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Articoli e note

n. 11/2005 - © copyright

GIOVANNI VIRGA

De minimis non curat administratio?

(note a margine del parere del Consiglio di Stato, Sez. II, 16 marzo 2005*)

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Il parere in rassegna afferma un interessante (quanto opinabile) principio: quello secondo il quale non sono soggette a controllo urbanistico le attività che non incidano sull’ambiente urbanistico circostante sotto il profilo qualitativo e quantitativo, sì da determinare un apprezzabile mutamento di esso; parafrasando un noto broccardo (de minimis non curat praetor), può quindi affermarsi che, secondo la Sez. II del Consiglio di Stato, in materia urbanistica, l’amministrazione non deve occuparsi (e preoccuparsi) delle attività minime (de minimis non curat administratio).

Tale principio, come spesso accade con le regole generali, può ritenersi esatto in astratto; tuttavia, nel momento stesso in cui esso viene calato nella realtà concreta, può dare luogo a problemi, primo tra tutti quello dell’esatta determinazione del novero delle opere che possono davvero considerarsi "minime" (tali ad es., sono state considerate, nel caso affrontato dal Consiglio di Stato con il parere in rassegna, le opere di installazione di un piccolo impianto di condizionamento d’aria posizionato sulla parete aggettante sul balcone di un appartamento).

Finora il principio era stato enunciato con riferimento alle antenne delle televisioni o dei radioamatori [1], essendo stato di converso ritenuto che, nel caso di antenne di grosse dimensioni [2] (come ad es. quelle per le stazioni radio base per telefonia mobile), sussiste la possibilità di un controllo urbanistico, dato che l’installazione di antenne di grosse dimensioni è da ritenere subordinata al rilascio della concessione edilizia ed all’eventuale nulla-osta ambientale (per le zone soggette a tutela) [3].

La necessità di un controllo ambientale per antenne e pali è prevista anche dall’art. 152, 1° comma, del recente Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42), secondo cui per le “condotte per impianti industriali e di palificazione nell’ambito e in vista delle aree indicate alle lettere c) e d) dell’articolo 136, ovvero in prossimità degli immobili indicati alle lettere a) e b) dello stesso articolo, la regione ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso d’esecuzione, le quali, tenendo in debito conto l’utilità economica delle opere già realizzate, valgano ad evitare pregiudizio ai beni protetti da questo Titolo. La medesima facoltà spetta al Ministero, che la esercita previa consultazione della regione”.

Questa disposizione ha indotto di recente la giurisprudenza a ritenere che “a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 152, 1° comma, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42), deve ritenersi che, qualora venga realizzato un impianto di telefonia mobile in un’area sottoposta a vincolo, l’autorizzazione della Soprintendenza sia necessaria sia per l’antenna, che per i pali a servizio della stessa” [4].

Il nuovo Codice, peraltro, si è spinto oltre, prevedendo (all’art. 154) un controllo perfino sulla colorazione delle facciate degli edifici (“l’amministrazione competente individuata dalla regione può ordinare che, nelle aree contemplate dalle lettere c) e d) dell’articolo 136, sia dato alle facciate dei fabbricati, il cui colore rechi disturbo alla bellezza dell’insieme, un diverso colore che con quella armonizzi”).

Nel campo urbanistico, invece, ha finora prevalso un orientamento restrittivo, secondo cui il controllo non può spingersi fino al punto di negare una concessione edilizia (oggi permesso di costruire) per ragioni di carattere estetico [5], essendo state ritenute illegittime le prescrizioni contenute nella concessione edilizia riguardanti tale aspetto [6].

E’ stato in proposito affermato che, ai sensi dell’art. 4, primo comma, della legge n. 10/1977, la concessione edilizia può essere negata solo per il contrasto della stessa con disposizioni di legge, di strumenti urbanistici o di regolamenti edilizi e non già con riferimento a taluni profili estetici dell’opera, a meno che questi ultimi  non siano previsti nel regolamento edilizio, ai sensi dell’art. 33 n. 8 della legge n. 1150/1942. Poiché infatti l’attività dell’amministrazione è vincolata dalle norme che disciplinano l’attività edificatoria all’interno del Comune, quest’ultimo deve limitarsi ad accertare la perfetta corrispondenza di tutti gli elementi progettuali con le anzidette prescrizioni, senza alcuna possibilità di imporre prescrizioni o limitazioni diverse.

