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RICCARDO NOBILE
(Segretario Generale e Direttore Generale
del Comune di Muggiò - MI)
Piccoli comuni e responsabili dei
servizi fra mostri giuridici
ed innovazioni legislative: repetita non iuvant.
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Sommario: 1. Introduzione. 2. La rilevanza costituzionale della materia. 3. La storia dei pensamenti e dei ripensamenti del legislatore. 4. …promissio boni viri est obbligatio. 5. ..sapientis est mutare consilium ? (atto primo) 6 …..sapientis est mutare consilium ? (atto secondo) 7. Le procedure e le conseguenze. 8. Conclusioni.
1. Introduzione.
Come già si è avuto modo di evidenziare nel commento art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388 [1], il legislatore, dopo anni di comportamenti ispirati a razionalità ed univocità sia di verso che di direzione, ha iniziato un’opera di ripensamento sulla connotazione del principio di separazione fra attività di governo ed attività di gestione, consentendo e legittimando, sia pure con qualche cautela, gli organi di governo degli enti locali territoriali all’adozione di atti, provvedimenti e comportamenti ritenuti da tempo ascritti alla competenza inabdicadile e funzionale dei vertici degli apparati burocratici degli enti locali [2].
Già in quella sede non è stato possibile sottacere i dubbî che avvolgono e permeano l’innovazione legislativa, la quale, ad onore del vero, non è mai parsa di agevole attuazione. A questo proposito, infatti, non deve essere dimenticato che lo spostamento di competenze de quo era possibile solo allorché si fossero verificate congiuntamente almeno tre premesse: la esplicita previsione dell’eventualità da parte del regolamento per la disciplina degli ufficî e dei servizî, la dimensione demografica del comune inferiore ai 3.000 abitanti, nonché la dimostrazione della “mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, anche al fine di operare un contenimento della spesa” [3].
Senza infingimenti di sorta, il legislatore ha ora radicalizzato l’incrinatura al principio di separazione, già in precedenza vulnerato nei termini appena visti, con l’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 ampliando la possibilità di affidare la competenza funzionale all’adozione degli atti di gestione al sindaco ed agli assessori, agendo in modo non semplice, ma duplice [4].
In primo luogo, incrementando il numero degli abitanti al di sotto del quale il principio di separazione può essere obliterato, limite che da 3.000 abitanti è stato esteso a 5.000 abitanti.
In secondo luogo, espungendo dalla formulazione dell’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388 il sintagma “che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti”.
In considerazione di ciò, pertanto, il superamento del principio di separazione fra attività di governo ed attività di gestione è ora possibile, in attuazione di “misure di efficienza delle pubbliche amministrazioni” [sic!] [5] per quegli “enti locali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa”, talché tali enti “possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993 [6], e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale”, fermo restando che “il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.
2. La rilevanza costituzionale della materia.
In considerazione della tipologia e natura specifica della materia, il recente intervento operato dal legislatore con l’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 non può non essere analizzato se non in stretta correlazione con l’estensione del nuovo testo dell’art. 117 Cost. entrato in vigore per effetto del perfezionamento del complesso iter previsto dall’art. 138 Cost., conclusosi con la pubblicazione della legge costituzionale 18/10/2001 n. 3 [7].
La suggestione, infatti, non è priva di interesse e di rilevanza dogmatica, in quanto non è immediatamente evidente se il legislatore della legge 28/12/2001 n. 448 abbia rispettato o meno i limiti al lecito esercizio delle proprie potestà legislative in considerazione della tipologia della materia oggetto della presente indagine.
Il breve excursus non può non prendere le mosse dall’osservazione secondo la quale la problematica evocata in subiecta materia era completamente irrilevante, pletorica ed ultronea in dipendenza sia della precedente modificazione attuata con l’art. 23, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388, sia della connotazione del precedente assetto delle potestà legislative statali e regionali.
Nella vigenza della precedente sistematica costituzionale, infatti, la materia della regolazione dell’assetto delle competenze fra organi di governo ed organi di estrazione burocratica era sicuramente estranea al regime delle potestà legislative concorrenti di spettanza regionale, in quanto la sua indicazione era completamente assente nella formulazione dell’elencazione di cui al pregresso testo dell’art. 117 Cost.
Oggi, in considerazione del fatto che le Regioni sono titolari di potestà legislative non solo concorrenti, ma anche generali ed esclusive, la materia è divenuta di sicuro interesse. Non può infatti sfuggire che se l’intervento del legislatore nazionale ordinario attuato in subiecta materia non è riconducibile per senso e riferimento all’estensione delle competenze tassative ed esclusive dello Stato di cui al nuovo testo dell’art. 117, comma 2 Cost., l’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388, così come modificato dall’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 è del tutto incostituzionale, e come tale estraneo all’ordinamento giuridico.
Ad un esame anche solo incidentale della materia, la quale non può certo essere ricondotta a puri e semplici affari afferenti a questioni di personale degli enti locali, non si può che concludere che l’intervento operato dal legislatore ordinario non è interessato da censure di incostituzionalità. A questo proposito, infatti, non può non essere evidenziato che l’intera vicenda di cui è parte la normativa in esame è riconducibile nell’ámbito dell’estensione dell’art. 117, comma 2, lett. p) Cost., che demanda alla potestà esclusiva dello Stato, da intendersi qui soprattutto nel senso di “escludente” qualunque altra potestà concorrente od esclusiva regionale [8], la normazione, fra l’altro, degli “organi di governo e [delle] funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.
