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FRANCESCO VERGINE
Il principio di riserva di legge in materia di sanzioni amministrative.
Abrogazione dell'art. 106 tulcp e legge n. 689/1981.
(notazioni a margine di Cons. Stato, sez. I, parere 17 ottobre 2001, n. 885)
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1. La ben nota questione posta dall’abrogazione della norma che fondava la potestà sanzionatoria degli Enti Locali è stata finalmente affrontata nella sede adeguata.
Il Consiglio di Stato in sede consultiva ha chiaramente affermato che occorre una norma di legge statale al fine di ripristinare la autonoma potestà sanzionatoria amministrativa degli Enti Locali, che come noto è venuta meno a seguito della abrogazione dell'art.106 del testo unico legge comunale e provinciale n.383 del 3.3.1934.
Per bene comprendere la vicenda occorre procedere con ordine.
2. L'art.106 TULCP prevedeva che in assenza di diversa disposizione di legge, le "contravvenzioni" ai regolamenti comunali e provinciali ed alle ordinanze erano punite con una sanzione amministrativa fino a lire uno milione.
La norma in questione è stata per decenni il fondamento della potestà dell'Ente Locale di prevedere ed irrogare sanzioni per la violazione di regolamenti locali, in assenza di prevalenti norme di legge, ponendosi quindi come norma di chiusura del sistema sanzionatorio nell’ordinamento delle autonomie locali.
Per ricostruire correttamente il sistema, non si può trascurare in termini generali che il potere regolamentare d’altre autorità diverse dal Governo trova origine fin nelle preleggi che stabiliscono che l’esercizio di tale potere incontra due limiti generali (disposizioni preliminari al codice civile art.3 comma 2):
I. limite di materia, costituito dalle competenze dell'ente pubblico;
II. limite delle fonti primarie di legge.
Il sistema non è stato modificato dalla legge generale di depenalizzazione, legge n.689/1981, che pur innovando in tema di principi generali dell'illecito amministrativo ha comunque, secondo certa dottrina, fatto salvo il potere sanzionatorio dei Comuni (legge n.689/1981 artt.16 e 17; contra P. CERBO, Le sanzioni amministrative, Milano, Giuffrè, 1999, 43 ).
L'articolo 1 della legge n. 689/1981 ha introdotto poi nell'ordinamento il principio di legalità dell'illecito amministrativo, mutuato dal diritto penale ed analogo nel contenuto e nella formulazione al principio costituzionale posto dall'art.25 Costituzione.
Anche la legge n.142/1990, pietra miliare della riforma dell'ordinamento delle autonomie locali, con l'art.64 mantenne in vigore gli articoli da 106 a 110 e 155 del vecchio testo unico del 1934.
3. Si arriva così ai giorni nostri, in cui il nuovo recentissimo testo unico delle norme in materia di ordinamento delle autonomie locali, d. lgs, n.267/2000, ha espressamente abrogato mediante l'art.274 l'art.106 TULCP.
Si è posto pertanto il grave problema del venir meno del carattere coattivo delle norme locali.
In assenza di norma sanzionatoria di rango primario, i regolamenti e le ordinanze locali non potevano essere accompagnate da sanzioni amministrative pecuniarie, o di altra natura, ad es. da sanzioni accessorie interdittive.
Cadeva così, forse per una mera svista del legislatore delegato, la potestà sanzionatoria amministrativa di Comuni e Province.
Essa restava interamente affidata alle fattispecie penali e amministrative dell'ordinamento giuridico statuale.
Il problema riguardava e riguarda ancora oggi ad esempio i regolamenti di polizia urbana che contengono obblighi e divieti a carico dei cittadini in materia di decoro, rumori, rifiuti, occupazioni di suolo pubblico e molto altro collegate ad esigenze, tradizioni e abitudini locali,spesso senza fondamento in leggi dello Stato.
4. La dottrina si era subito posta il problema, giungendo a sostenere che l'autonomia normativa dell'Ente Locale, di rango costituzionale, poteva sopperire mediante apposita previsione da introdurre nello Statuto dell'Ente e/o in un regolamento.
Il Ministero Interno con la risoluzione 7 marzo 2001 ritenne sufficiente una norma di rango regolamentare, quindi secondario, da adottare ai sensi dell' art.7 del T.U. n.267/2000.
