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n. 9/2008 - © copyright

ESTRATTO DELLA LEGGE 6 agosto 2008, n. 133 (in G.U. n. 195 del 21 agosto 2008 - Suppl. Ord. n. 196 - in vigore dal 22 agosto 2008) - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

 

Capo VIII

Piano industriale della pubblica amministrazione

 

Art. 46.

Riduzione delle collaborazioni e consulenze

nella pubblica amministrazione

 

1. Il comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito, (( con modificazioni )) , dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e da ultimo dall'articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è così sostituito:

 

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

 

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

 

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

 

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

 

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

 

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

 

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, (( convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso )).».

 

2. L'articolo 3, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è così sostituito: «Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall'oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».

 

3. L'articolo 3, comma 56, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è così sostituito: «Con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo (( degli enti territoriali )).».

 

 

Commento di

 

FRANCESCO ALBO

(Magistrato della Corte dei conti)

Gli incarichi di collaborazione nella Pubblica Amministrazione
dopo l’entrata in vigore della
legge n. 133/2008

1. Premessa.

La materia degli incarichi esterni da parte della pubblica amministrazione è stata negli ultimi anni oggetto di frequenti interventi da parte del legislatore, che in attuazione di una politica più generale di contenimento della spesa pubblica, ha progressivamente introdotto restrizioni sempre più severe nell’utilizzo di tali istituti, nel tentativo di arginarne l’abuso.

Per fronteggiare tali fenomeni, ritenuti doppiamente dannosi sia per la creazione di spesa aggiuntiva, sia per il mancato utilizzo delle ordinarie strutture amministrative, il legislatore ha operato sia sul versante della fissazione di limiti di spesa, sia sul versante della rigorosa fissazione di presupposti attraverso una marcata procedimentalizzazione, sia infine attraverso l’introduzione di forme di controllo.

Con l’ultimo intervento legislativo, l’art. 46 del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito in legge 6/8/2008 n. 133, sono state introdotte significative novità alla disciplina, sia con riferimento ai presupposti per il loro conferimento (art. 7 comma 6 e ss. del D.Lgs. n. 165/01 e s.m.i.) [1], sia con riferimento alla programmazione e regolamentazione in materia da parte degli enti locali (art. 3 commi 55 e 56 della legge n. 244/2007).

Di seguito se ne passeranno rapidamente in rassegna le principali, al fine anche di focalizzarne meglio l’impatto sul sistema previgente.

2.  Il requisito della “particolare e comprovata specializzazione universitaria”.

Una prima importante novità riguarda i requisiti professionali di cui devono essere in possesso i soggetti destinatari d’incarichi esterni con contratto di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa.

La materia era già stata oggetto di significative modifiche dapprima ad opera dell’art. 32 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, cd. “decreto Bersani”, e poi dell’art. 3 comma 76 della legge 24.12.2007 n. 244 (finanziaria 2008).

Tale ultima norma, nel contesto di una più generale rivisitazione dei presupposti per l’utilizzo del lavoro flessibile, all’art. 7 comma 6 del Testo Unico sul pubblico impiego aveva sostituito il riferimento agli “esperti di provata competenza” con quello assai piú specifico di “esperti dotati di particolare e comprovata specializzazione universitaria”, restringendo, così, sensibilmente la platea dei potenziali destinatari di incarichi professionali.

Con questa formulazione, rafforzativa delle previsioni già contenute alla lett. c) del medesimo comma (che, com’è noto, limita il ricorso agli incarichi esterni solo per prestazioni altamente qualificate), il legislatore, non ritenendo più sufficiente il possesso della generica competenza nel settore, richiedeva il possesso di una specializzazione di tipo universitario, e per di più strettamente attinente alla materia oggetto dell’incarico (ossia “particolare”) e suffragata da un serio curriculum professionale attestante anche l’esperienza maturata nel settore (in questo senso il termine “comprovata”).

L’esigenza di contenere la spesa per incarichi e di contrastare l’abuso di tali forme contrattuali - caratterizzate da elevata discrezionalità e dalla difficile valutabilità del ritorno ricevuto dall’amministrazione in termini di utilità effettiva -, imponeva di restringere il ricorso ad essi a casi assolutamente eccezionali, in cui l’estrema difficoltà e settorialità delle problematiche da trattare rendesse indispensabile l’apporto di elevate professionalità, non reperibili in alcun modo all’interno.