Tale principio, tuttavia, non esclude la possibilità (aggiungiamo noi, anche l'opportunità, anche al fine di evitare di vedere - come capita spesso nelle nostre città - dei veri e propri "mostri" architettonici, ancora più possibili ora che sono state abolite le commissioni di estetica ed ornato e la valutazione in materia è affidata al singolo dirigente) che, con apposite norme regolamentari, vengano dettate prescrizioni di carattere estetico; ciò del resto è espressamente previsto dall’art. 4 del T.U. edilizia approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Secondo quest’ultima disposizione, infatti, il regolamento edilizio comunale “deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitario, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi”.

Fermo restando quindi che, anche sotto il profilo urbanistico, possono essere rilevanti opere che modificano l’estetica di un immobile, ove il regolamento edilizio preveda apposita disciplina, rimane da risolvere il problema della determinazione delle trasformazioni urbanisticamente rilevanti, con riferimento a modifiche, sia pur “minime”, che riguardano gli edifici (come nel caso dell'installazione dei compressori delle pompe di calore negli edifici; ma vedi anche il problema delle antenne paraboliche per le TV satellitari installate non già nel tetto dell’edificio, ma agganciate alle ringhiere dei balconi).

In proposito sembra evidente la divergenza di opinioni tra giurisprudenza amministrativa [7] (che ritiene tali opere minime e, quindi, non urbanisticamente rilevanti) e quella civilistica [8] (che ritiene le stesse opere, non caso in cui siano realizzate nel prospetto dell’edificio condominiale, soggette ad apposita delibera autorizzativa dell’assemblea del condominio, costituendo innovazione).

In particolare, sembra paradossale che, mentre l’art. 1120, 2° comma, del cod. civile espressamente vieta le innovazioni che “alterino il decoro architettonico” dell’edificio condominiale (rientrando tra queste anche quelle che comportino il semplice cambio di serramenti, con modalità difformi da quelle esistenti [9]), secondo l’orientamento della prevalente giurisprudenza amministrativa non sono soggette a controllo urbanistico-edilizio - in mancanza di apposita disposizione regolamentare - opere giudicate minime (come le antenne televisive, anche paraboliche ovvero i compressori delle pompe di calore installate negli edifici, nonchè il cambio di serramenti e persiane) anche qualora - essendo state realizzate nel prospetto - incidano sul decoro architettonico dell'edificio. Si tratta infatti di opere magari minime sotto il profilo quantitativo, ma che hanno un impatto massimo sull'assetto architettonico e sul decoro dell'edificio.

Va invece ritenuto, ad opinione di chi scrive, che anche tali opere siano soggette al controllo urbanistico nel caso in cui, nonostante le loro non rilevantissime dimensioni, siano installate nel prospetto degli edifici, in modo tale da alterarne la sagoma.

Una cosa è infatti l’antenna televisiva installata nel tetto dell'edificio condominiale, altra cosa è una antenna (magari parabolica) agganciata alla ringhiera del terrazzo, in modo tale da alterare la sagoma della costruzione, oltre che il suo decoro architettonico; altrettanto è da dirsi per i compressori delle pompe di calore: una cosa sono i compressori poggiati all’interno degli esistenti balconi, altra e ben diversa cosa sono i compressori agganciati al prospetto principale dell’edificio.

In materia sembra applicabile l’art. 10, lett. c) del T.U. edilizia che subordina a permesso edilizio gli interventi di ristrutturazione edilizia “che comportino ... modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti ... “; nè può ritenersi sufficiente la denuncia di inizio di attività, dato che l’art. 22 del medesimo T.U. prevede che sono sottoposte a denuncia di inizio attività solo “le varianti a permessi di costruire che .... non alterano la sagoma dell'edificio”.

Può quindi concordarsi con il principio secondo cui le c.d. opere “minime” (per tali intendendosi ad es. le antenne televisive ed i compressori delle pompe di calore), non sono soggette a controllo urbanistico-edilizio, ma a due condizioni: 1) che il regolamento edilizio comunale non preveda alcuna disciplina per tali opere; 2) che le opere stesse non incidano sulla sagoma e comunque sul prospetto dell’edificio; al di fuori di quest'ultima ipotesi esse, invece, sono da ritenere soggette a permesso di costruire, alterando i parametri edilizi (sagoma e prospetto dell'edificio) considerati dalla vigente legislazione rilevanti sotto il profilo urbanistico [10].