Non vi è chi non veda, infatti, che l’attribuzione di competenze in materia di atti di gestione ad organi di governo afferisce sia alla connotazione di ciò che l’organo di governo è en e pour l’ordinamento, sia il modo dell’esercizio delle funzioni degli enti locali.
Quanto appena esemplificato può essere reso esplicito osservando che gli organi di governo sono in e per l’ordinamento giuridico esattamente ciò che essi possono fare nel suo ámbito. Essi, in quanto realtà estranee alla “natura delle cose” perché entità essenzialmente istituzionali, sono definibili solo en e pour l’ordinamento attraverso un fascio di regole costitutive che ne condizionano dall’interno i confini e l’estensione. In questo senso, le regole del loro “poter fare” definiscono il gioco nel quale e del quale essi sono “pezzi”, che, come tali, possono compiere solo e soltanto le “mosse” [9] che dalle regole costitutive [10] che ne condizionano l’esistenza ordinamentale discendono in termini logici.
In questo senso l’organo di governo dell’ente locale territoriale è esattamente ciò che esso può fare [11], perché in tal senso legittimato da una norma giuridica valida nell’ordinamento di cui è parte.
3. La storia dei pensamenti e dei ripensamenti del legislatore.
Come è noto, l’art. 107 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha definitivamente fissato in via generale il principio della separazione fra attività di indirizzo e controllo politico, di competenza degli organi di governo, ed attività di gestione, di competenza dei dirigenti e, ove non vi siano, dei responsabili degli ufficî e dei servizî.
La ragione della partizione ratione materiae è di tutta evidenza: la complessità dell’attività gestionale presenta elementi di caratterizzazione tecnica tali da rendere necessario che essa sia svolta da soggetti dotati di specifica competenza, e quindi esperti del fatto tecnico ad essa immanente.
Ciò detto, è evidente il superamento della logica sottesa al modo di concepire l’attività amministrativa rispetto alla normativa pregressa, ossia alla legge 8/6/1990 n. 142.
In quell’ámbito, tutta l’attività dell’ente locale era svolta direttamente dagli organi di governo, i quali, limitatamente all’adozione degli atti collegiali, dovevano essere supportati dai referti tecnici – contabili – e di legittimità, rispettivamente, del responsabile del servizio interessato, del responsabile del servizio di ragioneria e del segretario comunale [12].
Logica, questa, quasi completamente obliterata dalle riforme che si sono succedute nel tempo, e che sono intervenute in modo non semplice, ma almeno duplice.
In primo luogo, introducendo sia il principio della separazione fra attività di indirizzo e controllo ed attività di gestione, sia il principio secondo cui l’attività di gestione si attua mediante atti negoziali o provvedimentali del vertice dell’apparato burocratico, in piena autonomia, nel rispetto delle linee di indirizzo primario di competenza dell’organo consiliare e subprimario della giunta, assunte e rese esplicite nel bilancio di previsione e nei documenti fondamentali dell’ente, e nel piano esecutivo di gestione o strumenti consimili di programmazione secondaria.
In secondo luogo, erodendo progressivamente le competenze della giunta, sottraendole la titolarità di una serie cospicua di competenze, per ascriverle ai vertici burocratici dell’ente locale, perché atti di gestione, e come tali espressamente ed esemplificativamente nominati dalla legge.
Momenti significativi di questa tendenza sono stati, in via generale il D.Lgs. 3/2/1993 n. 29 - ora riformulato e coordinato nel D.Lgs. 30/3/2001 n. 165 -, chiara attuazione in subiecta materia, del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, che fin dalle sue prime disposizioni ha introdotto il principio della necessaria separazione, il D.Lgs. 31/3/1998 n. 80, che ha espressamente enunciato che tutte le competenze già ascritte agli organi di governo devono essere intese eo ipso ed ispo iure trasferite all’apparato burocratico nei suoi vertici, la legge 15/5/1997 n. 127, che ha modificato in parte qua l’art. 53 della legge 8/6/1990 n. 142, ribadendo il principio della separazione per gli enti locali territoriali, ed elencando in via esemplificativa, una seria di materie a natura gestionale, ascritte alla competenza funzionale dei vertici burocratici dell’ente, la legge 16/6/1998 n. 191, che ha reiterato il concetto, integrando la suddetta elencazione, ed arricchendola di interessanti spunti per trarre da essa ulteriori elementi di esemplificazione, e, da ultimo, il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che ha ad oggetto nello specifico l’ordinamento degli enti locali territoriali.
Il disegno così bene delineato dal legislatore è stato però incrinato in un primo tempo dall’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388, il quale ha introdotto nell’ordinamento una seria aporia dogmatica, foriera di confusioni non ancóra completamente intuibili nella loro massima estensione, le cui conseguenze distorsive sono destinate inevitabilmente a moltiplicarsi per effetto dell’ampliamento del referente del testo di tale disposizione cosí come malauguratamente novellata dall’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448.
Ed a questo proposito, non deve essere dimenticato che un sistema aporetico, ossia che contiene al proprio interno una contraddizione, finisce inevitabilmente col divenire apeiretico, ossia sostanzialmente indecidibile nelle conseguenze che da esso possono discendere, poiché da esso si possono logicamente trarre tutti i corollarî pensabili, senza che sia possibile alcuna forma di controllo di tipo formale (es: dalla congiunzione dalle premesse “piove” e “non piove” si inferisce in modo formalmente ineccepibile che “la luna è fatta di formaggio verde”) [13].
