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Articoli e note

n. 12/2003  - © copyright

LUIGI  OLIVERI
 

La coincidenza tra incarico di direzione e posizione organizzativa negli enti privi di dirigenza ai sensi del nuovo Ccnl Regioni/Enti locali – Conseguenze sulla possibilità di assegnare incarichi a componenti della Giunta e ai Segretari comunali.

L’articolo 15 del Ccnl 2002-2005, nell’ambito degli enti privi di dirigenza, connette direttamente l’incarico di responsabilità delle strutture apicali alla titolarità della posizione organizzativa.

E’ la conseguenza diretta della chiara previsione, secondo cui “i responsabili delle strutture apicali” “sono titolari delle posizioni organizzative”.

E’ utile ricordare che quando il legislatore o disposizioni contrattuali di carattere generale utilizzano l’indicativo presente, la norma o clausola in questione assume carattere imperativo. Pertanto, a termini del contratto, ciascun dipendente per il fatto stesso di essere titolare di un incarico apicale nell’ente, deve necessariamente essere titolare di posizione organizzativa.

Il Ccnl 2002-2005, dunque, intende superare il precedente sistema, nel quale v’era, invece, una dicotomia tra l’affidamento delle funzioni dirigenziali e l’incarico nell’area delle posizioni organizzative.

A mente dell’articolo 11, comma 1, del Ccnl 31.3.1999, infatti, gli enti privi di personale con qualifica dirigenziale potevano attribuire gli incarichi nell’area delle posizioni organizzative “esclusivamente a dipendenti cui sia attribuita la responsabilità degli uffici e dei servizi formalmente individuati secondo il sistema organizzativo autonomamente definito e adottato”.

Dunque, tale norma considerava l’incarico di responsabilità degli uffici e dei servizi esclusivamente come il presupposto per l’attribuzione dell’incarico di posizione organizzativa. Non era, tuttavia, necessario che tale ultimo incarico conseguisse obbligatoriamente alla titolarità della responsabilità di servizio.

La struttura della disposizione contrattuale aveva creato alcuni problemi operativi ed attuativi. Le parti sindacali, infatti, sostenevano la opposta tesi della coincidenza necessaria tra responsabilità di servizio e posizione organizzativa. Ma, tale indicazione, non trovando riscontro né nelle disposizioni di legge, né nel contratto collettivo, non poteva essere considerata corretta.

In ogni caso, l’Aran e la maggioranza delle parti datoriali avevano sostenuto la tesi della non necessaria coincidenza tra responsabilità di servizio e posizione organizzativa. L’Aran aveva espresso tale posizione nella risposta al quesito P 9[1] nel quale si chiede se nei comuni privi di qualifiche dirigenziali esista un obbligo alla corresponsione della retribuzione di posizione e di risultato.

L’Agenzia ha risposto come segue: “Nei Comuni privi di personale dirigenziale, le strutture organizzative di vertice, espressamente istituite dal regolamento degli uffici e servizi, sono da considerarsi coincidenti con le posizioni organizzative di cui all'art. 8 del CCNL del 31.3.1999.

Se questa equivalenza può considerarsi ovvia, non altrettanto può dirsi a proposito del cosiddetto "diritto" dei titolari delle posizioni organizzative alla percezione della retribuzione di posizione e di risultato.

A tal riguardo, infatti, occorre tenere presente che l'art. 11 del citato CCNL prevede chiaramente che i compensi in questione possono essere corrisposti ove gli enti "si avvalgano della facoltà di cui all'art. 51, comma 3 bis, della legge 142/1990 introdotto dalla legge 191/1998 e nell'ambito delle risorse finanziarie ivi previste a carico dei rispettivi bilanci…".

In altri termini l'ente deve prima valutare se ci sono le condizioni economiche per sopportare il maggior onere finanziario correlato ai ripetuti compensi (sia pure con un parziale finanziamento derivante dal recupero delle somme prima destinate al salario accessorio del personale incaricato) e solo dopo aver accertato tale potenzialità, può decidere e regolamentare la graduazione delle posizioni e corrispondere le relative indennità”.

Tuttavia, questa corretta impostazione aveva creato una serie di applicazioni sostanzialmente distorte.

Non pochi sono stati i casi nei quali gli enti hanno attribuito ai dipendenti l’incarico di responsabile dei servizi e degli uffici, senza, però, attribuire l’incarico di posizione organizzativa. Altre volte, è capitato che ad alcuni responsabili di servizio l’incarico di posizione organizzativa fosse attribuito, ad altri no.

Ancora, la presunta “concorrenza” con incarichi di responsabilità di servizio attribuibili anche al segretario comunale, aveva ulteriormente complicato il quadro operativo.

L’articolo 15 del Ccnl 2002-2005 contribuisce, quanto meno, a fare chiarezza, prevedendo una volta e per sempre che la preposizione di dipendente alla direzione di una struttura apicale, conseguenza dell’assegnazione di funzioni dirigenziali ai sensi dell’articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000, determinerà l’attribuzione dell’incarico della posizione organizzativa.

I rapporti con l’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000

La coincidenza tra la responsabilità di una struttura apicale e l’incarico come posizione organizzativa, prevista dall’articolo 15 del Ccnl, rende, però, di difficile attuazione la previsione di cui all’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, che consente ai comuni con meno di 5.000 abitanti di attribuire le competenze gestionali agli organi di governo.

Tale ultima disposizione stabilisce che “gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.

Si tratta di una norma che rompe la linea di confine che separa l’esercizio delle funzioni gestionali, che la legge assegna all’apparato amministrativo, dallo svolgimento delle funzioni di indirizzo e controllo, proprie degli organi di governo.

L’articolo 53, comma 23, citato ha subìto una modifica fondamentale per effetto dall'articolo 29, comma 4, lettere a) e b), della legge 448/2001. Tale articolo, infatti, ha eliminato dal testo previgente un presupposto necessario all’assegnazione delle funzioni gestionali agli organi di governo: il riscontro e la dimostrazione della “mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti” allo svolgimento delle funzioni gestionali.

L’onere di dimostrare la carenza di professionalità adeguate all’esercizio delle funzioni di direzione delle strutture apicali rendeva eccessivamente difficile l’applicazione dell’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000. Infatti, per effetto della legge 127/1997, anche gli enti di piccole dimensioni da tempo avevano assegnato ai funzionari apicali il compito di dirigere le strutture amministrative, esercitando le connesse funzioni di natura dirigenziale.