I singoli enti in sede regolamentare potevano comunque modulare diversamente, ove necessario, il livello di specializzazione richiesto, a secondo del tipo di incarico, del grado di tecnicismo (e di conseguente difficoltà), e del livello medio delle professionalità presenti all’interno, in modo coerente con le rispettive realtà e i rispettivi fabbisogni.

Restava comunque imprescindibile il possesso di una specializzazione di tipo “universitario”, conseguibile attraverso una laurea specialistica (cd ”laurea magistrale”) o comunque una laurea conseguita secondo il vecchio ordinamento, a questa equiparata ex lege.

Questa era anche la posizione della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della Funzione pubblica [2] –, secondo la quale, peraltro, potevano anche ammettersi eventuali ulteriori percorsi di specializzazione stabiliti dai vari ordinamenti universitari, ferme restando tutte quelle previsioni speciali che fissavano i requisiti professionali dei collaboratori o le modalità particolari di selezione (per esempio, in materia di lavori pubblici – D.Lgs. n. 163/2006 - o in materia di comunicazione istituzionale – L. n. 150/00).

Qualche apertura poteva ipotizzarsi con riferimento a quelle attività concernenti ambiti (per esempio, le prestazioni artistiche), la cui specializzazione, pur richiedendo una conoscenza qualificata, non fosse presente nell'offerta universitaria, in ragione proprio dell’impossibilità di reperimento sul mercato. In tali casi particolari, poteva ritenersi sufficiente l’accertamento in concreto delle conoscenze, comprovate, unitamente all’esperienza nel settore, da un articolato curriculum.

Di diverso avviso la Sezione regionale di controllo per la Lombardia [3], che ha ritenuto soddisfatto il requisito della specializzazione universitaria anche nel caso d’iscrizione a un albo o a un ordine (rectius, collegio) professionale per il cui accesso non sia richiesta la laurea, in quanto questo di per sè attesterebbe il possesso di conoscenze specialistiche di livello equiparabile a quello universitario, fermo restando, comunque, il necessario accertamento in concreto - in sede di conferimento dell’incarico -, delle effettive competenze teorico-pratiche necessarie e della documentata esperienza maturata nel settore.

Tali conclusioni ermeneutiche sono state fatte proprie dal legislatore, che facendo una netta retromarcia rispetto al progressivo innalzamento dei requisiti professionali registrato nelle ultime formulazioni dell’art. 7 comma 6 del D.Lgs. n. 165/2001, e nell’intento di dare risposta alle richieste da più parti pervenute di mitigare il rigore di tale norma, con l’art. 46 del D.L. n. 112/08 ha disposto che

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

L’ampiezza dei margini di deroga introdotti dal legislatore induce a ritenere che la specializzazione richiesta in capo agli esperti, pur sempre “particolare” e “comprovata” nel senso sopra chiarito, non debba necessariamente essere di tipo universitario, e dunque possa essere “anche” universitaria” [4].

3. Il divieto di conferimento di incarichi di collaborazione per lo svolgimento di funzioni ordinarie.

Con l’affermazione del divieto espresso di stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie e di utilizzare i collaboratori come lavoratori subordinati, il legislatore ha recepito un principio che era stato affermato da tempo sia da parte delle Sezioni giurisdizionali [5] e delle Sezioni regionali di controllo [6] della Corte dei conti, sia da parte della Funzione pubblica [7].

Gli incarichi esterni, infatti, devono far fronte a esigenze eccezionali e temporanee, che non possono in alcun modo coprire i fabbisogni ordinari e le esigenze di carattere duraturo, cui gli enti sono tenuti a dare risposta attraverso la programmazione triennale del fabbisogno del personale, o attraverso la riqualificazione professionale del personale interno.

La finalità della norma è responsabilizzare le amministrazioni sul corretto uso delle proprie risorse umane, sviluppando e valorizzando le professionalità interne all’ente per far fronte ai compiti cui questo è istituzionalmente preposto (c.d. principio di “autosufficienza organizzativa”), evitando così l’insorgere di nuovo precariato, che vanificherebbe, peraltro, gli effetti delle politiche di stabilizzazione del personale in atto.