Sia pure non con codesta evidenza, queste sono le conseguenze che da qualche tempo sono proprie del sistema delle autonomie locali, e soprattutto delle piccole realtà locali, con riferimento alle quali - e ciò è sotto gli occhî di tutti – si sentono accreditare le tesi più stravaganti anche e soprattutto in materia di separazione delle competenze.
Dal canto proprio, il legislatore ha ispirato la propria azione in modo contrapposto, prima completando in modo coerente il sistema della separazione (punto 4.), e poi incrinandolo (punti 5 e 6.).
Di ciascuno dei due momenti è bene dire partitamente: se su ciò di cui non si può parlare si deve tacere [14], su ciò di cui non si può tacere si deve parlare [15].
4. …promissio boni viri est obbligatio.
Se quello delineato è il sistema coerente delle competenze nell’ámbito dell’ente locale territoriale, non certo ricostruito con correttezza diacronica, unico punto stridente nella sistematica de qua era costituito dal comma 2 dell’art. 19 del D.Lgs. 25/2/1995 n. 77, integrato dall’art. 6 del D.Lgs. 11/6/1996 n. 336 il quale consentiva, fra l’altro, per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti, di ascrivere la responsabilità gestionale ai membri della giunta comunale e quindi al sindaco ed ai singoli assessori, che erano in tal modo legittimati all’adozione di atti di determinazione, di liquidazione, di autorizzazione, concessione e consimili.
La disposizione, infatti prevedeva espressamente che “per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti e per le comunità montane, l'organo esecutivo può, con delibera motivata che riscontri in concreto la mancanza assolutamente non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, affidare ai componenti dell'organo esecutivo medesimo la responsabilità dei servizi, o di parte di essi, unitamente al potere di assumere gli atti di gestione”.
Tale disposizione normativa veniva saggiamente e doverosamente espunta dall’ordinamento con l’art. 3, comma 1 del D.Lgs. 23/10/1998 n. 410, in applicazione del principio, probabilmente ormai assurto a rango di principio di costituzione materiale, della necessaria separazione fra attività di indirizzo ed attività di gestione, che opera, evidentemente, non solo dal punto di vista oggettivo, ma anche da quello soggettivo, imponendo l’estromissione degli organi di governo e dei loro componenti dallo svolgimento di qualsivoglia attività gestionale, perché sostanzialmente privi delle necessarie cognizioni tecniche [16].
Il legislatore, così, mostrava di aver fatto proprio tale immanente principio, consentendone l’attualizzazione anche nei comuni in cui gli apparati burocratici sono privi di dirigenza contrattualizzata.
La normativa di fonte legislativa veniva completata e definita dal c.c.n.l. del 6/7/1995, il cui art. 45 individuava l’ámbito della legittimazione alla preposizione agli ufficî dotati di rilevanza esterna facendoli coincidere con quelli per l’accesso dall’esterno ai quali era richiesto il possesso del diploma di laurea, ossia con quelli ascritti alla VII ed all’VIII qualifica funzionale.
Con l’art. 51, comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142, modificato in parte qua dall’art. 6, comma 2 della legge 15/5/1997 n. 127, veniva poi espressamente previsto che tutti gli atti di competenza della dirigenza contrattualizzata fossero adottabili dai responsabili degli ufficî e dei servizî, nell’accezione che sarà poi individuata dal c.c.n.l. per il comparto Regioni – Enti locali del 31/3/1998, precisato dal successivo contratto dell’1/4/1998 [17], ulteriormente valorizzato per il settore della polizia municipale dall’art. 29 dell’accordo integrativo di comparto del 14/9/2000 ed attualmente definito dal c.c.n.l. del 5/10/2001 [18].
Il disegno pareva definitivamente portato a compimento dagli artt. 107 e 109, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che ha cristallizzato il principio di separazione nell’ordinamento degli enti locali, con ciò consolidando il suddetto principio di costituzione materiale di diretta derivazione dell’art. 97 Cost.
La norma da ultimo citata, letta in combinato disposto con il successivo art. 109, infatti, ha ascritto la competenza funzionale all’adozione degli atti di gestione, di cui il suo comma 3 costituisce una mera elencazione esemplificativa, ai responsabili dei servizî, che possono essere o meno dirigenti contrattualizzati, circoscrivendo la loro azione al rispetto della legge, dello statuto, dei regolamenti ed agli atti di indirizzo politico promananti dagli organi di governo.
Quanto appena delineato nei suoi tratti essenziali è stato incrinato per la prima volta dall’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388, e, per la seconda, dall’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448.
All’analisi degli elementi di “disturbo ordinamentale” de quibus sono riservate le prossime partizioni del presente lavoro.
5. …..sapientis est mutare consilium ? (atto primo)
Come si è avuto modo di cenare di passaggio, il quadro coerentemente delineato dal legislatore è stato per la prima volta ed in modo improvvido intaccato con l’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388, introducendo nell’ordinamento una disposizione, la cui formulazione è del tutto simile a quello già presente nell’art. 19 del D.Lgs. 25/2/1995 n. 77.
L’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388, ha infatti previsto che “gli enti locali con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.
