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Articoli e note

MARIA ABBRUZZESE
(Magistrato amministrativo)

Il principio di trasparenza negli atti dell'Amministrazione finanziaria alla luce dello Statuto dei diritti del contribuente

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Sommario: 1. Generalità – 2. L’art. 7 dello Statuto del contribuente e i principi di chiarezza e motivazione – 3. In particolare, l’obbligo di motivazione – 4. I commi 3 e 4 dell’art. 7 – 5. La motivazione dell’atto: quadro storico e richiami giurisprudenziali – 6. La motivazione degli atti di accertamento – 7. Conclusione.

 

1. Generalità

La legge 27 luglio 2000 n. 212 (“Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, ormai nota come “Statuto del contribuente”) si propone espressamente di definire i principi generali ai quali improntare i rapporti dell’Amministrazione finanziaria con il pubblico dei destinatari dei suoi atti (art. 1), estendendo allo specifico settore i principi già applicati per i procedimenti amministrativi in generale e definiti a loro volta dalla legge generale sul procedimento 7 agosto 1990, n. 241.

Il presupposto posto a base dell’intervento normativo consiste nel rilievo che l’Amministrazione finanziaria, pur con le peculiarità ad essa proprie, è parte dell’Amministrazione in generale e non può rimanere estranea ai principi a questa generalmente ritenuti applicabili.

Mette conto preliminarmente osservare che i principi sul procedimento (semplificazione, trasparenza, accesso, partecipazione), ove non esclusi dall’ambito applicativo in maniera espressa o per incompatibilità con le discipline specifiche, avevano per parte loro già trovato ampio spazio nella casistica giurisprudenziale.

In particolare l’obbligo di motivazione degli atti di imposizione, inteso come riscontro dei principi di conoscibilità e comprensibilità dell’attività amministrativa, era, già prima dell’entrata in vigore dello statuto del contribuente, portato tranquillo della giurisprudenza tributaria e, in particolare, ritenuto vigente anche ove non espressamente previsto (1).

Sotto altro profilo la dottrina, seguita dalla giurisprudenza, aveva ritenuto che la previsione di nullità per inosservanza dell’obbligo di motivazione fosse espressione di un principio generale e non corollario della struttura tipica di questo o quel tributo (2). 

D’altra parte l’art. 13 della L. 241/90 escludeva i procedimenti tributari dall’applicazione delle sole norme contenute nel capo III in tema di partecipazione, restando ancora confermata la natura generale dei principi stabiliti nelle altre parti della legge fondamentale sul procedimento, validi dunque anche per i procedimenti tributari.

Alla stregua di tali considerazioni, lo Statuto ha portata, più che innovativa, ricognitiva, restando invece significativo l’obbligo imposto al legislatore primario contenuto nell’art. 16 dello Statuto di adeguare le leggi tributarie non in linea con i principi dello Statuto allo stesso ed espressamente obbligando il Governo a disporre l’abrogazione diretta delle norme regolamentari non conformi ai principi dello Statuto.

Sotto tale profilo, possono agevolmente riconoscersi allo Statuto: una funzione “programmatica”, con l’indicazione del percorso da seguire per i futuri interventi normativi e per la regolamentazione secondaria; una funzione integrativa di eventuali lacune normative; una funzione interpretativa delle norme vigenti; una funzione delimitativa, sul piano formale e contenutistico, della futura normazione; una funzione fondativa nella fissazione dei valori individuati come “fondamentali”.

Il tutto nel quadro di un complessivo riassetto normativo nel senso della chiarezza.

 

2. L’art. 7 dello Statuto del contribuente e i principi di chiarezza e motivazione

L’art. 7 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (titolato significativamente “chiarezza e motivazione degli atti”) prevede che “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Il secondo comma prevede che gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:

a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;

b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela;

c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorre in caso di atti impugnabili.

Deve anzitutto evidenziarsi che la legge, come sopra detto, definisce espressamente principi generali dell’ordinamento tributario le norme contenute nella legge stessa e tra queste l’obbligo generalizzato di motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria previsto, unitamente all’obbligo di chiarezza, dall’art. 7.

Mette conto osservare che il piano della “chiarezza” e quello della motivazione” non sono completamente sovrapponibili, considerando che, mentre la motivazione costituisce requisito imprescindibile dell’atto amministrativo (e tributario), la chiarezza costituisce piuttosto un elemento estrinseco dell’atto che si pone al diverso livello del rapporto tra l’Amministrazione ed i destinatari dell’atto o, comunque, dell’attività procedimentalizzata, che si deve porre oramai in termini di “collaborazione e buona fede” (ex art. 10 Statuto).