Dunque, sarebbe stato indice di probabilissimo demansionamento ogni provvedimento che, in aperta contraddizione con precedenti incarichi, attestasse un’inidoneità professionale allo svolgimento di funzioni gestionali esercitate fino a poco tempo prima.

Da qui la scelta del legislatore di riconnettere la scelta discrezionale degli enti di popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, di attribuire le funzioni gestionali agli organi di governo, esclusivamente a valutazioni di carattere finanziario.

L’assegnazione delle funzioni di direzione di strutture apicali generalmente, infatti, prima della vigenza dell'articolo 15 del Ccnl 2002-2005, poteva facoltativamente comportare l’attribuzione ai dipendenti destinatari del relativo incarico dell’inquadramento nell’area delle posizioni organizzative, con la connessa applicazione dei benefici economici previsti dall’articolo 10 del Ccnl in data 31.3.1999

Come è noto, gli oneri per il finanziamento delle retribuzioni di posizione e risultato spettanti alle posizioni organizzative, negli enti privi di dirigenza (gli unici ai quali si possa applicare l’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000) debbono essere reperiti non nel fondo per il salario accessorio, ma dalle risorse del bilancio dell’ente.

Pertanto, l’assegnazione di incarichi di posizione organizzativa per enti di piccole dimensioni rappresenta un costo vivo. Allora, l’articolo 53, comma 23, nella nuova e vigentre versione, è un sistema per rimediare agli oneri contrattuali conseguenti all’assegnazione dell’incarico di dirigere strutture apicali, eliminando i costi connessi all’incarico di posizione organizzativa, attraverso l’assegnazione delle funzioni gestionali agli organi di governo.

Tuttavia, la possibilità offerta dalle leggi finanziarie agli enti con meno di 5.000 abitanti di far svolgere agli organi di governo le funzioni gestionali non è rimasta priva di conseguenze sul piano dello status giuridico ed economico dei dipendenti.

L’articolo 11 del Ccnl 31.3.1999 stabilisce, come visto sopra, che i comuni privi di dirigenti possano assegnare l’incarico di posizione organizzativa “esclusivamente a dipendenti cui sia attribuita la responsabilità degli uffici e dei servizi formalmente individuati secondo il sistema autonomamente definito e adottato”.

L’incarico di “quadro” può essere attribuito, nella logica dell’articolo 11 citato, solo a chi sia già destinatario della responsabilità degli uffici e dei servizi. In altre parole, negli enti privi di dirigenza il presupposto per l’assegnazione della posizione organizzativa è l’attribuzione al dipendente apicale dell’esercizio delle funzioni dirigenziali, ai sensi dell’articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000. In mancanza, dunque, di un formale e motivato provvedimento del sindaco che assegni tali funzioni, nessun dipendente può essere incaricato come posizione organizzativa.

Il testo dell’articolo 11 del Ccnl 31.3.1999 autorizzava a ritenere che sussistesse la già vista scissione tra il ruolo di responsabile di uffici e servizi incaricato di svolgere le funzioni dirigenziali, e l’incarico di posizione organizzativa.

Ciò ha fornito a non poche amministrazioni lo spunto per l’applicazione parzialmente distorta, anche se formalmente corretta.

E’ successo che in alcuni enti si sia data applicazione all’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, togliendo ai dipendenti l’incarico di posizione organizzativa ed assegnando formalmente ai componenti della giunta le funzioni gestionali.

Tuttavia, proprio perché il complesso normativo legislativo e contrattuale fin qui non ha imposto la coincidenza tra la posizione apicale nell’ente e l’incarico di posizione organizzativa, tali enti hanno mantenuto in capo ai dipendenti lo svolgimento di fatto delle funzioni gestionali, anche per la loro maggiore specializzazione tecnica, rispetto a quella posseduta dai componenti della giunta.

Tale applicazione dell’articolo 53, comma 23, dunque, ha determinato di fatto una situazione per cui ai componenti della giunta è stata assegnata la responsabilità solo formale di svolgere le funzioni gestionali ed adottare i relativi atti. Per converso, però, la direzione delle strutture ed il compimento di tutte le funzioni gestionali di natura sostanziale è rimasta in capo ai dipendenti apicali, che pur privo dell’incarico di responsabili dei servizi (ed, ovviamente, della posizione organizzativa) hanno sostanzialmente continuato a svolgere le funzioni precedentemente esercitate, senza più essere, però, titolari delle indennità previste dal contratto.

In alcuni casi, addirittura, gli organi di governo hanno delegato ai dipendenti apicali le funzioni gestionali, dando vita ad un processo anche poco razionale dal punto di vista organizzativo, in base al quale prima si sono sottratte le funzioni gestionali ai responsabili, per poi restituirle sotto forma di delega, in modo da ottenere il risultato del risparmio della spesa previsto dalla legge 388/2000.

Il sostanziale demansionamento, quale conseguenza di tali modalità applicative dell’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 appare chiaro, anche se non vi sono strumenti di tutela avverso simili scelte, come ben attesta la sentenza del Tar Campania, Sezione V 13054/2003, che ha respinto il ricorso di un responsabile di servizio esautorato dall’incarico, in favore di un assessore, ritenendo, tra le altre ragioni, prevalente l’interesse dell’ente al risparmio di risorse perseguito in tal modo.

Di questa situazione di sostanziale, ma difficilmente tutelabile demansionamento, si fa indirettamente carico il nuovo Ccnl. L’articolo 15, infatti, modifica l’assetto degli incarichi di posizioni organizzative fissato dall’articolo 11 del Ccnl 31.3.1999.

Il nuovo presupposto per l’incarico nell’area delle posizioni organizzative: la titolarità di un incarico apicale

Nel nuovo regime contrattuale il presupposto per l’incarico nell’area delle posizioni organizzative non sarà più l’incarico di responsabile degli uffici e dei servizi: basterà, infatti, la titolarità di un incarico apicale, quale responsabile di strutture di vertice, che perciò solo determinerà la titolarità delle posizioni organizzative, in modo del tutto automatico.

