LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 7-8/2004 - © copyright

TIZIANO TESSARO*

Miti e no: l’Idra di Lerna e i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica

(commento a Corte Cost., sent. 27 luglio 2004 n. 272)

horizontal rule

 

La vicenda dei servizi pubblici locali sembra assomigliare sempre più a quella mitologica dell’Idra di Lerna.

Come è noto essa – ed è questo il motivo per cui viene ricordata - aveva nove teste, di cui otto erano mortali, le quali avevano la tremenda particolarità di ricrescere appena tagliate, mentre  la nona, quella centrale, era immortale. Le teste, però, appena distrutte, ricrescevano in numero doppio.

La vicenda mitologica può essere, a ben vedere, utilizzata per descrivere la vicenda dei servizi pubblici locali: anche questa materia si compone, oramai, di più parti tra loro autonome, pur se diramatesi dal medesimo tronco, in ragione, in particolare, della divaricazione di disciplina che ha rotto l'unitaria impostazione che dal 1990 dirigeva la complessiva organizzazione di questi servizi [1].

Ognuna di queste teste (rectius: discipline autonome) viene ad essere – a intervalli più o meno regolari – decapitata  per effetto di interventi legislativi  o, più spesso, degli organi della Comunità europea o da questa sollecitati o da pronunce giurisprudenziali: e  - come nella leggenda -  dalla testa tagliata sono nati  due campi [2] che risultano ora definitivamente separati, acquisendo ciascuno una connotazione a tal punto distintiva da rendere improduttivo tentare di recuperarne i segni unitari: in breve, entrambi hanno acquisito un'autonomia disciplinare (e diremmo altresì scientifica) tale da doverli conoscere separatamente [3].

L’occasione per parlare dell’ennesima recisione di testa dell’Idra ci è fornita dalla sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio 2004 n. 272, che si presta a particolari riflessioni soprattutto con riferimento alla disciplina dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica:una cioè delle due teste di cui si compone il mostro (pardon: la disciplina dei servizi pubblici locali).

Come noto, l’art. 113-bis del TUEL 267/2000 – nella versione introdotta dall'art. 14, d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326) e subito dopo dall'art. 4, comma 234, legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) – aveva dettato una nuova disciplina per la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, privilegiando - fatte salve le disposizioni previste per i singoli settori - l’affidamento diretto a:

a) istituzioni;

b) aziende speciali, anche consortili;

c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitassero sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzasse  la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.

La disposizione consentiva  altresì l'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate, nonché in generale la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia  opportuno procedere all’affidamento esterno.

La genesi della norma caducata con la sentenza in commento è nota: con atto di messa in mora del 26 giugno 2002, la Commissione europea aveva dato avvio nei confronti dello Stato italiano ad una procedura di infrazione, ai sensi dell'art. 226 del Trattato CE, in riferimento all’art. 35 della l. 448/2001.

La predetta disposizione peraltro aveva novellato l’originario art. 113 del TUEL: ma la modifica normativa della fine del 2001 aveva nuovamente subito gli strali della  Commissione, che già comunque aveva iniziato in precedenza tale procedimento  con riferimento all'art. 22 della legge 142 (e dell’art.113 TUEL), nella misura in cui questo si prestava  ad affidamenti di servizi pubblici senza il rispetto dei principi comunitari. Di tale disposizione erano state considerate non solo le lett. b), c) ed e), ma anche la lett. d) relativa all'Istituzione [4].

 Nel nuovo atto di messa in mora del 26 giugno 2002, ad avviso della Commissione, l’art. 35 della l. 448/2001 <<continua(va) a consentire numerose ipotesi di affidamento diretto dei servizi pubblici locali senza il rispetto>> della richiamata disciplina comunitaria. Coerentemente con l’impostazione enunciata  la Commissione segnalò come non conformi a tale disciplina  gli affidamenti diretti previsti come regola generale in tema di gestione di servizi pubblici <<privi di rilevanza industriale>> (art. 113-bis Tu) (punti 27-28).

