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n. 7-8/2004 - ©
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Luigi Oliveri
E’ esclusiva la competenza legislativa dello Stato sulla materia dei servizi pubblici a rilevanza economica?
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Tre anni di attesa, ed una sentenza della Consulta [1] che riconoscesse l’illegittimità costituzionale della riforma dei servizi pubblici è alfine giunta.
Sebbene l’attenzione sia attualmente specificamente dedicata a comprendere quale sia lo scenario che si apre a causa della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’articolo 113-bis del d.lgds 267/2000, appare necessario svolgere alcune considerazioni generali sullo stato dell’attuazione della riforma costituzionale e da qui verificare se la sentenza della Corte costituzionale abbia detto la parola fine sulle incertezze riguardanti i servizi pubblici locali a rilevanza industriale.
Il triennio trascorso dall’entrata in vigore della legge costituzionale 3/2001 ha messo a regime non la riforma nella sua pienezza, ma alcune sue conseguenze inevitabili, ovvero, da un lato, la litigiosità tra Stato e regioni per i conflitti di attribuzione, dall’altro una funzione fortissima della Corte costituzionale, nella veste di “organo di secondo grado” nella scrittura di leggi costituzionalmente legittime.
La realtà, oggi sotto gli occhi di tutti, è che nell’approvare la riforma della Costituzione in senso federalista, il Parlamento ha avuto troppa fretta e non sono stati approfondite, com’era indispensabile, le conseguenze derivanti da una riforma così contorta, confusa, di difficile attuazione.
La sentenza 272/2004 della Consulta appare una cartina di tornasole. Non solo per quello che ha deciso, cioè la illegittimità incostituzionale della riforma dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, per chiara invasione delle competenze delle regioni. Ma anche per quello che ha, per ora, deciso di non decidere, la illegittimità costituzionale complessiva della riforma dei servizi.
La sentenza non ha, infatti, ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 113, se non nei riguardi del suo comma 7.
L’articolo 113 è legittimo costituzionalmente, secondo la Consulta, in quanto ricade nelle competenze esclusive dello Stato nella materia della tutela della concorrenza.
Non è, invece, ricavabile la sua legittimità costituzionale:
1) dall’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, che assegna alla competenza esclusiva dello stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
2) dall’articolo 117, comma 2, lettera p), della Costituzione, in tema di determinazione di funzioni fondamentali degli enti locali.
Non si tratta di livelli essenziali di prestazioni sociali, perché la normativa sui servizi riguarda servizi pubblici di rilevanza economica e, dunque, soggetti ad un ordinario rapporto commerciale tra soggetto produttore e cittadino-cliente, non sorretto dalla necessità di determinare “livelli essenziali”.
Non si tratta di determinazione di funzioni fondamentali di enti locali, perché la gestione dei servizi pubblici non può considerarsi una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale.
Con la prima affermazione, la Consulta sembra, dunque, affermare un regime interamente commerciale dei servizi pubblici locali (a rilevanza economica). E’ una svolta radicale, che la Consulta ha solo conclamato, nel modo di intendere i servizi pubblici locali, considerati da sempre proprio quel genere di servizi essenziali per garantire un sistema di convivenza civile. Gli enti locali, dunque, sono da considerare ordinariamente estromessi da un dovere civico generale di erogare servizi pubblici per garantire un determinato livello di diritti civili. I servizi pubblici locali sono, allora, solo servizi di carattere commerciale, che si reperiscono sul mercato, sicchè l’intervento degli enti locali assume una funzione soprattutto di regolazione e di supplenza eventuale, qualora il mercato non li offra. Si evince dalla seconda affermazione della Consulta, che tale funzione è da considerare solo facoltativa.
La sentenza 272/2004 della Consulta ha ricavato la legittimità costituzionale di una legge dello Stato in tema di servizi pubblici locali, materia non espressamente attribuita alla competenza legislativa statale dalla Costituzione, dall’articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza esclusiva nella materia della “tutela della concorrenza”, seguendo un indirizzo segnalato da molti interpreti.
Per quanto, però, la sentenza consideri agevole riferire l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 113 del d.lgs 267/2000 alla competenza statale di tutela della concorrenza, lo svolgimento delle motivazioni pare rivelare che i giudici della Corte non siano fino in fondo convinti della conclusione.
Richiamando la sentenza 14/2004, la Corte ribadisce che la tutela della concorrenza non può essere intesa soltanto in senso statico, ma anche in un’accezione dinamica, scaturente dal diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o a instaurare assetti concorrenziali. Dopo di che propone una definizione della tutela della concorrenza intesa come materia che riguarda nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude, perciò, anche interventi promozionali dello Stato.
Quindi, la tutela non riguarda solo un insieme di sistemi per salvaguardare il mercato da situazioni di alterazione della concorrenza (antitrust) rinvenute ex post, ma anche la regolazione legislativa di misure che, a monte, favoriscano la concorrenza nel mercato o per il mercato.
