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Articoli e note

n. 1/2004 - © copyright

RICCARDO NOBILE (*)

I debiti fuori bilancio nei Comuni e nelle Province. Note minime
sull’istituto alla luce dei recenti interventi legislativi in materia.

SOMMARIO: 1. Introduzione 2. La nozione di debito fuori bilancio ed il susseguirsi della normativa 3. Le fasi della spesa nella contabilità degli enti locali territoriali 4. La prima ipotesi di debito fuori bilancio 5. La seconda ipotesi di debito fuori bilancio 6. La terza ipotesi di debito fuori bilancio 7. La quarta ipotesi di debito fuori bilancio 8. La quinta ipotesi di debito fuori bilancio 9. Le recenti innovazioni legislative e la legge di riforma costituzionale 21/10/2001 n. 3.

 

1. Introduzione.

La nozione di debito fuori bilancio è di sicuro interesse, giacché, in alcune delle sue manifestazioni, investe la patologia delle fasi del perfezionamento del procedimento di spesa delle pubbliche amministrazioni e, per quel che qui interessa, degli enti locali e territoriali, ossia dei Comuni e delle Province.

La nozione di debito fuori bilancio è altresí di particolare importanza non solo in sé e per sé, ma anche in rapporto ai principî di conformità alla legge e di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, presidiati dall’art. 97, comma 1 Cost..

Infatti, se può essere ipotizzato che il procedimento di spesa sia efficace ed efficiente anche se si discosta dal paradigma normativo delineato dall’ordinamento, non può certamente sfuggire un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, il procedimento di spesa deve essere conforme alle norme che lo disciplinano, poiché l’azione della pubblica amministrazione, in quanto funzionalizzata, non è mai nella disponibilità dei suoi attori, sui quali incombe sempre l’obbligo di garantire che essa si svolga all’interno dei paradigmi della legalità.

In secondo luogo, l’azione amministrativa difforme dai proprî archetipi è sempre oggetto di doverosa segnalazione e recupero, determinando la necessità di ricorrere a correttivi di complessa attuazione che ne determinano quanto meno l’inefficienza, esponendo l’ente pubblico a rischî risarcitorî o, nella migliore delle ipotesi, a rallentamenti ingiustificati.

Di qui l’importanza di indagare l’istituto del debito fuori bilancio quale momento di emergenza della patologia dei processi di spesa, per comprenderne la ragione e delineare i punti di criticità, non sottacendo fin d’ora che al loro verificarsi è quasi sempre consequenziale la concretizzazione di specifici elementi di responsabilità.

2. La nozione di debito fuori bilancio ed il susseguirsi della normativa.

Il debito fuori bilancio, come suggerisce la stessa definizione dell’istituto, è un evento che si concretizza quando il procedimento di spesa si discosta dal proprio archetipo normativo, determinando la menomazione di uno o piú principî ordinamentali previsti a presidio della struttura del bilancio di esercizio e della sua corretta utilizzazione.

La comprensione della natura giuridica della fattispecie de qua è possibile, evidenziando in primis cosa un debito fuori bilancio non è.

Il debito fuori bilancio deve essere accuratamente distinto dalla gestione fuori bilancio, in quanto con tale evenienza non presenta punti di contatto, se non in presenza di situazioni gravemente patologiche.

La gestione fuori bilancio, infatti, si concretizza quando i procedimenti di spesa avvengono con contabilità separate, ossia senza che le relative fasi presentino comunque punti di aderenza con lo strumento contabile, conducendo ad annotazioni delle relative partite in modo occulto, ovvero perché legittimate comunque dall’ordinamento.

Il debito fuori bilancio, per contro, si concretizza quando si verificano dei meri discostamenti dai principî contabili previsti dalle normative di settore, ossia quando le fasi della spesa non sono formalmente rispondenti alle norme che le presidiano, e, pur tuttavia, la spesa stessa è comunque recuperabile al bilancio dell’ente locale.

Piú in particolare, guardando al susseguirsi della normativa in subiecta materia, il debito fuori bilancio, al di là delle ragioni che hanno portato alla sua formazione, è sempre debito recuperabile al bilancio, salve le conseguenze in tema di responsabilità amministrativa e civile che possono seguire alla sua concretizzazione.

Di qui una prima conclusione. Il debito fuori bilancio non conduce mai alla formazione di una contabilità separata delle partite che lo concretizzano, giacché l’ordinamento ad esso connette sempre la conseguenza della sua riconoscibilità. Un debito non riconoscibile, infatti, altro non è, giacché, propriamente, esso è altro.