Tale indicazione potrebbe di per sé giustificare, al di là del richiamo espresso all’art. 3 della L. 241/90, operato dall’art. 7 in commento, l’autonomia della legge predetta rispetto alla legge generale sul procedimento amministrativo nel senso che, ora, in forza dello Statuto del contribuente, e non più per applicazione delle norme generali sul procedimento (applicabili in quanto non espressamente derogate da disposizioni speciali di settore), viene generalizzato l’obbligo di motivazione e precisato l’obbligo di chiarezza.

Sotto un diverso profilo, l’incidenza dei distinti obblighi (di chiarezza e motivazione) sugli atti comporta effetti del tutto diversi sul piano della concreta disciplina, come più sotto si dirà.

 

3. In particolare, l’obbligo di motivazione

Il comma 1 fa, come sopra detto, riferimento specifico all’obbligo di motivazione.

E’ anzitutto a dirsi che la motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria non è totalmente sovrapponibile rispetto al problema analogo posto con riguardo agli atti amministrativi (3).

Ove in particolare si faccia riferimento agli atti impositivi (che tra gli atti dell’Amministrazione finanziaria rappresentano indiscutibilmente la più significativa consistenza), è di tutta evidenza che non può farsi esclusivamente riferimento alla problematica degli atti discrezionali con il necessario contemperamento, di cui occorre dar conto sul piano motivazionale, tra pluralità di interessi e soluzioni; l’atto impositivo, infatti, non è un atto vincolato solo nei fini, sicchè la motivazione va più correttamente incentrata sulla giustificazione del potere in concreto esercitato di incisione unilaterale nella sfera del destinatario, compiutamente tipizzato nei mezzi e nel fine.

L’estensione di detto obbligo riguarda sia l’ambito oggettivo che soggettivo.

Quanto al primo profilo, la giurisprudenza e la dottrina, sia amministrativa che tributaria, avevano già affermato tale necessità, con riferimento agli atti “impositivi”, in quanto statuenti obblighi, e comunque restrittivi delle potestà dei destinatari.

Sia l’art. 3 della L. 241/90 che l’attuale art. 7 dello Statuto assumono dunque, per tale profilo, valore ricognitivo (e rafforzativo), pari a quello che potrebbe attribuirsi a tutte le norme che individuino un contenuto minimo del relativo obbligo con riferimento ai singoli atti (4).

L’obbligo di motivazione risulta invece, in forza della legge, ora assolutamente generalizzato e dunque esteso a “tutti” gli atti dell’Amministrazione finanziaria, ben compresi i provvedimenti emessi su istanze di rimborso, i provvedimenti in eventuale autotutela (autonoma o sollecitata dall’interessato), i provvedimenti negativi su istanze degli interessati, ecc.

In realtà, è oramai consolidata l’idea che il destinatario di qualsiasi provvedimento dell’Amministrazione finanziaria sia titolare quantomeno di un interesse legittimo tutelabile (addirittura in caso di richiesta di provvedimento in autotutela) che richiede pertanto un provvedimento motivato dell’Amministrazione che ad esso risponde (5).

E’ del tutto evidente il cambio di mentalità insorto nell’Amministrazione il cui pregresso orientamento, suffragato invero dalla dottrina e dalla giurisprudenza, intendeva la motivazione in senso non essenziale ma come mera “provocatio ad opponendum” sanabile in giudizio mediante l’esplicitazione delle ragioni della pretesa.

Resta nondimeno ferma la distinzione operata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in  tema di possibile sanatoria dei vizi “formali” (ad es., indicazione delle aliquote, determinazione imposte al lordo o al netto, qualifica del funzionario emanante, se munito o meno di delega, ecc.), non incidenti sul profilo motivazionale, in essi non compresi, dunque, quelli attinenti il “merito” dell’accertamento.

Quanto al profilo soggettivo, il riferimento solo agli atti “dell’Amministrazione finanziaria” (e non, come più sotto, al comma 2 dell’art. 7, anche agli atti “dei concessionari della riscossione”) dovrebbe essere rettamente inteso (“minus dixit quam voluit”) come riferimento agli atti emanati da tutti gli organi comunque titolari di potestà finanziaria, e dunque, oltre che ai concessionari, anche agli altri soggetti, di natura privatistica, in quanto titolari di potestà impositiva o  accertativa esternalizzata.

Il riferimento palese è ai soggetti abilitati ad effettuare attività di liquidazione, di accertamento e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni  di cui al D.L.vo 15 dicembre 1997, n. 446, che sono, com’è noto, soggetti privati.