Al nuovo atto di messa in mora il Governo italiano rispose osservando che l’omessa emanazione del regolamento (...) [avrebbe privato] di alcuna pratica e concreta efficacia l’intero disposto dell’art. 35>> e che, quindi, in assenza del regolamento di attuazione da esso previsto al comma 16, non  sarebbe stato <<ammissibile instaurare una sorta di processo alle intenzioni>> (pp. 9 e 10). In secondo luogo, riguardo ai servizi privi di rilevanza industriale, si fece presente che vi <<[sarebbero rientrati] pure taluni marginali servizi sociali destinati alle deboli>> (p. 11).

Probabilmente spaventato dai rilievi mossi dalla Commissione, il Governo italiano corse ai ripari disciplinando ex novo la materia dei servizi pubblici locali: in particolare, la nuova normativa introdotta con l'art. 14, d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326) e subito dopo con l'art. 4, comma 234, legge 24 dicembre 2003, n. 350  aveva provveduto a  sostituire  la distinzione fra servizi pubblici locali "di rilevanza industriale" e servizi pubblici locali "privi di rilevanza industriale" con quella fra servizi pubblici locali "di rilevanza economica" e servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica"

Il problema non era però solamente quello della compatibilità comunitaria: vi era anche quello della distribuzione delle competenze tra legislatore nazionale  e regionale disegnata dalla riforma del Titolo V  della Costituzione. Ed è quanto ha posto in rilievo il giudice costituzionale.

Ora, per l’appunto, con la sentenza della Corte Cost. n. 272 del 27 luglio 2004. la anzidetta disciplina viene meno: non si può infatti, a parere della Corte, invocare la tutela della concorrenza e l’inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali in riferimento ai servizi "privi di rilevanza economica" previsti dall’art. 113-bis, dal momento  che il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale. Questi, come noto, secondo la costante giurisprudenza comunitaria sono caratterizzati in particolare, dall’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, dalla mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dall’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001).

Spetta in particolare  al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, quindi, che, in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalità della prestazione, ai destinatari,  ci sarà dunque spazio per una specifica ed adeguata disciplina di fonte regionale ed anche locale. Secondo la Corte, quindi,  l’intervento del censurato art. 14, comma 2, sulla disciplina della gestione dei servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica", di cui all’art. 113-bis del citato testo unico, non può essere certo riferito ad esigenze di tutela della libertà di concorrenza e quindi, sotto questo profilo, si configura come illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale.

Gli scenari che si prefigurano non sono assolutamente sereni ed anzi creano all’interprete un marcato senso di sgomento: il vuoto normativo che si viene a creare appare difficilmente colmabile dal momento che richiede lo sforzo di più soggetti istituzionali chiamati a intervenire - rapidamente e coerentemente con le indicazioni della Corte Costituzionale, che suggerisce al riguardo il pieno rispetto della normativa europea [5] - in un settore delicato dell’economia e della vita stessa del Paese.

A ben vedere tuttavia la situazione potrebbe essere meno catastrofica di quanto può prima facie apparire.

Infatti, la maggior parte di questi servizi è disciplinata con normative speciali che gia prevalevano sul disposto dell’art 113 bis del TUEL  in virtù dell’inciso  del comma 1 che  appunto richiamava  e faceva  salve espressamente tali disposizioni  e le singole discipline  settoriali.

Come è stato rimarcato, del resto,  l'ambito di applicazione del regime dei servizi pubblici locali sociali (…) si è nel tempo drasticamente ridotto causa l'entrata in vigore di una serie di provvedimenti settoriali (statali e regionali) che ne hanno disciplinato l'esercizio tramite altre, distinte forme di gestione [6].

