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n. 3/2008 - © copyright

LUIGI OLIVERI

La nuova fattispecie delle circolari che riformano le leggi

(note a margine della circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica 19 marzo 2008, n. 3)

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L'ultimo approdo di una legislazione sempre più affrettata ed arruffata è realizzare un “tentativo” di disciplina, mediante le leggi finanziarie, salvo poi correggere il tiro, attraverso circolari.

L'esempio delle disposizioni contenute nella legge 244/2007 in tema di lavoro flessibile è lampante. E' risultato chiaro sin dall'inizio che la disciplina legislativa impostata nella legge era eccessivamente rigida, anche per un inspiegabile allontanamento da una linea guida operante per tutti i precedenti tre lustri: la convergenza tra lavoro pubblico e lavoro privato.

I giusti intenti di porre fine al precariato nel lavoro pubblico sono stati affrontati con strumenti dirigistici, di una rigorosità inusitata, per altro assolutamente non compatibili con i sistemi gestionali delle amministrazioni pubbliche, improntati proprio a quella flessibilità lavorativa che si voleva, sostanzialmente, attuare.

Nell'ambito del lavoro privato, la legge 247/2007, senza intaccare se non in minima parte il d.lgs 276/2003, ha introdotto una cautela all'utilizzo distorto della successione dei contratti a termine, stabilendo il limite complessivo di 36 mesi, superabile tra le parti esclusivamente attraverso un accordo solennemente sottoscritto davanti alle direzioni provinciali del lavoro. Dunque, gli istituti di flessibilità del lavoro sono rimasti, però è divenuto – correttamente – più difficile che un datore di lavoro possa condurre col medesimo lavoratore un contratto non a tempo indeterminato per una durata superiore a tre anni.

La legge 244/2007 invece di inserirsi e coordinarsi con questo quadro di riforme del lavoro privato e mantenere il collegamento tra questo ed il lavoro pubblico, scardina il sistema. E riesuma istituti risalenti, appunto, a tre lustri fa, quali l'esclusività del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la durata solo trimestrale dei rapporti flessibili, senza nemmeno lasciare spazio alla contrattazione collettiva di indicare casi per estendere la durata. Cosa che non avveniva nemmeno nel regime del lavoro pubblico a termine antecedente l'applicazione del d.lgs 368/2001.

La conseguenza è la riformulazione dell'articolo 36 del d.lgs 165/2001 secondo canoni estremamente restrittivi: è ammesso solo il lavoro flessibile di durata non superiore a tre mesi, con poche eccezioni, espressamente indicate dalla norma:

1.  le esigenze stagionali;

2.  la sostituzione per maternità, nelle autonomie locali;

3. la sostituzione per altri motivi di assenza con conservazione del posto, solo per i comuni di popolazione inferiore ai 5000 abitanti o con una dotazione organica inferiore a 15 posti;

4.  gli uffici di staff agli organi di governo;

5. gli incarichi dirigenziali a contratto;

6. gli incarichi di preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo;

7. la sostituzione di figure infungibili, di personale infermieristico e di personale di supporto alle attività infermieristiche limitatamente ai casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze correlate alla erogazione dei livelli essenziali di assistenza, negli enti del servizio sanitario nazionale;

8. lo svolgimento di programmi o attività i cui oneri sono finanziati con fondi dell'Unione europea e del Fondo per le aree sottoutilizzate;

9. lo svolgimento di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università, per università ed enti di ricerca;

10. lo svolgimento di progetti di ricerca per gli enti del servizio sanitario nazionale.

E' un'elencazione estremamente dettagliata e restrittiva, tanto da non consentire, paradossalmente, l'attivazione di forme di lavoro flessibile, ad esempio, nel caso di progetti finanziati con capitali privati.

I canoni ordinari dell'interpretazione della legge porterebbero ad una conclusione necessaria ed ovvia: poiché l'articolo 36 è accompagnato anche da una sanzione (per la verità di difficile applicazione), consistente nel divieto di assumere a qualsiasi titolo per tre anni, nel caso di attivazione di forme di lavoro flessibili al di fuori di quelle previste, l'articolo 36 novellato deve essere considerato norma di stretta interpretazione. Come tale, non suscettibile di applicazioni estensive o distorsive della sua disciplina.