Senza volere dilungarci in questa sede, sulla querelle che tuttora affatica la dottrina amministrativistica sulla natura pubblica “latu sensu” (se non della natura) quantomeno delle funzioni espletate da tali soggetti, è evidente che, in quanto indirettamente esercitanti i medesimi poteri attribuiti all’Amministrazione, analoghi obblighi in punto di motivazione dovrebbero essere ad essi imposti, ricorrendone identiche finalità (di trasparenza e tutela).

Al di  là dell’opzione interpretativa prescelta, l’art. 17 dello Statuto impone comunque anche ai concessionari, agli “organi indiretti” dell’Amministrazione, ivi compresi i soggetti che esercitano l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di qualunque natura, il rispetto dei principi stabiliti dallo Statuto.

Anche sul piano del contenuto, l’art. 7 in commento risulta più ampio dell’art. 3 della L. 241/90, in quanto, in ipotesi di motivazione “ob relationem”, impone l’allegazione dell’atto a cui si fa riferimento e non la mera indicazione e ostensibilità (disponibilità dello stesso a richiesta) (6).

Deve aggiungersi che l’art. 16 dello Statuto, come sopra detto, rimette ad uno o più decreti legislativi l’emanazione di disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti “strettamente” necessarie a garantirne la coerenza con i principi desumibili dalle disposizioni della presente legge, oltre che l’abrogazione delle norme regolamentari incompatibili.

Ora, posto che l’obbligo di motivazione, pur non previsto espressamente dalle leggi speciali, era tuttavia ritenuto comunque necessario, è del tutto evidente che il mancato rispetto del termine previsto dal predetto art. 16 (180 giorni dalla data di entrata in vigore dello Statuto per l’emanazione delle norme di adeguamento) non comporterà, né nelle more né successivamente, l’esenzione dall’obbligo di motivazione.

In altri termini, le norme di adeguamento, per tale verso, risulteranno meramente ricognitive ma non innovative.

Si rammenta che proprio tale ultima indicazione, nei termini sopra precisati, è stata oggetto di puntuale regolamentazione da parte della Circolare del Dipartimento delle Entrate 1° agosto 2000 n. 150/E, che, nell’osservare che l’articolo ribadisce sostanzialmente le previsioni contenute nelle disposizioni vigenti in materia di motivazione degli atti di accertamento dei vari tributi e di irrogazione delle sanzioni amministrative, ha ritenuto l’immediata applicazione della disposizione con l’espressa imposizione dell’onere di allegazione, anche di atti che fossero comunque già stati notificati, comunicati o comunque a conoscenza degli interessati sul presupposto implicito che fossero parte integrante dell’atto (7).

E’ probabile che per questa parte la disposizione troverà più razionale applicazione (interpretazione “cum grano salis”), risultando evidentemente superfluo sul piano sostanziale, come reiteratamente sancito dalla giurisprudenza, allegare atti già perfettamente a conoscenza del destinatario e nella sua disponibilità.

La disposizione potrebbe conservare per questa parte (ed in questa prima fase) un contenuto “pedagogico” in favore dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria (ed assimilati) allo scopo di “educarli” ad un diverso regime formale degli atti.

Il comma 2 dell’art. 7 in commento riguarda invece essenzialmente l’obbligo di chiarezza, come sopra precisato.

I requisiti richiesti dalla disposizione in esame (elementi che gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari devono TASSATIVAMENTE indicare) sono elementi che la giurisprudenza ha normalmente inteso come non inficianti la legittimità dell’atto ma la mera “regolarità” dello stesso, con possibilità dunque di integrazione successiva (8).

Dunque la espressa indicazione di TASSATIVITA’ riguarda piuttosto gli obblighi imposti all’Amministrazione (ed ai suoi funzionari, anche sotto il profilo della responsabilità disciplinare ed eventualmente contabile, o addirittura civile, in sede di valutazione dei danni patrimoniali che dovessero derivare ai contribuenti dal mancato rispetto da parte degli enti impositori delle nuove regole) che il profilo della possibile incidenza sulla validità degli atti.

Naturalmente, l’omessa o incerta indicazione degli elementi tassativamente elencati, comporta altresì un “vulnus” al principio di chiarezza che deve informare il rapporto con il contribuente.

In questi termini, la previsione della figura del Garante del contribuente (art. 13), cui sono attribuiti compiti di segnalazione di eventuali disfunzioni rispetto agli obblighi imposti dallo Statuto e addirittura, con riferimento a questi, di sollecitare (art. 13, comma 11) procedimenti disciplinari a carico dei dipendenti, depone in favore del senso attribuito alla disposizione sopra commentata.

 

4. I commi 3 e 4 dell’art. 7

Il comma 3 (“Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria”) è una specificazione dell’obbligo generale di motivazione contenuto nel comma 1.