In particolare, infatti, non a caso  già prima (ma anche dopo l’emanazione) del testo unico degli enti locali (e sopravvivendo allo stesso) le normative che si sono sviluppate riguardanti il terzo settore (la legge sul volontariato n. 266/91, quella sulle cooperative sociali n. 381/91 modificata dalla legge 52/96 e, infine, quella sull'associazionismo n. 383/2000) dettano disposizioni di principio che le regioni, a loro volta, hanno reso operative con linee di attuazione, per gli enti locali, della disciplina per la gestione dei servizi: esse prevedono in particolare, come vedremo, il convenzionamento, attraverso cui si crea un rapporto bilaterale di regolamentazione con un contraente prescelto con forme che prescindono dalle tipizzazioni di evidenza pubblica e dalle altre forme contemplate dal testo unico enti locali.

Non è superfluo qui sottolineare che le modalità di affidamento di tali servizi sono spesso dissimili a quelli del caducato art. 113 bis: quest’ultimo prevedeva infatti modalità di affidamento diretto dei servizi privi di rilevanza economica a soggetti che rappresentano l’emanazione diretta dell’ente, cosìche - si diceva - il legislatore ha optato per il modello dell’in house providing [7].

Le  regole di settore spesso invece istituiscono forme di confronto concorrenziale tra gli aspiranti aggiudicatari del servizio [8],  cosicché il modello dell’esternalizzazione  dei servizi rimane presente nelle norme di carattere speciale che regolano ad esempio l’affidamento dei servizi sociali,  sportivi e culturali. E se, come detto,  la riforma dell’art. 113 bis era ispirata al principio dell’in house providing [9], la normativa di settore invece fa proprio dello strumento dell’affidamento ai terzi un caposaldo, esaltando il principio della sussidiarietà.

Ad esempio, in materia di servizi sportivi, la tendenza a garantire forme privilegiate di affidamento mediante schemi convenzionali alle  associazioni sportive  è confermata dal testo della nuova norma introdotta dall’art. 90 comma 25 della legge finanziaria 2003 [10] che  – assai opportunamente, sopperendo al vuoto normativo che la legislazione previgente aveva posto - prevede che “nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che stabiliscono i criteri d’uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l’individuazione dei soggetti affidatari”……

In materia di servizi culturali, le conclusioni sopra riportate vengono confermate dalla lettura del recente Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con Decreto legislativo n.41 del 22 gennaio 2004 il cui articolo 115  prevede due distinte forme di gestione delle attività di valorizzazione del patrimonio culturale nazionale ad opera della pubblica amministrazione: in forma diretta o indiretta. Si tratta, come è stato sottolineato, della creazione della facoltà in capo agli enti pubblici territoriali di ricorrere ad una pluralità di modelli di gestione diretta ed indiretta per la organizzazione delle attività di valorizzazione di beni culturali, già definite dai primi osservatori come costituenti il "servizio pubblico della valorizzazione" [11], che va quindi a delineare una disciplina speciale, integrativa di quella generale dei servizi pubblici per costituire un unicum rispetto alla gestione del patrimonio pubblico, privilegiando la partecipazione del privato e le forme associate a prevalenza pubblica, ammettendo affidamenti diretti in house o alternativamente indiretti attraverso la concessione a terzi, nel rispetto della concorrenza ma anche della convenienza economica, ma soprattutto progettuale con ampi margini di discrezionalità amministrativa in capo al titolare del bene, per garantire il profitto in termini di efficacia ed efficienza, di mezzi, di metodi e di tempi [12].

Purtuttavia nell’alternativa tra il mantenimento della gestione all’interno della struttura amministrativa (in house) rispetto ad una esternalizzazione (outsourcing) prevista per la gestione indiretta, cosìcome tra queste forme di gestione, quella indiretta – contrariamente a quanto avviene in base alla regola generale indicata all’art. 113 bis – è considerata prioritaria rispetto ad altre scelte indicate dal Legislatore ove ci si  avvalga di soggetti che presentino una quota di partecipazione congiunta o integrata dell’amministrazione a cui il bene appartiene. Infatti gli  enti pubblici territoriali ordinariamente ricorrono alla gestione in forma indiretta non attraverso lo schema della concessione a terzi, ma attraverso soggetti a prevalente partecipazione pubblica salvo che, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche dell'attività divalorizzazione, non risulti conveniente od opportuna la gestione in forma diretta.