La nuova configurazione della titolarità delle posizioni organizzative negli enti privi di dirigenza, pertanto, fa sì che una gestione dell’articolo 53, comma 23, come quella vista prima determinerebbe una vera e propria situazione di demansionamento illecito, per inadempimento alle disposizioni della contrattazione collettiva.

In altre parole, non sarebbe più possibile per gli amministratori degli enti con meno di 5.000 abitanti attribuirsi solo in via formale la responsabilità degli uffici e dei servizi, ma lasciando la gestione di fatto in capo agli apicali i quali, in sostanza, svolgerebbero comunque funzioni dirigenziali riconducibili allo schema dell’articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000.

Pertanto, l’articolo 15 del nuovo contratto collettivo impone agli enti che intendano avvalersi dell’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 di non attribuire alcuna responsabilità ai dipendenti apicali. E non solo in via di mera forma, ma in punto di diritto. Altrimenti, si porrebbe in essere un vero e proprio demansionamento. I dipendenti responsabili di strutture secondo provvedimenti formali, ai sensi dell’articolo 15 del nuovo Ccnl hanno, infatti, un vero e proprio diritto ad esercitare le mansioni e le funzioni direzionali connesse alla titolarità della posizione organizzativa, a sua volta necessariamente collegata alla responsabilità delle strutture. La negazione formale di tale diritto, ma con lo svolgimento di fatto delle funzioni direzionali, implica un evidente inadempimento all’obbligazione del datore di lavoro di richiedere ai propri dipendenti le sole mansioni connesse alle responsabilità del ruolo rivestito.

Sicchè, gli amministratori dovrebbero per intero farsi carico di tutte le funzioni gestionali, nessuna esclusa, per attuare correttamente l’articolo 53, comma 23, e non incorrere in violazioni della contrattazione collettiva che potrebbero determinare pesanti responsabilità in sede di tutela delle posizioni dei lavoratori.

La corretta configurazione dei responsabili degli uffici e dei servizi

Non solo. Si potrebbe anche affermare che l’articolo 15 del Ccnl 2002-2005 escluda del tutto la possibilità di applicare ulteriormente l’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000.

E’ necessario sottolineare (ancora una volta) che l’articolo 15 citato mette in rapporto l’incarico nell’area delle posizioni organizzative non più col possesso dell’incarico di responsabile di uffici o servizi, bensì con la titolarità della posizione apicale nell’ambito delle strutture dell’ente.

La differenza di impostazione non è affatto irrilevante, né secondaria.

Un conto, infatti, è l’inquadramento come apicale di una struttura, altro conto è l’incarico di responsabile di uffici o servizi.

L’inquadramento come apicale non può che essere conseguente ad una precisa collocazione del dipendente nella struttura organizzativa dell’ente. Si utilizza l’espressione “struttura organizzativa” o “macrostruttura” e non “dotazione organica”, perché mentre questa non rappresenta che la mera elencazione del fabbisogno del personale, distinto per categorie professionali, la “macrostruttura”, invece, determina:

1)                                         la quantità di strutture organizzative presenti nell’ente, nel rispetto di quanto stabilito dallo statuto e dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi;

2)                                         l’individuazione delle strutture considerate di vertice, e delle unità operative di minore dimensione, che operano all’interno delle prime. Si tratta di unità operative più specialistiche, comprese nella “macrostruttura” in quanto considerate parte essenziale dell’organizzazione dell’ente. Le strutture apicali, dunque, rappresentano gli accorpamenti di massima dimensione, secondo criteri di omogeneità funzionale, autonomamente fissati dall’ente;

3)                                         gli incarichi di preposizione sia alle strutture di massima dimensione, sia a quelle comprese all’interno delle prime.

Se, allora, un dipendente è assegnatario della funzione di direzione di una struttura di vertice, è, in altre parole, preposto a tale struttura, per ciò stesso tale dipendente sarà “responsabile delle strutture apicali”, per usare l’espressione contenuta nell’articolo 15 del Ccnl 2002-2005.

Dunque, solo il dipendente collocato alla direzione delle ripartizioni organizzative di massima dimensione potrà (anzi, dovrà) essere incaricato nell’area delle posizioni organizzative (per esemplificare, solo i dipendenti collocati nei quadrati in grigio di cui alla seguente figura):

C’è da ricordare che si è spesso equivocato proprio tra l’incarico di direzione di “struttura apicale” e quello di “responsabili degli uffici e dei servizi”.

Non infrequente è risultata la considerazione della distinzione tra i due tipi di incarichi. Insomma, un conto sarebbe la preposizione ad una struttura di vertice. Altro conto, la titolarità di un incarico di responsabilità di uffici o servizi anche posti, nell’ambito della “macrostruttura” all’interno delle strutture di vertice. Per cui, si è tratta la conclusione che gli incarichi di responsabili degli uffici o dei servizi potessero essere attribuiti a qualsiasi dipendente, qualunque fosse la sua collocazione della struttura organizzativa ed, ulteriormente, qualunque fosse la sua categoria di inquadramento[2]. Tale convincimento era, poi, rafforzato dalla previsione di cui all’articolo 109, comma 2, a mente del quale gli incarichi di responsabili di uffici o servizi sono il presupposto per il conferimento di funzioni dirigenziali “indipendentemente dalla […] qualifica funzionale, anche in deroga ad ogni diversa disposizione” dei detti responsabili degli uffici e dei servizi.

Da qui la conclusione, dedotta da alcuni, secondo la quale il conferimento delle funzioni dirigenziali presso gli enti privi di dirigenti non dovesse seguire il criterio dell’apicalità del dipendente, ma solo un criterio funzionale.

Ma tali posizioni non possono essere condivise. I responsabili degli uffici e dei servizi degli enti locali sono a considerare necessariamente i dipendenti collocati alla direzione di una struttura di massima dimensione nell'ente.

In effetti, la non felice formulazione delle disposizioni del d.lgs 267/2000 in proposito non aiuta ad individuare con la necessaria puntualità un'esaustiva definizione del concetto di responsabili degli uffici e dei servizi. Infatti, tale espressione è stata spesso utilizzata come sinonimo o come qualificazione delle diverse altre espressioni come funzionario, dirigente o funzionario-dirigente.

La promiscuità nell'uso di tali termini nell'ambito del testo unico è molto evidente. Ad esempio, si parla di responsabili dei servizi nell'articolo 49, in tema di pareri da esprimere sulle proposte di deliberazione. L'articolo 50, comma 10, parla di responsabili degli uffici e dei servizi e, poi, anche di dirigenti.

L'articolo 109 disciplina le modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali, trattando al comma 2 anche delle funzioni dirigenziali attribuibili ai responsabili degli uffici e dei servizi.

L'articolo 183, comma 9, prevede che il regolamento di contabilità definisca le modalità con le quali assumere, mediante determinazioni, gli impegni di spesa da parte di soggetti qualificati come responsabili dei servizi, non responsabili degli uffici e dei servizi. L'articolo 192, che tratta di una specifica e molto importante modalità di assunzione della spesa, connessa alla successiva stipulazione dei contratti, quando parla della determinazione a contrattare la riconduce alla competenza di un soggetto definito come “responsabile del procedimento di spesa”.

Si nota che il legislatore pur riferendosi ad un unico organo, ha utilizzato in modo indiscriminato ed eccessivamente impreciso termini differenti, che hanno indotto taluno a trarne interpretazioni che non si conciliano con un'organizzazione improntata al rispetto dei principi gerarchico e del buon andamento.

Taluni enti hanno concepito il riferimento ai responsabili degli uffici e dei servizi come l'identificazione di funzionari preposti a strutture organizzative così denominate dal regolamento di organizzazione dell'ente, prescindendo dalla collocazione apicale di tali strutture.

Per esemplificare, generalmente gli enti fissano la propria organizzazione interna su almeno due livelli, che salgono a tre negli enti di maggiori dimensioni. Il primo livello viene definito generalmente “settore” o “area” o “divisione” o “dipartimento” (le ultime tre denominazioni sono proprie degli enti di maggiori dimensioni, che le utilizzano per individuare la struttura di massima dimensione, rispetto alla quale il settore è, generalmente una strutturazione interna specialistica). Il secondo livello (che talvolta è il terzo negli enti più grandi) è spesso denominato “servizio”.

Non sono poche, allora, le amministrazioni che ritengano in base a tali denominazioni delle strutture dei propri uffici di assegnare ai responsabili delle strutture di primo livello (l'effettiva denominazione non conta) competenze di natura dirigenziale, concernenti per lo più le attività di programmazione e verifica dei programmi, attribuzione delle risorse, gestione del personale. Ai responsabili dei servizi, intesi come titolari degli uffici di secondo o terzo livello, sol perchè appunto definiti con espressione equivalente o uguale a quella talvolta usata nel testo unico per identificare gli organi gestionali, si attribuiscono, invece, concreti poteri di gestione, tra i quali l'adozione degli impegni di spesa o l'espressione dei pareri sulle proposte di deliberazione.

Si assiste, talvolta, alla situazione in cui le posizioni organizzative si limitano a porre in essere sostanzialmente solo atti di proposta dei programmi ai fini della formulazione del Peg (se e quando negli enti viene adottato) o di organizzazione del personale, mentre tutta la concreta gestione, dagli impegni di spesa alla stipulazione dei contratti, dagli accertamenti all'espressione dei pareri, è attribuita ai responsabili dei servizi.

Si tratta di un travisamento delle disposizioni di legge e dei contratti, che porta ad una vera e propria illegittimità dell'impostazione organizzativa.

E' abnorme ritenere che il legislatore quando ha parlato dei responsabili degli uffici e dei servizi (o espressioni consimili) si sia riferito ad una specifica configurazione organizzativa interna agli enti. E' abnorme semplicemente perchè in tal modo la legge avrebbe imposto un modello organizzativo, cioè l'esistenza di strutture denominate servizi, contraddicendo totalmente il principio dell'autonomia organizzativa degli enti, pur previsto dal testo unico. Ed è abnorme perchè è chiaro che il legislatore, invece, ha voluto riferirsi ad un concetto ampio di figura dotata di poteri gestionali, slegato, esattamente al contrario di quanto taluni ritengano, dalla specifica denominazione con cui tale figura si identifichi nell'ambito di ciascun regolamento di organizzazione. Slegato, in parte, anche dalla qualifica funzionale rivestita.

Il legislatore si riferisce in modo anche confusionario, se si vuole, ad un concetto astratto di organo amministrativo responsabile della gestione, la cui denominazione, in fondo, non è utile, essendo, semmai, importante definirne le competenze generali, soprattutto al fine di segnare la linea di separazione con le competenze degli organi di governo. Ecco perchè nel testo unico si trovano tante definizioni dei responsabili, che tra loro sono semplicemente dei sinonimi. L'unica rilevante differenza è l'inquadramento o meno del titolare di una struttura nella qualifica dirigenziale, perchè ne derivano conseguenze sulla titolarità dei poteri, nonché sul trattamento giuridico ed economico derivante dall'applicazione di contratti di aree specifiche.

Pertanto, è responsabile degli uffici e dei servizi esclusivamente il soggetto preposto alla direzione di una delle strutture di massimo rilievo dell'ente, qualunque sia la denominazione che caratterizza tale struttura. Essa, dunque, può anche chiamarsi area, settore, nucleo, dipartimento, oltre che servizio; al suo interno possono esservi unità organizzative denominate servizi. Ma il responsabile del servizio non è il titolare di un'unità organizzativa così definita dal regolamento di organizzazione. Il responsabile degli uffici e dei servizi deve forzatamente essere il titolare dei poteri connessi all'esercizio delle funzioni dirigenziali dell'ente, come tale, dunque, dotato dei poteri organizzativi pubblici e privatistici che caratterizzano gli organi gestionali, in grado non solo di formare ed esprimere la volontà dell'ente con provvedimenti amministrativi veri e propri, ma anche di organizzare e gestire le strutture dirette con atti di diritto privato esercitando i poteri propri del privato datore di lavoro.

Tali poteri sono necessariamente caratterizzanti quei funzionari che stiano al livello più alto della struttura organizzativa dell'ente, perchè sono al diretto contatto con gli organi di governo ed assicurano a questi il perseguimento corretto dell'indirizzo politico amministrativo, mediante la gestione efficiente ed efficace delle risorse ottenute a seguito di un processo di negoziazione, che fa di tali funzionari compartecipi della “strategia aziendale”, esattamente come avviene nelle aziende private. Nelle quali i dirigenti sono l'alter ego dell'imprenditore, e come tali collocati al massimo livello della scala direzionale dell'ente e, dunque, dotati dei più ampi poteri pianificatori e gestionali.

