LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 4/2004 - © copyright

LUIGI OLIVERI

L’esclusività delle competenze dei dirigenti locali

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 1 aprile 2004, n. 1812 in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/cds/cds5_2004-04-01.htm e la sentenza del T.A.R. Sardegna, Sez. I, 23 marzo 2004, n. 432, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/tar/tarsardegna_2004-03-23.htm costituiscono un importante corpus unico, fondamentale per chiare definitivamente l’assetto delle competenze degli organi degli enti locali.

Le due sentenze, tornando sulla vexata quaestio della presidenza delle commissioni di gara, concludono in modo finalmente esplicito per l’esclusività della competenza del dirigente.

Le due sentenze, in particolare affermano che:

1)      il dirigente non solo può, ma è obbligato ad essere presidente delle commissioni di gara;

2)      allo stesso modo, può e deve essere anche responsabile della procedura;

3)      per tale motivo, fa parte della commissione anche se abbia svolto funzioni o incarichi relativi ai lavori o servizi oggetto della procedura di gara (e dunque, non si applica l’articolo 21 della legge 109/1994);

4)      tale ordine di competenze è fissato direttamente dalla legge;

5)      il dirigente, pertanto, può nominare se stesso come presidente della commissione;

6)      il sindaco, allora, è assolutamente incompetente a provvedere in merito a tale nomina, che è da considerare atto di gestione;

7)      in particolare, il sindaco non può nominare il segretario comunale, abbia o meno l’incarico di direttore generale, perché ciò determinerebbe un’alterazione dell’ordine delle competenze previsto dalla legge;

8)      il dirigente, al limite, potrebbe nominare il direttore generale, nell’esercizio di una sua competenza esclusiva.

Pare opportuno soffermarsi, in primo luogo, sul blocco delle affermazioni elencate sopra con i numeri 1) e da 4) ad 8), riguardanti l’ordine delle competenze della dirigenza.

Esclusività delle competenze dirigenziali. Ai sensi dell’articolo 97, comma 1 della Costituzione, i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge. La norma, quindi, fissa una riserva di legge (sia pur relativa) relativamente alle modalità con le quali le amministrazioni pubbliche si organizzano al proprio interno. Tale legge ha lo scopo specifico di individuare tipologia generale degli uffici, evidentemente in relazione ai fini che ciascun’amministrazione deve perseguire.

In particolare, però, l’organizzazione deve essere conforme al migliore esercizio possibile dei poteri che tali uffici debbono esercitare: dunque il comma 1 dell’articolo 97 della Costituzione va letto in inscindibile connessione col successivo comma 2, a mente del quale nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Dunque, la legge ha il potere di stabilire ad un tempo i principi di organizzazione generale degli uffici e le sfere di competenza dei funzionari che ne sono titolari, potendo demandare, poi, la specificazione di dettaglio delle modalità di esercizio ai regolamenti.

Questo è quanto è accaduto con particolare riguardo all’ordinamento degli enti locali. La legge, cioè il d.lgs 267/2000, ha determinato le sfere di competenza sia degli uffici-organi di governo, sia degli uffici-organi amministrativi, fissando il ben noto principio di distinzione tra la funzione di indirizzo e controllo politico-amministrativa, di competenza dei primi, e quella di gestione, di competenza dei secondi.

La legge ha, nello specifico, stabilito che ai dirigenti locali spettino necessariamente tutte le attribuzioni elencate nell’articolo 107 del d.lgs 267/2000, che, come è pacificamente acclarato, contiene una lista solo esemplificativa.

La legge, dunque, ha fissato un principio organizzativo di carattere generale, attribuendo la gestione alla dirigenza. I regolamenti locali, poi, in relazione alla struttura specifica di ogni ente, hanno il compito di definire nel dettaglio i confini reciproci dell’esercizio di tali funzioni gestionali.

Ora, il punto fondamentale da chiarire è che l’ordine delle competenze attribuite ai dirigenti trova la sua fonte diretta nella legge: i regolamenti locali non hanno lo scopo di assegnare competenze, ma di stabilire come ed in quali ambiti esse debbono essere svolte.