Quest’ultima  forma di gestio è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile,e provviste di idoneo personale tecnico:essa richiama evidentemente  la soluzione  degli affidamenti in house, a favore di un soggetto che sia parte della stessa amministrazione aggiudicataria, in deroga alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie.

La gestione in forma indiretta è attuata invece tramite affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall'amministrazione pubblica cui i beni pertengono;ovvero concessione a terzi, in base ai criteri indicati ai commi 4 e 5. Essa si ispira ai principi di sussidiarietà per la partecipazione di più soggetti alla realizzazione dell’interesse pubblico:anzi il titolare dell'attività può partecipare al patrimonio o al capitale dei soggetti sopra indicati (e previsti al comma 3, lettera a)), anche con il conferimento in uso del bene culturale oggetto di valorizzazione.

 Come è stato sottolineato la scelta della forma di gestione dovrà sempre assicurare un adeguato livello di valorizzazione dei beni culturali che rappresenta un limite invalicabile al corretto e conveniente uso delle risorse pubbliche, in un più generale utilizzo che miri al recupero, alla promozione, al mantenimento del patrimonio culturale in uno stato di efficienza e di efficace disponibilità per il presente, ma soprattutto per il futuro, a presidio dell’integrità storica e fisica dello stesso [13].

Per queste ragioni di opportunità ma anche di corretto utilizzo della res pubblica, la stessa scelta tra le due forme di gestione indicate in precedenza alle lettere a) e b) è attuata previa una valutazione comparativa in base ai parametri sopra descritti, e in relazione agli obiettivi che si intendono perseguire e dei relativi mezzi, metodi e tempi.Il largo utilizzo dello strumento convenzionale nelle attività culturali –pure ispirato al principio di sussidiarietà -trova un suo diritto di cittadinanza anche in relazione alla previsione del comma 7, ove l'affidamento o la concessione possono essere disposti in modo congiunto ed integrato, previo accordo tra i titolari delle attività di valorizzazione. Negli altri casi si  opterà per la stipula  di un contratto di servizio volto a regolare il rapporto tra il titolare dell'attività e l'affidatario od il concessionario.

In materia di servizi sociali, infine, il DPCM 30 marzo 2000 [14],  nel codificare all'articolo 3 lo strumento classico della convenzione per la regolamentazione dei rapporti tra enti locali e terzo settore, dispone (articolo 4) - dettato per i comuni - quali siano i criteri di selezionamento dei soggetti privati, cui affidare i servizi (la formazione, la qualificazione e l'esperienza del personale coinvolto e l'esperienza maturata nel settore di riferimento),   prevedendo le modalità di aggiudicazione dei servizi che terranno conto di elementi qualitativi individuati nel contenimento del turn over degli operatori e negli strumenti di organizzazione del lavoro, nella conoscenza dei problemi del territorio e delle risorse sociali della comunità e nel rispetto dei contratti collettivi nazionali di categoria.

Come è stato sottolineato, quasi preconizzando la sorte ingloriosa che sarebbe toccata di lìa poco alla novella normativa della fine del 2003, proprio perché  gli artt. 113 e 113-bis, d.lg. n. 267/2000, fanno salve le disposizioni previste dalle discipline di settore, allora non appare azzardato immaginare che in futuro sarà forte la tendenza degli enti locali ad abbandonare i modelli contenuti nel quadro legislativo generale, troppo rigido e in alcuni casi contraddittorio, a vantaggio di soluzioni organizzative fornite dalle discipline dei singoli settori in cui si può manifestare l'intervento pubblico [15].

Per concludere, sembra proprio che la recisione delle teste (rectius: discipline) dei servizi pubblici locali ad opera della citata sentenza della Corte costituzionale e la sua devoluzione alle normazioni regionali (con l’eventualità che ciò faccia moltiplicare … le teste)  faccia assomigliare sempre più  la vicenda a quella mitologica dell’Idra di Lerna: ma non è proprio il caso di farne un mito.

 

horizontal rule

* Docente di diritto regionale e degli enti locali all’Università di Padova - Segretario e Direttore Generale del Comune di Mira (VE).