Il testo unico si riferisce a responsabili di “uffici e servizi” in modo generico, perchè la direzione delle strutture degli enti locali si ripartisce, in effetti, almeno in due rami. La gestione delle funzioni amministrative, consistente nell'esercizio delle attività più propriamente amministrative ed autoritative o attività di staff interne: esempio ne siano, la polizia municipale, gli uffici finanziari (che però la legge qualifica servizi, impropriamente), la segreteria.

Vi sono, poi, strutture che pongono in essere attività realmente configurabili come servizi pubblici in economia, o, comunque, attività amministrative di diretto impatto nella società, vicine, dunque, ad una gestione maggiormente negoziale: esempio ne siano il servizio idrico, il servizio ecologia, i servizi alla persona.

Tutte queste strutture possono essere di massima dimensione: allora la norma di cui all'articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000 si riferisce ai responsabili degli uffici e dei servizi intendendo richiamare tutte le possibili strutturazioni di tali uffici e servizi, che cambiano, evidentemente, di molto a seconda non solo delle dimensioni degli enti, ma anche delle stesse linee politico-amministrative seguite.

Per utilizzare un solo esempio, è chiaro che proprio il corpus dei servizi alla persona può essere ricomposto in una struttura autonoma di massima dimensione in enti che caratterizzino la propria politica strategica nel campo sociale; in enti in cui la strategia politica privilegi altri ambiti (ad esempio l'edilizia) i servizi alla persona possono ritrovarsi inseriti in una struttura amministrativa più ampia, ad esempio all'interno della segreteria.

Occorre, allora, spiegare perchè l'articolo 50, comma 10, del testo unico assegni al sindaco e al presidente della provincia il potere di nominare i responsabili dei servizi, così come di definire gli incarichi dirigenziali. In apparenza la norma sembra disporre una distinzione tra queste figure, distinzione che, se reale, non potrebbe non avere anche ricadute operative. Nel senso che se convivono dirigenti e responsabili di servizio e se la norma a questi assegni certe responsabilità e competenze, occorre distinguerle da quelle proprie dei dirigenti, oppure, laddove non vi siano dirigenti, dalle posizioni organizzative. Ma ciò avviene, appunto, in apparenza. Questa interpretazione dell'articolo 50, comma 10, infatti, non è da considerare corretta, alla luce di quanto detto sopra in merito all'esatta qualificazione dei responsabili degli uffici e dei servizi, come persone preposte alla direzione delle strutture di massima dimensione dell'ente.

Il comma 10 dell'articolo 50 non deve essere inteso nel senso che il sindaco provvede da un lato a nominare i responsabili degli uffici e dei servizi e, dall'altro, in aggiunta, a nominare i dirigenti definendone gli incarichi.

La competenza attribuita al sindaco è un'altra e si tratta dell'esplicazione di un'unica fattispecie, distinta, tuttavia, in due momenti.

Il sindaco provvede a nominare i responsabili degli uffici e dei servizi, ovvero ad individuare quali tra i propri dipendenti sono da preporre alle strutture considerate di massima dimensione dell'ente. Posto che presso l'ente X esistano 4 strutture, occorre nominare 4 “responsabili degli uffici e dei servizi”. Poiché, però, le 4 strutture accorpano ed organizzano appunto una serie di funzioni e servizi, secondo uno schema organizzativo definito dal regolamento, occorrerà stabilire quali incarichi dirigenziali assegnare ai 4 “responsabili degli uffici e dei servizi”, in relazione alla specifica competenza professionale di ciascuno ed ai compiti ed obiettivi propri della struttura, in analogia a quanto stabilisce l'articolo 19, comma 1 e 2, del D.lgs 165/2001.

La definizione dell'incarico dirigenziale, dunque, non è che il completamento della fattispecie di nomina dei responsabili degli uffici. Quest'ultima è finalizzata a costituire il rapporto organico. La definizione dell'incarico, in tutto corrispondente a quanto prevede l'articolo 19, commi 3 e 4, del d.lgs 165/2001, consiste nell'adozione del provvedimento che specifica esattamente l'oggetto dell'incarico, gli obiettivi da conseguire in relazione alla programmazione, la connessa durata.

Dunque, il sindaco ed il presidente della provincia non provvedono sia alla nomina dei dirigenti, sia alla nomina di una presunta diversa figura di responsabili di servizio. Al contrario, nomina i responsabili di servizio ed in conseguenza di ciò stabilisce, definisce l'incarico.

Allora, negli enti in cui sia presente la dirigenza, responsabili di servizio sono i dirigenti, organi per legge preposti alla gestione ed alla direzione delle strutture di vertice dell'ente. Anche negli enti di grandi dimensioni, nei quali la dirigenza sia strutturata in uffici di diversa collocazione strategica, il dirigente non titolare della direzione apicale è comunque titolare di una struttura che è un ufficio-organo, in grado di formare e manifestare la volontà dell'ente, dunque di essere comunque una struttura di rilievo esterno. Per altro, in tali enti gli incarichi dirigenziali non possono essere strutturati secondo criteri gerarchici, ma solo funzionali, dal momento che negli enti locali non esiste la bipartizione della dirigenza in dirigenza di primo e secondo livello, a differenza di quanto previsto nell'organizzazione statale.

Nei comuni ove siano presenti i dirigenti essi hanno un vero e proprio diritto ad ottenere l'incarico dirigenziale. Ai sensi dell'articolo 107, i dirigenti sono per legge detentori a titolo originario delle competenze gestionali connesse con la direzione delle strutture. Non è consentita la dissociazione tra qualifica dirigenziale ed incarico dirigenziale, se non nelle ipotesi di accertata responsabilità dirigenziale o contratto di part-time. Pertanto, i dirigenti saranno sempre e comunque (tranne le eccezioni previste dalla norma come tassative, dunque non interpretabili in via analogica) responsabili di servizio. Al sindaco ed al presidente della provincia, pertanto, spetta di individuare quali siano i dirigenti presenti in servizio, per attribuire loro, poi, l'incarico nel rispetto dei criteri di professionalità e buon andamento richiesti dalla norma.

Negli enti privi di dirigenza, non esistono dipendenti che siano titolari originari del diritto-dovere di svolgere funzioni dirigenziali e, dunque, di dirigere strutture di rilievo esterno, che, per altro, coincideranno sempre con le strutture organizzative di massima dimensione, in questo caso.

Il testo unico, però, rimedia a questa situazione, consentendo ai sindaci dei comuni privi di personale con qualifica dirigenziale di conferire le funzioni dirigenziali ai dipendenti non dirigenti, con proprio provvedimento motivato, ai sensi dell'articolo 109, comma 2. Tali dipendenti sono i responsabili degli uffici e dei servizi.

Il sindaco del comune privo di dirigenti, pertanto, compie un'operazione equivalente a quella che compirebbe in un ente dotato di qualifiche dirigenziali. Individua, infatti, i responsabili degli uffici e dei servizi e definisce i loro incarichi. Tali incarichi sono qualificabili come dirigenziali, perchè il provvedimento di conferimento della funzione di responsabile dei servizi per legge assolve alla funzione di attribuire al funzionario incaricato la competenza, che è dunque derivata, ad esercitare le funzioni dirigenziali.

A differenza degli enti in cui vi sono dirigenti, nell'ambito dei quali il sindaco è tenuto ad attribuire gli incarichi ai dirigenti e solo, dunque, nell'ambito della provvista di dirigenti a disposizione, negli enti senza dirigenti il sindaco può attribuire la posizione di responsabile di servizio dotato del potere di svolgere funzioni dirigenziali ad una parte soltanto della provvista di funzionari in servizio.

Pertanto, negli enti privi di dirigenti, sono responsabili di servizio ed hanno il diritto dovere di esercitare le funzioni dirigenziali i funzionari collocat alla direzione delle strutture di vertice. Non è possibile, dunque, che dette funzioni siano esercitate da altri dipendenti, collocati più in basso nella gerarchia funzionale dell'ente, sol perchè denominati “responsabili di servizio” dal regolamento, pur non essendo qualificabili come responsabili di servizio nell'accezione voluta dalla legge.

Non è corretto che le posizioni organizzative svolgano solo parte delle funzioni dirigenziali, negli enti privi di dirigenti, mentre le funzioni, anch'esse e specificamente dirigenziali, di assunzione degli impegni di spesa o stipulazione dei contratti, nonché di espressione dei pareri sulle deliberazioni, siano svolte da altri dipendenti, qualificati, a questo punto in modo improprio, come responsabili dei servizi.

A mente dell'articolo 109, comma 2, le funzioni dirigenziali possono essere esercitate esclusivamente dai responsabili di servizio, intesi come vertici delle unità organizzative apicali, cui il sindaco abbia attribuito tale incarico. L'esercizio di tali funzioni dà vita ad una illegittimità per incompetenza assoluta e per falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 50, comma 10 e 109, comma 2, del testo unico.

Tutto ciò, a ben vedere, è già confermato dall'articolo 11 del Ccnl 31.3.1999 a mente del quale nei comuni privi di posizioni dirigenziali l'incarico nell'area delle posizioni organizzative può essere attribuito “esclusivamente a dipendenti cui sia attribuita la responsabilità degli uffici e dei servizi”. Pertanto, la titolarità dell'incarico di responsabile dei servizi è il presupposto indispensabile per ottenere la posizione organizzativa. Il dipendente inquadrato nell'area delle posizioni organizzative non può non essere, allora, un responsabile di servizio. Non può, di conseguenza, non esercitare in pieno e con integrale assunzione di responsabilità le funzioni dirigenziali attribuitegli, a pena dell'illegittimità dei provvedimenti adottati dagli altri dipendenti. Ed a pena, sul campo lavoristico, dell'illecita attribuzione ai dipendenti non configurabili come responsabili di servizio nel corretto senso fissato dalla legge, di mansioni e responsabilità non attinenti al proprio profilo professionale, che può dare luogo a responsabilità contrattuali (ma anche amministrative) notevolissime a carico di chi consenta tale errata attribuzione delle competenze e delle mansioni.

Occorre ricordare che, a mente dell'articolo 8, comma 2, del Ccnl in data 5.10.2001, a proposito degli incarichi di responsabile di servizio e dell'inquadramento nell'area delle posizioni organizzative, l'articolo 109, comma 2, del testo unico è stato disapplicato, nella parte che consente di attribuire tali incarichi a prescindere dalla qualifica funzionale posseduta dal soggetto incaricato. Il citato articolo 8, comma 2, prevede che si applichi in via esclusiva il disposto dell'articolo 11 del Ccnl in data 31.3.1999. Il che significa, in applicazione del comma 3 di tale norma, che i responsabili di servizio inquadrabili nell'area delle posizioni organizzative sono esclusivamente i dipendenti di categoria D, se tale categoria è prevista nell'ente. Solo in carenza di dipendenti inquadrati nella categoria D, possono essere nominati come responsabili di servizio e, successivamente, come posizioni organizzative, dipendenti inquadrati nelle categorie C e B[3].

L’ipotesi della disapplicazione dell’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000

Allora, l’articolo 15 del Ccnl 2002-2005 non avrebbe fatto altro che chiarire, finalmente, che:

1)                                         le responsabilità gestionali sono connesse al livello funzionale più alto nella struttura organizzativa dell’ente;

2)                                         a tale livello, pertanto, corrisponde la titolarità di ciò che l’articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000 impropriamente definisce responsabilità degli uffici e dei servizi;

3)                                         i sindaci possono conferire gli incarichi di cui all’articolo 109, comma 2, esclusivamente di dipendenti preposti alla direzione delle strutture di vertice;

4)                                         non si applica più la “deroga” di cui all’articolo 109, comma 2;

5)                                         la semplice collocazione del dipendente al vertice di una struttura organizzativa, comporta automaticamente, dunque, sia l’incarico di funzioni dirigenziali, sia la collocazione nell’area delle posizioni organizzative.

Così stando le cose, allora, è possibile sostenere la tesi che il contratto avrebbe, addirittura, reso inapplicabile quasi del tutto l’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000.

Infatti, esso si regge sulla dicotomia tra incarico apicale e responsabilità degli uffici e dei servizi. Il testo di tale norma permette di affidare ai componenti della giunta appunto “la responsabilità degli uffici e dei servizi”, considerando, dunque, tale responsabilità come disgiunta dalla carica di funzionario apicale.

Ma l’articolo 15 del contratto, invece, connette inscindibilmente la posizione apicale nell’ente con l’assegnazione delle funzioni dirigenziali di cui all’articolo 109, comma 2, e con l’incarico nell’area delle posizioni organizzative. Sicchè, un dipendente preposto alla direzione di una struttura di vertice deve essere inquadrato nell’area delle posizioni organizzative.

Allora, non si vede come sarebbe possibile attribuire l’incarico di responsabile di uffici o servizi ad un componente della giunta, in compresenza con dipendenti che, per contratto, debbono gestire le funzioni dirigenziali. Per altro, poiché la titolarità della posizione organizzativa è obbligatorie, anche se l’ente decidesse comunque di applicare l’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, sarebbe comunque tenuto a corrispondere la retribuzione di posizione e risultato. Non si verificherebbe, pertanto, la condizione del contenimento della spesa, posta a giustificazione dell’applicazione della norma. Anzi, se il dipendente inquadrato in P.O. fosse remunerato a tale titolo, ma esautorato dallo svolgimento delle funzioni dirigenziali, vi sarebbe una chiara responsabilità amministrativa degli amministratori, che pagherebbero ugualmente le somme contrattualmente previste, senza far svolgere le connesse attività e far assumere le correlate responsabilità ai dipendenti.

La situazione sopra descritta, dunque, può condurre a ritenere che l’articolo 53, comma 23, norme del resto di dubbia legittimità costituzionale, sia non più applicabile.

A tale proposito, però, occorrerebbe chiedersi se un contratto disponga del potere di disapplicare una norma di legge.

Nel caso di specie, la risposta è affermativa. L’attribuzione degli incarichi di posizione organizzativa è, senza alcun dubbio, fattispecie attinente alla gestione del rapporto di lavoro, anche se conseguente alle misure organizzative generali dell’ente.

Ora, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001, “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I. titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti di lavoro […]”.

Pertanto, la legge assegna esplicitamente ai contratti collettivi la potestà di derogare alle disposizioni di legge che concernono i rapporti di lavoro. L’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, pur non riguardando direttamente tale materia, finisce per incidere comunque sul rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, in quanto permette, in astratto, di costituire un impedimento all’incarico nell’area delle posizioni organizzative in capo ai funzionari apicali, che, invece, a mente del nuovo Ccnl ne hanno un vero e proprio diritto. Pertanto, tale norma può ritenersi disapplicata.

Certo, in contrario potrebbe sostenersi che l’articolo 53, comma 23, è il presupposto legislativo affinché gli enti modifichino il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e, dunque, in tal modo cambino anche la struttura organizzativa dell’ente.

Tale scelta di macro organizzazione non sarebbe nemmeno opponibile in giudizio, se vi fosse l’adeguata motivazione dell’ottenimento del risparmio di spesa.

In realtà, però, tale risparmio, come visto prima, non può materialmente configurarsi laddove vi siano dipendenti preposti alla direzione di strutture amministrative.

Se, come sarebbe pure sostenibile, allora l’applicazione dell’articolo 53, comma 23, venisse intesa come potestà dell’ente di attribuire tali incarichi ai componenti della giunta, previa revoca ai dipendenti, in ogni caso l’operatività – comunque molto discutibile con tali modalità – della norma apparirebbe estremamente problematica.

Infatti, se, come prima, sia pure erroneamente, si poteva ritenere che sussistesse una differenza tra responsabili di servizio e incaricati di direzione di strutture di vertice, sicchè l’incarico di responsabile di servizio fosse disgiunto dalla posizione occupata dal dipendente nell’ambito dell’organizzazione dell’ente, oggi tale tesi apparirebbe molto meno convincente.

L’ente dovrebbe prevedere non solo la rimozione dell’incarico di posizione organizzativa e di responsabile di servizio, ma proprio la revoca della preposizione alla direzione della struttura. Insomma, si darebbe vita ad una profonda modifica del rapporto organico del dipendente. Diventerebbe, a questo punto, molto difficile negare una vera e propria situazione di forte demansionamento, anche se motivato dalle esigenze di contenimento della spesa.

A ben vedere, gli unici margini residui di applicazione dell’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 sembrano legati alla vacanza in organico di dipendenti preposti alla direzione di strutture. Solo in questo caso sarebbe possibile, senza forti sospetti di violazione del contratto collettivo, “coprire” il posto, assegnando la funzione gestionale, in deroga al principio della separazione delle competenze, ad un componente della giunta. Ciò in funzione di una scelta di fondo: quella di non coprire il posto vacante e di non assegnare l’incarico di direzione al segretario comunale.

Bisogna, però, sottolineare che la deroga al principio di separazione prevista dall’articolo 53, comma 23, postula una scelta obbligata: detto principio o non si applica, oppure non sono ammesse scelte a metà strada. L’applicazione dell’articolo 53, comma 23, impone l’assegnazione delle funzioni gestionali esclusivamente a componenti della giunta. Se così non fosse, se convivessero amministratori e funzionari dotati di poteri gestionali, è evidente che la confusione tra politica e gestione nell’ente sarebbe totale, irrazionale e non conforme ad alcun canone di buon andamento dell’amministrazione pubblica.

Poiché, però, appare alquanto difficile che in un ente possano mancare del tutto e contemporaneamente i funzionari apicali, se non in casi assolutamente estremi, tale residua ipotesi di attuazione dell’articolo 53, comma 23, sembra più scolastica che concreta.

Le conseguenze sulla possibilità di attribuire incarichi di direzione di strutture ai segretari comunali

L’articolo 15 del Ccnl 2002-2005, tuttavia, non produce effetti soltanto nei rapporti tra funzionari “apicali” e organi di governo, ma anche tra i primi ed i segretari comunali.

A mente dell’articolo 97, comma 4, lettera d), del d.lgs 267/2000, il segretario comunale può esercitare ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti o, comunque, conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia.