 

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[1] V. in tal senso T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza 21 dicembre 2002, n. 2157, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/tar/tarpiem1_2002-12-21.htm  secondo cui l'installazione di una antenna in un edificio è da considerare un’opera che non importa attività di trasformazione del territorio e costituisce quindi attività priva di rilevanza edilizia.

[2] V. Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2001, n. 5253, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/cds/cds6_2001-10-5.htm secondo cui è necessaria concessione edilizia per la costruzione di una antenna visibile dai luoghi circostanti.

[3] V. in tal senso T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. I, 13 maggio 2002, n. 1173, pag. http://www.lexitalia.it/private/tar/tarpa1_2002-05-13-2.htm secondo cui occorre non solo concessione edilizia, ma anche il nulla osta per antenne da installare in zone soggette a vincolo paesaggistico; v. anche T.A.R. Veneto, Sez. II, 19-4-2002, n. 1479, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/tar1/tarveneto2_2002-1479.htm secondo cui è legittimo il diniego di concessione edilizia per una antenna di notevoli dimensioni motivato con riferimento a ragioni ambientali - fattispecie relativa al lago di Garda.

[4] Cfr. T.A.R. Sicilia - Palermo, Sez. II, 22 febbraio 2005, n. 203, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/tarsiciliapa2_2005-02-22.htm

[5] V. per tutte di recente Cons. Stato, Sez. V, sentenza 4 novembre 2004, n. 7142, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/cds/cds5_2004-11-04.htm secondo cui è illegittimo il diniego di concessione edilizia motivato con riferimento a generiche ragioni di carattere estetico; v. anche T.A.R. Lazio - Roma Sez. II bis, 10 aprile 2001, n. 3092, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/private/tar/tarlazio2bis_2001-3092.htm secondo cui è illegittimo il diniego di concessione edilizia per generiche considerazioni di carattere estetico.

[6] V. in tal senso T.A.R. Veneto Sez. II, 14 gennaio 2005, n. 64, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/tar1/tarveneto2_2005-01-14.htm secondo cui sono illegittime le prescrizioni imposte in sede di rilascio di una concessione edilizia che attengono ai profili estetici delle opere da realizzare.

[7] V., per ciò che concerne i condizionatori, oltre al parere della Sez. II in rassegna, anche T.A.R. Lazio, sez. II, 13 gennaio 1984, n. 34, in Foro amm. 1984, 717, secondo cui “non può parlarsi di abuso edilizio nei confronti di un'attività edilizia consistente nell'apertura di un piccolo vano nella parete perimetrale esterna di un fabbricato per installarvi un condizionatore d'aria, trattandosi di attività di impianto di uno strumento assolutamente coerente con l'uso normale dell'immobile”.

[8] V. ad es. Tribunale Milano, 25 ottobre 2001 in Giur. milanese 2002, 96, secondo cui l'installazione di una antenna parabolica di notevoli dimensioni sulla facciata di un condominio, essendo lesiva del decoro dell'edificio, è contraria ai canoni di utilizzo della cosa comune fissati dagli art. 1102 e 1120 c.c.

[9] Cfr. Cass. civ., Sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731, in Foro it. 1999, I, 598, secondo cui nell'alterazione del decoro architettonico dell'edificio da parte del condomino, il pregiudizio economico può ritenersi insito nel constatato danno estetico in conseguenza della gravità di questo e della relativa considerevole incidenza sulla facciata principale (nella specie, mediante cambio dei serramenti installati, in sostituzione di quelli originari, alle finestre dell'unità immobiliare aperte sul prospetto del fabbricato).

[10] V., sia pure con riferimento alla legislazione vigente prima del T.U. edilizia, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 15 aprile 2002, n. 838, in Comuni Italia 2002, 1026, secondo cui le opere abusive che si concretizzano nella modifica del prospetto, della sagoma e delle volumetrie dell'edificio, esorbitano dal concetto di restauro e risanamento conservativo per cui sarebbe necessaria la semplice autorizzazione, sicché necessitano della concessione edilizia.


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