La disposizione, in considerazione della sua formulazione, non è sfuggita alle censure che in precedenza erano state mosse all’art. 19 del D.Lgs. 25/2/1995 n. 77, nel testo introdotto dall’art. 6 del D.Lgs. 11/6/1996 n. 336 [19], e, come tale, è stata guardata con sospetto in sede interpretativa ed applicativa.
6. …..sapientis est mutare consilium ? (atto secondo)
Il disegno di progressiva erosione del principio di separazione è stato portato ad ulteriori momenti di virtuosismo dall’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448.
Ora, che la novella legislativa di cui all’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 abbia introdotto novità nell’ordinamento è cosa ovvia. Che la novella sia buona e giusta è però cosa fortemente dubbia, per una serie di ragioni di vario genere.
In primo luogo, la ragione autenticamemente giuridica della modifica legislativa continua a non essere indicata con precisione e chiarezza, ma lasciata nell’ombra.
Se il principio di separazione risponde ad esigenze di buon andamento e di professionalizzazione dell’attività della pubblica amministrazione, allora non si capisce affatto come esso possa essere conseguito ed attualizzato sottraendo la competenza all’adozione degli atti di gestione ai vertici burocratici dell’ente locale territoriale, formati con fatica, ed in attuazione di normative di settore la cui funzione era quella di rendere stabili e fortemente professionali i vertici di tali enti.
L’incrinamento del principio di separazione ben lungi dall’essere manifestazione di una volontà tesa al miglioramento dell’efficienza della pubblica amministrazione, altro non è se non un puro e semplice espediente per diminuire i costi del personale, comprimendoli proprio in quegli enti nei quali ai pochi dipendenti in organico sono sempre richiesti gli sforzi maggiori.
In secondo luogo, la modifica legislativa urta frontalmente con tutto l’assetto contrattuale ultimo del comparto enti locali, teso alla valorizzazione dei responsabili degli ufficî e dei servizî, attraverso la previsione della relativa sfera di competenze funzionali, in tutto e per tutto giuridicamente equiparata a quella dei dirigenti contrattualizzati, fatta ovviamente eccezione per la retribuzione.
E qui deve essere rimarcato che tutte le proposte contrattuali, poi trasfuse nei contratti collettivi nazionali di comparto, hanno a suo tempo ricevuto l’attestazione di compatibilità economica da parte della Corte dei conti, segno evidente dell’assenza di discrasie con il sistema dei conti generali dello stato complessivamente inteso anche ai fini dei suoi rapporti con gli organismi comunitarî.
In terzo luogo, se è vero che il legislatore ha indicato nella necessità di contenere la spesa una delle possibili motivazioni - peraltro tutta da dimostrare in concreto - della previsione della novella legislativa, dall’altro non ha tratto affatto le conclusioni logico-giuridiche che avrebbe dovuto inferire dalla premessa.
Il contenimento delle spesa pubblica non si attua deprofessionalizzando l’attività degli enti locali territoriali, oltre tutto dopo che il legislatore ha mostrato di volerli considerare, in applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 4, comma 3, lett. a) della legge 15/3/1997 n. 59, quali enti di front office rispetto alla collettività amministrata, ma portando a compimento il disegno di associazione nell’esercizio di funzioni o di accorpamento degli enti di modeste dimensioni, i cui bilanci assorbono, per la mera gestione corrente, la più gran parte delle risorse, ed osservando che un ente locale territoriale si qualifica positivamente nei confronti della collettività di cui è esponenziale [20], attualizzando interventi in conto capitale ed erogando servizî secondo standard di ottimalità, in assenza di che diviene assai difficile giustificarne l’esistenza [21].
Ciò che si intende evidenziare è che il problema dei cosiddetti “comuni polvere” non si risolve certo incrinando il principio di separazione, ma rafforzandolo e coniugandolo con la logica della programmazione e della gestione per ambiti territoriali ottimali, i quali soli, ferma l’ineludibile necessità di professionalità, consentono di conseguire reali economie di scala a livello nazionale.
In questo senso, del resto, il legislatore nazionale ha mostrato una qualche sensibilità, prevedendo all’art. 3, comma 2 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112 che siano le regioni a determinare i livelli ottimali per l’esercizio delle funzioni da conferire agli enti locali territoriali, proprio con particolare riferimento ai comuni di minore consistenza demografica. Orientamento, poi, ripreso dall’art. 33, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, secondo il quale “al fine di favorire l’esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica, le regioni individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative” apposite, ossia in quelle indicate dal precedente art. 4, comma 5.
In quarto luogo, la novella legislativa non è esente da fumus di incostituzionalità.
Ciò può essere mostrato osservando che l’art. 107 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha consolidato il principio di separazione nell’ente locale territoriale inquadrandolo in un assetto normativo ispirato al principio della competenza funzionale, e come tale priva di elementi di confusione fra organi, ispirato, come si è già avuto modo di rimarcare, al principio di buon andamento dell’attività amministrativa ed alla sua imparzialità.
Qui vale la pena di rimarcare che le conseguenze che dal principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione si debbono trarre non possono essere né eluse, né elise dal superiore principio di legalità, che pur presiede all’attività della pubblica amministrazione.
Che l’attività della pubblica amministrazione sia assoggettata alla legge è cosa fin troppo ovvia; meno ovvio, però, e che la legge non possa prevedere discipline particolari che inficino il principio di buon andamento ed imparzialità.