Esso è, per definizione, un debito estraneo al bilancio, e, come tale, mai riconducibile alla contabilità dell’ente pubblico, talché esso non è debito pubblico purchessia.

In questo modo, un debito non riconoscibile dalla pubblica amministrazione è, prima di ogni altra considerazione, un debito non riconducibile comunque ad essa.

Quanto appena evidenziato può essere argomentato analizzando la normativa piú recente in materia.

Dall’esame della normativa in materia di debiti fuori bilancio si possono ricavare una série di indicazioni estremamente significative, prima fra tutte che l’ordinamento giuscontabile non fornisce alcuna definizione stipulativa dell’istituto, ma si limita ad articolare le ipotesi e l’ampiezza della sua riconducibilità nell’alveo della contabilità della pubblica amministrazione.

Per comprendere cosa un debito fuori bilancio sia occorre enucleare alcuni punti fermi e paradigmatici, non tanto sulla nozione di debito, fattispecie di precipua pertinenza dell’ordinamento sulle obbligazioni e sui contratti, ma sull’estensione e l’intensione del relativo complemento, ossia sui principî che definiscono il bilancio, rispetto al quale il debito è estraneo, ma riconoscibile.

Un utile spunto in materia è dato dall’art. 162, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che prevede che il bilancio di esercizio dei Comuni e delle Province debba essere predisposto in termini di competenza, in modo tale che le relative partite siano iscritte nel rispetto dei principî di competenza, unità, annualità, universalità ed integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità.

Tralasciando l’elemento della pubblicità, estraneo ai fini del presente lavoro, l’attenzione deve essere indirizzata ai principî di competenza, annualità, universalità e veridicità, giacché, come sarà mostrato nel prosieguo, il debito fuori bilancio si concretizza sempre in presenza della violazione di almeno uno di tali principî.

A tal proposito, può essere fatto riferimento al modo con cui essi sono intesi dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, il quale ha avuto modo di delinearne le definizioni e la portata nel proprio pronunciamento del 4/7/2002.

Nella visione sistematica di tale organismo, i principî de quibus vengono analizzati in modo compiuto, per evidenziarne i tratti salienti e le relative implicazioni ordinamentali.

Cosí, il principio dell’annualità impone che i documenti del sistema di bilancio, sia di previsione che di rendiconto, siano predisposti a cadenza annuale e si riferiscano ad un periodo di gestione che coincide con l’anno solare, nel chiaro intento di rendere cogente non tanto il riferimento ad un dato meramente formale e temporale, ma di obbligare l’ente locale ad iscrivere effettivamente tutte le poste di entrata e di spesa che afferiscono in termini sostanziali al corso dell’anno finanziario di riferimento.

Il principio dell’annualità è reso effettivo dal principio dell’universalità, che ne rafforza i contenuti. In considerazione di ciò è necessario ricomprendere nel sistema di bilancio tutte le operazioni ed i relativi valori finanziarî, economici e patrimoniali, riconducibili all’ente locale, al fine di enucleare una rappresentazione veritiera e corretta dell’andamento dell’azione dell’ente. Ciò determina l’immediata incompatibilità di tutte “le gestioni fuori bilancio, consistenti in gestioni poste in essere dall’ente locale o da sue articolazioni organizzative (…) che transitano fuori dal bilancio” e l’inammissibilità “delle contabilità separate ove le operazioni che le riguardano non siano ricondotte alle grandezze del sistema di bilancio dell’ente”.

Entrambi i principî, poi, presuppongono il rispetto del canone della veridicità ed attendibilità, il quale, dato per scontato che i termini “veridicità” ed “attendibilità” evocano il compiuto riferimento al principio internazionale del true and fair view, ripreso nella tradizione normativa e contabile italiana, impone di “rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio”.

Cosí definiti gli elementi archetipi del bilancio di esercizio, è di immediata evidenza che il debito fuori bilancio, nei termini forniti dall’art. 194, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 si configura in presenza della violazione di uno o piú dei relativi principî sottesi.

Piú in particolare, il debito fuori bilancio concretizza quasi sempre una violazione dei principî di universalità, integrità e veridicità, ossia di quei principî che impongono di iscrivere nel bilancio di esercizio tutte ed integralmente le entrate e tutte le spese che si presume di accertare o di impegnare, avendo cura di non effettuare sovrastime delle prime e/o sottostime delle seconde, in modo da evitare che il bilancio di esercizio nasca avendo in sé i germi dell’indebitamento occulto, nascondendo passività sommerse e non contabilizzate.