Il comma 4 (possibilità di ricorrere al giudice amministrativo quando ne ricorrano i presupposti relativamente ad atti di natura tributaria) appare fuori quadro rispetto al contenuto dell’articolo e pone complessi problemi interpretativi.

La competenza esclusiva della Commissioni tributarie invero lascia poco spazio alla possibile cognizione del giudice amministrativo che rimane ancorata ad atti generali o comunque diversi da quelli compresi nella esclusiva giurisdizione del giudice speciale tributario e non attribuiti alla cognizione del giudice ordinario.

Sotto diverso profilo, la bozza di decreto legislativo  emanata in attuazione dell’art. 16 in riferimento al problema in esame, sembra prevedere, al di fuori di ogni espressa delega, la possibilità di ricorso straordinario al Capo dello Stato in materia tributaria, così intendendo estendere le possibilità di tutela del contribuente di fronte all’Amministrazione finanziaria.

Premesso che il Capo dello Stato non sembra essere “organo di giustizia amministrativa”, tali essendo i tribunali amministrativi regionali in primo grado ed il Consiglio di Stato in grado di appello, sarebbe stato più opportuno definire i limiti (o  i confini) di intervento degli “organi di giustizia amministrativa” in materia tributaria e non introdurre un nuovo sistema di tutela (il ricorso straordinario) in materie non sicuramente definite, peraltro, sembra, in carenza di precisa e chiara norma delegante.

 

5. La motivazione dell’atto: quadro storico e richiami giurisprudenziali

Per quanto si è detto, lo Statuto non innova quanto al sancito obbligo di motivazione.

Deve dunque farsi riferimento ai consolidati indirizzi dottrinari e giurisprudenziali per definire in concreto l’obbligo di motivazione e, in particolare, per riempire di contenuto detto obbligo.

In generale, la motivazione rappresenta l’enunciazione del complesso delle ragioni che inducono all’emanazione del provvedimento, così provvedendo a due finalità assolutamente rilevanti: consentire l’interpretazione dell’atto e facilitare il suo controllo da parte degli interessati, di altri organi amministrativi, del Giudice e dell’opinione pubblica (cosiddetta “polifunzionalità” della motivazione).

Il principio dell’obbligatorietà della motivazione del provvedimento amministrativo, non esplicitamente previsto in Costituzione, ma desumibile dall’art. 97, è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa che ha individuato, oltre i casi specifici normativamente previsti, gli atti da sottoporre a motivazione necessaria, nelle seguenti categorie: atti che sacrificano gli interessi dei destinatari (ablazioni, sanzioni), quelli negativi (rifiuto di istanze e richieste), quelli comportanti giudizi o valutazioni comparativi (concorsi, gare, sovvenzioni limitate solo ad alcuni concorrenti), quelli che concludono un procedimento di secondo grado (annullamenti d’ufficio, revoche), quelli che si discostano da prassi o norme interne); com’è evidente, nell’ambito di tali categorie sembrano rientrare già tutti i provvedimenti possibile oggetto di intervento da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti.

In questa situazione è intervenuto l’art. 3 della l. 241/90 che stabilisce che “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato” e che la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale; aggiunge l’articolato che “la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, così optando per la motivazione in senso ampio, comprendente non le sole ragioni di diritto ma anche i presupposti in fatto e i passaggi logici che conducono dalle acquisizioni istruttorie alla decisione finale.

L’insieme dei precetti riferiti si inquadra nella generale finalità della L. 241/90, rendere trasparente l’attività amministrativa, con il superamento della motivazione come strumento di tutela dei soli destinatari a fronte di una concezione che rende ogni componente della collettività una sorta di fruitore del provvedimento in veste di controllore del potere pubblico.

In ogni caso l’art. 3 citato ha eliminato la necessità di ricorrere ad una sorta di classificazione degli atti soggetti a motivazione necessaria, generalizzando l’obbligo, con la sola esclusione delle ipotesi di cui al comma 2 (atti normativi e a contenuto generale).

L’art. 3 disciplina altresì l’ipotesi della motivazione non contestuale (ob relationem) consentendo che le ragioni del provvedimento risultino da altro atto dell’amministrazione richiamato nel provvedimento, purchè tale atto sia indicato nella comunicazione e reso disponibile a norma di legge.

E’ noto che l’esigenza della motivazione fu posta dalla giurisprudenza nel momento in cui si trovò ad indagare le diverse ipotesi ricorrenti di “eccesso di potere”, che è, com’è noto, uno dei possibili vizi dell’atto amministrativo.

