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LUIGI OLIVERI
Potestà sanzionatoria dei comuni e piccole mistificazioni
(nota a Ministero dell'Interno, risoluzione 7 marzo 2001)
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Di recente il Ministero dell'interno è intervenuto per dire la sua rispetto al problema della permanenza o meno del potere sanzionatorio dei comuni, a seguito dell'abrogazione degli articoli 106 e 107 del r.d. 383/1934.
Il dicastero, in buona sintesi, ha concluso che:
il potere sanzionatorio degli enti locali permane, nonostante l'abrogazione delle citate norme;
detto potere si fonda sull'autonomia regolamentare, espressamente riconosciuta dall'articolo 7 del D.lgs 267/2000;
del resto, il potere autonomo regolamentare degli enti locali è riconosciuto dalla Costituzione, per effetto degli articoli 5 e 128;
la riserva di legge prevista dall'articolo 23 della Costituzione è solo relativa;
l'articolo 12 della legge 681/1981 consente di applicare le norme del Capo I della medesima legge a tutte le violazioni amministrative.
La testi prospettata, mira a risolvere il problema derivante dall'abrogazione dei citati articoli 106 e 107, in modo da fornire un'interpretazione che muovendo dalla natura relativa della riserva di legge di cui all'articolo 23 della Costituzione possa rinvenire nei regolamenti comunali una legittima fonte sia per la disposizione di un precetto sanzionatorio, sia per la determinazione della sanzione, che comunque va effettuata in base alle disposizioni della legge 681/1981.
Se è apprezzabile lo sforzo del dicastero di individuare un'interpretazione che conservi agli enti locali il potere sanzionatorio, evitando così pesanti conseguenze sull'azione amministrativa, poco convincenti appaiono, tuttavia, le argomentazioni fornite. Esse, infatti, si basano quasi interamente su una sentenza della sezione I della Cassazione civile, 13 dicembre 1995, n. 12779 (il cui testo è riportato in calce al presente documento). Si ha, tuttavia, l'impressione che il dicastero si sia soffermato solo sulla massima della citata sentenza, in quanto il suo contenuto integrale rivela affermazioni e conclusioni diametralmente opposte a quelle tratte dal Viminale.
La sentenza, infatti, ha effettivamente riconosciuto che il principio di legalità di cui alla legge 681/1981, art. 1, non si estende agli enti locali, i quali trovano il loro fondamento nel riconoscimento delle autonomie locali voluto dagli articoli 5 e 128 della Costituzione ma ciò:
limitatamente al precetto, nel senso che l'individuazione del comportamento da sanzionare è rimesso al regolamento;
ma la sanzionabilità deve avere come presupposto la legge, tanto è vero che la sentenza citata sottolinea che solo la vigenza dell'articolo 106 giustifica il potere dei regolamenti locali di prevedere le sanzioni amministrative, come rivela la lettura del seguente passaggio della sentenza: "risulta giuridicamente giustificato il persistente vigore dell'art. 106, più volte ribadito, del resto, dallo stesso legislatore. Peraltro se a tali principi non venisse attribuita validità per riconoscere che l'art. 106 è tuttora in vigore verrebbe meno la stessa potestà regolamentare delle autonomie locali".
Il passaggio della sentenza, che si è voluto sottolineare (e che nella massima non compare) rivela correttamente il contenuto del ragionamento della Suprema Corte, la quale, nella sentenza in questione, ha risolto un diverso problema. Non ha, in sostanza, detto che il fondamento del potere sanzionatorio regolamentare degli enti locali sta nella Costituzione, ma ha risposto al problema se l'entrata in vigore della legge 681/1981 avesse abrogato proprio gli articoli 106 e 107 del r.d. 383/1934, travolgendo tutti i regolamenti locali e se, di conseguenza, solo la legge potesse prevedere sanzioni amministrative.
La Corte ha, correttamente, risposto che la legge 681/1981 non aveva determinato l'abrogazione dei citati articoli 106 e 107, presupposto per la legittima emanazione di regolamenti, nel pieno rispetto della riserva di legge prevista dall'articolo 23 della Costituzione.
Ma se così stanno le cose, allora la sentenza citata dal Viminale dimostra esattamente il contrario di quanto la risoluzione voleva indicare: se, cioè, la potestà regolamentare era da considerare legittima solo per effetto della vigenza dell'articolo 106 citato (giustificata dal principio di autonomia di cui agli articoli 5 e 128 della Costituzione) resta in piedi, allora, il problema attuale, ed anzi, viene aggravato: infatti, per effetto dell'entrata in vigore del D.lgs 267/2000 che abroga gli articoli 106 e 107, viene a mancare proprio quel presupposto normativo che aveva consentito alla Suprema Corte di considerare attuale, legittimo e vigente il potere sanzionatorio degli enti locali.