Dal punto di vista formale, il debito fuori bilancio altro non è che un’obbligazione che, pur essendo valida dal punto di vista giuridico in quanto determina l’insorgenza di un rapporto obbligatorio in senso civilistico, rinviene la propria scaturigine in un procedimento che non rispetta il canonico iter giuscontabile.

Esso, in buona sostanza, altro non è che una spesa propria dell’ente o comunque ad esso riconducibile a monte della quale non vi è stata la previa assunzione di un impegno di spesa, per la quale è quindi mancata la relativa registrazione contabile nei termini previsti dagli artt. 191, comma 1 e 151, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Del debito fuori bilancio, pertanto, è possibile enucleare una prima definizione che tiene conto della sua connotazione ontologica, ossia di ciò che esso propriamente è.

Ciò per osservare che, peraltro, essa non esaurisce in linea di principio la rappresentazione ordinamentale dell’istituto, giacché non ogni debito inteso in conformità alla disciplina civilistica concretizza un debito fuori bilancio riconoscibile, come è dimostrato dall’evoluzione della normativa in subiecta materia.

Con riferimento a quest’ultima, infatti, si può evidenziare che il legislatore ha operato in modo sussultorio, variamente articolando la casistica dei debiti fuori bilancio riconoscibili, prima delineandola, poi restringendola, per enuclearla in modo definitivo nell’art. 194, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che costituisce la disciplina attualmente vigente.

A ciò è bene premettere che la dicitura “debito fuori bilancio” è comparsa nel lessico legislativo per la prima volta nel testo dell’art. 1 bis, comma 3 del D.L. 1/7/1986 n. 318, convertito con modificazioni nella legge 9/8/1986 n. 488. In tale ámbito, il legislatore non ha enucleato alcun tipo di elencazione e di definizione, limitandosi a nominare la relativa fattispecie per imporre che, approvato il conto consuntivo dell’esercizio finanziario di riferimento, entro il successivo 15 ottobre il consiglio comunale dell’ente locale procedesse al relativo riconoscimento e consequenziale finanziamento, anche mediante apposito piano di rateizzazione triennale.

Il legislatore è intervenuto in un secondo momento con gli artt. 23 e 24 del D.L. 22/3/1989 n. 66 convertito con modificazioni nella legge 24/4/1989 n. 144, nel quale le relative fattispecie erano riconducibili al solo caso in cui le opere, forniture e servizî fossero state eseguite per l’espletamento di pubbliche funzioni e per i servizî di competenza. In questo caso, al precipuo fine di determinare l’emersione dei debiti fuori bilancio eventualmente esistenti, la norma prevedeva che il riconoscimento dovesse intervenire a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge 24/4/1989 n. 144 mediante l’adozione di specifiche deliberazioni consiliari, nelle quali indicare cumulativamente le ragioni della loro formazione ed i relativi mezzi di copertura finanziaria.

L’individuazione delle varie tipologie di debiti fuori bilancio è avvenuta solo con l’art. 37 del D.Lgs. 25/2/1995 n. 77, riconosciuto nella sostanza del tutto sovrapponibile con la pregressa normativa dalla Corte costituzionale con sentenza 24/10/1995 n. 446, la quale ha cosí implicitamente riconosciuto la ragionevolezza e la razionalità dell’istituto e delle sue conseguenze giuscontabili.

Il rigore che connotava la sistematica in subiecta materia è stato attenuato con l’introduzione di un differente regime di riconoscibilità dei debiti fuori bilancio attuato con l’art. 5 del D.Lgs. 15/9/1997 n. 342, che, nella sostanza, ha ampliato le ipotesi di riconoscibilità.

In attuazione dell’art. 31 della legge 3/8/1999 n. 285, gli artt. 35 e 37 del D.Lgs.25/2/1995 n.77 sono stati riprodotti pedissequamente nell’art. 194, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n.267.

In conclusione, si può evidenziare che alla connotazione ontologica del debito fuori bilancio ed alla sua definizione in termini logico-giuridici concorrono due ordini di fattori: la scelta del legislatore concretizzatasi mediante l’enucleazione di una specifica elencazione da intendersi in termini tassativi e la deviazione del procedimento di spesa dagli archetipi normativi che presiedono al suo perfezionamento.