Soprattutto nell'ambito delle autonomie locali, ci si è resi immediatamente conto, però, che l'applicazione della norma per quello che è e stabilisce, risulta estremamente difficile, tanti sono i paletti previsti.

Alcuni fatti di cronaca possono far comprendere la ratio della circolare 19 marzo 2008, n. 3 del Dipartimento della Funzione Pubblica, che assume il ruolo di circolare “modificativa” della legge, quale rimedio alle eccessive limitazioni operative dell'articolo 36 novellato. Presso il comune di Verona alcune centinaia di “precari”, sostenuti ovviamente dalle sigle sindacali, hanno forzato la mano, coinvolgendo anche la prefettura, per ottenere una stabilizzazione di massa, tuttavia non effettivamente possibile, per ragioni legate alla dotazione organica.

Per dare fiato ai “precari”, si sarebbe dovuto imporre la scelta di prorogare molte decine di contratti di somministrazione a tempo determinato, di altri due anni e, intanto, sperare in qualche modifica normativa, sulle stabilizzazioni. La semplice e piana lettura dell'articolo 36, tuttavia, impediva di attuare la somministrazione per più di tre mesi.

Proprio a ridosso dell'emanazione della circolare di Palazzo Vidoni, il comune di Verona aveva deciso, allora, di assumere i precari rimasti fuori dal processo di stabilizzazioni negli staff degli organi di governo, a testimonianza che, comunque, la legge 244/2007 – per quanto nella facciata predisposta per impedire utilizzi distorti del lavoro flessibile – è tutt'altro che esente da “buchi”, utilizzabili per agevoli aggiramenti (se non proprio violazioni).

La circolare 3/2008 è stata salutata come la panacea: infatti, tra le tante interpretazioni estensive, suggerisce anche l'esclusione dal campo di applicazione dell'articolo 36 proprio del lavoro somministrato.

E', insomma, il segno chiaro che interpretazioni “politiche” intendono, ora, correggere il tiro di un legislatore che ha voluto caricare potenti bordate contro il precariato pubblico, che ora, però, si rivelano “a salve”.

Si deve, allora, analizzare il contenuto di una serie di parti della circolare, per verificare quanto dirompenti siano le interpretazioni suggerite, rispetto al testo della norma.

Finalità.

La circolare sostiene che la modifica dell'articolo 36 del d.lgs 165/2001 costituisce la “reazione al contesto storico caratterizzato dall'emergenza del fenomeno del precariato causato, come più volte ripetuto, dal degenerato uso del lavoro flessibile, utilizzato anche come strumento per eludere il principio costituzionale della concorsualità”.

E' una chiave di lettura importante. Sembra, infatti, la premessa per una serie di interpretazioni di estremo rigore, in linea con il contenuto dell'articolo 36, novellato. Se l'uso del lavoro flessibile è degenerato, solo le limitazioni inserite nell'articolo 36 possono consentire la nemesi salvifica cercata dal legislatore.

Ma, sempre stando sul lavoro somministrato, se si vuole impedire un uso degenerato della flessibilità e, nel contempo, assicurare il pieno rispetto dell'accesso tramite concorso:

1.                               Perchè ammettere la somministrazione per 24 mesi, ed il lavoro a termine solo per 3? Non è evidente che a questo punto vi sarà un crescendo incontrollato di somministrazioni, a detrimento del lavoro a termine?

2.                              La somministrazione di lavoro, forse, viene effettuata sulla base di concorsi? La risposta è no; come si concilia, allora, l'interpretazione fornita dalla circolare, con questa così intransigente premessa?

3.                              Non bisogna dimenticare che la legge 244/2007 estende enormemente le stabilizzazioni, anche al campo delle co.co.co.: non si vorrà sostenere che, in tal modo, si persegua l'intento del rispetto pieno del principio della concorsualità.

Insomma, mentre si condanna, giustamente, l'utilizzo distorto della flessibilità e il mancato ricorso alle forme concorsuali di reclutamento, nel contempo se ne legittima il ricorso.

Lavoro a tempo indeterminato come standard.

Sempre nella parte delle premesse, la circolare sostiene che si deve tornare al lavoro a tempo indeterminato come standard operativo dell'organizzazione amministrativa, che permette un “nesso virtuoso ed effettivo tra dipendenti in servizio e fabbisogno reale delle amministrazioni”. Nesso, tuttavia, scardinato da anni di blocchi delle assunzioni e, anche, da processi di riforma delle competenze di vari enti, determinati da pesanti operazioni di decentramento delle funzioni amministrative, dei quali non si è tenuto alcun conto, nella redistribuzione delle risorse umane, sostanzialmente rimaste come prima, nonostante la modifica radicale dei carichi di lavoro.

