo in favore di "società di puro affidamento". In altri termini, nelle residuali ipotesi in cui la proprietà appartenga alle società miste, con partecipazione maggioritaria degli Enti Locali, queste sono obbligate, entro il termine di un anno (48), a trasferire la proprietà alle società, di cui al comma XIII del novellato articolo 113, cioè quelle società, prima esaminate, aventi la funzione di porre le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore..
Il principio della proprietà delle reti e degli altri impianti, in favore degli Enti Locali, viene rafforzato anche dal fatto che le eventuali eccezioni e deroghe sono espressamente previste dalla legge. Il comma XI della Finanziaria 2002 stabilisce che in deroga alle disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, e di cui al comma 9 del presente articolo, nonchè in alternativa a quanto stabilito dal comma 10, limitatamente al caso di società per azioni quotate in borsa e di società per azioni i cui enti locali soci abbiano già deliberato al 1º gennaio 2002 di avviare il procedimento di quotazione in borsa, da concludere entro il 31 dicembre 2003, di cui, alla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti locali detengano la maggioranza del capitale, è consentita la piena applicazione delle disposizioni di cui al comma 12 dell’articolo 113 del citato testo unico. In altri termini, se si è in presenza di società miste già quotate, o quotande in borsa secondo i termini previsti, con capitale pubblico maggioritario, è possibile la cessione, da parte degli Enti Locali, delle proprie partecipazioni azionarie in favore delle società medesime. In tal caso, la cessione non produce alcun effetto relativamente alla durata degli affidamenti in essere. In secondo luogo, al fine di consentire la concreta erogazione del servizio, viene previsto sulle reti e sugli impianti un diritto d'uso (49) perpetuo ed inalienabile, ai sensi dell'articolo 1.021 c.c., in favore degli Enti Locali. Se la società non risulta attuale gestore del servizio, in quanto non vincitrice della gara, il gestore selezionato dovrà corrispondere un canone in favore della società proprietaria, in quanto nuovo utilizzatore degli impianti.
In tema di gestione delle reti e degli impianti, la riforma introduce importanti innovazioni. Viene prevista la possibilità che in taluni casi, da disciplinare in dettaglio attraverso le singole normative di settore, l'attività di erogazione del servizio (cosiddetta, gestione pura) venga separata dall'attività di gestione delle reti e degli impianti, con l'espressa previsione di cautela di garantire l'accesso alle reti medesime a tutti i soggetti aventi legittimazione alla gestione dei servizi medesimi. In tali ipotesi, le reti e gli impianti verranno gestiti da:
- soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, cui può essere affidata direttamente tale attività;
- imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica.
Nel caso in cui la proprietà delle reti appartenga a soggetti diversi dagli Enti Locali, il comma XIV del novellato articolo 113 prevede una particolare disciplina: questi soggetti possono essere autorizzati, proprio in quanto proprietari, a gestire i servizi, o segmenti dei medesimi, a condizione che vengano rispettati tutti i criteri ed i parametri di gara, di cui al comma VII. Inoltre, devono essere praticate tariffe non superiori alla media regionale, salvo diversa disciplina prevista dalle singole normative di settore, o introdotta dalle relative Autorità di vigilanza. Infine, fra le parti viene stipulato un contratto di servizio, avente ad oggetto anche le misure di coordinamento con gli eventuali altri gestori, oltre i livelli dei servizi e le relative procedure di verifica.
4.4. IL REGOLAMENTO GOVERNATIVO
Secondo le previsioni dell’articolo 35, il regolamento governativo, da emanare, ai sensi del comma XVI, entro sei mesi, riveste un ruolo centrale relativamente a talune questioni chiavi della riforma. Al regolamento, infatti, è demandata la futura disciplina di taluni punti di massima importanza.
Prima di esaminare tali punti, risulta doveroso affrontare due questioni preliminari.
In primo luogo, occorre chiarire a quale tipologia di regolamento intende far riferimento il comma XVI, il quale espressamente dispone: con regolamento governativo da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, …………
La normativa ora indicata, cioè l'articolo 17 comma I L. 400/1988, prevede quattro tipologie di regolamenti: a) regolamenti diretti ad eseguire leggi, decreti legislativi e regolamenti comunitari; b) regolamenti diretti ad attuare ed integrare leggi e decreti legislativi, recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale; c) regolamenti diretti a disciplinare materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi, o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge; d) regolamenti diretti a disciplinare l'organizzazione ed il funzionamento delle P.A., secondo disposizioni di legge.
Ora, ricordando la ripartizione tradizionale, risalente alla legge 100/1926, i regolamenti sub a) e b) possono essere ricompresi nei regolamenti di esecuzione (50); i regolamenti sub c) nei regolamenti indipendenti (51); i regolamenti sub c) nei regolamenti di organizzazione (52).
A quale categoria apparterrà il futuro regolamento governativo in materia?
La questione non costituisce, certo, un mero orpello formale, in quanto la catalogazione di un regolamento nell'una o nell'altra categoria assume grande rilevanza in relazione all'efficacia del regolamento medesimo. La norma in se, cioè il solo comma XVI, non ci fornisce alcun aiuto. Invece, considerando il contenuto del futuro regolamento, cioè cosa dovrà concretamente disciplinare, ci si accorge che non potrà essere un semplice regolamento di esecuzione, in quanto dovrà "normare" aspetti non previsti in alcun modo dalle legge, quali, ad esempio, l'individuazione dei servizi aventi rilevanza industriale.
In secondo luogo, occorre chiedersi quale natura abbia il termine dei sei mesi. In altri termini, il termine previsto è da intendersi come perentorio o ordinatorio?