[1] G. Franchi Scarselli, La gestione dei servizi culturali tramite fondazione,in www.Aedon.Mulino.it,n.1/2002

[2] G. Franchi Scarselli, La gestione..., cit.

[3] G. Franchi Scarselli, La gestione..., cit.

[4] Ne dà notizia con ampi ragguagli G. Sciullo, I servizi culturali degli enti locali nella finanziaria per il 2002, in www.aedon.mulino.it, n. 1/2002

[5] Nella sentenza in rassegna si pone in evidenza come A questo proposito la Commissione europea, nel "Libro Verde sui servizi di interesse generale" (COM-2003-270) del 21 maggio 2003, ha affermato che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura "non economica".

[6] G. Franchi Scarselli, La gestione..., cit.

[7] Sciullo,op e loc cit

[8] G. Franchi Scarselli, La gestione..., cit.

[9] Sciullo,op. e loc. cit.

[10] La tendenza a garantire forme privilegiate di affidamento diretto,  in linea con la disciplina prefigurata dall’art.35 L.F.,  mediante schemi convenzionali alle predette associazioni sportive  era stata  confermata dal testo redatto dal comitato ristretto della VII Commissione Permanente del Parlamento in data 12.3.1998, il cui art. 8 sub titulo «gestione degli impianti sportivi » ne affida la medesima « in via prioritaria a società o associazioni sportive dilettantistiche, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso, e previa determinazione di criteri generali ed obiettivi per la individuazione dei soggetti affidatari »

[11] S. Foà, Gestione e alienazione dei beni culturali,  30 ss citato in G.Piperata, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali,in www.aedon.mulino.it, cit.

[12] Maurizio Lucca, Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali,in La Gazzetta degli enti locali, 23 marzo 2004, p.1

[13] Maurizio Lucca, Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali,in La Gazzetta degli enti locali,23 marzo 2004, p.1

[14] Il primo articolo è dedicato al ruolo che i soggetti del terzo settore hanno nella programmazione e nella gestione dei servizi alla persona, ed è formulato in un'ottica volta a favorire le attività di progettazione integrata del sistema dei servizi sociali. Il secondo articolo elenca i soggetti appartenenti al terzo settore, comprendendovi le organizzazioni di volontariato, le associazioni, gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato e gli altri soggetti privati non a scopo di lucro.

L'elenco ricalca quanto asserito dal decreto 460/97, che disciplina le Onlus ma, mentre lo scopo di tale normativa era prettamente costituito dall’emanare direttive in campo fiscale che fossero di ausilio al terzo settore, il  decreto mira ad accomunare tutti i soggetti privati elencati nei rapporti che intercorrano con gli enti pubblici territoriali.

Il secondo comma è rivolto alle regioni che dovranno dare indirizzi per promuovere lo sviluppo e la qualità dei servizi stessi, e l'innovazione degli interventi. L'azione legislativa mira a promuovere e stimolare la crescita professionale del terzo settore, e di tutti i soggetti appartenenti ad esso, che interagiscano con gli enti territoriali per l'erogazione del servizio. Il fatto che la disposizione sia rivolta alle regioni testimonia che si da importanza alla conoscenza dei problemi pratici del territorio, con il coinvolgimento dell'ente che abbia competenza a legiferare in materia ma che, allo stesso tempo, sia più vicino alle esigenze espresse dal territorio di appartenenza.

Un'altra finalità del legislatore è di favorire la pluralità e la diversificazione dei servizi offerti, sempre nel rispetto della trasparenza dell'azione amministrativa e la via scelta per l'attuazione di tale principio è quella dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

Ciò permetterà di garantire - agli enti locali - l'acquisizione di un servizio funzionale bilanciando la qualità dei progetti presentati con la spesa necessaria per la loro funzionalità, unitamente allo stimolo - per il terzo settore - allo sviluppo della propria progettualità.

[15] I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali di Giuseppe Piperata,in www.aedon.mulino.it n. 3/2003.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico