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ANTONIO SCARASCIA
La sentenza n. 3717/2003 del Consiglio di Stato
e la sua giustificazione ratione temporis
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Ha creato imbarazzo e disorientamento la recente sentenza della sezione V del Consiglio di Stato (23 giugno 2003, n. 3717, in www.lexitalia.it n. 7-8/2003) in tema di competenze gestionali negli enti locali, in quanto, modificando una precedente impostazione della medesima sezione, ha attribuito all’articolo 51, comma 3, della legge n. 142/1990 carattere di norma programmatica (ancorché vincolante) per gli enti locali, destinata ad essere recepita dall’ordinamento di ciascun ente. La conseguenza del nuovo orientamento è che lo spostamento delle competenze gestionali a favore dei dirigenti non è più considerato automatico, ma subordinato alla previa approvazione delle modifiche statutarie e regolamentari atte a determinare le modalità per l’espletamento delle funzioni demandate ai dirigenti, in mancanza delle quali la competenza all’adozione dei provvedimenti gestionali deve ritenersi ancora appartenente agli organi di governo.
L’imbarazzo e il disorientamento nascono dal fatto che la tesi si pone in antitesi con l’assetto normativo ed interpretativo sul riparto delle competenze, ormai definito e universalmente condiviso.
In particolare, il nuovo orientamento:
a) contraddice il precedente orientamento dello stesso Consiglio di Stato, (sentenza n. 5833 del 15 novembre 2001), esattamente opposto, che aveva ritenuto la disposizione immediatamente precettiva per le amministrazioni locali, essendo radicata sul riparto tra compiti di governo e compiti di gestione, principio fondante dell’intera riforma delle autonomie locali, con la conseguenza dell’inidoneità dello statuto a ripartire i compiti di gestione tra le diverse figure professionali dell’ente, al di fuori degli ambiti già precisati dalla legge n. 142 del 1990 (C.d.S., V, 27 agosto 1999, n. 1004) e a derogare al sistema di competenze per legge stabilito;
b) contraddice la tesi sostenuta dal Ministero dell’interno nella circolare del 15 luglio 1997 n. 1/1997, con la quale - affrontando problematiche interpretative della legge 15 maggio 1997, n. 127, in tema di gestione del personale degli enti locali - aveva sostenuto che l'attribuzione dei poteri agli organi burocratici dell'ente, nell'ambito degli indirizzi dettati dagli organi di Governo, dovesse essere immediatamente operativa, non necessitando di esplicita previsione statutaria o regolamentare, in quanto la legge rinvia allo statuto o al regolamento dell'ente le modalità di esercizio dei poteri, ma non l'attribuzione degli stessi, che risultano già «attribuiti». Conseguentemente la potestà statutaria o regolamentare poteva esercitarsi, a parere del Ministero, solo nei confronti delle modalità di espletamento: l'eventuale emanazione di atti gestionali da parte della giunta o del sindaco doveva ritenersi illegittima perché viziata da incompetenza.
Che cosa ha spinto il Consiglio di Stato a modificare il proprio convincimento?
Il nuovo orientamento scaturisce da un diverso significato attribuito alla formula "secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente", che accompagna nel testo della legge l’attribuzione ai dirigenti delle competenze gestionali.
Quella formula, nella nuova interpretazione, non ha valore solo specificativo delle competenze, ma anche costitutivo, in quanto, saldandosi strettamente all’attribuzione delle competenze, forma un unicum inscindibile, al punto che ognuno dei due elementi (attribuzione legale delle competenze e sua regolazione a livello locale) condiziona l’altro: se non si procede alla determinazione dei modi di esercizio delle competenze gestionali, non si determina nemmeno il loro spostamento a favore dei dirigenti.
Va detto che con la nuova interpretazione il Consiglio di Stato non ha voluto però attribuire alla normazione dell’ente locale potestà modificativa del sistema di competenze legalmente fondato, in quanto ha esplicitamente riconosciuto il carattere vincolante del riparto rispetto alla disciplina statutaria e regolamentare. Solamente ha inteso spostare il momento del trasferimento delle competenze all’atto della definizione della normazione sub-primaria.
Il nuovo orientamento si fonda su due elementi di supporto:
a) il parere reso dallo stesso organo in sede consultiva (sezione II) in data 28 aprile 1999 (parere n. 535), nel quale veniva affermata, in tema di riparto, la tesi della necessaria intermediazione statutaria e regolamentare atta a determinare le modalità per l’espletamento delle funzioni demandate ai dirigenti, quale passaggio costitutivo dello spostamento delle competenze;
b) il richiamo all’articolo 27 bis del dlgs. 3 febbraio 1993 n. 29, secondo cui le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio della potestà statutaria e regolamentare, adeguano "ai principi di cui all’articolo 3 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità". L’attività di adeguamento correlata alle peculiarità di ciascun ente avrebbe, per il Consiglio di Stato, valore di necessario recepimento delle disposizioni, dettate in via principale per le amministrazioni dello Stato, ma utilizzabili dalle autonomie solo a seguito dell’esercizio della propria potestà normativa.
A ben vedere, il nuovo orientamento del Consiglio di Stato non è affatto scandaloso per le autonomie, in quanto si risolve, da un lato, nell’affermazione della potestà normativa degli enti locali, ai quali viene riconosciuto, sulla base della loro autonomia organizzativa stabilita in Costituzione, un pregnante potere di determinazione dei modi di esercizio delle competenze gestionali, dall’altro, nella sollecitazione all’esercizio concreto dell’attività di regolazione loro propria, al punto che, se non esercitata, si paralizzano i potenziali effetti dispositivi previsti dalla legge.
Nemmeno è scandaloso che il Consiglio di Stato riveda la propria posizione, correggendola in senso favorevole alle autonomie, in contrapposizione ad una sua precedente conclusione ed in contrapposizione alle posizioni tradizionalmente centralistiche sostenute dal Ministero dell’Interno.
Anzi, la nuova posizione non solo sembra reggere, ratione temporis, al quadro normativo di riferimento all’epoca dei fatti oggetto di giudizio, ma appare più coerente di quella precedentemente sostenuta (con la sentenza n. 5833 del 2001) rispetto al doppio binario stabilito dalla legge quadro sull’impiego pubblico. Il dlgs n. 29/1993 detta, di norma, regole e principi valevoli immediatamente per le amministrazioni statali, ma applicabili alle autonomie solo in via mediata. Come ha evidenziato il Consiglio di Stato, alla luce dell’articolo 27-bis, il doppio regime vigeva esplicitamente per le disposizioni del capo 2 sulla dirigenza e sul sistema delle competenze dirigenziali, essendo stabilita una norma di recepimento e di adeguamento delle disposizioni statali - introdotta dal dlgs n. 80/1998 con valore sostanziale e non meramente formale - che prevedeva non solo l’adeguamento alle regole statali mediante atti di determinazione, ma anche il termine entro il quale dovevano essere adottati e l’obbligo della comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai fini della raccolta e pubblicazione, così parificandoli, sotto questo profilo procedurale, alle norme di rango statutario, già previste nell’articolo 4 della legge n. 142/1990.
Tutte le precedenti riflessioni non devono essere intese come argomentazioni a sostegno della improponibilità della precedente tesi (sulla operatività immediata del riparto) alla quale, invece, chi scrive aderisce senza riserve, ma come operazione di collocazione della nuova pronuncia nel contesto delle disposizioni in vigore all’epoca dei fatti - non vigente il Testo Unico approvato con il dlgs n. 267/2000 - rispetto alle quali non appare né incompatibile, né impropria, né incoerente.
Tutto cambia con l’entrata in vigore del Testo Unico.
L’articolo 107 recepisce l’articolo 51 della legge 142 e ripete il tenore del comma 3 sull’attribuzione delle competenze e sulla indicazione della via statutaria e regolamentare per la determinazione delle modalità di esercizio, ma recepisce anche due principi (non presenti nella precedente formulazione dell’articolo 51) che autorizzano l’interpretazione del riparto come disposizione immediatamente operativa e della regolazione dell’ente come mera specificazione (e non costituzione) delle competenze, quale unica interpretazione possibile.
I due principi sono enunciati nei commi 4 e 5 dell’articolo 107: il primo stabilisce che le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative; il secondo afferma che a decorrere dalla data di entrata in vigore del testo unico (13 ottobre 2000), le disposizioni che conferiscono agli organi politici l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti (salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54).
Il principio della inderogabilità statutaria delle competenze gestionali è un principio di nuova formulazione, non presente nella legge n. 142/1990, e vale come sottrazione alla normazione sub primaria di qualsivoglia carattere dispositivo delle competenze gestionali. Ma non basta. Il secondo principio (già affermato per lo Stato nell’articolo 45, comma 1, del dlgs n. 80/1998) risolve il problema della efficacia del riparto (che è l’oggetto della sentenza in esame) nel senso della sua immediata operatività stabilendo il criterio della automatica attrazione, di diritto, delle competenze gestionali nella sfera dirigenziale, senza alcuna intermediazione statutaria. In presenza di questa regola, non ha più alcuna giustificazione l’affermazione in sentenza, secondo cui in mancanza della intermediazione statutaria o regolamentare la competenza all’adozione dei provvedimenti gestionali devono ritenersi ancora appartenenti agli organi di governo (al sindaco nel caso della sentenza).
Ma vi è un ulteriore passaggio del Testo Unico, di sua originale formulazione, che conferma l’immediata operatività del riparto. Si tratta dell’articolo 88 il quale dispone che all'ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti (ed i segretari comunali e provinciali) si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni nonché quelle contenute nello stesso Testo Unico. Anche in questo caso non figura indicazione alcuna sulla mediazione statutaria o regolamentare per l’applicazione di regole dettate in via diretta per le amministrazioni statali.
Conclusivamente, la sentenza n. 3717/2003 del Consiglio di Stato e la tesi della necessaria intermediazione normativa locale ai fini del riparto di competenze appaiono sostenibili, ratione temporis, solo nel contesto normativo antecedente il testo unico, ma non sembrano avere alcuna giustificazione alla luce delle nuove disposizioni introdotte dal TU , e in specie, dell’articolo 88 e dei commi 4 e 5 dell’articolo 107.
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Documenti correlati:
Cons. Stato, Sez. V, sentenza 23 giugno 2003, n. 3717.
C. SAFFIOTI, Competenze dei dirigenti: la norma è immediatamente precettiva.
PIETRO VIRGA, Norme programmatiche e norme precettive per la dirigenza locale.