Il soddisfacimento dei due principî, infatti, presuppone sì l’intervento del legislatore con atti aventi forza di legge, con ciò soddisfacendo quanto previsto dall’art. 97, comma 1, prima parte Cost.
La norma, però, non può introdurre elementi di disturbo al buon andamento ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, né può contenere elementi di irragionevolezza, a pena di contrastare con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. nell’interpretazione che di esso è stata data dalla Corte costituzionale.
Nel disegno complessivo attuato dalla Costituzione, la produzione normativa in materia di organizzazione degli ufficî pubblici, infatti, non è fine a sé stessa, ma deve essere funzionalizzata ad assicurare “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, determinando, fra l’altro, “le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari” come previsto dall’art. 97, comma 2 Cost..
E la verifica in concreto del rispetto del nesso di necessaria funzionalizzazione fra il contenuto della normativa di settore e la garanzia, nei fatti, del soddisfacimento dei principî di buon andamento ed imparzialità costituisce proprio il momento di riscontro della sua conformità al dettato costituzionale in termini di ragionevolezza.
Né si dica che la diversità di trattamento prevista in nuce per i comuni con popolazione inferiore prima ai 3.000 ed ora ai 5.000 abitanti costituisce valido elemento di differenziazione che legittima l’obliterazione del principio di separazione.
Il paradigma altro non è, giacché propriamente è altro.
L’elemento di diversità, per l’ordinamento complessivamente inteso, è dato non da elementi transeunti quali il mero riferimento a dati demografici, ma dalla differente natura giuridica dell’attività di gestione rispetto all’attività di indirizzo e di controllo politico, differenti per natura e connotazione, le quali, proprio in attuazione del principio di buon andamento ed imparzialità, non possono che essere ascritte alla competenza funzionale di soggetti differenti e diversi per provenienza ed estrazione nell’ambito della struttura dell’ente locale territoriale.
In definitiva, sembra proprio evidente che la previsione contenuta nell’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388 nel testo novellato dall’art. 19, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 non sfugga a censure di incostituzionalità per violazione del combinato disposto degli artt. 97 e 3 della Costituzione.
7. Le procedure e le conseguenze.
Nella vigenza del testo originario dell’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 338 la possibilità di addivenire alla modificazione dell’assetto delle competenze, negando nei fatti il principio di separazione, era circoscritto da particolari cautele procedimentali e circondato da precisi oneri motivazionali, tutti diretta conseguenza della specialità della normativa de qua, da interpretare, a sua volta, secondo stretto diritto.
Il titolo giuridico della deroga al principio della separazione era chiaramente rinvenibile nella legge, la quale legittimava la giunta comunale alla modificazione del regolamento degli ufficî e dei servizî che essa è competente ad adottare in attuazione dell’art. 48, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 [22].
La modificazione del regolamento degli ufficî e dei servizî, peraltro, non era, come del resto non è, necessaria quando il sindaco decida di attribuire la responsabilità dei servizî al segretario comunale ai sensi dell’art. 97, comma 4, lett. d) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, fattispecie sempre attivabile, sia pur circoscrivendone la portata alla dimostrazione che i precedenti responsabili di servizio non sono muniti delle richieste capacità gestionali, possibilità che deve essere circondata dalle necessarie cautele soprattutto quando essa presuppone logicamente la revoca dell’incarico ancora in corso di espletamento.
A questo proposito non può essere sottaciuto che la revoca degli “incarichi dirigenziali” deve essere sempre sorretta da idonea motivazione da parte dell’organo di vertice dell’ente locale territoriale, rendendo così attivabile il controllo giurisdizionale da parte del giudice del lavoro, ora competente in subiecta materia, che in tal senso ha già avuto modo di pronunciarsi in modo quasi sempre favorevole al dirigente od al responsabile di servizio.
Né deve essere dimenticato che la revoca degli “incarichi dirigenziali” può essere attivata solo nel rispetto dell’art. 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, non toccato dagli effetti derogatorî dell’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388, a prescindere dal suo novellamento.
Per contro, la modifica dell’assetto regolamentare dell’ente locale è necessaria quando il sindaco intenda conferire parte delle responsabilità al segretario comunale, e parte ai membri della giunta comunale, ipotesi percorribile, in assenza di espliciti divieti normativi.
Come si è avuto modo di evidenziare nelle precedenti partizioni, le reali possibilità di modifica del regolamento degli ufficî e dei servizî erano scarse, almeno dal punto di vista logico – giuridico, poiché non poteva essere dimenticato che la modificazione del suddetto regolamento non poteva essere vista isolatamente, ma doveva essere inserita nella più ampia trama dei provvedimenti organizzatorî di cui l’ente locale territoriale è dotato, primi fra tutti i provvedimenti di nomina dei responsabili degli ufficî e dei servizî da parte dei sindaco, rendendo attivabile, in tal modo, il sindacato per eccesso di potere in sede giurisdizionale.