Ciò determina la necessità di dire alcunché sul procedimento di spesa e sulle sue fasi, onde delineare i profili della sua fisiologia e della sua patologia.

3. Le fasi della spesa nella contabilità degli enti locali territoriali.

La compiuta definizione del debito fuori bilancio è possibile solo se è chiaro ed inequivoco il modo in cui si configura l’insorgenza di un valido rapporto obbligatorio fra l’ente locale ed il terzo, ossia la controparte contrattuale della pubblica amministrazione, identificata nel rispetto della normativa che disciplina l’assegnazione dei contratti in ámbito pubblicistico.

Il riferimento d’obbligo è alla fase dell’assunzione dell’impegno di spesa, propedeutico al quale è la previsione dello stanziamento di pertinenza che ha la propria sede naturale nell’intervento iscritto nel bilancio di esercizio e nel capitolo previsto nel piano esecutivo di gestione, veri e proprî strumenti di programmazione dell’azione amministrativa dell’ente locale, come, ancóra una volta, ha avuto modo di evidenziare l’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali nel suo recente pronunciamento del 3/7/2003.

A questo proposito, come precedentemente rammentato, non possono non essere richiamati i fondamentali principî di universalità, integrità e veridicità, ossia di quei principî che impongono di iscrivere nel bilancio di esercizio tutte ed integralmente le entrate e tutte le spese che si presume di accertare o di impegnare, avendo cura di non effettuare sovrastime delle prime e/o sottostime delle seconde, in modo da evitare che il bilancio di esercizio nasca avendo in sé i germi dell’indebitamento occulto, nascondendo passività sommerse e non contabilizzate.

E’, infatti, di immediata evidenza che la fase dell’assunzione dell’impegno di spesa costituisce attuazione degli strumenti di programmazione primaria e secondaria dell’attività dell’ente locale solo e soltanto se supportata da una corretta previsione, in assenza della quale è inevitabile l’evidenziazione di fenomeni di indebitamento occulto che finiscono fatalmente con il concretizzare debiti fuori bilancio.

Quanto alla fase dell’assunzione dell’impegno di spesa, in assenza del corretto esplicarsi della quale si è in presenza di un debito fuori bilancio, deve essere rammentato che l’ordinamento giuscontabile distingue l’impegno amministrativo di spesa dall’impegno contabile.

L’endiadi “impegno amministrativo – impegno contabile” ha un preciso fondamento nella normativa, la quale riconnette il primo all’art. 183, comma 1 del D.Lgs. 18/872000 n. 267, ed áncora il secondo al combinato disposto degli artt. 191, comma 1 e 151, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Cosí, per quanto attiene all’impegno amministrativo, il riferimento all’art. 183 del D.Lgs. 18/9/2000 n. 267 evidenzia che esso si concretizza nel momento il cui sorge l’obbligazione tra l’ente locale ed il terzo fornitore del servizio o della fornitura ovvero fra l’ente locale e l’esecutore del lavoro.

Quanto all’impegno contabile, dall’esame del combinato disposto degli artt. 191, comma 1 e 151, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 si evince che nessun atto di impegno di spesa è efficace se non munito del prescritto visto che ne attesta la copertura finanziaria, e che l’esecutività del relativo provvedimento deve essere comunicata al terzo interessato, con ciò volendo dire che a quest’ultimo deve essere comunicata sia l’assunzione dell’impegno di spesa, sia la sua registrazione contabile contestualmente all’ordinazione della prestazione.

La conclusione che si trae dalla presenza dell’obbligo di comunicazione dell’impegno di spesa e della sua registrazione non è semplice, ma duplice.

In primo luogo, è solo dal momento della comunicazione di cui all’art. 191, comma 4 del D.Lgs 18/8/2000 n. 267 che sussiste il rapporto obbligatorio fra l’ente locale ed il terzo, ossia un rapporto negoziale del quale è sicuramente parte la pubblica amministrazione alla quale è riferibile il bilancio di esercizio.

In secondo luogo, il perfezionamento dell’impegno contabile è condizione necessaria, ma non sufficiente per la concretizzazione dell’impegno amministrativo di spesa, ossia per il venire ad esistenza del rapporto obbligatorio fra l’ente locale ed il terzo controparte contrattuale.

Il debito fuori bilancio, come cennato di passaggio, si verifica in una delle sue ipotesi piú frequenti proprio in presenza della violazione dell’art. 191, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, come del resto si evince per tabulas dal successivo art. 194, comma 1, lett. e).