Quindi, le competenze dirigenziali sono fissate per legge. E si tratta di un ordine assolutamente inderogabile da provvedimenti sia regolamentari, sia amministrativi. Lo si ricava con precisione assoluta dall’incontrovertibile disposizione contenuta nell’articolo 107, comma 4, del d.lgs 26772000, secondo il quale le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate solo espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.

La legge stessa, dunque, esclude che disposizioni che non siano fonti normative di rango primario abbiano alcuna possibilità di modificare legittimamente l’ordine delle competenze della dirigenza.

Tale ordine, allora, trova attuazione per l’intera gamma delle competenze dirigenziali, che coinvolge funzioni ed atti in numero ben più ampio, come detto prima, di quello ricavato dall’elencazione esemplificativa di cui all’articolo 107, comma 3, del testo unico.

Le due sentenze si sono soffermate, comunque, sulla questione particolare della competenza di svolgere le funzioni di presidente nell’ambito di una procedura di gara.

Tale specifico argomento, nonostante una giurisprudenza orma pacifica e concorde ritenga che il dirigente possa e debba svolgere sia le funzioni di presidente [1], sia di responsabile della procedura, sia di organo gestore che adotta il provvedimento finale di aggiudicazione, è ancora oggetto di incertezze, da parte di operatori ed interpreti legati ad un regime formale appartenente al precedente sistema delle competenze. Quello che richiedeva una distinzione tra presidente, responsabile della procedura ed organo aggiudicante, distinzione forzata, nel regime precedente, proprio dal diverso ordine delle competenze degli organi di governo.

In ogni caso, superata (o quasi) la fase in cui si riteneva che la competenza all’aggiudicazione fosse ancora della giunta, giustificata da una malconcepita funzione di controllo delle attività della commissione, è rimasta ancora in parecchi casi una remora: si ritiene che il dirigente che presiede la commissione non possa coincidere con il dirigente che poi approva, sempre allo scopo di garantire una terzietà ed una funzione di controllo dell’organo aggiudicante, rispetto a quello che ha gestito la procedura di gara.

Escluso, allora, che questa funzione di controllo possa essere garantita in un rapporto tra dirigente ed organo di governo, allora in molti enti si è pensato di garantire una diversità nelle persone fisiche che rivestono il ruolo di presidente, da un lato, ed organo aggiudicante, dall’altro, ricorrendo alla figura del segretario comunale.

Si è ritenuto [2], infatti, che il principio dell’esclusività delle competenze dirigenziali opera solo nei riguardi degli organi di governo, ma non nei confronti del direttore generale e del segretario comunale.

Al di là della qualificazione giuridica di tali ultimi funzionari, che il testo unico non considera espressamente come dirigenti, si sostiene che è sempre possibile per l’amministrazione locale adottare scelte organizzative conformi al miglior perseguimento dei propri obiettivi, sì da affidare al direttore generale/segretario compiti specifici, come appunto la presidenza di concorsi o di gare, quando non la responsabilità di uno o più servizi.

L’ordinamento locale, in sostanza, attribuisce al segretario e al direttore generale funzioni ampie e generiche, che possono essere specificate dall’autonomia normativa locale, in modo da realizzare un migliore conseguimento degli obiettivi del programma di governo, attribuendo specifiche competenze gestionali a tali organi. Ciò, soprattutto, all’indomani dell’entrata in vigore della legge costituzionale 3/2001, che avrebbe assegnato alla fonte regolamentare locale la competenza esclusiva per quel che riguarda la disciplina dell’organizzazione e l’esercizio delle funzioni locali.

Tale tesi, per altro, risulta anche suffragata da posizioni giurisprudenziali che hanno espressamente ammesso la competenza del direttore generale a presiedere commissioni di concorso [3].

L’impostazione di questa tesi può essere condivisa, solo a condizione che si consideri la possibilità di assegnare al segretario/direttore generale competenze dirigenziali allo scopo di assicurare l’esercizio delle funzioni dirigenziali in via sussidiaria.

Non si può, invece, accogliere tale posizione, laddove tenda a fondare un potere normativo locale derogatorio rispetto all’ordine legale delle competenze dirigenziali.

Infatti, come visto sopra, ciò è espressamente escluso dall’articolo 107, comma 4, del testo unico.