L’eccesso di potere è sinteticamente lo sviamento dell’atto dalla sua funzione tipica;  dunque solo l’indicazione delle ragioni di fatto e di diritto che avessero indotto l’amministrazione ad emanare un determinato atto poteva dar pieno conto della corrispondenza dell’atto al suo fine legalmente tipizzato.

Sul piano teorico, lo studio della fattispecie negoziale pubblica e la distinzione rispetto al negozio privatistico, supportò sul piano dottrinale l’esigenza, che costituiva discrimine ineludibile, tra il negozio privatistico (che non richiede l’indicazione di alcuna motivazione) e quello pubblicistico a fine orientato.

Su tali basi il Consiglio di Stato cominciò ad affermare l’imprescindibilità della motivazione con riferimento a quegli atti che, in quanto sfavorevoli al privato, richiedono, ai fini dell’impugnativa, una piena conoscenza delle ragioni della scelta discrezionale a fondamento della decisione.

Una volta individuato nella motivazione lo strumento più idoneo per verificare la corrispondenza dell’atto al suo tipo legale, la giurisprudenza qualificò quali sintomi di eccesso di potere proprio la mancata o insufficiente motivazione e, di seguito, l’illogicità, perplessità e contraddittorietà della motivazione come sintomi dell’inadeguato perseguimento dell’interesse pubblico.

La prassi di motivare “per relationem”, d’altra parte, fu ritenuta legittima, così di fatto dequalificando in sé la motivazione, in quanto la giurisprudenza ritenne di potere verificare l’iter logico seguito dalla P.A. attraverso il diretto riscontro degli atti del procedimento e non più indirettamente attraverso lo schermo logico della motivazione.

La premessa fatta non sembri inutile.

Il diritto tributario è, quanto al problema della motivazione degli atti, sicuramente “tributario” del diritto amministrativo, avendone recepito sia la definizione stessa di motivazione, sia il trattamento sostanziale dell’atto riguardato dal punto di vista della motivazione.

Lo stesso concetto di “nullità” dell’atto per motivazione carente è in realtà un problema di annullabilità dell’atto in senso pubblicistico e non di nullità privatistica; con la conseguenza che un atto, per quanto carente di motivazione, non potrà dirsi “nullo” finchè non venga impugnato tempestivamente e annullato in sede giurisdizionale, salvo le ipotesi di autotutela da parte della stessa Amministrazione emanante.

 

6. La motivazione degli atti di accertamento

La giurisprudenza ha comunemente ritenuto la nullità degli atti di accertamento relativi alle imposte sui redditi per carenza di motivazione, espressamente definendo tale vizio insanabile e non integrabile in sede contenziosa sul rilievo che “rispetto ad un atto capace di incidere nella sfera di diritto soggettivo del soggetto, l’obbligo della motivazione è un principio generale dell’ordinamento”.

Su tale presupposto, anche ove il principio non fosse stato espressamente previsto (e lo è, come detto, solo in materia di imposte sui redditi, di IVA e di Registro) a pena di nullità, lo stesso non potrebbe non trovare applicazione.

Invero, il potere impositivo si giustifica sulla base dei presupposti; la motivazione illustra la sussistenza di quei presupposti nonché le regole procedimentali (per es. in tema di accertamento induttivo) che giustificano il procedimento seguito nella determinazione del reddito.

Sotto tale profilo non ha fondamento la distinzione, frequentemente accolta nella giurisprudenza meno recente, tra motivazione carente e motivazione insufficiente (nel qual caso l’atto si ritiene comunque valido ove consente l’acquisizione di elementi tali da suffragare la fondatezza della pretesa (9).

In realtà, il problema della motivazione “insufficiente” è piuttosto un problema di sufficienza della prova; ove dalla motivazione sia possibile evincere l’iter logico seguito, la prova in concreto (allegabile in sede contenziosa) potrà validare in fatto la pretesa, mentre ove l’iter seguito dall’Amministrazione non sia ricostruibile, ciò comunque non sarebbe mai possibile in sede contenziosa.

L’avviso di accertamento resta dunque adeguatamente motivato se reca l’esposizione dell’iter logico seguito nella formazione dell’atto.

Il Giudice da parte sua ha l’obbligo di verificarne la sussistenza a prescindere dalla fondatezza del merito con la conseguenza della nullità dell’atto e della preclusione di ogni indagine di merito.

La motivazione assolve dunque alla duplice funzione di GIUSTIFICAZIONE DEL POTERE e di STRUMENTO DI TUTELA (intesa come possibilità di contestare errori di fatto e di diritto).

Sotto diverso profilo l’onere di motivazione resta collegato all’onere imposto al contribuente di tempestiva impugnazione (10).