Prosegue la circolare, affermando che “la flessibilità, infine, deve essere introdotta nella pubblica amministrazione innanzi tutto attraverso interventi sull'organizzazione, l'utilizzo di sistemi informatici e soprattutto con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro a cui occorre far riferimento per addivenire ad una più efficiente organizzazione del lavoro”.

Non si può fare a meno di osservare, però, che la contrattualizzazione del rapporto di lavoro è messa seriamente in discussione proprio dalla novella all'articolo 36: infatti, si nega alla contrattazione collettiva di disciplinare il lavoro flessibile in modo diverso, da quanto stabilito per legge. Inoltre, i sistemi organizzativi di organizzazione a cui fa riferimento la circolare sono le progressioni verticali ed orizzontali. Sulle prime, per anni, si è verificato ciò che la circolare imputa al lavoro flessibile: la sottrazione di posti ai concorsi pubblici, per altro ancora oggi largamente praticata. Sulle progressioni orizzontali, soprattutto negli enti locali, si è verificato il fenomeno della loro riconduzione a “merce di scambio” nelle trattative contrattuali decentrate, sicchè in pochi anni sono state utilizzate tutte le risorse disponibili: tanto che l'Aran, nella recente trattativa sul Ccnl del comparto regioni-autonomie locali, aveva proposto di eliminare l'istituto (proposta, poi, rientrata).

In ogni caso, con le progressioni non si coprono certo carenze di organico. Insomma, se presso un ente si verifica un'assenza per maternità o per altra ragione che consenta la conservazione del posto di lavoro, non è certo la progressione verticale od orizzontale (le quali, oltre tutto, seguono specifici procedimenti e cadenze) a poter risolvere l'empasse. Assunzioni flessibili per ragioni sostitutive non pare proprio possano costituire un uso “degenerato” della flessibilità, costituendo, invece, un indispensabile sistema standard di gestione organizzativa. Eppure, l'articolo 36 novellato impedisce sostanzialmente del tutto il ricorso a questa ragione di impiego delle forme flessibili.

Contratto di formazione e lavoro.

Allineandosi ad un'interpretazione dottrinale già espressa, la circolare afferma la necessità di escludere l'applicabilità dell'articolo 36 ai contratti di formazione e lavoro.

Su questo tema, si è già avuto modo di intervenire [1], sostenendo che la conservazione dell'istituto della formazione e lavoro è auspicabile ed utile, ma che si tratta di un'interpretazione non conforme al dettato normativo.

Si è detto prima che l'articolo 36 novellato è norma di stretta interpretazione. Le esclusioni dal suo campo di applicazione, allora, debbono rinvenirsi nella sua diretta disciplina. Il che, nel caso della formazione e lavoro non avviene.

Non persuade assolutamente l'operazione interpretativa secondo la quale l'esclusione, nella sostanza, è conseguenza del fatto che la disciplina della formazione e lavoro è da considerare pubblicistica e non privatistica. Vedremo dopo, infatti, che ciò determina un'insanabile contrasto con la somministrazione di lavoro a tempo determinato.

Secondo la tesi suggerita, l'articolo 86, comma 9, del d.lgs 276/2003 poiché non applica più il Cfl alle imprese, ma solo alle amministrazioni pubbliche, allora è norma di regolazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, quindi non intaccato dall'articolo 36.

Tuttavia, le forme di lavoro diverse da quella a tempo indeterminato sono ammesse esclusivamente dall'articolo 36 stesso, non a caso rubricato “Utilizzo dei contratti di lavoro flessibile”. Infatti, il testo dell'articolo 36 antecedente la novellazione operata con la legge 244/2007 elencava espressamente il Cfl tra i contratti flessibili ammessi nel lavoro pubblico, demandandone la regolamentazione alla contrattazione collettiva. Queste disposizioni, nell'attuale testo, non ci sono più, sono state cancellate. Ciò pregiudica irrimediabilmente la tesi esposta dalla circolare, che mantiene una sua utilità ed un suo peso “politico”, ma non persuade sul piano giuridico.