Si potrebbe obiettare, che tale norma non sia conforme alla riforma della Costituzione, tendente ad esaltare proprio l’autonomia organizzativa locale, sì da doversi ritenere disapplicata.

Ma tale critica non potrebbe reggere. La legge costituzionale, come ben insegna la sentenza della Consulta 24 luglio 2003, n. 274, non va guardata isolatamente, ma le sue disposizioni debbono necessariamente essere inserite armonicamente nel contesto normativo dell’intera carta costituzionale. Allora, occorre guardare l’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000 anche in rapporto all’articolo 97 della Costituzione, per trarre necessariamente la conclusione della sua attuale e persistente compatibilità col dettato costituzionale.

Quanto alla potestà normativa locale, sempre la sentenza 274/2003 della Consulta rivela che essa sia comunque rimasta subordinata alla legge [4]. Dunque, i regolamenti locali continuano ad incidere sull’organizzazione, limitatamente alla disciplina delle modalità di esercizio delle competenze, con la preclusione di modificare le sfere di competenza predeterminate dalla legge.

Pertanto, bisogna necessariamente prendere atto che l’esclusività dell’ordine delle competenze dirigenziali opera non solo con riferimento agli organi di governo, ma anche nei riguardi del segretario/direttore, i quali, a loro volta, dispongono di un quorum di competenze che è intangibile e non può essere esercitato dalla dirigenza.

In ogni caso, se i regolamenti locali non possono certo derogare alle disposizioni normative, per evidente contrasto sia con l’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, sia, soprattutto, per violazione dell’articolo 97 della Costituzione, meno ancora potrebbe il sindaco incidere sull’ordine delle competenze, come puntualmente specifica il Tar Sardegna.

La nomina del presidente della commissione di gara, rientrando nella fase attuativa dell’appalto, è certamente competenza gestionale, sicchè il sindaco è “indiscutibilmente incompetente” a provvedere in merito.

E’ da condividere, ancora, l’orientamento del Tar Sardegna, quando non accoglie l’osservazione della difesa dell’amministrazione, la quale ha intesto fondare il potere del sindaco di nominare il segretario/direttore come presidente della gara sulla base di due considerazioni:

1)                          l’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000, che attribuisce al sindaco di conferire al segretario ulteriori funzioni a quelle assegnate dalla legge;

2)                          l’inopportunità che la nomina del segretario/direttore come presidente della commissione sia effettuata dal dirigente del settore comunale competente, perché ciò avrebbe determinato un potere organizzativo di un organo inferiore (il dirigente) rispetto ad un organo superiore.

Il Tar smentisce, correttamente, puntualmente la prima affermazione, mentre sulla seconda incide in modo indiretto.

Viene messo in luce in modo assolutamente condivisibile che il potere attribuito al sindaco dall’articolo 97, comma 4, lettera d), del d.lgs 267/2000 è solo di tipo organizzatorio.

In altre parole, il provvedimento del sindaco non può assolutamente derogare all’ordine delle competenze dell’ente, ma intervenire organizzativamente, per coprire eventuali esigenze di carattere amministrativo cui non si possa fare fronte con la struttura ed i funzionari a disposizione dell’ente, per attribuire, dunque, alcune funzioni al segretario.

In quanto solo organizzatorio, l’atto del sindaco di conferimento di ulteriori funzioni al segretario non può evidentemente estendersi al punto di modificare l’assetto delle competenze dell’ente, soprattutto quello fissato inderogabilmente dalla legge. Per altro, l’articolo 97, comma 4, lettera d), non a caso, si riferisce a “funzioni” e non a “competenze”: in sostanza il segretario potrebbe svolgere, in via eccezionale, funzioni che vanno al di là del suo normale ventaglio di attribuzioni, ma non divenire destinatario di competenze in deroga alla legge.

E’ vero che la norma in questione, letta in combinato disposto con l’articolo 109, comma 2, del testo unico può estendersi al punto di permettere al sindaco di assegnare al segretario comunale (e dunque anche al direttore, quando le due figure corrispondono) la responsabilità degli uffici e dei servizi. Ma questo può avvenire esclusivamente nei comuni privi di dirigenza, come espressamente prevede l’articolo 109, comma 2, citato.