L’obbligo di motivazione è in via di principio adempiuto (fermo restando la valutazione del giudice nei singoli casi) quando questa sia idonea a manifestare (anche in forma contratta e semplificata) le ragioni del provvedimento, poiché il contribuente deve potere trarre dall’atto tutti gli elementi per contrastarlo e difendersi, posto che l’iniziativa di ricorrere al contenzioso riguarda appunto il contribuente che deve assumerla con cognizione di causa (11).

Emerge qui, dunque, una terza funzione della motivazione in senso semplificativo e razionalizzatore della stessa attività dell’Amministrazione; una motivazione completa elimina ragioni di inutile contenzioso e rende più snella ed efficiente l’attività amministrativa.

La motivazione deve peraltro essere ESPLICITA, nel senso che deve estrinsecare tutti gli elementi che supportano la pretesa (12), CONCRETA, cioè non riferita a fattispecie astratta o disancorate dalla realtà in esame, né riconducibile a formule stereotipate (13), e non FORMALE (14).

La giurisprudenza ha altresì con chiarezza distinto tra legittimità dell’atto sotto il profilo della carente motivazione rispetto alla fondatezza della pretesa che si riguarda dal distinto profilo della prova dei fatti che la pretesa giustificano (15).

D’altra parte l’ampiezza della motivazione cambia a seconda della vicenda, potendo in alcuni casi bastare l’enunciazione mera della disposizione di legge o in altri casi necessitare di dettagliata esposizione di elementi di fatto e di diritto.

Il problema, può dirsi, riguarda non tanto l’ampiezza della motivazione ma l’esaustività della stessa in relazione alla concreta fattispecie.

Sotto questo profilo, la motivazione non deve e non può essere valutata in astratto ma rispetto alla dimostrazione di cui l’Ufficio si avvale in concreto, potendo, come già detto riguardare anche sottili questioni di diritto ovvero la specifica indicazione dell’iter logico fondante presunzioni utilizzate.

La diversità di ampiezza descrittiva non muta ovviamente l’esistenza e la consistenza dell’obbligo giuridico di motivazione e la sua rilevanza (16).

Se l’atto si riferisce a più vicende, la motivazione dovrà ovviamente riguardarsi autonomamente per ciascuna di esse, sicchè la rilevata carente motivazione per una non comporterà per conseguenza l’annullamento totale dell’atto, che resterà salvo per quelle parti in cui si riterrà la motivazione compiutamente integrata; la singola rettifica dovrà dunque essere riguardata in maniera scindibile.

Un interessante profilo di indagine sulla completezza e coerenza della motivazione può essere svolto in tema di motivazione ob relationem in caso di avviso di accertamento riferito al verbale di constatazione.

Si è sostenuto (I. Manzoni) che il mero rinvio al verbale di constatazione costituisca di per sè illogicità, contraddittorietà e incompletezza della motivazione (I. Manzoni), in considerazione delle diverse funzioni svolte dalla Guardia di Finanza e dagli Uffici accertatori, questi ultimi unici titolari del potere di valutare (e vagliare criticamente) le risultanze istruttorie delle verifiche fiscali.

Queste ultime dovrebbero essere sottoposte a “vaglio critico”, fatte proprie dagli Uffici finanziari ed essere convogliate in un atto proprio degli Uffici quale l’accertamento (17).

Orbene, il verbale di constatazione è atto di documentazione che fa fede fino a querela di falso per le dichiarazioni rese e i fatti compiuti in presenza dei verbalizzanti (18).

Nessuna rilevanza probatoria può essere attribuita ad eventuali argomentazioni deduttive, esposizione di presunzioni o riflessioni (ad es. relative ad imputazioni temporali, inerenze di componenti positive o negative, qualificazione di operazioni rientranti o meno nel campo di applicazione di un determinato tributo).

Né diversa efficacia può essere attribuita al verbale dall’eventuale sottoscrizione della parte; è noto che la confessione può riguardare solo fatti e non opinioni o giudizi; in ogni caso si tratterebbe di semplici “ammissioni” liberamente valutabili.

Orbene, è del tutto evidente che solo l’Ufficio può effettuare il vaglio critico presupposto di una compiuta e coerente motivazione.

Ove il verbale riguardi altre persone, l’Ufficio dovrà ovviamente riformulare completamente gli addebiti e l’avviso dovrà dare atto comunque dell’autonoma valutazione dell’Ufficio rispetto alle conclusioni dei verbalizzanti (19) di provare la pretesa sulla base di prove inesistenti o inutilizzabili.

Resta però ferma l’esigenza che l’ufficio accertatore valuti ogni risultanza con argomentazioni critiche e probatorie che vanno partecipate al contribuente, mentre la carenza di autonomia nel processo di formazione della volontà dell’Ufficio potrebbe significare mancanza di convincimento e dunque contraddittorietà o perplessità della motivazione.