Indubbiamente, per questo aspetto la circolare ha il merito di rendere la questione controversa, sicchè laddove un giudice o un organo di controllo consideri l'attivazione di un Cfl in violazione dell'articolo 36, risulterebbe complicato sostenere la sussistenza della colpa grave in capo al dirigente responsabile, così come applicare la sanzione del divieto triennale delle assunzioni. Oggettivamente, il vero effetto utile della circolare 3/2008 di Palazzo Vidoni è proprio questo: indicare applicazioni della legge molto ellittiche rispetto al suo contenuto, che possono costituire un ombrello, contro l'applicazione testuale delle sue disposizioni. E', appunto, l'effetto indirettamente modificativo della legge, operato con circolare.

Il ragionamento seguito dalla circolare, in merito al Cfl, cade del tutto con l'ultima affermazione: “analoghe considerazioni possono essere svolte per il contratto di inserimento che si può applicare agli enti di ricerca”. Ma, sull'impossibilità di applicare il contratto di inserimento nella pubblica amministrazione non vi è dubbio alcuno. Le considerazioni, allora, sull'applicazione del contratto di inserimento negli enti di ricerca non possono essere analoghe: debbono necessariamente essere diverse e contrarie. Insomma, la circolare avrebbe dovuto ammettere che, per questa parte, la disciplina del lavoro flessibile contenuta in leggi di disciplina del lavoro nell'impresa, segnatamente il d.lgs 276/2003, si applicano alla pubblica amministrazione, anche se l'articolo 36 novellato non lo consente. Infatti, la circolare si guarda bene dall'esporre un'affermazione, in totale contraddizione con quanto affermato prima, in tema di Cfl.

Tuttavia, anche se la circolare non afferma esplicitamente ciò, lo dice indirettamente, nel considerare ancora applicabile agli enti di ricerca il contratto di inserimento. Ulteriore dimostrazione che non è una circolare “esplicativa”, ma una circolare “politica”, che introduce una disciplina nuova e diversa, rispetto a quella della legge. Utile, ma inserita mediante una fonte – la circolare – ovviamente di peso molto inferiore rispetto alla legge, sì da lasciare tutte le amministrazioni esposte a rischi attuativi, attenuati solo dalla “difficoltà interpretativa” segnalata prima, come conseguenza realmente utile della circolare.

Contratto di somministrazione.

Se ne è già parlato prima, ma occorre, ora, soffermarsi in modo maggiormente sistematico.

Secondo la circolare “la disciplina dettata dall'art. 36 [deve] riguardare, in ossequio alla ratio sottesa, soltanto i contratti di lavoro stipulati alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni che sono gli unici sui quali possono insorgere aspettative di stabilizzazione per i lavoratori interessati. Poiché nei contratti di somministrazione il rapporto si instaura tra agenzia e lavoratore, non si corre il rischio di innescare situazioni di precariato”. La conclusione, dunque, è la sottrazione della somministrazione dal campo di applicazione dell'articolo 36 novellato.

E' anche questa una tesi “utile”, ma ai confini del paradosso. Si deve osservare, come già prima, che in questo modo si mette sul piatto d'argento alle pubbliche amministrazioni uno strumento di aggiramento dell'articolo 36 clamoroso. Tutta la rigorosa disciplina sul contratto a termine verrebbe agevolmente bypassata, grazie alla somministrazione, sì che nessuno più attiverebbe mai lavori a tempo determinato, ma solo somministrazioni (che travolgerebbero anche le nuove prospettive aperte al Cfl).

Curiosa, poi, è l'affermazione secondo la quale la somministrazione non comporta rischi di innescare precariato: ma il “lavoro interinale” è stato sempre visto come l'archetipo del “precariato nel mondo del lavoro”, sin dalla sua introduzione, nel 1997. Non pare che, improvvisamente, si tratti di un contratto non flessibile. Tanto è vero che la legge 247/2007 ha abolito lo staff leasing.