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per funzioni ordinarie era stata originariamente affermata dalla delibera delle Sezioni Riunite in sede di controllo n. 6/contr/2005 della Corte dei conti, che nell’emanare le linee guida per l’applicazione degli art. 11 e 42 della legge n. 311/2004, aveva sostenuto che:

Restano fuori dell'oggetto dei commi 11 e 42 anche i "rapporti di collaborazione coordinata e continuativa", che rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell'incarico professionale, e il lavoro subordinato (art. 409, n. 3 del codice di procedura civile; art. 61 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276). L'esclusione di questo tipo di rapporti si ricava, del resto, dalla stessa l. n. 311/2004 la quale, al comma 116 dell'art. 1, prevede che le pubbliche amministrazioni, comprese regioni, province e comuni, possono avvalersi, nel 2005, di personale a tempo determinato, esclusa la nomina del direttore generale dei Comuni (art. 108 d.lgs. n. 267/2000), "con contratti di collaborazione coordinata e continuativa". I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sono quindi utilizzabili per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative e non riguardano perciò il ricorso agli incarichi esterni. Gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, infatti, per la loro stessa natura che prevede la continuità della prestazione e un potere di direzione dell'amministrazione, appaiono distinti dalla categoria degli incarichi esterni, caratterizzata dalla temporaneità e dall'autonomia della prestazione.

Tale autorevole posizione è stata poi, di fatto, superata dalla successiva evoluzione legislativa, sempre più attenta a restringere progressivamente i presupposti per il ricorso agli incarichi esterni, anche attraverso il continuo innalzamento del livello di professionalità richiesto in tale ambito.

I pochi enti che continuavano a sostenere la possibilità di conferire incarichi di collaborazione per funzioni ordinarie facevano leva sull’ambigua formulazione dell’art. 1 comma 9 del D.L. 12/7/2004 n. 168, che con riferimento agli incarichi di studio, ricerca, o consulenza, ammetteva la possibilità di affidamento all’esterno in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell'ente, previa adeguata motivazione e soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nell'ipotesi di eventi straordinari.

Tale norma, a scanso di equivoci, è stata ora abrogata espressamente.

Diretta conseguenza del divieto introdotto dall’art. 46 del D.L. n. 112/08 è che le amministrazioni non potranno far ricorso a incarichi esterni per far fronte a situazioni d’impossibilità oggettiva di utilizzo di personale interno all’ente (art. 7 comma 6 lett. b del D.Lgs. n. 165/2001) sotto il profilo quantitativo, ossia per sopperire all’ingente mole di lavoro svolta dai dipendenti in servizio. Si darebbe luogo, infatti, a una surrettizia e dannosa duplicazione del lavoro ordinariamente svolto dalle strutture amministrative, in contrasto anche con i principi sopra richiamati di eccezionalità degli incarichi e di autosufficienza organizzativa.

Le uniche situazioni d’impossibilità oggettiva invocabili in questo contesto sono dunque quelle legate ad aspetti qualitativi, ossia all’assenza totale di professionalità interne all’ente idonee allo scopo richiesto.

Le conseguenze, in caso di violazione del divieto in questione, sono molto gravi, in quanto lo stesso legislatore ha previsto la responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato il disciplinare d’incarico, così incentrando il fulcro della lesività erariale al momento della sottoscrizione del contratto, fonte di quel vincolo giuridico bilaterale che è causa dell’esborso di denaro, e dunque del danno [8].

Nel rinviare, per comprensibili esigenze di sintesi, ad altra sede l’approfondimento dell’ipotesi tipizzata di responsabilità amministrativa cui si è fatto cenno, non si può comunque non rilevare che tale previsione non esime da responsabilità gli altri soggetti che con la loro condotta funzionale hanno dato un contributo causale alla realizzazione del danno, in aderenza al principio di responsabilità parziaria previsto per le fattispecie colpose dall’art. 1 comma 1 quater della l. 20/94 e s.m.i.

4. La categoria della collaborazione autonoma e la facoltatività dell’inserimento dell’incarico all’interno del programma consiliare di cui all’art. 3 comma 55 della L. n. 244/2007.