Occorre ricordare che un termine viene detto perentorio, se un dato atto o una data attività deve essere compiuta entro il lasso temporale di scadenza del medesimo. Se il termine non viene rispettato, l'atto o l'attività, pur se eventualmente compiuta, risulta inutile, nel senso che non viene considerata utile ai fini di certi effetti favorevoli, con conseguente applicazione di sanzioni e produzione di effetti sfavorevoli. Un termine viene detto, invece, ordinatorio, se, all'inosservanza del medesimo, non sono previste sanzioni o effetti sfavorevoli.
Diversamente dal termine perentorio, la funzione del termine ordinatorio è quella di "ordinare" l'attività amministrativa, indirizzandola verso determinate procedure ed esiti; per cui, il non rispetto non comporta il verificarsi di decadenze e l'applicazione di sanzioni. Viceversa, la funzione del termine perentorio è quella di obbligare, in termini assoluti, il compimento di una data attività entro un determinato lasso temporale, al fine di fornire tempestività e certezza temporale all'attività medesima. Alla base ed a fondamento del termine perentorio, vi è un giudizio di valore, nel senso che la previsione di un termine di tal genere esprime l'importanza che il legislatore conferisce al tempestivo compimento di quella data attività (53).
Normalmente, il termine ha carattere perentorio, qualora la legge o lo stesso atto prevedano una decadenza; invece, ha carattere ordinatorio in tutti gli altri casi. Il problema sorge quando la legge nulla dice in merito. La dottrina (54), in tal caso, unanimemente afferma che nel silenzio della legge, si considerano ordinatori i termini per l'emanazione di atti favorevoli, mentre si considerano perentori quelli previsti per gli atti a carattere sanzionatorio, al fine di creare una situazione di favor per l'amministrato, il quale si trova di fronte alla P.A. in una posizione più debole (55).
In altri termini, in una situazione di non espressa natura del termine, la qualificazione del medesimo come perentorio dipende dal fatto se siano previste sanzioni decadenziali, o da particolare esigenze e scopi perseguiti dalla legge.
Tale principio interpretativo è, invero, consolidato in giurisprudenza, la quale enuncia anche altri importanti criteri (56).
Dunque, nel silenzio della legge, l'interprete, come indicato dalla giurisprudenza, per attestare la presenza di un termine perentorio, deve indagare circa la sussistenza di almeno uno dei seguenti profili: - previsione di una sanzione o di una decadenza; - connessione della perentorietà a "concrete ragioni di carattere organizzativo della P.A."; - desumibilità della perentorietà dalle conseguenze previste dalla legge; - scopi perseguiti dalla legge.
Nel nostro caso, il comma XVI non prevede alcuna sanzione o decadenza, per l'inosservanza. Non sembrano essere rinvenibili le "concrete ragioni di carattere organizzativo della P.A." e, parimenti, per ulteriori conseguenze previste dalla legge. Allora, la perentorietà, può, forse, essere identificata negli scopi perseguiti dalla legge, cioè nella finalità di dare pronta attuazione ed integrazione ad una normativa legislativa, interveniente su di un dato settore, quello dei servizi pubblici locali, da tempo abbisognevole di una disciplina riformatrice (57).
Il regolamento governativo dovrà presentare il seguente oggetto:
- Esecuzione ed attuazione del presente articolo (comma XVI). Il regolamento deve dettare la disciplina generale, diretta a consentire la concreta attuazione della riforma introdotta con l’articolo 35. In riferimento a tale oggetto, il regolamento assume le vesti e le funzioni di regolamento di esecuzione.
- Individuazione dei servizi di cui all’articolo 113, comma 1, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo (comma XVI). L’individuazione dei servizi aventi rilevanza industriale costituisce attività di estrema delicatezza, non solo per l’importanza che tali servizi hanno odiernamente assunto, ma anche perché i medesimi costituiscono l'ossatura e la parte nettamente preponderante dei servizi pubblici locali. L'inclusione o l'esclusione dall'elenco dei "servizi industriali" è, invero, questione di grande importanza, considerate le diversità di disciplina previste.
- Nei casi in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscono un congruo periodo di transizione, ………., il regolamento di cui al comma 16 del presente articolo indica i termini, comunque non inferiori a tre anni e non superiori a cinque anni, di scadenza o di anticipata cessazione della concessione rilasciata con procedure diverse dall’evidenza pubblica (comma II). L'indicazione dei termini del periodo transitorio, in assenza di una disciplina settoriale, costituirà, pur nel rispetto dei limiti già prefissati, una manifestazione di rilevante discrezionalità. Infatti, non va dimenticato che, proprio a partire dalla scadenza dei termini, trova applicazione il divieto, di cui al comma VI dell'articolo 113 novellato, salvo nei casi in cui si tratti dell’espletamento delle prime gare aventi per oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa. Per quanto il comma II faccia riferimento alla cessazione della concessione, sembra fuor di dubbio che la fissazione dei termini vale in ogni caso, cioè per qualsiasi modello gestionale in essere.
- Il regolamento definisce altresì le condizioni per l’ammissione alle gare di imprese estere, o di imprese italiane che abbiano avuto all’estero la gestione del servizio senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica, a condizione che, nel primo caso, sia fatto salvo il principio di reciprocità e siano garantiti tempi certi per l’effettiva apertura dei relativi mercati (comma II). Si tratta di un importante intervento di disciplina, diretto a creare reali condizioni di concorrenza (58).
4.5. ULTERIORI QUESTIONI
La normativa di riforma dei servizi pubblici locali contiene ulteriori disposizioni di indubbia importanza, talune, invero, fortemente innovative.
Il Servizio Idrico Integrato, comprende i servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. L'articolo 35 Finanziaria 2002 se ne occupa espressamente al comma V.