Esso, peraltro, si verifica per ragioni sostanzialmente identiche anche nelle restanti ipotesi previste dalla norma, quantunque le motivazioni che lo generano sono in tali casi al di fuori della disponibilità e della responsabilità immediata dell’ente locale.

La comprensione delle ragioni di questa affermazione è possibile solo analizzando le varie fattispecie di debito fuori bilancio previste dall’art. 194, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Di esse, pertanto, è bene dire partitamente.

4. La prima ipotesi di debito fuori bilancio.

La prima ipotesi di debito fuori bilancio riconoscibile si verifica in presenza della formazione di una sentenza passata in autorità di cosa giudicata, con la quale l’ente locale è stato condannato al pagamento di una somma di danaro.

Solo in questo momento, infatti, il debito a carico dell’ente locale concretizza i requisiti della certezza, in quanto ne viene determinato l’ammontare, della liquidità, giacché è solo a partire da tale momento che esso assume la sua natura di debito di valuta, e della esigibilità, poiché è dalla formazione del giudicato sulla sentenza di condanna che vengono meno tutte le condizioni e tutti gli ostacoli al pagamento della somma dovuta al creditore da parte della pubblica amministrazione.

Ciò determina che l’ente locale, riconosciuto debitore della somma di danaro, debba procedere all’adempimento dello iussum iudicis null’altro potendo eccepire, giacché la sentenza di condanna, per effetto della sua forza di autorità di cosa giudicata, costituisce di per sé il tramite mediante il quale la somma di danaro dovuta è attratta nella contabilità dell’ente locale, indipendentemente dal rapporto sottostante che l’ha generata.

Di qui una prima conclusione: la sentenza di condanna passata in giudicato è di per sé condizione necessaria e sufficiente della legittimazione e della riconoscibilità del debito da parte della pubblica amministrazione.

E’ evidente, pertanto, che la ragione del debito accertato dal giudice nel corso del processo può rinvenire la propria scaturigine in un qualunque fatto purché idoneo a produrla, e quindi in presenza di un illecito sia contrattuale, sia extracontrattuale, nonché di altri fatti comunque previsti dall’ordinamento quali la negotiorum gestio o l’indebito arricchimento comunque concretizzatosi, ovvero la pronuncia al pagamento di somme derivanti dalla costituzione di parte civile nel corso di un processo penale.

La fattispecie del riconoscimento del debito fuori bilancio per sentenza è presa in considerazione dall’art. 194, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

In quest’ipotesi, verificata la quale il contenuto del giudicato deve essere eseguito indipendentemente da ogni altra considerazione, il debito fuori bilancio matura nel momento in cui sulla condanna all’obbligo di pagare si forma il giudicato in senso formale e sostanziale.

Ciò vale ad identificare l’esercizio di competenza al quale deve essere riferita l’iscrizione della relativa partita contabile, successivamente alla quale alla pubblica amministrazione non resta che perfezionare il procedimento di erogazione della spesa a cura del dirigente o di altro soggetto identificato secondo i regolamenti interni dell’ente locale al quale è riconducibile l’oggetto della spesa.

La sentenza sulla quale si è formata l’autorità di cosa giudicata non esaurisce il referente, e quindi l’estensione e l’intensione, della disposizione legislativa di cui all’art. 194, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Alla sentenza passata in autorità di cosa giudicata, infatti, è equiparata la sentenza non ancóra definitiva, ma dichiarata provvisoriamente esecutiva, con la quale l’ente locale è stato condannato al pagamento di somme di danaro a titolo di provvisionale o per qualsiasi altra ragione, sia pure in presenza della possibilità di esperire ed interporre gli usuali mezzi di impugnazione ordinaria previsti dal codice di procedura civile, e quindi il ricorso in appello ed il ricorso per cassazione.

Alle due ipotesi appena descritte può essere equiparato il caso in cui, in base a motivate e documentate ragioni, l’ente locale ritenga di non interporre gravame o appello avverso alla sentenza di condanna sopraggiunta, soprattutto quando le motivazioni della mancata interposizione dell’impugnazione sono connesse ai requisiti dell’azione processuale, quale ad esempio la sopravvenuta carenza di interesse nei termini previsti dal combinato disposto degli artt. 99 e 100 c.p.c..