Ora, nel merito queste considerazioni non possono che essere condivise. Tuttavia, la Corte afferma che l’intervento promozionale può essere “anche” dello Stato.
Non si capisce fino in fondo, però, perché non possa essere “anche” di competenza delle regioni. Visto che la legge regionale è soggetta, come quella statale, al rispetto dei principi comunitari, sicchè la loro violazione ne implica l’incostitiuzionalità, ben potrebbe la regione, esercitando la competenza legislativa in una materia che, comunque, non è assegnata esplicitamente allo Stato, adottare leggi che curino i servizi pubblici locali, assicurando la funzione dinamica di tutela del mercato.
Mentre appare assolutamente chiaro che una funzione di garanzia “statica” del mercato debba appartenere allo Stato, per garantire eguali regole della concorrenza in tutto il territorio, non si capisce del tutto perché la funzione di promozione della concorrenza debba considerarsi riservata allo Stato. La lettura suggerita dalla Consulta appare volta a garantire una conservazione di un assetto normativo, ma non la chiusura di un sistema, che l’attuale testo costituzionale rende tutt’altro che chiaro.
Molto più semplice, e forse doveroso, sarebbe intervenire in maniera definita sul tema dei servizi locali (come di altri temi, per la verità) ed attribuire le competenze in modo immediato e diretto allo Stato o alle regioni.
A ben vedere, nel merito, le motivazioni esposte dalla Consulta forniscono carne al fuoco di chi sostiene che, in effetti, è opportuno che il tema dei servizi locali sia lasciato appannaggio dello Stato.
La Corte, tuttavia, indebolisce il suo ragionamento, quando afferma:
1) che l’articolo 113 del d.lgs 267/2000 finisce per essere una norma che “contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale”;
2) che è “evidente la necessità di basarsi sul criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno interventi legislativi dello Stato”.
Queste affermazioni indeboliscono la decisione per una semplice ragione: il comma 2 dell’articolo 117 della Costituzione indica le competenze esclusive dello Stato. Allora, se l’interpretazione della materia “tutela della concorrenza” è di portata così ampia da ammettere l’intervento legislativo dello Stato, come inizialmente indica la Consulta, ciò significa che tale materia debba attrarre la materia dei servizi locali integralmente nella competenza legislativa statale. Lo stato, in conseguenza di ciò, deve poter legiferare non solo ponendo principi, ma entrando nel dettaglio normativo. La legislazione statale per principi, infatti, è quella di tipo concorrente.
Di fatto, la sentenza pare fornire un’interpretazione salomonica: tra le regioni che affermano la loro competenza esclusiva e lo Stato che afferma, a sua volta, la propria competenza esclusiva riguardo ai servizi pubblici locali, la soluzione è una sorta di ulteriore genere di “competenza esclusiva dello Stato affievolita”. L’affievolimento deriva dalla funzione di normazione di principio, nonché dal criterio di proporzionalità e adeguatezza, alla luce del quale la Consulta può di volta in volta valutare la legittimità dell’intervento statale.
Non sembra, dunque, che la sentenza abbia scritto un capitolo definitivo sulla competenza legislativa in materia di servizi pubblici locali.
Per un verso, ciò è anche corretto: tale capitolo, infatti, non può che essere scritto dal Parlamento, il quale con urgenza dovrebbe provvedere, perché il clima di incertezza aperto sul tema pare confermato ed ingigantito dalla pronuncia della Consulta.
La quale ha considerato illegittimo il comma 7 dell’articolo 113, proprio per l’estremo dettaglio che lo caratterizza: a conferma che la Corte ha visto nello Stato una competenza esclusiva ma non piena sui servizi pubblici locali, foriera di successivi risvolti, che non tarderanno allorquando i comuni bandiranno le gare per l’affidamento dei servizi o l’individuazione dei soci.
La sentenza della Consulta assume un altro importante rilievo: contiene la definitiva conferma che le competenze legislative regionali generali e residuali sono da considerare esclusive. Altrimenti, non sarebbe stata possibile la declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 113-bis del testo unico sull’ordinamento locale.
Pare che la Corte abbia progressivamente maturato sempre con maggiore convinzione questo assunto, pur non unanime in dottrina, che rende certamente ancor più alto il livello di potenziale conflitto tra Stato e regioni.
La sentenza 272/2004, infine, sembra aver fatto perdere importanza al criterio della “trasversalità” delle competenze legislative dello Stato (tra le quali quello, appunto, di tutela della concorrenza). La competenza trasversale non viene più vista, come detto prima, quale strumento normativo finalizzato ad attrarre nella completa competenza statale una materia anche non specificamente determinata (quale quella dei servizi locali) dalla Costituzione. Le conseguenze su materie come espropri, edilizia, lavori pubblici sono immaginabili.
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[1] La sentenza 27 luglio 2004, n. 272, in questa Rivista n. 7-8/2004, pag. http://www.lexitalia.it/p/corte/ccost_2004-07-27.htm