Allora, non resta che trarre la conclusione che l'unico sistema a disposizione del Ministero degli interni per risolvere la questione non è, evidentemente, emanare interpretazioni che si prestano a forzature pericolose, in quanto facilmente evidenziabili dai giudici di merito (e anche di legittimità), quanto piuttosto rimediare all'abrogazione degli articoli 106 e 107, con una nuova disposizione di legge, che integri il D.lgs 267/2000 e ripristini il potere sanzionatorio degli enti locali.
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TESTO RISOLUZIONE
Dal Ministero dell'interno:
ENTI LOCALI - POTERE SANZIONATORIO –
DISCIPLINA Ris. 7.3.2001
È stato chiesto il parere del Ministero dell'interno in ordine alla fonte del potere sanzionatorio originariamente disciplinato dagli articoli 106 e seguenti del tulcp 383/1934.
In risposta il suddetto Ministero ha precisato quanto segue:
"Detta disposizione è stata abrogata dall'articolo 274, comma 1, lett. a) del d.lgs. 267/2000, recante il nuovo testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, ma ciò non comporta ad avviso di questa direzione generale, il venire meno della possibilità di prevedere, in sede di regolamento, la capacità sanzionatoria dell'ente. Si rileva infatti che detto potere sanzionatorio trova la propria fonte nel generale potere regolamentare dell'ente locale il cui fondamento è da ravvisarsi nell'articolo 7 del citato testo unico che attribuisce all'ente locale la competenza regolamentare in modo esemplificativo.
Occorre, inoltre considerare che ad avviso della giurisprudenza (Cass. civile, sez. I, n. 12779/1995 e sez. III n. 1865/2000) il principio della riserva di legge contenuto nell'articolo 1 della legge 689/1981 non ha valenza per gli enti locali e per i regolamenti comunali e provinciali, i quali trovano il loro fondamento negli articoli 5 e 128 della Costituzione.
La stessa giurisprudenza sostiene che il principio della riserva di legge di carattere relativo, previsto dall'art. 23 della Costituzione (nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge), va coordinato con il riconoscimento delle autonomie locali voluto dai citati articoli 5 e 128 Cost.
Si può pertanto ritenere che il potere sanzionatorio rientra nella generale autonomia relativa normativa dell'ente, all'epoca non prevista dall'articolo 106 del t.u. 383/1934, stante comunque che le ipotesi da disciplinare sono, in molti casi, già regolate dalla legislazione specifica di settore.
Va ancora aggiunto che il potere sanzionatorio è disciplinato dall'articolo 12 della citata legge 689/1981 che dispone l'applicabilità delle disposizioni del Capo I a tutte le sanzioni amministrative; ne consegue che l'intervenuta abrogazione dell'articolo 106 del t.u. n. 383/1994, e del limite massimo di un milione, ivi previsto per l'irrogazione delle sanzioni, comporta l'applicazione in base all'articolo 12 della legge 689/1981, dei limiti pecuniari (venti milioni) previsti dalla legge di depenalizzazione (cfr. art. 11 legge 689/1981).
Alla luce di queste considerazioni si ritiene che l'impianto normativo, derivante dalla intervenuta abrogazione del citato articolo 106, trovi il proprio completamento nella disciplina regolamentare degli enti locali che potranno esercitare, anche in detto ambito, l'autonomia normativa riconosciuta dal legislatore.
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Cassazione
civ., sez. I - Sentenza 13-12-1995, n. 12779 -
Pres. Sgroi R - Rel. Panebianco UR - P.M. Palmieri R
(Diff.) - Comune Milano c. Voltolini
Svolgimento
del processo
Con ordinanza n. 550 del 21.1.1989 il Sindaco del Comune di Milano ingiungeva a Voltolini Antonio, quale legale rappresentante della Cooperativa Centofiori, il pagamento della somma di L. 100.000 a titolo di sanzione amministrativa per la violazione dell'art. 21 comma 1 del Regolamento per i mercati comunali coperti del Comune di Milano accertata l'11.6.1987 e consistente nella mancata esposizione, nella parte centrale del banco dell'esercizio di latticini e formaggi sito in via Carriera n. 8, del latte UHT della Centrale del latte nonchè dello yogurt Yogolat previsti nell'offerta "Risparmio Primavera 1987", come disposto dall'ordinanza del 25.3.1987 dell'Assessore delegato.
Il
Pretore di Milano, avanti al quale veniva proposta opposizione da parte del
Voltolini ed instaurato il contraddittorio, con sentenza del 18.12.1990
annullava l'ordinanza-ingiunzione. Richiamando una pronuncia dalla Corte di
Cassazione (n. 9633 del 21.9.1990), rilevava il Pretore che, in base ad una
prima riserva di legge di rango costituzionale ed i carattere relativo prevista
dall'art. 23 Cost. e ad una seconda riserva di legge di carattere assoluto
prevista dall'art. 1 comma 1 Legge 689/81, debba ritenersi interdetta
l'integrazione di fattispecie sanzionatorie con disposizioni regolamentari a
meno che no sia espressamente consentita da successive fonti normative di rango
pari alla legge.
Considerava
altresì che in ogni caso l'abrogazione di tutte le norme anteriori era prevista
dall'art. 42 della citata Legge 689/81 e che pertanto doveva ritenersi abrogato
l'art. 106 comma 1 T.U. Legge Comunale e Provinciale del 1934 da cui l'art. 21
del contestato Regolamento Comunale e l'ordinanza del 25.3.1987 dell'Assessore
ripetevano la loro legittimazione.
Assumeva
poi che detta ordinanza era incorsa in una falsa applicazione dell'art. 21 del
Regolamento comunale in quanto, prevedendo tale disposizione la potestà del
Sindaco di "fissare le modalità ed i prezzi massimi di vendita di tutti o
di alcuni generi...." doveva considerarsi estranea la potestà di imporre
specifiche marche di prodotti.
Ravvisava
infine il Pretore il vizio di eccesso di potere sotto il profilo della
contraddittorietà tra motivazione e dispositivo, assumendo che l'imposizione
esclusiva di specifiche marche di prodotto con la conseguente discriminazione di
merci aventi un rapporto qualità-prezzo almeno uguale appariva incongrua
rispetto alla finalità di esercitare nei mercati comunali un'azione
calmieratrice dei prezzi nel periodo pasquale.
Avverso
detta sentenza propone ricorso per Cassazione il Comune di Milano, deducendo tre
motivi di gravame.
Resiste
con controricorso il Voltolini.
Motivi
della decisione
Con
il primo motivo di ricorso il Comune di Milano denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 16 comma 2 legge 689/81 e dell'art. 64 comma 1
legge 142/90, sostenendo che il Pretore non aveva tenuto conto nè della seconda
di tali norme (art. 16 comma 2), la quale dispone espressamente che continua ad
avere applicazione l'art. 107 del T.U. della legge Comunale e Provinciale del
1934, nè della terza (art. 64 L. 142/90), che esclude dall'abrogazione generale
di detto T.U. gli artt. da 106 a 110. Assume che in tal modo era stato fatto
salvo il potere sanzionatorio senza il quale il potere regolamentare sarebbe
rimasto privo della necessaria forza dissuasiva.
La
censura è fondata.
I
principi richiamati dall'impugnata sentenza con riferimento alla decisione di
questa Corte n. 9633 del 21.9.1990 non si prestano per una soluzione
dell'ipotesi in esame che presenta aspetti ben diversi sul piano giuridico.
Nella
fattispecie di cui si è già occupata questa Corte con la citata decisione si
discuteva infatti del regolamento in materia di commercio (D.M. 28.4.1976) il
quale prevedeva delle sanzioni amministrative pecuniarie. In base al principio
di legalità introdotto in tema di sanzioni amministrative dall'art. 1 Legge
689/81, che ha aggravato con carattere assoluto la riserva di legge di natura
relativa contenuta nell'art. 23 Cost. (secondo cui "nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base ad una legge"),
tale regolamento è stato ritenuto "caducato".
Nell'ipotesi
in esame invece si discute della violazione di disposizioni contenute in un
regolamento comunale il cui regime sanzionatorio è previsto espressamente dalla
legge (art. 106 R.D. 3.3.1934 N. 383 - Legge Comunale Provinciale) la quale sul
punto è stata ritenuta abrogata dal Pretore in virtù dell'art. 42 della Legge
689/81 in quanto incompatibile con il detto principio di legalità.