Occorre evidenziare che pochissimo tempo prima dell'emanazione della Finanziaria 2002, il Ministero dell'Ambiente ha emanato un Decreto (Modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 20 comma I L. 36/1994), in data 22/11/2001, il quale costituisce una fedele attuazione dell’articolo 20 I comma della L. 36/1994 (Disposizioni in materia di risorse idriche - nota pure come legge Galli). L’articolo 20 citato prevede la concessione a terzi quale modulo gestionale del servizio idrico integrato (59). Il Decreto stabilisce, in applicazione della legge, una precisa procedura per l’individuazione del concessionario, prevedendo espressamente: - la procedura di affidamento del servizio; - i soggetti ammessi; - i requisiti di partecipazione; - le cause di esclusione; - i termini ed bando di gara, - la documentazione di gara; - la disciplina dell'offerta; - i criteri di aggiudicazione; - la valutazione delle offerte. A corredo del decreto del 22/11/2001, il Ministero ha emanato, poi, due circolari interpretative (60), le quali esprimono, senza alcuna differenza, una netta preferenza nei riguardi dell’individuazione del gestore concessionario attraverso lo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica.
Nella prima Circolare (Circolare del 17/10/2001 n. GAB/2001/11559/B01 – Società a prevalente capitale pubblico locale per la gestione del servizio idrico integrato), il Ministero fornisce un’interpretazione delle disposizioni normative che regolano l’affidamento del servizio a società a prevalente capitale pubblico. In questo caso, secondo il Ministero, l’unica regola da seguire, in conformità anche ai rilievi formulati in sede comunitaria, è l’affidamento mediante procedura aperta, la quale non deve essere adottata solo per la scelta del socio privato, ma anche per l’individuazione del soggetto gestore.
Nella seconda Circolare (Circolare del 22/11/2001 n. GAB/2001/11560/B01 – Esplicazioni relative alle modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 20, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36), il Ministero, evidenziando un chiaro disfavore nei riguardi della trattativa privata, giunge ad affermare che, a motivo delle molteplici ipotesi di favoritismi, che con tale procedura è più agevole assicurare, occorre seguire la gara pubblica, non rivelandosi sufficiente nemmeno la procedura ristretta, la quale consente al soggetto aggiudicatore di ampliare o restringere la rosa degli invitati, a seconda dell’umore (!!).
La normativa introdotta dall'articolo 35 comma V (61) Legge Finanziaria 2002 va in aperto contrasto con quanto previsto dal Decreto citato, disponendo quanto segue:
- La procedura ordinaria per l’affidamento del servizio idrico integrato è quella della gara con procedura ad evidenza pubblica.
- Tuttavia, in alternativa alla gara, è possibile l’affidamento diretto del servizio in favore di società di capitali, composte unicamente da enti locali, che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale.
- Tale facoltà può essere esercitata entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della Finanziaria 2002.
- L’affidamento diretto può avere una durata massima pari a cinque anni.
E’ più che evidente che l’articolo 35 sconfessa apertamente il decreto del Ministero dell’Ambiente, sconfessa il modulo gestionale della concessione, con obbligo di gara, previsto dall’articolo 20 della legge Galli, ed introduce un regime di sostanziale salvaguardia degli “affidamenti diretti”. La Finanziaria 2002 introduce un periodo transitorio, certo di non breve durata (sei anni e mezzo) (62). E' interessante evidenziare che anche la stampa non specializzata, data l'importanza del servizio idrico integrato, si è interessata della vicenda ed ha espresso similari giudizi: Nelle ultime settimane, però, prima un decreto e alcune circolari del Ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, quindi l'articolo 35 della Legge Finanziaria, hanno accesso i riflettori sul settore idrico. E' mentre le prese di posizione di Matteoli, che spingevano verso l'apertura ai privati, avevano accesso le speranze di Confindustria, l'articolo 35 della Finanziaria ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai "pubblici" e fatto ripiombare nella tristezza i fautori della privatizzazione a passo spinto (63).
La riforma dei servizi pubblici locali, attuata con legge statale, qual è la Legge Finanziaria 2002, sembra prestare il fianco ad una duplice e non lieve critica.
In primo luogo, la scelta di intervenire in materia di servizi pubblici locali con una legge statale, quale la Legge Finanziaria 2002, sembra non essere perfettamente in linea con la recente riforma del Titolo V della Costituzione, che ha rivoluzionato il precedente riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni (censura di incostituzionalità).
Infatti, ad una prima analisi, appare che la materia dei servizi pubblici locali rientra, ai sensi del novellato articolo 117 della Costituzione, nella competenza legislativa esclusiva delle Regioni (64). Invero, l'unico modo per sostenere la competenza statuale potrebbe consistere nel far rientrare la materia dei servizi pubblici locali nell'alveo della "tutela della concorrenza", di cui al novellato articolo 117 II comma lettera e) Cost. Ma, si tratta di un'operazione interpretativa non facile e quantomeno azzardata.
In secondo luogo, l’intervento normativo realizzato con la Finanziaria 2002 si palesa non conforme ai principi ed alla normativa comunitaria in materia (censura di non conformità alla normativa comunitaria). Qualche giorno prima dell’approvazione, su quotidiani specializzati, veniva formalmente sollevato il problema: La riforma…………..non scioglie tutte le incertezze sul futuro dei servizi pubblici locali. A cominciare dalla mancanza di sincronia con le norme europee sulle gare, che potrebbe convincere le imprese escluse dalle gare ad evidenza pubblica, a ricorrere alla Corte UE, ed aggirare così i vincoli posti dal legislatore per aprire alla concorrenza il mercato delle ex municipalizzate (“I servizi locali fuori norma UE”, Italia Oggi del 20/12/2001) (65).