La tesi ministeriale si fondava sui seguenti assunti:
gli artt.5 e 128 della Costituzione riconoscono la potestà normativa di rango secondario dell'Ente Locale, quale espressione dell'autonomia costituzionalmente propria delle autonomie locali;
l'art.23 Costituzione inoltre pone una riserva di legge relativa e non assoluta, così consentendo che prestazioni personali e patrimoniali coattive, tra cui si ritiene siano annoverabili anche le sanzioni amministrative, trovino una fonte concorrente in norme secondarie;
il potere sanzionatorio degli Enti Locali si basa sull'autonomia regolamentare ad essi riconosciuta anche dall'art.7 d. lgs. n.267/2000.
5. Con il parere reso il 17 ottobre scorso il Consiglio di Stato ha invece affermato che il vuoto esiste e non è colmabile attraverso la "suggestiva" ricostruzione del sistema sanzionatorio proposta dal Ministero Interni, che eleverebbe i regolamenti locali a fonti poste sullo stesso piano della legge dello Stato.
La tesi ministeriale, subito accolta da molti Comuni che si erano attivati in ordine sparso nell'adottare delibere di Giunta o di Consiglio, in effetti sovvertiva principi costituzionali e principi generali dell'ordinamento dello Stato.
In particolare essa disconosceva:
- il principio di legalità del reato e della pena, che deve considerarsi vigente secondo avanzata dottrina penalistica nell'intero sistema del nostro diritto punitivo, sia sanzionato penalmente che in via amministrativa, ai sensi dell' art.25 della Costituzione;
- il relativo corollario dogmatico della riserva di legge, vigente nella materia dei reati e delle fattispecie amministrativamente sanzionate e confermato dalla legge generale di depenalizzazione (art.1 legge n.689/1981);
- la riserva relativa di legge posta dall'art.23 Costituzione per le prestazioni patrimoniali coattive, tra cui la dottrina ricomprende le obbligazioni pecuniarie gravanti sui trasgressori a seguito dell'accertamento di violazioni amministrative.
Non poteva venire in rilievo invece nella vicenda il principio di diritto comunitario in materia di legalità e riserva di legge previsto dall’art. 2 del regolamento comunitario 95/2988, dato che diversi sembrano essere i presupposti e l’ambito di applicazione nell’ordinamento comunitario, come riconosciuto da prevalente dottrina (PISANESCHI, Le sanzioni amministrative comunitarie, Padova, Cedam 1988, 127 ; CERBO, Le sanzioni amministrative, cit. 328 ).
Anche a voler accedere alla tesi diffusa in dottrina secondo cui la riserva di legge nella materia delle sanzioni amministrative discende dalla legge ordinaria, art. 1 legge n. 689/1981, e non dai principi costituzionali citati, le conclusioni non potevano essere diverse.
Il Consiglio di Stato ha infatti evidenziato la vigenza in subiecta materia dell'art.23 Cost. che, prevedendo una riserva legislativa relativa, impone che sia la legge a delineare il precetto nei suoi elementi essenziali, potendo poi il regolamento solamente integrare e specificare ad es. i limiti, i dati tecnici (cfr. PALIERO -TRAVI, La sanzione amministrativa, Milano, Giuffrè, 1988, p.140).
Si deve escludere quindi che nuove fattispecie di illecito amministrativo siano introdotte con lo strumento normativo del regolamento, sia statale, sia regionale, che degli Enti Locali.
Questo potrà quindi disporre solo sulla base di " …precetti sufficientemente individuati dalla legge ."
Il fenomeno della etero-integrazione del precetto legislativo mediante fonti secondarie è quindi ritenuto ammissibile anche per l'illecito amministrativo, al pari di quanto l'art.25 Costituzione consente in materia di reati, ma rappresenta anche il limite dei regolamenti, nonché delle ordinanze sindacali.
Occorre sempre una "delega" del legislatore statale che autorizzi la fonte secondaria regolamentare a specificare gli elementi costitutivi del fatto delineati dalla norma primaria, oppure preveda le sanzioni amministrative, principali e/o accessorie applicabili per la ipotesi di violazone di regolamenti ed ordinanze.
Così come, secondo la Corte Costituzionale, la legge dello Stato deve in tema di tributi definire i tre elementi essenziali del tributo, base imponibile, aliquota, soggetto passivo, potendo il regolamento solo meglio specificarli, analogamente occorre ragionare nella materia delle fattispecie sanzionatorie, postochè identico secondo il Consiglio di Stato è il principio costituzionale informatore dell'istituto, ovvero quello posto dall’art.23 Costituzione e ripreso dall’art. 1 legge n. 689.
6. Le conseguenze della posizione assunta dal Consiglio di Stato sono di tutto rilievo.
a- Sono illegittimi e quindi annullabili dal giudice amministrativo i regolamenti che praeter legem hanno previsto o richiamato la vigenza di fatti illeciti o sanzioni amministrative, senza alcuna base legislativa, successivamente all’abrogazione dell’art. 106 tulcp.