Il che conferma, allora, il quadro fin qui visto: le competenze della dirigenza sono intangibili e non possono essere derogate per assegnarle al segretario/direttore, proprio perché tale possibilità è consentita solo laddove non esistano qualifiche dirigenziali.

Il quadro normativo è fin troppo chiaro per poter essere messo in discussione. Per altro, accorta giurisprudenza[5] ha ritenuto che il segretario non possa presiedere gare d’appalto, nemmeno nei comuni ove siano assenti figure dirigenziali, perché il potere di attribuire al segretario comunali funzioni ulteriori è frutto di una norma, l’articolo 97, comma 4, lettera d), (prima contenuto nell’articolo 17, comma 68, lettera c), della legge 127/1997) che ha valenza di “clausola di salvaguardia”, come del resto ha ritenuto il Ministero dell’interno, con la circolare 15 luglio 1997, n. 1. La norma, in sostanza, ha lo scopo di evitare un impatto negativo della riforma degli assetti delle competenze dirigenziali in quegli enti che non abbiano, a causa delle loro piccole dimensioni e dell’assenza di qualifiche dirigenziali, le risorse tecniche per attuare correttamente il principio di separazione delle competenze gestionali da quelle politico-amministrative. Sicchè, la carenza di figure in possesso della professionalità necessaria per svolgere le funzioni gestionali può trovare rimedio nel conferimento di tali funzioni al segretario comunale. Ma, se la struttura dell’ente è di dimensioni tali e le professionalità presenti siano in grado di svolgere le funzioni gestionali [6], è da escludere che sussistano i presupposti per applicare l’articolo 97, comma 4, lettera d).

In ogni caso, ciò è da escludere comunque negli enti in cui sia presente la dirigenza, dal momento che è proprio la legge che attribuisce ai funzionari inquadrati nella qualifica dirigenziale un ventaglio di responsabilità (per altro esclusive) e di competenze fissato per legge.

Insomma, l’esclusività delle competenze dirigenziali non consente di “esautorare i dirigenti dalle funzioni gestorie loro devolute […] per concentrarle in capo al segretario comunale, cui la legge non attribuisce compiti di amministrazione attiva, ma solo funzioni di organizzazione del personale e di sovrintendenza e coordinamento [7]

In effetti, con l’abrogazione dell’articolo 52 della legge 142/1990, operata dalla legge 12771997, il segretario ha perso le funzioni gestionali di cui disponeva prima, in corrispondenza dalla maggiore evidente competenza gestionale dei dirigenti.

Tali organi, pur entrambi burocratici, stanno tra loro in una relazione di competenza, nel senso che le competenze degli uni escludono quelle dell’altro: le rispettive sfere sono impermeabili ed intangibili.

L’assegnazione di funzioni gestionali al segretario, da parte del sindaco, potrebbe valere come misura di organizzazione per garantire il buon andamento dell’ente, qualora, ad esempio, il dirigente mancasse per vacanza del posto o assenza temporanea e non si fosse prescritta una regola per la sostituzione.

Le affermazioni della giurisprudenza valgono anche per smentire la seconda affermazione del comune resistente nella vertenza presa in esame dal Tar Sardegna, affermazione molto sovente riscontrata: il direttore generale o il segretario/direttore è un organo sovraordinato alla dirigenza.

La sentenza del Tar Sardegna mette in evidenza, in contrario, un’argomentazione decisiva: la competenza ad adottare gli atti di gestione spetta, di volta in volta, al dirigente preposto al settore interessato, il quale agisce come organo “apicale” dell’ente. Nell’ambito della sua sfera di attribuzioni, quindi, il dirigente non ha alcun organo superiore.

Ciò è perfettamente coerente con la disciplina della dirigenza, che esclude posizioni di gerarchia, essendo unica la qualifica. Per altro, né la legge, né lo statuto comunale potrebbero modificare tale assetto della dirigenza posto e riservato alla contrattazione collettiva.

L’errata percezione del direttore generale come organo sovraordinato ai dirigenti deriva da una lettura affrettata della disposizione contenuta nell’articolo 108, comma 1, del d.lgs 267/2000, ove si legge che i dirigenti “rispondono” al direttore generale.