La conseguenza della modificazione del regolamento degli ufficî e dei servizî era ed è che l’assessore preposto al servizio può compiere atti di gestione, e quindi adottare, sottoscrivendole, le determinazioni gestionali attuative degli indirizzi di programmazione primaria e subprimaria del consiglio e della giunta comunale, nonché tutti gli atti di gestione indicati esemplificativamente dall’art. 107, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Dubbio era ed è che il sindaco o il singolo l’assessore, in qualità di responsabile del servizio, possa intervenire apponendo i prescritti pareri di regolarità tecnica e tecnico-contabile sulle proposte di deliberazione come disposto per i responsabili di servizio di estrazione burocratica dall’art. 49 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
In questo caso, è di tutta evidenza che il referto di regolarità della proposta di deliberazione, qualora ritenuto ammissibile, non potrà non essere supportato da un previo riscontro in analoghi termini da parte del funzionario prima preposto al servizio, con ciò rendendo ancora piú stridente il contenuto della riforma legislativa.
Come è stato precedentemente evidenziato, la modificazione dell’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 338 attuata per il tramite dell’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 non prevede più alcuno specifico onere motivazionale in ordine all’impossibilità di riscontro e dimostrazione della mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti.
Tutto ciò, peraltro, se da un lato agevola i compiti della giunta comunale, dall’altro non esime affatto il sindaco dall’onere di motivare in modo appropriato gli eventuali provvedimenti di revoca di incarichi direttivi in corso di esplicazione.
A questo proposito non deve essere dimenticato che la modifica legislativa di cui all’art. 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 consente alle giunte dei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti di impingere nel principio di separazione senza scontare alcun onere motivazionale.
La modifica del testo dell’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 338 nei termini sopra evidenziati ha l’effetto pratico di trasformare la negazione del principio di separazione in un puro e semplice fatto organizzativo, come tale non sindacabile giurisdizionalmente in via diretta ed immediata, anche perché è estremamente difficile ricostruire gli estremi di un’azione utilmente esercitabile in tale sede, giacché carente di interesse e di legittimatio ad causam [23].
8. Conclusioni.
La norma desumibile dalla complessa novella legislativa, in definitiva, mira a consolidare, sia pure inopinatamente, un’irrazionale e caduca deroga al principio di separazione delle competenze, confermando, fra l’altro, un curioso momento di ulteriore dubbio sulla bontà complessiva dell’intera operazione, per la cui soluzione non è agevolmente possibile indicare soluzioni ortopedico-giuridiche di sorta, a pena di ulteriormente indebolire lo stesso principio di separazione, rendendo il tutto, che assomiglia sempre più ad un vero e proprio monstre giuridico, ancora meno aderente al principio di buon andamento ed imparzialità.
L’allusione è al fatto che, in primo luogo, se gli assessori comunali vengono nominati responsabili dei servizî, allora essi soggiacciono per intero al potere di coordinamento del segretario comunale, che ne è titolare in forza dell’art. 97, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, e, in secondo luogo, gli assessori coordinati ex lege dal segretario comunale sono i componenti dell’organo che deve obbligatoriamente intervenire deliberativamente per addivenire proprio all’eventuale revoca del segretario comunale, come disposto dall’art. 100 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Come possa il segretario comunale, coordinatore degli “assessori-responsabili dei servizî”, essere revocato previa deliberazione di un organo di cui fanno parte gli “assessori-coordinati”, ovvero coordinare chi è collegialmente arbitro nella sua permanenza nell’ente, è fattispecie della quale sfugge ogni possibilità di ragionevole comprensione.
Come si aveva avuto modo di evidenziare a suo tempo, “qui vale solo la pena di rimarcare che, verificate tutte le incongruenze ordinamentali accennate, la premessa legislativa da cui esse prendono corpo dovrebbe essere puramente e semplicemente eliminata dall’ordinamento modo tollendo tollens. Per la soluzione del problema non resta che rimandare all’infinita scienza del legislatore” [24]
Con inevitabile delusione non si può che riscontrare che talvolta non solo la matematica, ma anche la logica sono mere opinioni.
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[1] Nobile, I responsabili dei servizi nei comuni con popolazione inferiore a 3000 abitanti fra il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388. Una querelle mai sopita, in http://www.lexitalia.it.
Della vicenda si sono occupati, enucleando soluzioni sovente differenti, Maccapani, in AA.VV. Prime Note, Arial, Livorno, 2001, II, 181, Barusso, ivi, 184, Oliveri (L.), Comuni con meno di 3.000 abitanti: è possibile la gestione degli organi di governo in contemporanea con la gestione da parte del segretario comunale?, in http://www.lexitalia.it.
[2] Il riferimento, com’è ovvio, è qui da intendersi ai responsabili degli uffici e dei servizi, identificati ai sensi del combinato disposto degli artt. 107 e 109, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e degli artt. 8 ed 11 del c.c.n.l. del 31/3/1999. Sulle attribuzioni funzionali della dirigenza degli enti locali e dei responsabili degli ufficî e dei servizî ove la prima manchi in relazione alla consistenza demografica si veda per tutti: Nobile, La competenza dei dirigenti negli enti locali territoriali dopo il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 fra autoreferenzialità e contraddizioni. Un tentativo di soluzione, in http://www.lexitalia.it, nonché Le competenze dei dirigenti degli enti locali territoriali ed il sindaco-ufficiale di governo nel D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. Un tentativo di riconduzione ad unità del sistema, in http://www.lexitalia.it
[3] Per completezza è bene riportare il testo integrale della disposizione di cui all’art. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388 “gli enti locali con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio”.
[4] Sulla recente modifica legislativa, Oliveri, Si approfondiscono le differenze del regime delle competenze tra enti locali di grandi e piccole dimensioni, in http://www.lexitalia.it.
[5] Questa è infatti la rubrica dell’intero art. 29 della legge 28/12/2001 n. 448.