L’accusa di non conformità all’ordinamento comunitario non sembra infondata, in quanto il prolungamento temporale della procedura degli affidamenti diretti appare in contrasto con diversi e fondamentali principi comunitari (parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e mutuo riconoscimento). Invero, come ben noto, i Trattati Europei hanno come obiettivo primario la realizzazione della libera circolazione delle merci e dei fattori della produzione, attraverso l'eliminazione delle barriere tariffarie e contingentarie tra gli Stati membri, per costituire in questo grande mercato una sana concorrenza fra le migliaia di imprese in esso operanti (66).
Non deve essere dimenticato, inoltre, che il novellato articolo 117 della Costituzione stabilisce icasticamente al comma I che la potestà legislativa, sia statale che regionale, deve essere esercitata nel rispetto, oltre che della Costituzione, pure “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Si tratta, certo, di una previsione costituzionale della massima importanza, la quale non può essere disattesa (67).
Come già prima accennato, il modello della concessione di servizio pubblico, o concessione a terzi, è stato eliminato dall'articolo 35 delle Finanziaria medesima, attraverso la formale abrogazione, disposta al comma XIII, degli articoli 265 (Concessioni all'industria privata), 266 (Capitolati), e 267 (Modalità delle concessioni) del R.D. 1175/1931 (Testo Unico per la Finanza Locale), il quale costituiva il fondamento normativo base dell'istituto. La dottrina ha prontamente rilevato tale abolizione, affermando appunto che è stata eliminata la concessione amministrativa come sistema generale di assegnazione dei servizi pubblici locali, nonché come modello delle relazioni tra ente locale e soggetti gestori (68).
L'abolizione del vetusto modello di gestione se, da un lato, appare naturale, in conseguenza dell'"elevazione" della gara ad unico modello gestionale per i servizi industriali, dall'altro produce effetti a cascata di non poco conto. In primo luogo, va rimarcato che, a dispetto della disposta eliminazione e delle censure più volte avanzate nei suoi riguardi, la concessione di pubblico servizio ha recentemente dimostrato una proprio vitalità. Basti pensare alla recente gara pubblica per l’assegnazione delle frequenze per i cellulari di nuova generazione (UMTS), la quale si è atteggiata, sostanzialmente, come una gara per il conferimento di una concessione di pubblico servizio, avente ad oggetto proprio l’utilizzo delle frequenze medesime (69). In secondo luogo, l'abolizione può comportare difficoltà nel reperire la normativa base da applicare agli innumerevoli rapporti concessori in corso. In terzo luogo, l'abolizione comporta, senza dubbio, difficoltà applicative anche per diverse normative, pure recenti, che fondano la propria esplicazione sull'istituto concessorio.
Si pensi, ad esempio, all'articolo 20, 1° comma, L. 36/1994, prima illustrato, in tema di servizio idrico integrato, il quale espressamente contempla, quale modello di gestione, la concessione a terzi. Invero, l'uso e l'"abuso stravolgitivo, che di tale modello è stato compiuto, ad una seria analisi, sembra dipendere primariamente da un sol fattore: il non individuare il concessionario con gara, in chiara violazione proprio della normativa, cioè dell'articolo 267 del R.D. 1175/1931. Ben vero, non va dimenticato che la concessione di pubblico servizio ha contribuito, in maniera non irrilevante, alla soddisfazione di fondamentali bisogni della collettività nell’ultimo mezzo secolo.
Infine, occorre evidenziare che il comma VIII dell'articolo 35 ha prorogato al 31/12/2002 il termine per la trasformazione delle aziende speciali e dei i consorzi in società miste (70), confermando la procedura di cui all'articolo 115 del D. Lgs. 267/2000.
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(1) Va ricordato, a tal proposito, il precedente disegno di legge (AC 7.042; AS 4.014), in materia di servizi pubblici locali, che per più di un anno è stato oggetto di analisi e discussioni.
(2) E' opportuno ricordare che il diritto amministrativo, in quanto ramo del diritto pubblico che si occupa della cura degli interessi pubblici, non può non dar luogo a discipline continuamente cangianti e fortemente sensibili rispetto al mutare degli orientamenti e delle esigenze. Diversamente dal diritto civile e dal diritto penale, il diritto amministrativo è un diritto ad oggetto variabile, in quanto la Pubblica Amministrazione, in ogni epoca storica, persegue fini differenti, assumendo o dismettendo alcuni settori della propria gestione.
(3) E' doveroso, almeno, ricordare che la crescita non equilibrata dell'economia ha prodotto, nel medio-lungo periodo, un effetto di soffocamento nei riguardi dei servizi pubblici locali. Infatti, tutti i settori produttivi, inseguendo l'aumento della domanda globale, hanno sempre più intensificato i loro livelli produttivi e le loro presenze sul territorio, stravolgendo il già precario assetto dei centri urbani. Ciò, producendo anche modifiche nelle abitudini di vita e di consumo, oltre che di fruizione del tempo libero, ha generato una pressione notevole nei riguardi dei servizi pubblici, generando, invero, aspettative non sempre giustificate. Il tutto ha posto in essere situazioni contraddittorie: da un lato, i servizi pubblici tradizionali sono stati criticati, in quanto superati; dall'altro, si è sviluppata una domanda di nuovi servizi, oltre che di rafforzamento di quelli attuali.