In questi casi, l’azione processuale si estingue per effetto del venir meno dell’efficacia ripristinatoria della pronuncia giurisdizionale, determinando l’assoluta inutilità di impugnazioni, che avrebbero fini palesemente tuzioristici e dilatorî, con possibilità di emergenza di elementi di responsabilità amministrativa eventualmente sindacabili dinanzi alla Corte dei conti.

A proposito della fattispecie in esame deve essere osservato che la ricerca della condanna e del formarsi del relativo giudicato sulla sentenza che la dispone è sovente un comodo espediente al quale l’ente locale ricorre per evitare di porre in essere atti e comportamenti dirimenti nel corso del rapporto obbligatorio con il terzo.

In questo modo, l’ente locale viene invogliato ad evitare di esplorare la fattibilità di ipotesi transattive, che comprimono se non altro l’ammontare della rivalutazione economica e degli interessi moratorî dovuti, ai quali la pubblica amministrazione non può sottrarsi poiché è difficile pensare alla possibilità di sindacato sulle ragioni degli appelli interposti in corso di giudizio, salve le ipotesi di appello temerario.

Alla sentenza propriamente intesa, infine, deve essere equiparato per ragioni sistematiche il decreto ingiuntivo non opposto nei termini previsti dall’art. 645 c.p.c.. Anche il decreto ingiuntivo non opposto, quantunque non abbia la forma della sentenza, ne condivide la ratio: in presenza di un decreto ingiuntivo non opposto, infatti, il giudice determina l’ammontare di un credito nei confronti dell’ente locale, in termini di certezza, liquidità ed esigibilità.

5. La seconda ipotesi di debito fuori bilancio.

La seconda ipotesi di debito fuori bilancio riconoscibile si configura in presenza della copertura di disavanzi di consorzî, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti derivanti dallo statuto, dalla convenzione o dall’atto costitutivo, sempre che sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’art. 114 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ed il relativo disavanzo di esercizio derivi da fatti di gestione.

La norma desumibile dalla disposizione di cui all’art. 194, comma 1, lett. b) del D.Lgs.18/8/2000 n. 267 presenta evidenti elementi di complessità connessi alla sua articolazione ed ai relativi elementi costitutivi che la connotano.

Il riferimento operato dalla norma ha ad oggetto la complessa tematica della gestione dei servizî a vantaggio della comunità stanziata e fluttuante sul territorio dell’ente locale, e quindi, in ultima analisi, i risultati della gestione economico-finanziaria degli organismi che li rendono, i quali determinano comunque la spendita di pubblico danaro sovente in modo non disgiunto dall’ente locale al quale sono connessi.

I soggetti per i quali l’ordinamento considera ammissibile il riconoscimento di debiti fuori bilancio sono tassativamente indicati dalla norma, e sono i consorzî, le aziende speciali e le istituzioni, ossia taluni dei soggetti mediante i quali, ovvero per mezzo della partecipazione ai quali, l’ente locale disimpegna l’erogazione di servizî pubblici locali nella definizione fornita dall’art. 112 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

I soggetti della gestione dei servizî pubblici, stante l’elencazione legislativa che li inerisce ed il suo contenuto, sono quelli mediante i quali l’ente locale organizza l’erogazione di servizî a rilevanza imprenditoriale nei termini indicati dall’art. 2082 c.c., fatta salva l’ipotesi dell’istituzione per le ragioni che saranno in appresso indicate.

Il dato enunciato è supportato da precisi riferimenti testuali, i quali rilevano in modo non semplice, ma duplice.

Essi, infatti, sono strettamente relazionati sia con l’elemento strutturale del soggetto che gestisce in concreto il servizio pubblico locale, sia con le modalità del concorso all’eventuale finanziamento della sua contabilità da parte dell’ente locale partecipante o istitutore.

I consorzî cui fa riferimento l’art. 194, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 sono quelli di cui al precedente art. 31. Essi, nella loro poliedricità, possono essere istituiti per la gestione di tre evenienze distinte: servizî a carattere imprenditoriale, pubbliche funzioni e servizî a contenuto sociale.

La prima fattispecie di consorzio cui l’ente locale può partecipare è quello costituito per la gestione di un servizio a rilevanza imprenditoriale nei termini indicati dall’art. 2082 c.c., come si desume dal rinvio esplicito operato dal legislatore nei confronti delle norme che disciplinano l’azienda speciale. In questo caso, si è in presenza di un soggetto giuridico distinto, munito di una sua propria personalità giuridica, al quale partecipano piú enti locali territoriali, munito di specifici organi gestionali e di una propria ed autonoma contabilità.