Non risulta, poi, fondata la teoria che per i lavoratori somministrati non possano insorgere aspettative di stabilizzazione. La circolare sorvola sull'articolo 3, comma 96, della legge 244/2007, ai sensi del quale “Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 1, comma 418, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, da adottare inderogabilmente entro il mese di marzo 2008 (termine spostato al 30 giugno, sic!), in relazione alle tipologie contrattuali di lavoro flessibile diverse da quelle di cui al comma 94, ed ai fini dei piani di stabilizzazione previsti dal medesimo comma 94, vengono disciplinati i requisiti professionali, la durata minima delle esperienze professionali maturate presso la stessa pubblica amministrazione, non inferiori ai tre anni, anche non continuativi, alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché le modalità di valutazione da applicare in sede di procedure selettive, al cui positivo esito viene garantita l'assimilazione ai soggetti di cui al comma 94, lettera b)”.

Poiché nella pubblica amministrazione non operano l’apprendistato, il lavoro ripartito, il lavoro a chiamata (per altro abrogato), lo staff leasing (anch’esso eliminato), l’associazione in partecipazione, il lavoro accessorio, non sembra che il decreto possa non includere tra i lavori flessibili stabilizzabili proprio le somministrazioni a tempo determinato. Cade, dunque, l’unica motivazione che la circolare pone alla base della sua conclusione, secondo la quale tale tipo di contratto non sarebbe incluso nell’articolo 36.

Risulta, inoltre, realmente difficile dimostrare che effettivamente la somministrazione non è una forma contrattuale di lavoro flessibile prevista da una legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. E’ certamente vero che il rapporto di lavoro intercorre tra agenzia e lavoratore e non tra questo e l’ente. Ma, se è per questo, le collaborazioni non sono rapporti di lavoro subordinato: eppure sono considerate dalla legge 244/2007 ai fini delle stabilizzazioni.

La somministrazione è sicuramente e indiscutibilmente una forma di lavoro “flessibile”, in quanto è flessibilizzato appunto il rapporto, che è triangolare e non bilaterale, come il rapporto di lavoro subordinato classico.

Il testo dell'articolo 36, comma 1, per altro, è molto chiaro: afferma che le pubbliche amministrazioni “non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi”. La somministrazione è a tutti gli effetti una forma contrattuale di lavoro flessibile prevista da una legge sul rapporto di lavoro subordinato nell'impresa, ancora una volta il d.lgs 276/2003. Non pare assolutamente che si possano considerare gli articoli 20 e seguenti della “legge-Biagi” norme di “diritto pubblico”: non si può riprodurre la complicata teoria esposta in tema di Cfl. Tanto è vero che la circolare non si cimenta in un campo esegetico molto, ma molto arduo.

Quanto suggerisce la circolare, allora, è in evidente ed irrimediabile contrasto col testo della norma. Per altro, la circolare afferma che la piena applicabilità della somministrazione deriverebbe, ancora, dall'articolo 4, comma 2, del d.l. 4/2006, convertito in legge 80/2006, “che aveva modificato il precedente testo dell'art. 36”, assegnando addirittura priorità alla somministrazione, rispetto al lavoro a termine (erano i tempi del “flessibile è bello”). Ma, appunto, la norma citata aveva modificato l'articolo 36. Il testo di quella norma, nella nuova formulazione, è sparito. Non appare persuasiva una tesi ermeneutica che tragga una ratio interpretativa di una norma, da un precedente testo abrogato della norma stessa. Infatti, per il principio della continuità del potere legislativo si deve dare rilievo all'ultima volontà espressa dal legislatore, che ovviamente prevale su quella precedente, cancellata dalla nuova norma.

Infine, sempre sulla somministrazione la circolare evidenza un ossimoro: chiede alle amministrazioni di accertarsi che il personale somministrato sia selezionato secondo procedure improntate ai principi di imparzialità e trasparenza. Ma, se si tratta di una prestazione di servizi, l'agenzia è imprenditorialmente libera di svolgere la sua funzione di selezione e ricerca come meglio ritiene. Non pare possibile introdurre il principio del concorso. Anche perchè se così fosse, e così lascia intendere la circolare, i rischi di pretese di stabilizzazione da parte del personale somministrato ci sarebbero, eccome.

Supplenze nel settore scuola.

Una delle più clamorose difficoltà operative, certamente non presa in considerazione dal legislatore mentre formava la legge 244/2007, è la conseguenza della restrizione sul tempo determinato, nell'ambito della scuola, per il caso delle supplenze, che, ovviamente, possono avere tempi estremamente diversi dal default di tre mesi. Il sistema delle scuole degli enti locali, comprendenti anche centri di formazione professionale, rischiava di essere messo in ginocchio.