(4) Sterminata è la letteratura giuridica sull'argomento. Fra i principali contributi, ricordiamo: Ferrari E., I servizi sociali, Milano, 1986; Merusi F., Servizio pubblico, in Novissimo Digesto it., 1970; Pototshinig U., I pubblici servizi, Padova, 1964; Zuelli, F., Servizi pubblici ed attività imprenditoriale, Milano 1973. Più recentemente: Caroselli A., Il servizio pubblico: una categoria concettuale in continua evoluzione, in TAR n. 1/2000; Cavallo Perin R., I principi come disciplina giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno ed ordinamento europeo, in Diritto Amm. n. 1/2000; Giglioni F., Osservazioni sull'evoluzione della nozione di servizio pubblico, in Foro Amministrativo, n. 7-8/1998.
(5) Articolo 43: Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire mediante espropriazioni e salvo indennizzo, allo Stato, ad Enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
(6) Per il concetto di collettivizzazione: Giannini M.S., Diritto pubblico dell'economia, Milano 1989.
(7) Pototshinig U., I pubblici servizi, Padova, 1964.
(8) Invero, occorre osservare che, secondo i fautori della tesi soggettiva, ciò che rileva è l'assunzione del servizio che sempre viene operata da una P.A., e non dall'esercizio del medesimo, che può essere espletato pure da un soggetto privato.
(9) Articolo 112 I comma: Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali
(10) Circa il recepimento della teoria soggettiva nell'articolo 112, vedi: Villata R., Pubblici servizi, discussioni e problemi, pagg. 8 e 9, Milano 1999.
(11) La giurisprudenza degli ultimi anni sta orientandosi parzialmente verso la tesi oggettiva: Il pubblico servizio può essere definito come attività economica, di solito imprenditoriale, esercitata per erogare prestazioni indispensabili a soddisfare bisogni collettivi incomprimibili in un determinato contesto sociale e storico, e collocata in un ordinamento di settore, al cui vertice è posta un'autorità pubblica, che ne vigila, controlla, coordina ed indirizza l'espletamento (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6.325 del 29/11/2000).
(12) Giannini M.S., Profili giuridici della municipalizzazione, con particolare riguardo alle aziende, Milano 1953.
(13) Da un punto di vista strutturale, la concessione di pubblico servizio è stata tradizionalmente inquadrata in una fattispecie complessa, costituita da un provvedimento unilaterale della Pubblica Amministrazione (la deliberazione di affidamento del servizio) e da un contratto privatistico accessivo, disciplinante in particolare i rapporti patrimoniali (cosidetta teoria della concessione-contratto). Accanto a tale teoria, ha poi preso piede un'altra tesi, la quale inquadra la concessione di pubblico servizio come un rapporto giuridico unitario, di natura contrattuale, disciplinato dal codice civile e dai principi pubblicistici (teoria unitaria). Su tali questioni: Alesio M., Il servizio idrico integrato fra Scilla e Cariddi; D.Alberti M., Le concessioni amministrative. Aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981.
(14) Da ultimo, fra le tante: Le circostanze speciali, di cui all'art. 267 R.D. 1175/1931, che consentono di affidare in concessione Pubblici Servizi a trattativa privata, non possono essere quelle connesse alla mera presunta convenienza tecnico-economica. Diversamente opinando, l'Amministrazione verrebbe ad operare la scelta del concessionario non basandosi sull'offerta più confacente, sul piano tecnico-economico, all'interesse pubblico, ma solo sulla base di propri apprezzamenti soggettivi. Pertanto, la norma va interpretata nel senso di privilegiare il confronto concorrenziale tutte le volte in cui non vi ostino fatti oggettivamente indicativi, con la conseguenza che, non diversamente dalle ipotesi di appalti di lavori e di servizi, anche nel caso di concessione di pubblici servizi, il ricorso alla trattativa privata deve ritenersi circoscritto in limiti ristretti, in ragione dell'estrema urgenza del provvedere, ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti di ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale (Cons. Stato, sez. V, n° 3213 del 28/06/2001).
(15) Occorre ricordare che proprio la legge (art. 114 D. Lgs. 267/2000) stabilisce che l'istituzione deve avere una gestione che risponda a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, dovendo perseguire l'obiettivo del pareggio del bilancio, attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti.
(16) Articolo 1 comma II: Ai sensi della presente legge, per "interventi e servizi sociali" si intendono tutte le attività previste dall'articolo 128 del D. Lgs. 112/19998.
(17) Benvero, autorevole dottrina (Villata, Caia) conferma la validità, oltre che la possibilità, di una trattazione unitaria della delicata questione. Infine, come vedremo fra breve, anche la giurisprudenza adotta una linea di indagine unitaria.
(18) Non è accettabile che sotto le mentite spoglie del limite funzionale torni a vigere uno stringente limite di carattere fisico-territoriale, né può pensarsi ad un vincolo interpretato negli stessi identici termini delle aziende speciali. Tanto premesso, ad avviso del Collegio il vincolo funzionale va dimensionato di volta in volta valutandone gli effetti, nel senso che occorre verificare concretamente se l’impegno extraterritoriale eventualmente distolga e in che rilevanza risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione all’impegno profuso e agli eventuali rischi finanziari corsi) per la collettività di riferimento. Il vincolo funzionale opera in termini residuali, entrando in gioco solo qualora vi sia una distrazione di risorse e mezzi che sia effettivamente apprezzabile e che realisticamente possa portare pregiudizio alla collettività di riferimento (Consiglio di Stato, sez. V, n. 4.586 del 03/09/2001).