La seconda fattispecie di consorzio cui l’ente locale può partecipare è quello per la gestione non già di servizî pubblici locali, ma di pubbliche funzioni. Tale forma gestionale rappresenta una sorta di sviluppo organizzativo della piú semplice forma della mera convenzione di cui all’art. 30 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, rispetto alla quale evidenzia la complicazione dovuta alla presenza di specifici organi deputati alla gestione, nonché di un’organizzazione di mezzi e personale autonoma rispetto a quella degli enti locali partecipanti. In questo caso, il servizio gestito può non avere rilevanza imprenditoriale, il che giustifica la cedevolezza del richiamo alle norme previste per la disciplina delle aziende speciali, operativo in quanto esse siano compatibili.

La terza fattispecie di consorzio cui l’ente locale può partecipare è quella per la gestione di servizî a rilevanza sociale, per i quali il requisito dell’imprenditorialità nei termini previsti dall’art. 2082 c.c. è di piú sfumata connotazione. L’evenienza avuta presente dal legislatore è quella nella quale due o piú enti locali si consorziano per dare vita ad una istituzione sovracomunale nei termini previsti dal combinato disposto degli artt. 31, commi 1 ed 8 e 114, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Piú semplice è la rappresentazione delle ragioni sottese alle fattispecie delle aziende speciali e delle istituzioni.

Le prime, disciplinate dall’art. 114, commi 1, 3, 4, 5 e 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 sono enti il cui ámbito di soggettività si concretizza nel riconoscimento della personalità giuridica, da intendersi quale autonomia patrimoniale perfetta in senso civilistico. L’azienda speciale, in quanto ente strumentale dell’ente locale, gestisce servizî pubblici locali a rilevanza imprenditoriale, di regola riconducibili alla nozione di imprenditore commerciale indicata dall’art. 2095 c.c..

Le seconde, disciplinate dall’art. 114, commi 2, 3, 4, 5 e 6 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 sono enti dotati di specifica soggettività, intesa quale ámbito di imputazione di attività e di conseguenze giuridiche, ma sono sforniti di personalità giuridica e quindi non hanno autonomia patrimoniale perfetta. Per questa ragione, l’ordinamento ha previsto che le istituzioni possano svolgere solo servizî sociali, ossia servizî nei quali, proprio in ragione del loro contenuto, il costo di erogazione eccede gli introiti comunque ottenuti.

Nessun ostacolo sussiste a che l’ente locale finanzi il bilancio sia delle aziende speciali, sia delle istituzioni, sia dei consorzî con proprî trasferimenti, come è del resto previsto dall’art. 114, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, il quale li contempla espressamente.

Questa disposizione non può essere letta isolatamente, ma deve essere doverosamente analizzata in combinato disposto con il successivo comma 6, ultima proposizione. Esso, infatti, prevede espressamente che l’ente locale debba provvedere all’eventuale copertura dei costi sociali comunque connessi al servizio gestito, affinché sia assicurato a preventivo e verificato a consuntivo il pareggio di bilancio, il che, detto in altri termini, impone sull’ente locale uno specifico obbligo di attivazione non altrimenti eludibile.

L’insieme delle osservazioni enucleate è di imprescindibile importanza per comprendere quali sono gli ámbiti nei quali è ammissibile che l’ente locale possa procedere al riconoscimento dei eventuali debiti fuori bilancio comunque connessi all’attività svolta da consorzî, aziende speciali e istituzioni.

La riconoscibilità dei debiti fuori bilancio da parte dell’ente locale in subiecta materia è subordinata al verificarsi congiunto di una série di presupposti, taluni dei quali di tipo normativo, talaltri di natura piú propriamente contabile.

Presupposto fondamentale affinché l’ente locale possa procedere al riconoscimento dei debiti fuori bilancio è che nella formazione del bilancio previsionale del consorzio, dell’azienda speciale e dell’istituzione sia stato rispettato il principio fondamentale del pareggio di bilancio. L’obbligo, oltre che espressione di un superiore principio di buona amministrazione, deriva direttamente dal combinato disposto degli art. 194, comma 1, lett. b) e 114, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, evenienza da assicurare anche tenendo conto degli eventuali trasferimenti provenienti dall’ente locale consorziato o istitutore.