Anche in questo caso, la circolare esita una interpretazione “utile”. Parte dal condivisibile assunto che “l'art. 33 della Costituzione, tra l'altro, prevede il principio di non discriminazione tra alunni di scuole statali e alunni di scuole paritarie tra cui rientrano anche quelle degli enti locali, così come previsto dall'art. 1, comma 2, della legge 10 marzo 2000, n. 62”.

Occorreva, allora, garantire che nelle scuole degli enti locali (comprendenti anche asili nido e materne) venisse garantita la continuità del servizio prestato, certamente compromessa dal nuovo testo dell'articolo 36.

Ora, la nuova formulazione del citato articolo non fornisce alcun appiglio normativo, per sostenere che gli enti locali possano derogarlo, per attivare le supplenze, come possono le scuole statali. Infatti, la circolare si produce in una tesi particolare, per altro condivisibile ed apprezzabile: sostiene che “gli enti locali, tenuto conto dell'autonomia organizzativa loro propria e delle peculiarità dei propri ordinamenti, possono ispirarsi dal citato D.M. 13 giugno 2007, n. 131 per quanto riguarda la durata dei contratti a tempo determinato connessi con la supplenza e, in sede di regolamento da adottare ai sensi dell'art. 89 del d.lgs 18 agosto 2000, n. 267, possono prevedere disposizioni speciali per le supplenze che garantiscano la continuità dei servizi”.

Le supplenze, tuttavia, altro non sono che contratti a tempo determinato sorretti dalla causa giustificativa delle esigenze sostitutive. Che l'articolo 36 novellato ha eliminato del tutto, escludendo l'applicazione dell'articolo 1 del d.lgs 368/2001.

In effetti, solo l'esplicazione dell'autonomia organizzativa degli enti locali, nel rispetto delle loro peculiarità, consente di disporre una deroga all'articolo 36, giustificata dalle esigenze organizzative particolari nel campo dei servizi scolastici.

La nota dissonante, però, è che l'autonomia organizzativa degli enti locali e la correlata autonomia regolamentare non può considerarsi limitata solo al campo dei servizi scolastici. Occorre tenere presente che i comuni, ma anche le province, svolgono servizi alla persona diretti, come i servizi sociali, i servizi per l'impiego, le attività di orientamento, la formazione, i servizi turistici di sportello, ed altri. Esigenze di continuità delle prestazioni si presentano anche per queste attività, in modo assolutamente analogo a quanto previsto per la scuola, con altrettante disposizioni costituzionali di tutela e garanzia.

La domanda da porsi, allora, è perchè ritenere limitata la potestà normativa, nel rispetto delle peculiarità, alla sola fattispecie dei servizi scolastici. In parte, alcune esigenze operative possono essere soddisfatte applicando l'altra condivisibile interpretazione suggerita dalla circolare, in tema di esigenze stagionali. Non è da mettere, però, in dubbio che se gli enti locali godono di specifiche peculiarità e di una certa capacità derogatoria nell'organizzazione, essa non possa ritenersi limitata ad un solo ambito.

In conclusione, si dimostra che la circolare 3/2008, con teorie utilitaristiche applicate di volta in volta a fattispecie diverse e un elevato grado di realpolitik, fornisce indicazioni operative in evidente contrasto con il testo novellato dell'articolo 36 del d.lgs 165/2001, il più delle volte, comunque, per apprezzabili intenti, ma non sempre mediante convincenti operazioni ermeneutiche. Sicché la stessa circolare appare in molte parti di dubbia legittimità, posto che le circolari nel nostro ordinamento possono solo esplicare le leggi, non certo modificarne il contenuto.

Se la circolare è il sintomo della presa d'atto dell'inefficacia della riforma dell'articolo 36, troppo rigida, troppo fuori dal tempo, allo scopo di garantire l'equilibrio dell'ordinamento giuridico ed il rispetto delle regole sull'efficacia delle fonti, la soluzione deve essere un'altra.

Occorre una urgente modifica dell'articolo 36, ma anche delle disposizioni delle due ultime leggi finanziarie su stabilizzazioni e lavoro autonomo, per riportare un minimo di ordine e di applicabilità di un sistema, giunto al parossismo, tanto che il Governo propone leggi al Parlamento, che le approva, per poi esitare circolari, come la 3/2008, che affermano in molti casi l'esatto contrario.


 

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