 

7. Conclusione

Non è dubbio che la riaffermazione dell’obbligo di motivazione anche per gli atti dell’Amministrazione finanziaria comporterà ulteriori sviluppi critici ed argomentativi sul tema ed un più consapevole approccio al problema da parte della giurisprudenza.

Sotto opposto profilo, tale riaffermazione, che si traduce nell’immediato in un (apparente) aggravio per gli Uffici, in prospettiva risulterà compensato certamente dalla progressiva razionalizzazione dell’apparato e dalla maggiore efficacia dell’azione finanziaria.

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(1) Anche la circolare del Segretariato Generale del Ministero delle Finanze n. 49 del 13.2.1995 si era espressa nel senso che i principi di cui al Capo I della L. n. 241/90 costituiscono nucleo minimo ed insopprimibile della disciplina comune ad ogni manifestazione di svolgimento dell’attività amministrativa, attraversando orizzontalmente tutti i procedimenti; in tal senso le norme relative non sono qualificabili come meramente programmatiche e si estendono anche all’attività dell’Amministrazione finanziaria e pure con riferimento ai procedimenti di natura tributaria. In termini conformi anche la Circolare della Direzione Ministero Finanze del 22.11.1996.

(2) Com’è noto la previsione espressa di nullità è contenuta solo nell’art. 42 del D.P.R. 600/73 per gli atti di accertamento in tema di imposte dirette; nell’art. 56 D.P.R. 633/72 per l’IVA; nell’art. 52 del D.P.R. 131/86 per l’Imposta di Registro.

(3) Su cui vedi infra al punto 5.

(4) Ad esempio l’art. 42 del D.P.R. 29.9.1973, n. 600, in tema di accertamento d’ufficio, impone che la motivazione deve riguardare non solo la determinazione dei singoli redditi delle varie categorie ed ogni mancato riconoscimento di deduzioni e/o detrazioni, ma, in maniera, secondo la prospettazione, superflua, anche i fatti che giustificano il ricorso a metodi di accertamento induttivi o sintetici e che rientrerebbero comunque nell’obbligo di motivazione riferita ai presupposti di fatto e di diritto della maggior pretesa.

Così anche l’art. 43 del citato D.P.R. in tema di accertamento integrativo e modificativo che impone la doppia motivazione su an e quantum e su presupposti specifici.

(5) Cfr., ad es., Direzione Regionale Entrate Lombardia, Circolare 6.4.2000 n. 11, che richiede la comunicazione motivata, con riferimento ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche, in sede di diniego di autotutela.

(6) In particolare, sembra di intendere che, ove le ragioni della decisione risultino da altro atto dell’Amministrazione, questo deve essere notificato alla parte prima della scadenza del termine di notifica dell’avviso di accertamento, così come autorevole dottrina (I. Manzoni) riteneva ben prima dell’entrata in vigore dello Statuto del contribuente.

(7) L’Amministrazione evidenzia che la disposizione sembra richiedere “adempimenti che, in base alle disposizioni vigenti e all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, non sono necessari per la legittimità della motivazione degli atti” e che in sede di successiva regolamentazione secondaria (art. 16 Statuto) probabilmente il Governo adeguerà le disposizioni dello Statuto ai principi generali in materia;  tuttavia rappresenta la necessità, nelle more, di adeguarsi immediatamente per prevenire eventuali eccezioni di illegittimità, disponendo l’allegazione agli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni degli atti richiamati nelle motivazioni degli atti, quali ad esempio il processo verbale di constatazione redatto a seguito di verifica effettuata nei confronti dello stesso contribuente o l’avviso di accertamento già notificato in caso di accertamento integrativo o modificativo in aumento.

(8) Così per “l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento”, elementi che riguardano a ben vedere non tanto gli atti finali dei procedimenti quanto gli atti istruttori e comunque quelli per i quali la legge prevede la partecipazione attiva del contribuente alle attività dell’Ufficio in veste collaborativa.

Così per “l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela” o per “le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili”, la mancata indicazione dei quali comporta, come da sempre sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, non la illegittimità dell’atto, quanto piuttosto la possibilità di sanare errori scusabili o rimettere in termini i ricorrenti non tempestivi che adducano l’incertezza dell’organo da adire come causa della mancata tempestiva impugnazione.

(9) Cfr. Commissione Centrale a Sezz. Un. n. 3011 del 27.3.1981 che afferma la sanabilità in sede contenziosa dell’accertamento insufficientemente motivato.