Ma, non bisogna omettere di leggere la norma nel suo complesso, il che consente di comprendere che i dirigenti rispondo al direttore generale ai “fini” specifici dell’esercizio delle competenze, a loro volta intangibili (per i dirigenti) proprie del direttore (se nominato, in quanto le competenze dell’articolo 108 spettano, comunque, al segretario comunale), ovvero la predisposizione del piano dettagliato degli obiettivi, la proposta del piano esecutivo di gestione ed, ovviamente, il connesso controllo sulla corretta loro attuazione, la sovrintendenza alla gestione dell’ente.

I dirigenti “rispondono” al direttore, perché questo può redigere tali documenti e, per mezzo di questi, sovrintendere alla gestione solo contando sulla collaborazione attiva dei dirigenti. Poiché, in sostanza, l’obiettivo gestionale del direttore generale è la garanzia del perseguimento degli obiettivi particolari assegnati a ciascun dirigente, è evidente e necessario che il direttore disponga di un potere di coordinamento e sovrintendenza nei confronti dei dirigenti e che questi debbano a lui rispondere, nel senso che hanno il direttore generale il riferimento per la gestione e non nella giunta, da un lato, e debbono assicurare al direttore generale l’ottenimento dei risultati, così come i collaboratori dei dirigenti fanno a loro volta nei loro confronti.

Ma poiché i dirigenti rispondono al direttore generale a questi fini, e non ad altri, si conferma che non esiste un rapporto di gerarchia. Il dirigente è autonomo ed esclusivamente responsabile dei propri atti, come prevede l’articolo 107, comma 5, del testo unico e confermano i contratti collettivi. Risponde della sua gestione al direttore generale solo in sede di controllo complessivo sui risultati, non certo in base ad un’ingerenza diretta sugli atti gestionali, proprio perché il dirigente è “apicale”, come tale posto al vertice dell’ente e dotato del potere, del dovere, delle competenze e delle responsabilità per agire direttamente, senza interposizione di altri, nell’impegnare l’ente verso l’esterno.

Quindi, direttore generale e dirigenti non stanno in relazione di gerarchia, ma di competenza, fermo restando che le funzioni di sovrintendenza e coordinamento proprie del direttore generale gli conferiscono un potere di direttiva ed orientamento dell’azione gestionale complessiva, che, comunque, non può estendersi alla verifica (o sostituzione) nel compimento dei singoli atti gestionali.

Tanto il dirigente è autonomo, che, secondo il Tar Sardegna, potrebbe anche adottare il provvedimento che incarica il direttore generale di presiedere la gara, se ciò fosse necessario secondo il proprio apprezzamento tecnico-gestionale.

La natura dei poteri dirigenziali. In ogni caso, tale necessità potrebbe solo derivare da esigenze di carattere organizzativo e non certo da un esistente divieto per i dirigenti locali di assumere la qualità di responsabile della procedura di gara, presidente della commissione e di organo aggiudicante.

Il Consiglio di stato, con la sentenza della Sezione V 1.4.2004, n. 1812 è estremamente risoluto nell’affermare le competenze dei dirigenti locali, in modo da chiudere definitivamente la questione.

L’articolo 107 del d.lgs 267/2000, secondo la sentenza, nel definire le competenze dirigenziali impone ai dirigenti non solo di presiedere, ma anche di assumere la responsabilità procedurale delle gare, da cui deriva sia la funzione di individuare se stessi come presidente, sia il compito di chiudere con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva.

L’assetto ordinamentale della normativa di disciplina dell’ordinamento locale è talmente chiaro che l’oggettiva inconciliabilità con la previsione contenuta nell’articolo 21 della legge 109/1994 rende tale ultima norma recessiva. Quindi, nell’ordinamento locale non opera la previsione che vieta alla dirigenza che abbia svolto incarichi tecnico-amministrativi connessi all’appalto di far parte della commissione.

Il Consiglio di stato non si limita ad una motivazione solo logico-sistematica, ma trae questa conclusione anche in base all’interpretazione teleologica, risalendo alle ragioni alla base della riforma amministrativa.

In sostanza, l’articolo 21, inoperante per gli enti locali, sarebbe il retaggio di una visione dell’azione amministrativa ancora legata ad una concezione dei controlli di tipo formale, che mal si concilia con la specifica responsabilità dirigenziale posta dal d.lgs 267/2000 in capo ai dirigenti.