[6] Per effetto della integrale riscrittura e riconduzione a sistema unico del D.Lgs. 3/2/1993 n. 29, avvenuta in attuazione dell’art. 8 della legge 8/3/1999 n. 50, rimasto inattuato e riproposto nell’art. 1, comma 8 della legge24/11/2000 n. 340, il riferimento è ora all’art 52 del D.Lgs. 30/3/2001 n. 165.
[7] Sulla complessa vicenda, per tutti, Nobile, in AA.VV., Modifiche al titolo V della parte seconda della costituzione, Prime Note ZOOM 47, Arial, Livorno, 2001, 31; Nobile, Le potestà legislative dello Stato e delle Regioni ad autonomia ordinaria nel testo di riforma del titolo V della parte seconda delle costituzioni. Riflessioni in margine al nuovo testo dell’art. 117, in http://www.lexitalia.it.
[8] Vale qui la pena di rammentare che, a differenza della sistematica delineata dalla formulazione originaria dell’art. 117 Cost., nella quale le potestà legislative meramente concorrenti delle Regioni erano residuali e da intendersi in modo restrittivo rispetto a quelle generali ed esclusive dello Stato, l’attuale sistema inverte i termini dell’endiadi, prevedendo competenze residuali e tassativamene individuate in capo allo Stato, e ripartite fra Stato e Regioni, ed attribuendo alle regioni potestà residuali e generali in tutte le materie non espressamente normate. Su tutto ciò, , Le potestà legislative dello Stato e delle Regioni ad autonomia ordinaria nel testo di riforma del titolo V della parte seconda delle costituzioni. Riflessioni in margine al nuovo testo dell’art. 117, cit., nonché, pressoché pedissequamente, Miele, La riforma costituzionale del titolo V della seconda parte della Costituzione: gli effetti sull’ordinamento, in www.lexitalia.it, 2001.
[9] In questo senso, la mossa è il luogo delle regole che ne definiscono le potenzialità in e per il gioco. Su tutto ciò si veda Mazzarese, Antinomie, paradossi, logica deontica, in "R. Int. Fil. Dir.", 1987, 438; Conte (A.G.), Konstitutive Regeln und Deontik, in Morsher e Stanzinger (ed.), Etik. Akten des funfter internazionalen Wittgenstein-Symposium, Wien, 1981; Conte (A.G.), Paradigmi d'analisi della regola in Wittgenstein, loc.cit.. A differenza delle entità ludiche, per la pubblica amministrazione non è rinvenibile alcuna definizione neutra. Per essa può solo essere proposta una definizione in termini istituzionali.
[10] Su cosa le regole costitutive siano, sulla loro genesi, sulle loro differenze tipologiche, nonché sulle loro strettissime relazioni con le problematiche legati ai giochi sono magistralmente trattate da Conte (A.G.), Codici deontici, in Intorno al codice, La Nuova Italia, Firenze, 1970, 13-25; Paradigmi dell'analisi della regola in Wittgenstein, in Egidi (ed.), Wittgenstein. Momenti di una critica del sapere, Guida, Napoli, 1982, 37-82; Regola costitutiva, condizione, antinomia, in Scarpelli (ed.), La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio., Milano, Comunità, 1983, 21-39; Conte (A.G.), Materiali per una tipologia delle regole, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", 15, 1985, 345-368.
[11] Sulla materia, i tratti essenziali della quale possono essere fatti risalire a Wittgenstein, The Blue and Brown Books, Basil Blackwell, Oxford, 1958, trad. a cura di A.G.Conte, Libro blu e Libro marrone, Einaudi, Torino, 1983; Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1953, trad. a cura di M. Trinchero, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1967; Bemerkungen über die Grundlagen der Mathematik, Basil Blackwell, Oxford, 1956, trad a cura di M.Trinchero, Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, Einaudi, Torino, 1971.
[12] C.f.r. la formulazione originaria dell’art. 51, comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142.
[13] Per un’esemplificazione estremamente efficace, Popper, La natura dei problemi filosofici e le loro radici nella scienza, in Congetture e confutazioni,, Il Mulino, Bologna, 1972, I, 117. Sempre dello stesso autore, in termini esemplari, Cos’è la dialettica?, ivi, II, 539: “Si può dimostrare facilmente, infatti, che chi accettasse le contraddizioni dovrebbe abbandonare ogni specie di attività scientifica: ne seguirebbe cosí un radicale insuccesso delle scienza. Lo si può dimostrare provando che se si ammettono due asserzioni contraddittorie, si deve ammettere qualsiasi asserzione; infatti, da una coppia di asserzioni contraddittorie è possibile inferire validamente qualsiasi asserzione”
[14] Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 1980, 82 (proposizione 7).
[15] Nell’incedere del lavoro, si osserveranno per evidenti ragioni di rigore logico-espositivo, le medesime intitolazioni utilizzate in Nobile, I responsabili dei servizi nei comuni con popolazione inferiore a 3000 abitanti fra il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388, cit.
[16] Se questa è la motivazione, appare veramente sorprendente che il comma 4 dell’art. 4 della legge 28/12/2001 n. 448 sia didascalicamente intitolato all’”efficienza delle pubbliche amministrazioni”.
[17] Sul c.c.n.l. del 14/9/2000, AA.VV., Il contratto integrativo di lavoro del personale degli enti locali, Prime Note ZOOM n. 44, Arial, Livorno, 2001.