Al fine di superare le perplessità sollevate dal difetto di coordinamento tra il comma 55 e il comma 56 dell’art. 3 della finanziaria 2008, dovute al mancato richiamo nel primo degli incarichi di collaborazione, le varie tipologie di incarico previste in questi due commi (studio, ricerca, consulenza e collaborazione) sono state ricondotte all’interno della categoria generale della collaborazione autonoma, a prescindere dall’oggetto della prestazione.

A fini definitori, richiamando la già citata delibera delle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede di controllo n. 6/Contr/2005, si ricorda che:

· gli incarichi di studio (disciplinati dall’art. 5 del DPR n. 338/94) consistono in esame di problematiche, e richiedono sempre la consegna di una relazione scritta finale, nella quale si illustrano i risultati dello studio e le soluzioni proposte;

·  gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione;

· le consulenze si sostanziano nella richiesta di un parere ad un esperto esterno.

Le collaborazioni sono definibili come prestazioni rese da soggetti esterni all’ente, che conferiscono un apporto - di tipo occasionale o coordinato e continuativo -, necessario al corretto svolgimento dell’attività istituzionale di programmazione o di gestione.

Altra novità significativa apportata all’art. 3 comma 55 risiede nel fatto che ai fini del conferimento di un incarico non è più obbligatoria la sua previsione nell’ambito dello specifico programma consiliare, ben potendosi prescindere da tale adempimento qualora questo faccia riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge.

Tale soluzione, invertendo anche qui la rotta rispetto alla legge finanziaria 2008, nella sostanza riespande l’autonomia dirigenziale a discapito della programmazione consiliare, che in teoria dovrebbe restare obbligatoria solo per il conferimento d’incarichi non riconducibili ad attività istituzionali previste dalla legge.

Un’eventualità di questo genere, però, contrasterebbe con l’art. 7 comma 6 lett. a) del D.Lgs. n. 165/2001, che annovera tra i presupposti di legittimità proprio la corrispondenza dell'oggetto della prestazione alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente.

5. L’allocazione del tetto massimo di spesa per gli incarichi esterni.

Con la modifica dell’art. 3 comma 56 della finanziaria 2008, secondo cui il budget di spesa annua per gli incarichi (anche qui definiti con il termine onnicomprensivo di collaborazione autonoma) non va più previsto all’interno del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, ma direttamente nel bilancio preventivo, il legislatore ha voluto probabilmente raggiungere due obiettivi: inserire la quantificazione del limite di spesa annua in una sede più consona, ossia all’interno di uno strumento di programmazione economico finanziaria, e controbilanciare nei confronti del Consiglio comunale quella sostanziale sottrazione di competenze operata dal comma precedente in materia di programmazione degli incarichi.

Invero, la scelta di allocare la quantificazione del budget di spesa all’interno del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi è apparsa subito tecnicamente poco in linea con il contenuto di tale fonte, specificato dall’art. 89 del TUEL [9].

Pur essendo indubbiamente uno strumento di programmazione finanziaria la sede tecnicamente più consona per contenere una previsione di spesa, desta tuttavia qualche perplessità la scelta di allocare tale budget all’interno proprio del bilancio di previsione, in quanto l’unità elementare della spesa sulla base della classificazione di cui all’art. 165 del TUEL, ossia l’intervento, soprattutto con riferimento alle spese correnti risulta inidoneo a distinguere tale spesa da quella per altre prestazioni di servizi.

Si ritiene pertanto che l’indicazione del tetto massimo di spesa per incarichi vada fatta in sede di delibera di approvazione del bilancio di previsione, o di sua variazione, non all’interno del documento contabile.

Questo budget generale sarà poi allocato tra i vari centri di responsabilità tramite il piano esecutivo di gestione (o lo strumento a esso equipollente, comunque denominato, per i comuni di popolazione inferiore a 15.000 abitanti), che grazie alla sua struttura che prevede l’ulteriore suddivisione degli interventi in capitoli, è più idoneo a differenziare tale spesa da quella per altre prestazioni di servizi, e soprattutto costituisce la sede istituzionalmente più appropriata per l’affidamento dei budget finanziari - e dei correlati obiettivi -, ai dirigenti (o ai responsabili degli uffici e dei servizi per i comuni sprovvisti di figure dirigenziali), cui compete la fase gestionale.