Se l’ordinamento, insomma, ha sostanzialmente ridotto i controlli formali sui singoli atti, sia da parte di organi esterni, sia da parte di organi esterni, non ha senso continuare a preoccuparsi di una distinzione-terziertà tra soggetto che gestisce le procedure di gara e soggetto che ne approva gli esiti.

Oggi le verifiche riguardano per lo più solo il risultato complessivo dell’azione amministrativa, per verificare se l’esito finale di un complesso di azioni e attività abbia corrisposto agli obiettivi programmati ed ai criteri di efficienza, efficacia, regolarità amministrativa e contabile. Il controllo, dunque, non deve riguardare un singolo segmento dell’azione amministrativa (il controllo dell’azione della commissione), ma la verifica della capacità di affidare il lavoro o il servizio nel rispetto di un programma complessivo.

I dirigenti sono i soggetti ai quali gli organi di governo attribuiscono obiettivi da raggiungere e risorse per perseguirli. I dirigenti, per legge, sono depositari in via esclusiva della responsabilità di ottenere i risultati richiesti.

Questo quadro, allora, secondo il Consiglio di stato, impone, lungi da vietare, che i dirigenti di ciascun singolo settore in cui l’ente è organizzato, sia responsabile del buon esito dell’azione amministrativa: sicchè i dirigenti non possono non essere pienamente titolari di tutti i poteri che nel corso dei procedimenti debbono essere esplicati. Altrimenti, non si garantirebbe la linea di continuità tra azione amministrativa, risultato complessivo e responsabilità complessiva, col risultato di frazionare tale responsabilità tra più soggetti, tra più sub-attività, per tornare ad un controllo, allora, di carattere puntuale e formale.

In questo senso, la sentenza del Consiglio di stato è largamente coerente con la quasi coeva decisione del Tar Sardegna, dal momento che entrambe enfatizzano una competenza peculiare dei dirigenti apicali, che se sono dotati di tutti i poteri necessari per incidere in modo diretto sull’efficienza dell’azione amministrativa, non possono, allora, incontrare limiti alla loro azione e all’esercizio della loro competenza, né derivanti da norme di legge non compatibili con tale assetto, né da misure organizzative preoccupate di attuare tali limiti o, comunque, tali da modificare l’ordine legale delle competenze, finendo per incidere negativamente sullo spazio di azione e di responsabilità dei dirigenti e ottenendo, come nel caso delle due sentenze analizzate, il risultato di pronunce giudiziali di annullamento di variazioni nell’assetto delle competenze.

[1] In particolare, si veda Consiglio di Stato, Sez. V, 18 settembre 2003 n. 5322, con commento di L. Oliveri, La compatibilità tra ruolo di presidente e di dirigente competente ad aggiudicare, in www.lexitalia.it.

[2] G. Panassidi, in Il Lavoro flessibile, ed. Giuffrè, coll. Cosa&Come, Milano 2002, pagg. 385-386.; Id., Riflessioni sull’esclusività o meno delle attribuzioni dei dirigenti degli enti locali, in www.lexitalia.it.

[3] Tar Lazio, sezione II-bis, 14 marzo 2001, n. 1816.

[4] Si veda L. Oliveri, La potestà normativa locale dopo la legge n. 131/2003 in Nuova Rassegna 3/2004, pag. 331 e segg. e Il rispetto della Costituzione come vincolo invalicabile alla potestà normativa di regioni ed enti locali – Effetti della sentenza della Consulta 24.7.2003, n. 274 sull’interpretazione delle disposizioni di cui alla legge 131/2003, in www.lexitalia.it.

[5] Tar Lombardia, Sezione III, 18 gennaio 2002, n. 112.

[6] Sembra assolutamente impossibile negare che funzionari di categoria D non dispongano di tali competenze, guardando le declaratorie allegate al Ccnl 31.3.1999 e, soprattutto, considerando che l’articolo 15 del Ccnl 22.1.2004 attribuisce ai funzionari apicali il diritto ad essere inquadrati nell’area delle posizioni organizzative.

[7] Tar Lombardia, cit.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico