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n. 7-8/2011 - © copyright

RICCARDO NOBILE

Soppressione delle province per pubblici proclami:
l’ennesima grida manzoniana

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1. Introduzione.

La canicola estiva ha colpito ancora. Il caldo balneare non ha lasciato tregua. Né alle borse valori, né alle borse degli italiani. Che non hanno certo alcunché di cui poter essere allegri. Anzi, che dalle notti insonni che seguono il traballare delle certezze cui erano abituati ricavano una certezza di contrario avviso: l’era del bengodi è finita. Una buona volta per tutte.

Finita è dunque l’era della politica della spesa pubblica, del rinvio del costo dell’indebitamento alle generazioni future, della spesa pubblica come volano dell’economia secondo le note dottrine keynesiane. Ecco, ora per far politica non è piú sufficiente saper spendere, cosa che non richiede particolari abilità ed attitudini. Meglio puntare decisamente su competenze un po’ piú elevate, come saper programmare e soprattutto saper garantire il pareggio di bilancio in termini sostanziali senza ipotecare il futuro di chi ancóra non è nato.

Già, perché la spesa e l’indebitamento che conseguono alla storicizzazione dei loro processi non sono supportati da una produzione di ricchezza interna che li controbilanci. Il che significa una cosa sola: il sistema-paese vive una situazione di squilibrio della propria economia reale che affonda nella débâcle strutturale. Situazione per far fronte alla quale occorrono manovre economiche di sicura ed affidabile consistenza. Certamente non grida manzoniane diffuse per pubblici proclami. Proprio come è avvenuto con l’art. 15 del D.L. 13/8/2011, n. 138 in materia di soppressione delle province di minor taglia demografico-territoriale.

2. L’efficacia delle grida manzoniane.

Le trovate del legislatore della canicola estiva 2011 ci rinviano dritto e filato alla rotondità sonore con le quali Giuseppe Gioacchino Belli colora il giorno del giudizio universale: "Cuattro angioloni co le tromme in bocca se metteranno uno pe ccantone a ssonà: poi co ttanto de voscione cominceranno a ddì: "Ffora a cchi ttocca". Come dire: sonorità reboanti, clangore di ferro e onomatopee da singolar tenzone, ma nulla di concreto nel piatto.

Nulla di concreto in tema di soppressione delle Province. Il frutto della fretta si coglie confrontando il testo dell’art. 15, comma 1 del D.L. 13/8/2011, n. 138 con l’art. 133, comma 1 Cost. Per la prima disposizione normativa, "in attesa della complessiva revisione della disciplina costituzionale del livello di governo provinciale, a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono soppresse le Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati". Per la seconda, "il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove province nell’ambito d’una regione sono stabiliti con legge della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione".

Dalla lettura ponderatamente meditata delle due disposizioni normative si ricava un risultato a dir poco sconcertante: la soppressione delle province sfugge alla diretta potestà legislativa dello stato up to down. Come dire: a legislazione vigente lo stato non può abolire tout court le province, perché esse sono enti a rilevanza costituzionale. Ma lo stato non può neppure intervenire ex se in tal senso sopprimendo le province di asserita minor consistenza demografico-territoriale. Per addivenirvi, infatti, è necessario intraprendere un procedimento costituzionalmente determinato bottom up. Il che è esattamente il contrario di quanto delineato dal legislatore balneare. A ciò potrebbe essere obiettato che l’art. 133, comma 1 Cost. si limita a discettare di "mutamento delle circoscrizioni provinciali e [di] istituzione di nuove province nell’ambito d’una regione". L’argomentazione è debole al punto da destare il sorriso anche dell’ermeneuta piú sprovveduto: sopprimere province determina modificazione della circoscrizione territoriale degli analoghi enti restanti. E tanto basti.

Ed ora la conclusione: il processo di soppressione delle province delineato dal legislatore della canicola estiva 2011 è inconferente e non solo privo di validi aggancî costituzionali, ma addirittura in contrasto con una norma della costituzione. Dunque la soppressione illico et immediate delle province è al di fuori della portata del legislatore e per giunta invade la sfera di competenza delle regioni, rendendo attivabile l’impugnazione dell’atto avente forza di legge che la dispone per invasione della competenza regionale innanzi alla Corte costituzionale.

A poco o nulla vale poi l’art. 15, comma 2 del D.L. 13/8/2011, n. 138. Ossia la norma secondo cui "entro il termine fissato al comma 1 per la soppressione delle Province, i Comuni del territorio della circoscrizione delle Province soppresse esercitano l'iniziativa di cui all'articolo 133 della Costituzione al fine di essere aggregati ad un'altra provincia all'interno del territorio regionale, nel rispetto del principio di continuità territoriale". Tale richiamo fa sorridere per l’ingenuità: riferirsi ad un precetto sostanzialmente violato e vulnerato si commenta da solo: ed infatti, l’omessa preventiva iniziativa dei comuni non può certo essere recuperata con fantasiosi interventi di rattoppo ex post.

Ma vi è di piú, perché al peggio non v’è limite. Gli interventi sulle circoscrizioni provinciali nelle regioni ad autonomia differenziata – leggi Regioni a Statuto speciale – sfuggono punto alla potestà legislativa del legislatore ordinario. Nei loro statuti, approvati con legge costituzionale, figurano infatti diposizioni che demandano alla legislazione regionale la disciplina in via esclusiva la disciplina dell’"ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni", con l’avvertenza che essa deve essere assicurata "in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica". In questo senso si esprimono gli tutti statuti delle regioni de quibus, all’esito della modifica attuata dalla Legge costituzionale 23/9/1993, n. 2.

La conseguenza è ovvia, ed opera in duplice modo: appartiene alla potestà legislativa esclusiva delle regioni statuto speciale la disciplina dell’ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni territoriali; l’intervento attuato con l’art. 15, comma 1 del D.L. 13/8/2011, n. 138 è l’ennesima grida manzoniana urlata dal legislatore in materia di razionalizzazione della spesa pubblica in un periodo in cui occorre concretezza e non approssimazione.

Per rimediare danaro in un momento di crisi il legislatore non poteva davvero pensare a nulla di meglio: ex nihilo nihil fit.

3. Conclusione.

Il clima estivo non si confà al legislatore della fretta. Che vuole stupire con mosse ardite che di effettivo non hanno proprio un bel niente. Meglio sarebbe fermarsi e ponderare. Soprattutto quando si discute del benessere della popolazione. La cui garanzia passa attraverso reali ed efficaci manovre strutturali non ulteriormente rinviabili. Soprattutto in presenza di una situazione di vera e propria débâcle dei conti pubblici. I quali esibiscono un debito che si estende ab inferis usque ad sidera senza che vi faccia da contraltare una ricchezza prodotta quantitativamente idonea a supportarlo.

Manovre strutturali, dunque, non meri flatus vocis anche perché la verità non tarda ad essere scoperta. Quel che ci sovviene è dunque un monito per il legislatore della fretta. I proclami sono da evitare con cura. Parlare di abolizione delle province per legge ordinaria è una bufala. Qui ci fermiamo, perché quel che vi sarebbe da dire lo si coglie comunque: basta solo prestare orecchio a ciò che ne segue: un silenzio assordante.


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