Sono viziati per conseguenza anche gli atti di accertamento di tali illeciti.
Il giudice ordinario, in sede di opposizione ex art.22 ss. legge n.689/1981, potrà pertanto disapplicare il regolamento in quanto non conforme a legge, annullando poi il verbale o l'ordinanza - ingiunzione conseguente, in relazione al vizio di violazione degli artt.23 Cost. e 1 legge n.689/1981.
b- Nulla potrà tuttavia pretendere in ripetizione chi abbia pagato, così estinguendo l'obbligazione pecuniaria, non avendo neanche proposto nei termini ricorso amministrativo avverso il verbale,ed eventualmente opposizione all'ordinanza-ingiunzione.
c- Il supremo consesso della giustizia amministrativa paventa il pericolo che il vuoto normativo causi la ri-penalizzazione ai sensi dell'art.650 c.p di fattispecie che ai tempi e nel vigore dellart.106 erano soggette solo a sanzioni amministrative.
Non si deve però trascurare che le ordinanze sindacali sono presidiate non solo dall' art.650 cp ma anche, nella materia della sicurezza pubblica, dall'art.17 comma 2 del TULPS.
Quest’ultimo prevede che:
"Con le stesse pene (arresto fino a tre mesi o ammenda fino a lire 400.000) sono punite, salvo quanto previsto dall’art.17 bis, le contravvenzioni alle ordinanze emesse, in conformità alle leggi, dai prefetti, questori, ufficiali distaccati di p.s, sindaci".
Si tratta di due norme incriminatici penali "in bianco", che hanno in comune anche la natura sussidiaria.
Esse poi rinviano per l'integrazione del precetto agli atti dell'Autorità locale, quali le ordinanze, di cui assicurano e presidiano l'effettività.
d- La riserva di legge relativa posta dalla Costituzione e dalla legge n. 689/1981 art.1 impedisce che il regolamento preveda il fatto e la sanzione amministrativa, potendo solo disciplinare aspetti delegati dalla legge alla fonte secondaria.
Tuttavia l'art. 1 potrebbe trovare deroga in una legge ordinaria successiva, ma forse solo in senso restrittivo, ad esempio trasformando in assoluta la riserva in materie settoriali definite, ovvero nel senso di affidare ai regolamenti aspetti specifici della fattispecie, purchè essa sia sufficientemente determinata dalla legge.
e- Occorre inoltre stabilire se la ricostruzione in esame produca conseguenze anche in tema di sanzioni amministrative accessorie.
Sembra evidente la risposta positiva, atteso che la riserva legislativa in esame non può concernere solo le sanzioni amministrative principali di natura pecuniaria, sussistendo la stessa ratio anche in ordine alle sanzioni non principali, che di diritto seguono e sono applicate in sede di ordinanza – ingiunzione dall’autorità competente a decidere il ricorso avverso la sanzione principale.
In proposito sorge il dubbio se la nozione di prestazione patrimoniale o personale coattiva, posta dall’art.23 Cost., ricomprenda anche la sanzione amministrativa accessoria.
Se la risposta fosse negativa si potrebbe opinare nel senso che la riserva comunque riposi sull’art. 25 Costituzione.
7. In definitiva, riteniamo che sia urgente l’intervento normativo del Parlamento che disciplini ex novo la materia, prevedendo almeno, come in passato, che i precetti posti da regolamenti ed ordinanze comunali e provinciali, nelle materie di competenza e nel rispetto delle leggi, siano resi imperativi da una sanzione amministrativa pecuniaria, di cui dovranno essere determinati i limiti minimi e massimi.
E’ auspicabile che nell’occasione sia previsto anche un sistema di sanzioni accessorie, idonee ad assistere e rendere coattive le norme emanate dagli Enti locali, con regolamenti ed ordinanze.
Appare incontrovertibile oramai che non sono sufficienti, anzi sono illegittimi, Statuti e regolamenti di Comuni e Province nella parte in cui hanno inteso sancire un autonomo potere normativo in materia di fatti illeciti e di conseguenti sanzioni amministrative, che prescinda da fattispecie illecite previste dalla legge dello Stato.
Nelle more non rimane che fare riferimento a fattispecie sanzionatorie, sia amministrative che, in extremis, penali, contenute in disposizioni legislative specifiche al fine di assicurare un efficace presidio delle norme che gli Enti locali intendono dotare di carattere coattivo.
FRANCESCO VERGINE
(Comandante Polizia Municipale di Venezia)