Il
problema ruota quindi attorno a tale art. 106 in ordine al quale, per i motivi
che saranno appresso precisati, non si può condividere la tesi dell'abrogazione
espressa dal Pretore.
Nè
d'altra parte tale tesi può considerarsi recepita anche da altra decisione di
questa Corte (Cass.: 22.10.1991 n. 11195) in cui si verteva proprio in materia
di regolamento comunale.
E'
pur vero infatti che nella circostanza la Corte ha disapplicato la previsione
regolamentare in quanto contrastante con l'art. 1 Legge 689/91, ma ciò ha fatto
perchè era lo stesso regolamento comunale e quindi una fonte subordinata a
comminare la sanzione, diversamente dall'ipotesi in esame in cui la sanzione
deriva invece direttamente dalla legge.
Orbene
un breve cenno storico della materia appare a questo punto opportuno per una
migliore comprensione del problema.
Fino
all'entrata in vigore della Legge 689/81 più volte richiamata mancava una
normativa organica di carattere generale in materia di sanzioni amministrative
che ebbe una prima sistemazione, relativamente alle violazioni finanziarie, con
la riforma del 1929 (Legge 7.1.1929 n. 4).
Un
ulteriore passaggio verso un modello di più ampia incidenza della sanzione
amministrativa nel tessuto normativo è avvenuto con la legge 3.5.1967 n. 317,
introdotta invero non tanto per razionalizzare la materia quanto con lo
specifico intento di decongestionare la giustizia penale. Ad ogni modo tale
legge all'art. 1 ha previsto espressamente la depenalizzazione di varie
violazioni punite fino ad allora con l'ammenda e costituenti quindi reati,
sostituendo detta pena con una corrispondente sanzione amministrativa
pecuniaria. Fra tali violazioni erano comprese anche quelle relative ai
regolamenti comunali e provinciali che continuavano così ad essere punite, sia
pure con pene di natura amministrativa ed in via sussidiaria, dall'art. 106
della Legge Comunale e Provinciale del 1934.
Si
pone quindi il problema se, con l'entrata in vigore della Legge 689/81 e
segnatamente con l'introduzione del principio di legalità previsto dall'art. 1,
il precedente sistema sanzionatorio riguardante i regolamenti comunali e
provinciali sia venuto meno per incompatibilità ai sensi dell'art. 42 della
stessa Legge 689/81, come sostiene il Pretore.
Invero
tale stessa legge, agli artt. 16 e 17, fa espresso riferimento sotto il profilo
procedurale ai regolamenti comunali e provinciali, richiamando nel primo caso
l'art. 107 del T.U. del 1934 che disciplina l'esercizio dell'oblazione e
regolando nel secondo un aspetto specifico della procedura amministrativa
riguardante il soggetto cui deve essere presentato il rapporto, soggetto
indicato rispettivamente nel Sindaco e nel Presidente della Provincia.
Alla
luce di tali espliciti richiami di cui il Pretore non fa menzione, la tesi
dell'incompatibilità basata sull'art. 42 è tutt'altro che convincente perchè
anzi al contrario è proprio l'asserita abrogazione dell'art. 106 a risultare
incompatibile con tali specifiche previsioni che presuppongono la validità dei
regolamenti comunali e provinciali e del sistema sanzionatorio per essi
previsto.
Un'ulteriore
conferma del resto viene offerta ancora una volta dallo stesso legislatore il
quale con la Legge 8.6.1990 n. 142 sulle autonomie locali, all'art. 64, dopo
aver abrogato il Testo Unico della Legge Comunale e Provinciale in esame (R.D.
3.3.1934 n. 383), fa salvi proprio gli artt. da 106 a 110 e 155 riguardanti
appunto il sistema sanzionatorio relativo alle violazioni ai regolamenti
comunali e provinciali.
Ma
al di là di tali riferimenti testuali che militano per la vigenza dell'art. 106
potrebbe porsi, in relazione all'art. 1 della citata Legge 689/81, un problema
di mancanza di coordinamento dai risvolti giuridici non agevoli. Se fosse
possibile però riconoscere uno specifico fondamento costituzionale all'art. 106
tale problema risulterebbe vanificato e l'interpretazione accolta troverebbe
certamente una definitiva conferma.
Orbene
la riserva di legge di carattere relativo prevista dall'art. 23 Cost. non
costituisce nel caso in esame l'unico riferimento costituzionale utile, dovendo
il principio ivi espresso coordinarsi con altre norme di pari dignità che
regolano la materia delle autonomie locali e precisamente con gli artt. 5 e 128
Cost. che riconoscono e promuovono gli enti autonomi (fra i quali sono previsti
espressamente i Comuni e le Province) alle cui esigenze lo Stato deve adeguare
la legislazione e le cui funzioni sono determinate dalle legge.
In
un tale contesto costituzionale nessun problema di coordinamento pertanto si
pone e l'art.. 106 in esame trova quindi la sua piena giustificazione e
legittimazione, operando nell'ambito dell'intangibile sfera di autonomia di cui
il Comune gode nell'esercizio delle funzioni costituzionalmente garantite.
La
potestà regolamentare dei Comuni (come quella delle Province) è poi prevista
in via generale dall'art. 3 comma 2 delle preleggi ed infine l'art. 1 R.D.
15.10.1925 n. 2578 attribuisce in particolare ai Comuni l'esercizio dei pubblici
servizi fra i quali è previsto espressamente (n. 11) quello dei mercati
pubblici.
Trovando
pertanto la norma in esame il proprio fondamento costituzionale nei principi
espressi in materia di autonomie locali da cui derivano la loro legittimazione
anche i regolamenti comunali, risulta giuridicamente giustificato il persistente
vigore dell'art. 106, più volte ribadito, del resto, dallo stesso legislatore.
Peraltro
se a tali principi non venisse attribuita validità per riconoscere che l'art.
106 è tuttora in vigore verrebbe meno la stessa potestà regolamentare delle
autonomie locali che sugli stessi principi si fonda.
In
definitiva deve quindi ritenersi che l'art. 106 della Legge Comunale e
Provinciale approvata con R.D. 3.3.1934 n. 383 non è stato abrogato con
l'entrata in vigore della Legge 689/81 e segnatamente dell'art. 1 sia perchè
gli artt. 16 e 17 della stessa Legge 689/81 hanno fatto espresso riferimento
alle modalità di pagamento previste dal successivo art. 107 nonchè ad altri
aspetti procedurali e sia perchè è stato esplicitamente fatto salvo dall'art.
64 lett. c) della Legge 142/90. Conseguentemente il principio di legalità
previsto dall'art. 1 Legge 689/81 non si estende, quanto al precetto, ai
regolamenti comunali (e provinciali) i quali trovano il loro fondamento
costituzionale nel riconoscimento delle autonomie locali voluto dagli artt. 5 e
128 Cost. con cui il principio della riserva di legge di carattere relativo
previsto dall'art. 23 Cost. va coordinato.
Con
il secondo ed il terzo motivo denuncia il ricorrente Comune rispettivamente
falsa applicazione dell'art. 21 comma 1 del Regolamento Comunale nonchè
incongruenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, sostenendo che
l'ordinanza dell'Assessore non aveva affatto imposto la vendita "in
esclusiva" dei prodotti oggetto della vendita controllata quanto la
contestazione attiene non già alla vendita di un prodotto diverso da quello
imposto ma alla sua esposizione, non avvenuta nella parte centrale del banco.
Anche
tale censura è fondata.
La
motivazione dell'impugnata sentenza è infatti certamente incongrua rispetto
all'esposizione del fatto contenuta nella stessa sentenza, facendosi in essa
riferimento alla collocazione dei prodotti in questione (latte UHT e Yogurt
Yogolat) in una parte non centrale del banco e, nella motivazione invece, alla
messa in vendita di prodotti diversi rispetto a quelli previsti dall'ordinanza
assessoriale del 27.5.1987 e ad una violazione quindi di un obbligo di esclusiva
derivante da tale ordinanza.
Il
Pretore, cui gli atti devono essere rinviati, dovrà considerare pertanto tale
incongruenza, tenendo presente che l'esposizione di un prodotto in un punto o
nell'altro del banco integra effettivamente la previsione dell'art. 21 del Reg.
Com. in materia nella parte in cui autorizza il Sindaco a fissare le modalità
di vendita di tutti o di alcuni generi, legittimando così conseguentemente
l'ordinanza dell'Assessore delegato che aveva disposto l'esposizione dei
suddetti prodotti al centro del banco.
Il
ricorso va quindi accolto per quanto di ragione con rinvio anche per le spese al
Pretore di Milano che dovrà fornire una motivazione adeguata
all'interpretazione testè data all'art. 21 del Reg. Com. ed alle accertate
risultanze.
P.Q.M.
La
Corte Suprema di Cassazione
Accoglie
il ricorso per quanto di ragione. Cassa e rinvia al Pretore di Milano anche per
le spese.