(19) In primo luogo, si doveva procedere alla revoca del servizio nei riguardi dell’azienda speciale. In altri termini, l’Amministrazione Comunale doveva deliberare il ripensamento per opportunità del precedente affidamento, attraverso un atto di ritiro tipico, quale la revoca. Questa doveva essere non solo ovviamente ben motivata, ma doveva essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 e ss. L. 241/1990. E’ evidente che, una volta dato inizio al procedimento di revoca, poteva ben accadere che i vertici dirigenziali dell’azienda speciale, stimolati anche dal personale della medesima, chiedessero giuste e congrue spiegazioni circa la procedura in corso. Questo poteva comportare rallentamenti e conseguenti contrasti. Invero, poi, si discuteva se l’azienda speciale medesima potesse essere titolare di una legittimazione a ricorrere contro la procedura medesima. Parte della dottrina sosteneva la sussistenza di tale legittimazione, argomentando sulla base della personalità giuridica conferita all’azienda proprio dalla L. 142/1990. Inoltre, la revoca doveva essere adottata dal Consiglio Comunale con la maggioranza dei consiglieri in carica, in ogni caso non inferiore ad un terzo di quelli assegnati (art. 82 DPR 902/1986). Alla revoca doveva poi, far seguito la liquidazione dell’azienda, con il conseguente passaggio della gestione in economia. La liquidazione comportava diversi problemi, il principale dei quali era rappresentato dalla forte difficoltà di individuare il reale valore dei beni che dovevano transitare dall’azienda speciale alla costituenda società. Il problema traeva origine dal fatto che il valore dei beni in questione, indicato nel bilancio dell’azienda speciale, era quasi sempre non veritiero. Talora, inoltre, vi era la difficoltà a trasferire taluni beni dall’azienda alla società. Dunque, una procedura complicata ed indubbiamente faticosa.
(20) E’ doveroso solo ricordare che in tal caso trova applicazione l’art. 2362 del codice civile, il quale prevede la responsabilità illimitata dell’unico azionista per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute a lui soltanto.
(21) Il Consiglio di Stato affermava, all'epoca, che un ente pubblico non può costituire da solo una spa, perché, se lo facesse, ci troveremmo di fronte ad una gestione diretta del servizio, assunta in violazione di specifiche norme, che disciplinano la gestione diretta. Inoltre, esistendo già una spa privata titolare di una concessione di pubblico servizio, se l'Ente locale decidesse di acquisire la titolarità delle azioni, si avrebbe, sostanzialmente, un riscatto del servizio medesimo, in quanto il possesso di tutte le azioni consente di disporre dell'intero capitale sociale e della vita della società stessa. Tuttavia, secondo il ragionamento del Consiglio di Stato, siccome la legge esige, per la sussistenza della concessione di pubblico servizio, una distinzione reale fra concedente e concessionario, il modello in esame non può essere considerato tale, in quanto si avrebbe proprio un'identificazione fra concedente (ente locale) e concessionario (sempre ente locale). Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, non risulta possibile la gestione di servizi pubblici locali attraverso società a partecipazione pubblica locale.
(22) In tal senso: Consiglio di Stato, sez. V, n. 818 del 14/12/1988 e sez. VI, n. 374 del 12/03/1990.
(23) A favore della tesi, secondo la quale gli enti locali potevano costituire anche società a responsabilità limitata, si era espresso anche il Consiglio di Stato, con il parere n. 2.685 del 02/12/1992.
(24) La tesi privatistica è stata propugnata dalla Corte di Cassazione (SS.UU., n. 2.738 del 27/03/1997); viceversa, la tesi pubblicistica è stata sostenuta dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. VI, nn. 1.478 del 28/10/1998, 1.206 e 1.207 del 02/03/2001).
(25) Police A. - Gattamelata S., Società per azioni di diritto speciale, procedure ad evidenza pubblica, ideologie dei giudici, in Riv. trim. app., 1997, 117 e ss.
(26) Virgilio, R., La direttiva 440/1989 ed i soggetti destinatari, in Riv. trim. app., 1990, 683 e ss.
(27) Villata R., Pubblici servizi - discussioni e problemi, Milano 1999, 86 e ss.
(28) Righi R., La nozione di organismo di diritto pubblico nella disciplina comunitaria degli appalti: società in mano pubblica ed appalti di servizi, in Riv. it. Dir. Pubbl. comun., 1996, 347 e ss.
(29) Sempre in tale sentenza, il Consiglio di Stato precisava che il carattere non industriale o commerciale va correlato al soddisfacimento di bisogni generali della collettività in una posizione di non concorrenza con altri operatori del mercato. In tal modo, si fa intendere che non industriale o non commerciale non implica la non economicità o la non imprenditorialità.
(30) Cammelli M. - Ziroldi A., Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, 1999, 394 e ss.
(31) E' possibile parlare di "una nuova riforma", in quanto l'originaria disciplina introdotta dalla L. 142/1990 (capo VII, artt. 22-23) costituiva già una prima normativa di riforma generale del settore, a fronte della pregressa normativa.
(32) Si è già prima detto che proprio la scelta tecnica adottata, se presenta il vantaggio di operare su un "corridoio facilitato", quale quello rappresentato dalla Legge Finanziaria annuale, è pur evidente che ciò lascia trasparire una chiara sensazione di fretta e di provvisorietà dell'intervento normativo.
(33) Ben vero, la giurisprudenza è da tempo orientata verso una lettura estensiva del concetto di imprenditore ed impresa: Per integrare gli estremi dell'attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio, richiesta dall'articolo 2082 c.c., per la qualifica di imprenditore, non è necessario che l'attività imprenditoriale si svolga con un apparato esteriore aziendale, ma è sufficiente la direzione specifica impressa, con mezzi anche rudimentali, alla propria attività economica (Cassazione Civile, n. 267 del 29/01/1973).
(34) La medesima "riserva" viene adoperata dal legislatore anche, come vedremo, per i sevizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, ma con un diverso contenuto, in quanto posta a favore dei soli singoli settori.