6. Le verifiche sulle disposizioni regolamentari in materia di incarichi da parte delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai sensi dell’art. 3 comma 57 della L. n. 244/2007.

L’art. 3 comma 57 della legge n. 244/2007, non interessato da modifiche testuali, com’è noto ha disposto l’obbligo da parte degli enti locali di trasmettere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione gli estratti dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che disciplinano, in conformità alla legislazione vigente, limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi esterni.

Tale trasmissione, non potendo essere fine a sé stessa, è stata ritenuta strumentale ad un esame e ad una eventuale pronuncia della Corte dei conti, secondo modalità che devono necessariamente armonizzarsi con il quadro normativo vigente.

A tal proposito, la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti [10], con delibera 6/AUT/2008 del 14 marzo u.s., contenente linee di indirizzo e criteri interpretativi dell’art. 3 comma 57 della L. n. 244/07, ha sostenuto che tale attività si concreta in un controllo di natura non interdittiva (come il controllo preventivo di legittimità, integrativo dell’efficacia dell’atto), bensì collaborativa, che mira cioè a stimolare nell’ente controllato virtuosi processi di autocorrezione, consistente nell’adozione delle misure necessarie ad ovviare alle disfunzioni segnalate.

Tale controllo è ascrivibile, secondo l’orientamento della Corte Costituzionale [11], alla categoria del riesame di legalità e regolarità, in una prospettiva non più statica (come era il tradizionale controllo di legalità e regolarità), ma dinamica, volta a finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive.

A parametro delle disposizioni regolamentari sono stati assunti i limiti normativi di settore, ed in particolare l’art. 7 commi 6 e ss. del d.lgs. n. 165/2001, che hanno recepito principi ormai consolidati nella giurisprudenza contabile [12], e che per espressa previsione del comma 6-ter, e per la loro stessa collocazione sistematica (titolo I del D.Lgs. n. 165/2001, relativo ai principi generali), sono da considerarsi norme di principio, e dunque non derogabili dai regolamenti degli enti locali [13].

Lo strumento per raggiungere siffatto risultato, vista la comune natura collaborativa e la comune finalità di tutela della sana gestione finanziaria degli enti [14], è stato individuato nell’applicazione dei principi e dell’iter procedurale dettati dall’art. 1 comma 168 della legge n. 266/2005.

Tale ultima norma prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora accertino, anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, possano adottare una specifica pronuncia, vigilando poi sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive.

In favore di tale estensione depone anche la formulazione letterale del comma 168, che prevede che il controllo su comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria possa prescindere dalla relazione dell’organo di revisione contabile di cui al comma 166, essendo attivabile dalla Corte dei conti “anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166”.

In attuazione delle linee guida emanate dalla Sezione delle Autonomie, le Sezioni regionali di controllo hanno avviato da tempo le istruttorie sugli estratti dei regolamenti pervenuti. Con l’entrata in vigore del D.L. n. 112/2008 e della relativa legge di conversione, però, gli enti locali dovranno recepire in sede regolamentare le sostanziali modifiche apportate alla normativa di principio.

Questo comporterà la necessità di rinnovare gli adempimenti nei confronti dei testi regolamentari che gli enti locali avranno cura di aggiornare, e di ritrasmettere entro trenta giorni dalla loro adozione alle Sezioni regionali di controllo territorialmente competenti [15].

Il parametro delle disposizioni regolamentari, oltre che l’art. 110 comma 6 del D.Lgs. n. 267/2000, sarà costituito dall’art. 7 comma 6 e seguenti del D.Lgs. n. 165/2001 nella sua ultima formulazione.

Nessuna conseguenza particolare sembra scaturire, invece, dal fatto che il testo novellato di tale ultima norma qualifichi i presupposti elencati alle lettere da a) a d) come presupposti di legittimità degli incarichi esterni.

Questa nuova formulazione appare, infatti, semplicemente rafforzativa dell’obbligatorietà di tutti i requisiti ivi descritti, e si ritiene che non alteri in alcun modo né la natura collaborativa del controllo in questione, nè l’iter procedimentale attraverso cui questo viene attuato, difettando peraltro un’espressa previsione in tal senso.                                                                                                                         


 

[1] Con riferimento ai presupposti per il conferimento degli incarichi da parte della pubblica amministrazione, cfr. da ultimo Corte dei conti, Sez. II giurisdizionale centrale d’appello, sent. 29/7/2008 n. 256, su questa Rivista, con commento di Massimo Perin (pag. web http://www.lexitalia.it/p/82/cconti2centr_2008-07-29.htm).