[18] Per il commento integrale del c.c.n.l. del 5/10/2001, Nobile, Il contratto di lavoro del personale degli enti locali per il biennio 2001 - 2002, Suppl. n. 11, Arial, Livorno, 2001
[19] Rispetto a tale norma, però, il testo sostanzialmente analogo da ultimo introdotto, pecca per ipocrisia: il ricorso all’avverbio “anche”, riferito “al fine di operare un contenimento della spesa”, ben lungi dall’essere una ragione meramente eventuale della deroga, di essa è l’unica ragione plausibile e concretamente pensabile, anche alla luce del regime di controllo e prova che il legislatore ha previsto, quando ha imposto che in sede di bilancio il conseguimento dell’effettivo risparmio di spesa sia documentato di anno in anno con apposita deliberazione.
[20] L’esponenzialità dei comuni rispetto alla relativa collettività stanziata sui loro territorî è chiaramente sancita dal’art. 13, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. Sulla problematica, per tutti, Marzanti, in AA.VV., Testo unico degli enti locali, Giuffrè, Milano, 2000, I, 237
[21] E’ veramente strano per non dire fortemente sospetto che questi pensamenti siano sfuggiti ai legislatori che si sono succeduti nell’ultimo torno di tempo. Già, perché di ambiti ottimali per lo svolgimento delle funzione degli enti locali discettano i pilastri della modifica della pubblica amministrazione avviata con la legge 31/31/997 n. 59, primo fra tutti il D.Lgs. 31/3/1998 n. 112 nonché il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. Su tutto ciò, Nobile, I responsabili dei servizi nei comuni con popolazione inferiore a 3000 abitanti fra il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388. Una querelle mai sopita, cit.
[22] La modifica regolamentare, in taluni casi, può essere condizione necessaria, ma non sufficiente: l’ente, se del caso, dovrà modificare propedeuticamente il contenuto programmatico degli indirizzi generali in materia di personale adottato dal consiglio, nonché il contenuto dello statuto, qualora avesse ascritto rilevanza statutaria e comunque consiliare al principio di separazione.
[23] In questo modo sono superate talune delle osservazioni svolte nel precedente lavoro, Nobile, I responsabili dei servizi nei comuni con popolazione inferiore a 3000 abitanti fra il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388. Una querelle mai sopita, cit., nel quale si osservava “In quarto luogo, la novella legislativa è priva di coerenza vista in chiave sia propedeutica, sia consequenziale.
Dal primo punto di vista è curioso l’accostamento del presupposto dei poteri di deroga al principio di separazione al modo dell’attivazione della deroga stessa. In particolare non è facilmente comprensibile come possano gli enti locali territoriali argomentare a favore della sussistenza dei presupposti per la deroga al principio di separazione dopo essersi muniti di responsabili dei servizi e degli uffici, indipendentemente dal livello professionale di inquadramento.
La normativa contrattuale vigente, infatti, prevede, per i comuni privi di dirigenza contrattualizzata, che la responsabilità dei plessi amministrativi dell’ente locale possa essere affidata a dipendenti di qualifica professionale D, ovvero, in mancanza di tali profili fra i dipendenti strutturati nell’ente, di qualifica professionale C o B (art 11, comma 3 del contratto collettivo quadro – comparto enti locali – del 31/3/1998), tali nominati proprio con decreto sindacale ai sensi dell’art. 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, sulla base della riconosciuta capacità ed idoneità ad assumere la titolarità dell’organo cui sono preposti. I regolamenti di organizzazione (rectius: degli uffici e dei servizi) devono, infatti, contenere le ragioni della deroga, che sono difficilmente argomentabili, proprio in ragione degli atti presupposti: la preposizione all’ufficio di responsabile di servizio da parte del sindaco, accompagnata dal riconoscimento dell’apposita indennità di posizione e dalla stipulazione del relativo contratto individuale di lavoro.
Dal secondo punto di vista è comunque doveroso osservare che nessun membro dell’organo esecutivo (rectius: della giunta) possa oggi sensatamente adottare con scienza e coscienza, in assenza di specifica preparazione in materia, atti a rilevanza esterna senza il conforto delle usuali attestazioni di regolarità istruttoria di competenza del responsabile del procedimento. E qui, delle due l’una: o il responsabile del procedimento è idoneo a formare lo schema di atto ed a refertarlo, ed allora è falso che l’ente manca irrimediabilmente di figure professionali idonee al compimento degli atti di gestione - ed il ragionamento vale a fortiori per il responsabile del servizio, che o è responsabile della totalità dei procedimenti del plesso, o delega tale responsabilità ad altri soggetti sottoposti - ovvero l’ente è affatto privo di professionalità purchessia, ed allora l’organo di governo deve seriamente porsi il problema di guardare in termini reali e costruttivi alle ragioni dell’esistenza dell’ente locale nella cui struttura è immedesimato.
Ciò che si intende evidenziare è che il verificarsi di un corretto assetto sostanziale nella struttura burocratica dell’ente locale non può in alcun modo fornire l’alibi formale che giustifica l’annullamento del principio della necessaria separazione fra attività di indirizzo politico ed attività di gestione, il che, detto altrimenti, significa che l’atto di gestione, provvedimentale o negoziale che sia, deve essere adottato da chi è in grado di condurre la relativa attività istruttoria e completarla ritualmente”