(35) Invero, l'accavallarsi di diverse normative su di un settore resterà un problema destinato ad appesantirsi, non solo in vista della sempre più rilevante integrazione europea, la quale oramai già ha prodotto i primi germi di formazione di un "diritto amministrativo europeo o comunitario", ma anche in conseguenza del non chiaro riparto di competenze fra legislatore nazionale e legislatore regionale, a seguito della recente riforma costituzionale.
(36) Al fine di evitare il rischio di escludere dalla partecipazione alle gare quasi tutti i principali soggetti gestori di servizi, è stato stabilito che il divieto non si applica nei casi in cui si tratti dell'espletamento delle prime gare aventi per oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa (art. 35 comma II).
(37) Va tenuta presente, ai sensi del comma VIII del novellato art. 113, la possibilità di affidamento contestuale con un'unica gara di una pluralità di servizi, ad eccezione di quelli di trasporto. Sarà possibile ricorrere a questa procedura nel caso in cui se ne ravvisi la convenienza economica.
(38) L'autore del commento rincara ancor più la dose, ed afferma che se, poi, alla complicazione di una gara si aggiunge la naturale necessità di prevedere la possibilità di affidare con una sola gara una pluralità di servizi pubblici locali, la necessaria risoluzione della complessità rischia di fallire e con essa l'intera riforma (Fazioli Roberto, L'ombra della gara sui servizi pubblici locali, Sole 24 Ore, pag. 18 del 14/01/2002).
(39) Nel caso in cui la normativa di settore non preveda tali termini, questi, come detto, dovranno essere previsti dal regolamento governativo, il quale potrà essere emanato anche dopo il previsto termine di sei mesi, di cui all'articolo 35 comma XVI (termine perentorio o ordinatorio ?), per cui il dies a quo del termine quinquennale risulta incerto.
(40) La finanziaria 2002 ha introdotto la figura dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale con il comma XV dell'art. 35, il quale ha creato un nuovo articolo, il 113-bis, all'interno del D. Lgs. 267/2000, dedicato appunto a tale settore.
(41) Labarile G., Servizi locali, salto nel mercato, in Guida agli Enti Locali, n. 3 del 26/01/2002.
(42) E, quindi, in aggiunta ai modelli predetti.
(43) Tradizionalmente, le Associazioni in senso stretto, distinte dalle società, sono aggregazioni di persone, con un patrimonio, avente uno scopo principale di natura non prettamente economica (scopo culturale, sportivo, politico, etc.). Le fondazioni sono, invece, caratterizzate dalla destinazione di un patrimonio privato ad un determinato scopo di pubblica utilità (assistenziale, culturale, scientifico).
(44) Proprio a confermare la sensazione di scarsa comprensione della funzione di tali società, il medesimo comma XIII prevede la possibilità di conferire a loro la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare per l'affidamento del servizio.
(45) Il chiarimento risulta opportuno anche per evitare qualsiasi ipotesi di mutamento della detenzione in possesso, di cui all'articolo 1.141 c.c.
(46) Il termine utilizzato dal legislatore al comma VII del novellato articolo 113 è "possesso". Per le ragioni or ora esposte, è preferibile utilizzare il termine detenzione.
(47) L'indennizzo, il cui valore deve essere indicato nel bando di gara, è pari al valore dei beni non ancora ammortizzati.
(48) Termine decorrente dalla data di entrata in vigore della Finanziaria 2002, ed anche con la possibilità di derogare alle singole discipline di settore.
(49) Il diritto d'uso, ai sensi dell'art. 1.021 c.c., costituisce un diritto reale di godimento, il quale attribuisce al suo proprietario (usuario) il potere di servirsi di un bene mobile o immobile e, se fruttifero, di percepirne i frutti, ma solo limitatamente ai propri bisogni ed a quelli della sua famiglia. Per espressa previsione dell'articolo 35 comma XI della Finanziaria 2002, non trovano applicazione gli articoli 1.024 (divieto di cessione), 1.025, (obblighi inerenti all'uso e all'abitazione), 1.026 (applicabilità delle norme sull'usufrutto).
(50) Quelli diretti, appunto, a curare l'esecuzione della legge.
(51) Quelli destinati a disciplinare, nel rispetto di norme di grado superiore (leggi), le materie attribuite dalla legge medesima alla competenza della P.A.
(52) Quelli diretti a disciplinare l'organizzazione degli uffici amministrativi, completando, con norme di dettaglio, la normativa di rango legislativo.
(53) All'interno della categoria dei termini ordinatori, la dottrina distingue, poi, i cosiddetti termini "sollecitatori", cioè quei termini diretti a "sollecitare" il tempestivo compimento di una data attività, senza prevedere alcun effetto negativo in caso di mancato rispetto. Invero, date le eguali conseguenze previste, il termine sollecitatorio si distingue ben poco da quello ordinatorio.
(54) Per una completa trattazione della problematica dei termini: L. Galateria - M. Stipo, Manuale di diritto amministrativo, pag. 272 e seguenti, UTET 1995.
(55) L. Galateria - M. Stipo, op. cit., pag. 273.
(56) Una recentissima sentenza si esprime molto chiaramente a tal riguardo: Di regola, i termini fissati dalla legge per l'esercizio di un diritto hanno natura ordinatoria, salvo che la stessa legge non disponga espressamente il contrario, o che sia prevista una sanzione decadenziale, o che la perentorietà sia desumibile da concrete ragioni di carattere organizzatorio in capo all'Amministrazione (T.A.R. Basilicata n. 546 del 15/09/2000).
La pronuncia del T.A.R. Basilicata non fa altro che confermare una copiosa giurisprudenza in materia:
I termini stabiliti per il compimento di atti di un procedimento amministrativo hanno generalmente carattere ordinatorio, salvo che non siano dichiarati perentori dalla legge, ovvero che, dalla loro inosservanza, derivi una decadenza (T.A.R. Lazio, sez. I, n. 1723 del 10/11/1997).