Invero, non sembra sostenibile l’orientamento fatto proprio da parte della giurisprudenza secondo cui il vizio di mancanza di motivazione potrebbe essere sanato in sede contenziosa dall’acquisizione disposta, anche d’ufficio, egli elementi necessari per la stima, in merito alla quale la pronuncia delle Commissione avrebbe valore sostitutivo dell’originario provvedimento, secondo una concezione del processo tributario come accertamento del rapporto in “occasione” dell’emanazione dell’atto e non di impugnazione di atti.

(10) Secondo Cass. Sezz. Un. 9.2.1989 n. 3578 è adeguata la motivazione che consente di raggiungere due risultati: delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale fase contenziosa (materia del contendere) e consentire l’esercizio del diritto di difesa al contribuente a fronte della maggior pretesa fiscale; dunque la motivazione consiste nella indicazione degli elementi che giustificano, nel quadro del parametro prescelto, il quantum accertato.

(11) Cfr. Cass. a Sezz. Un. n.4853/87.

(12) Cfr. Comm. Centrale, sez. XIII, n. 2335 del 20.9.1978, che afferma che l’accertamento del valore deve essere motivato a pena di nullità in guisa da esternare non solo gli elementi di stima ma anche i fatti posti a fondamento della stima.

(13) Cfr. Cass. n. 2999 del 27.3.1987 che afferma la nullità dell’avviso di accertamento, in materia di imposta di registro, non solo nel caso di totale mancanza della motivazione ma anche nei casi equiparabili di motivazione apparente e stereotipata applicabile, come tale, a qualsiasi accertamento.

(14) Cfr. Commissione Trib. Reg. Lazio 23.2.1998.

(15) “Solo all’esito dell’impugnazione giudiziaria esperita dal contribuente l’Amministrazione finanziaria sarà tenuta a passare dall’allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto”: così Cass., sez. I, 4.12.1996, n. 10812.

(16) Ad es. Comm. trib. centrale 22.4.1996 n. 1894 ritiene viziato per difetto di motivazione l’accertamento che assoggetta a registro l’acquisto di terreni non ritenuti pertinenziali rispetto a quelli già assoggettati ad IVA ove l’Ufficio non abbia indicato le ragioni per cui ha escluso il vincolo pertinenziale.

Sul diverso versante delle motivazioni apodittiche possono ritenersi carenti le diciture “costi non deducibili” occorrendo spiegare le ragioni relative (ad es., assenza di documentazione, estraneità all’attività di impresa, imputazione a periodo errata, ecc.), “costi non inerenti”, “spese pluriennali”, “ricavi determinati in base alla situazione economica dell’azienda”, riferimenti a norme in generale o astrattamente ad indagini compiute.

(17) La necessità del riferito vaglio critico in tema di contenuto specifico della motivazione potrebbe essere indotto dalla circostanza che, in tema di accertamento parziale, gli artt. 2 e 3 della L. 30.12.1991 n.  413 ritengono la necessità della sola provenienza esterna di qualsiasi elemento senza necessità di approfondimento alcuno, a contrario ritenuto necessario negli altri casi.

(18) Il verbale di constatazione è stato finora ritenuto atto endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile, non essendo di per sé lesivo, ma solo unitamente all’accertamento sotto forma di impugnativa per vizi derivati. Recentemente tale orientamento è stato sottoposto a critica potendosi comunque individuare effetti lesivi propri dell’atto di constatazione, di guisa che se ne è ipotizzata l’autonoma impugnabilità innanzi al Giudice amministrativo, non trattandosi di atto ricompreso tra quelli devoluti alla giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie.

(19) Non sembrano pertanto condivisibili affermazioni quali quella contenuta nella massima di Comm. trib. prov.le sez. I, Ravenna, 1 agosto 1998, n. 311 che recita: “Non è previsto che l’ufficio trasmetta al soggetto accertato il processo verbale di constatazione redatto a carico di un terzo ed al quale si richiama “per relationem” la motivazione dell’avviso di accertamento”.

Più convincentemente, Comm. trib. I grado Vicenza (sez. I) ha ritenuto nullo l’avviso di accertamento riferito per relationem e mero riferimento al verbale di constatazione; deve però riferirsi che il verbale in questione riguardava soggetti diversi e così le prove raccolte (identificazione di una società tramite documenti di altra società); in questo caso più che di integrazione della motivazione, si tratta di impossibilità di provare la pretesa sulla base di prove inesistenti o inutilizzabili.

N.d.A.: Il presente contributo costituisce rielaborazione della relazione tenuta dall’Autrice nel corso della giornata di studio sul tema “Lo Statuto del contribuente”  tenutasi presso l’Università di Foggia in data 16 dicembre 2000.


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