[2] Cfr. Funzione pubblica, circolare n. 2 dell’11.3.2008 e parere UPPA del 28.1.2008, in www.innovazione.gov.it . In termini analoghi, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, parere 9/2008/cons., in www.corteconti.it .

[3] Cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, pareri n. 28 e 29 del 2008, in www.corteconti.it.

[4] In senso contrario, Saporito G., Consulenze, per gli albi una corsia preferenziale,  in Sole 24 ore del 19.8.2008, secondo cui la congiunzione “anche” introdotta dal D.L. n. 112/2008 rende obbligatorio il possesso di una specializzazione almeno di livello universitario, prima non richiesta.

[5] Cfr., da ultimo, Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna, sent. n. 501 del 16.6.2008, e Sezione giurisdizionale Calabria, sentenza n. 307 del 2.4.2008, secondo cui l'incarico di consulenza non deve mai risolversi nell'instaurazione surrettizia di un rapporto di lavoro (art. 97 Cost.).

[6] Cfr., da ultimo, Sezione controllo Veneto, pareri n. 9/2008 e n. 35/2008, e Sezione controllo Lombardia, parere n. 10/2008, in www.corteconti.it .

[7] Cfr. Funzione pubblica, circolare n. 2/2008 dell’11.3.2008, cit. .

[8] Sul danno scaturente dal conferimento di un incarico in violazione dei limiti legali cfr. Sezione giurisdizionale di appello per la regione siciliana n. 122/A/2008 e 206/A/2008 in www.corteconti.it. e, da ultimo, Sezione regionale di controllo per la Calabria, delibera n. 138 del 25/7/2008, in www.corteconti.it, secondo cui “dall'intervenuto svolgimento di prestazioni rese nell’ambito di un rapporto di lavoro (autonomo o non che sia) assunto però in violazione dei limiti, dei criteri e delle modalità che lo disciplinano,  non può discendere alcuna pretesa di utilità per l'ente pubblico, in quanto nella scelta legislativa il perseguimento del fine e la realizzazione dell’ “utilitas” pubblica sono stati ritenuti attuabili, con valutazioni tipiche a priori, esclusivamente attraverso i moduli conformi al dettato normativo per l’appunto posti “a monte”, con l’ulteriore ovvia e definitiva conseguenza per cui la remunerazione corrisposta costituisce danno erariale “.

[9] Cfr. Corte dei conti, Sezione regionale per il Veneto, relazione allegata alla deliberazione 14/2008/Ind.Pr. , in www.corteconti.it. Contra, Sezione regionale di controllo per la Calabria, delibera n. 138/2008, cit., secondo cui tale previsione ha natura regolamentare.

[10] Cfr. Sezione delle Autonomie, delibera 6/AUT/2008 del 14.3.2008, in www.corteconti.it.

[11] Cfr. Corte costituzionale, sentenza 7 giugno 2007 n. 179, su questa rivista.

[12] Cfr. Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede di controllo 6/contr./2005, in www.corteconti.it.

[13] Cfr. Sezione delle Autonomie, 6/2008 cit., secondo cui l’inderogabilità di tali norme da parte dei regolamenti locali risiede nella loro diretta derivazione dai principi di buon andamento e di trasparenza della pubblica amministrazione, nonchè di sana e corretta gestione finanziaria.

[14] Secondo la Sezione regionale di controllo per la Calabria, delibera n. 138/2008, cit., la finalità di tutela sulla sana gestione finanziaria si desume anche dal fatto che la materia degli incarichi esterni attiene a un settore di spesa di notevole rilevanza, che impatta notevolmente sugli equilibri di bilancio dell’ente e sul patto di stabilità e crescita.

[15] In questo senso, Sezione regionale di controllo per la Calabria, delibera n. 138, cit., e Sezione regionale di controllo per il Veneto, delibera n. 29/2008/Ind.pr. dell’11/9/2008, in www.corteconti.it.


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