I termini stabiliti per il compimento di atti di un procedimento amministrativo hanno generalmente carattere ordinatorio, salvo che non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge, o che dalla loro inosservanza derivi, altrettanto esplicitamente, una decadenza (T.A.R. Basilicata n. 342 del 30/10/1998).
Il Consiglio di Stato, con un'interessante e recente sentenza, evidenzia l'importanza che la ricerca interpretativa, diretta ad indagare la natura del termine, investa pure gli scopi perseguiti dalla legge, i quali possono fornire preziosi e decisivi ragguagli al riguardo: Per attribuire il carattere perentorio ad un termine fissato dal legislatore, non è necessario rinvenire un'esplicita previsione al riguardo, potendosi attribuire tale carattere anche in considerazione degli scopi perseguiti dalla legge (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1139 del 02/09/1999).
(57) E' indubbio che si tratta di argomentazioni non totalmente convincente, per cui potrà essere ben sostenuta la tesi del termine ordinatorio, con tutti i negativi riflessi per ciò che concerne il concreto avvio della riforma.
(58) Occorre ricordare che, proprio ai sensi del comma II, a far data da tale termine, è comunque vietato alle società di capitali in cui la partecipazione pubblica è superiore al 50 per cento, se ancora affidatarie dirette, di partecipare ad attività imprenditoriali al di fuori del proprio territorio.
(59) La concessione a terzi della gestione del servizio idrico, nei casi previsti dalla presente legge, è soggetta alle disposizioni dell’appalto pubblico di servizi degli enti erogatori di acqua in conformità alle vigenti direttive della Comunità Europea in materia, secondo modalità definite con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell’ambiente.
(60) Le circolari interpretative sono quelle che contengono l’interpretazione di leggi e regolamenti, al fine di assicurarne l’uniforme interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo. Secondo la migliore dottrina, la circolare interpretativa può essere disattesa, previa congrua ed adeguata motivazione, in conformità al dictum legislativo.
(61) In alternativa a quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 113 del citato Testo Unico delle leggi dell’ordinamento degli Enti Locali, come sostituito dall’articolo 1 del presente articolo, i soggetti competenti,………..,possono affidare, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il servizio idrico integrato a società di capitali partecipate unicamente da enti locali, che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale, per un periodo non superiore a quello massimo determinato, ai sensi delle disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo………
(62) Sei anni e mezzo = 18 mesi iniziali per attivarsi + i 5 anni.
(63) Maggi M., A chi l'acqua ? A noi!, l'Espresso del 31/01/2002, pagg. 125-126.
(64) Ben prima dell’approvazione della Finanziaria 2002, in un convegno organizzato a Milano dalla Sda Bocconi, è stata posta in luce “l’incongruenza costituzionale”: Non soltanto l’attuale versione dell’articolo 23 (ora 35) della Finanziaria 2002 è pieno di sciocchezze, ma è addirittura incostituzionale. Con la riforma dell Titolo V della Costituzione moltissime competenze sono passate infatti nella sfera esclusiva delle Regioni e, fra queste, anche la gestione dei servizi pubblici locali. E’ necessario, a questo punto, fare un passo indietro: lo Stato deve fissare pochissimi punti, come ad esempio il fatto che tutte le aziende siano Spa con bilanci certificati, e lasciare il compito di regolazione alle singole Regioni (l’opinione espressa è di Luigi Prosperetti, docente di Economia industriale; dal Sole 24 Ore del 08/11/2001). Sempre al medesimo convegno, cosi come riportato dal citato quotidiano economico, la tesi dell’incostituzionalità non era certo isolata: Andrea Gilardoni, docente di economia e gestione delle imprese, ha sposato la tesi dell’incostituzionalità ed ha ammesso che il Comitato Tecnico scientifico sulle public utilities della Regione Lombardia, di cui fa parte, da qualche giorno ha preso ad affrontare il problema.
(65) Sempre in tale articolo, viene riportato che Fulvio Vento, presidente di Confeservizi, ha espresso similari opinioni.
(66) L'art. 3 del trattato della Comunità Europea, nel porre il principio che l'azione della Comunità medesima comporta la creazione di un regime volto a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune, si riferisce ai tipici meccanismi di un'economia di mercato.
La politica comunitaria di libera concorrenza è diretta a realizzare tre obiettivi fondamentali:
- Contribuire a realizzare l'unicità del mercato comune a vantaggio delle imprese e dei consumatori.
- Impedire l'abuso di potere economico, cioè non consentire che determinate imprese di notevoli dimensioni sfruttino in maniera abusiva la loro posizione economica dominante sul mercato, alterando le regole della libera concorrenza.
- Consentire alle imprese di razionalizzare la produzione e la distribuzione, adeguandosi al progresso tecnico e scientifico.
(67) Anzi, la dottrina, a tal proposito, rileva che la previsione, in sede costituzionale, di un tale vincolo, produce effetti anche in relazione alle conseguenze delle eventuali inosservanze: La conseguenza (la conseguenza del nuovo art. 117 Cost.) è che la norma nazionale, statale o regionale, in contrasto con le norme che compongono tale ordinamento non deve essere disapplicata, ma dichiarata costituzionalmente illegittima (abbandono della concezione “dualistica” dell’ordinamento comunitario.
(68) Oliveri L., Eliminato l'affidamento mediante la concessione, Italia Oggi del 25/01/2002, pag. 21.
(69) Su tale problematica, si segnala l’interessante nota di commento di G. Virga, Asta pubblica, licitazione privata e la selva di antenne che ci attende, apparsa su http://www.lexitalia.it
(70) Ovviamente, in riferimento ai servizi a rilevanza industriale.