Tale ampia definizione delle funzioni “residuali” dei segretari comunali ha indotto in molti a ritenere possibile attribuire ai segretari comunali l’incarico di responsabile di servizio, sempre, però, nell’accezione di funzione distinta da quella di preposto alla direzione di una struttura di vertice. Lo stesso articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 richiama tale possibile soluzione organizzativa.

Tuttavia, la previsione dell’articolo 15 del Ccnl, che fa convergere la posizione organizzativa non con l’incarico di responsabile di servizio, ma con la responsabilità di strutture apicali, portando, così, alla convergenza tra le due funzioni, conduce a considerare necessariamente come marginale ed estrema l’ipotesi di assegnazione degli incarichi di responsabile di uffici o servizi ai segretari comunali.

Le ragioni sono analoghe a quanto visto prima. Se nell’ambito dell’organizzazione dell’ente l’incarico di direzione di struttura di vertice risulta coperto o, meglio, se è coperto il posto che nella macrostruttura coincide con il vertice gestionale di una struttura organizzativa dell’ente, poiché, allora, in questo caso è obbligatoria l’assegnazione dell’incarico di posizione organizzativa, non si può che escludere qualsiasi possibilità di sottrarre al dipendente l’incarico e la connessa posizione organizzativa, per assegnarla al segretario comunale.

Anche in questo caso, solo situazioni marginali ed estreme, come la vacanza del posto o l’assenza o impedimento, potrebbero portare alla soluzione di ricorrere all’operato del segretario comunale.

Ma, come ben si nota, si tratterebbe di incarichi limitati nel tempo, finalizzati a rimediare ad una situazione eccezionale. Non è razionale, infatti, immaginare l’esistenza di strutture amministrative prive di un dipendente che le diriga. Del resto, queste sono le condivisibili conclusioni tratte dal Tar Lombardia, Sezione III, 18 gennaio 2002, n. 112, secondo cui il meccanismo di cui all’articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico (prima contenuto nell’articolo 17, comma 68, lettera c), della legge 127/1997) ha valenza di “clausola di salvaguardia”, preordinata “a evitare un impatto negativo della legge stessa sulla macchina organizzativa degli enti, soprattutto quelli di piccole dimensioni, spesso carenti di figure in possesso della professionalità necessaria a svolgere le funzioni gestionali assegnate agli organi burocratici” e sottolineando l’impossibilità di applicare tale norma negli enti di grandi dimensioni, nei quali è presente la dirigenza.

Del resto, tali conclusioni sono tratte anche dal Ministero dell’interno, che nella circolare 1/1997 ha ritenuto appunto gli incarichi di direzione ai segretari comunali come un’opportunità residuale, per garantire comunque in casi estremi la funzionalità dell’ente.

L’articolo 15 del Ccnl 2002-2005 non fa che rafforzare e rendere norma di diritto positivo quanto, già era dato dedurre comunque dalla corretta interpretazione del significato di responsabile di servizio.

Gli incarichi di direzione debbono essere assegnati ai dipendenti preposti a tali compiti, in base all’organizzazione dell’ente. I segretari comunali sono chiamati a svolgere funzioni diverse e peculiari, tra cui spicca quella di coordinamento dei dirigenti o funzionari apicali (dove manchi la dirigenza), che di per sé presuppone l’alterità tra il ruolo di segretario e quello di responsabile di struttura apicale. Anche perché, il segretario, come è giusto che sia, è chiamato a far parte dei nuclei di valutazione delle prestazioni degli apicali, specie quando sia assegnatario anche delle funzioni di direttore generale: apparirebbe un controsenso ammettere la compresenza di una posizione di valutatore e valutato. Così come non appare razionale, ma lo si è rilevato prima, che l’ente sia impostato in modo da lasciare acefale le strutture di massima dimensione.

Laddove queste siano coperte, e tale sarà la regola, le funzioni gestionali spettano ai titolari della loro direzione, non ai componenti degli organi di governo, non ai segretari comunali.

Inoltre, trattandosi di titolari delle responsabili delle strutture apicali, come appunto prevede il contratto, non potrà che trattarsi delle strutture apicali nell’ente, ovvero quelle che l’organizzazione considera di massimo livello.

Sicchè, se il massimo livello dimensionale prevede strutture dirette da personale inquadrato nella categoria D, la direzione apicale spetta solo a tali categorie e solo dipendenti di categoria D potranno essere destinatari degli incarichi di posizione organizzativa. Infatti, una struttura diretta da una categoria C di per sé, in tale ipotetico ente, dovrebbe necessariamente un’articolazione di minore dimensione.


 

[2] Per tutti, E. Barusso, in Testo unico degli enti locali, ed. Giuffrè, Milano, 2000, Vol. I/2, pag. 1114.

[3] Di questo avviso è anche l’Aran, che si è così espressa, in www.aranagenzia.it:

“Quesito:

P 1. Gli incarichi delle posizioni organizzative possono essere affidate, nei comuni di cui all'art. 11 del ccnl del 31.3.1999, al personale della categoria C anche nel caso in cui l'ente abbia uno o più posti della categoria D?

Risposta:

Tale ipotesi è del tutto esclusa dalla lettera dell'art. 11 del CCNL del 31.3.1999, che consente di applicare le norme sull'area delle posizioni organizzative al personale della categoria C solo nel caso che manchino nell'ente posti della categoria D.

Tale impostazione discende direttamente dal principio della equivalenza delle mansioni nella categoria secondo la disciplina dell'art. 56, comma 1 del D.Lgs. n. 29/93, così come attuata dall'art. 3, comma 2 del CCNL del 31.3.1999.

Nel caso in cui l'ente abbia un posto di categoria D vacante può eventualmente decidere di coprirlo mediante l'affidamento di un incarico di mansioni superiori al personale della categoria C, in presenza delle condizioni indicate dall'art. 56, comma 2, del D.Lgs. n. 29 del 1993 e dall'art. 8 del CCNL del 14.9.2000.

NOTA BENE: L'art. 8, comma 2 del CCNL del 5.10.2001 ha confermato la prevalenza e l'esclusività della disciplina dell'art. 11 del CCNL 31.31999, per quanto riguarda il vincolo per l'affidamento degli incarichi di posizione organizzativa al personale della categoria D, anche in vigenza dell'art. 109, comma 2 del D. Lgs. 267/2000”.


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