Da ciò deriva súbito che non è possibile procedere al riconoscimento di debiti fuori bilancio quando nella formazione del bilancio previsionale del consorzio, dell’azienda speciale e dell’istituzione sono stati violati i principî giuscontabili di universalità, integrità e veridicità, ossia di quei principî che, come piú volte rimarcato, impongono di iscrivere nel bilancio di esercizio tutte le entrate e tutte le spese che si presume di accertare o di impegnare, avendo cura di non effettuare sovrastime delle prime e/o sottostime delle seconde, in modo da evitare che il bilancio di esercizio nasca avendo in sé i germi dell’indebitamento occulto, nascondendo passività sommerse e non contabilizzate.

Tutto ciò ha conseguenze non semplici, ma molteplici.

In primo luogo, pone con estrema chiarezza il problema della formazione di un assetto tariffario che sia ispirato a sani principî aziendali, in modo tale da consentire l’evidenziazione di poste in entrata in grado di supportare una corretta rappresentazione della spesa corrente e di investimento. Ciò consente di evitare che il mantenimento di un assetto tariffario non adeguato al reale fabbisogno di bilancio del consorzio, dell’azienda speciale e dell’istituzione conduca ad un’inevitabile compressione di fatto della spesa, celandone il reale fabbisogno.

In secondo luogo, determina che l’ente locale, qualora vi siano, deve farsi carico della copertura dei costi sociali del servizio, predisponendo i relativi stanziamenti di spesa nel proprio bilancio di previsione, operando i necessarî raccordi fra la contabilità propria e quella dei proprî enti strumentali.

L’ammissibilità del riconoscimento di eventuali debiti fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, oltre al limite rappresentato dal previo rispetto del principio del pareggio reale del bilancio previsionale del consorzio, dell’azienda speciale o dell’istituzione, incontra due ulteriori limitazioni.

La prima è di carattere operativo, ed è una conseguenza mediata del principio appena enunciato. La norma, infatti, nel prevedere che il riconoscimento dell’eventuale debito fuori bilancio debba derivare da fatti di gestione, esclude a contrario che il disavanzo possa derivare da fatti di programmazione connessi alla rappresentazione delle poste di entrata e/o uscita in sede di bilancio previsionale.

Le minori entrate e/o le maggiori spese occorse durante l’esercizio finanziario, in altri termini, devono essere connesse ad un andamento gestionale i cui aspetti programmatorî debbono essere stati correttamente rappresentati a preventivo.

Non sono, pertanto, riconoscibili i debiti fuori bilancio che derivino dalla mancata previsione nel bilancio dell’ente locale dei fondi mediante i quali coprire i costi sociali del servizio, e dalla consequenziale mancata previsione delle relative poste di entrata nel bilancio previsionale del consorzio, dell’azienda speciale o dell’istituzione.

Per contro, sono riconoscibili i debiti fuori bilancio che abbiano il loro fondamento e momento genetico in fatti gestionali puri, quali i cali di utenza, gli interventi manutentivi straordinarî, le innovazioni derivanti dall’adempimento indilazionabile alla normativa sopraggiunta, ed in generale tutte le evenienze etiologicamente connesse al normale andamento del ciclo di erogazione del servizio al di fuori della disponibilità degli organismi gestionali degli enti de quibus.

Il riconoscimento degli eventuali debiti fuori bilancio per la copertura di disavanzi di consorzî, aziende speciali o istituzioni incontra un ultimo limite di carattere normativo, rappresentato dalle limitazioni póste dal loro statuto, dal loro atto costitutivo o dalla relativa convenzione, o piú propriamente dal contratto di servizio che li avvince all’ente locale territoriale.

Detto in altri termini, il riconoscimento di eventuali debiti fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è evenienza che deve essere prevista in termini quali-quantitativi dagli atti fondamentali dei consorzî cui l’ente locale partecipa, ovvero delle aziende speciali e delle istituzioni da esso create per garantire l’erogazione di servizî pubblici localizzati sul territorio.

6. La terza ipotesi di debito fuori bilancio.

La terza ipotesi di debito fuori bilancio riconoscibile si configura qualora sia necessario procedere, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da leggi speciali, alla ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l’esercizio di servizî pubblici locali.

L’art. 194, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che disciplina la relativa fattispecie, presenta una minore complessità interpretivo-applicativa, in quanto piú chiari sono i presupposti necessarî per la sua attivazione.

La norma limita la propria sfera di attività alle sole società di capitali in quanto esse sono le uniche per le quali è previsto un limite minimo alla dotazione di capitale iniziale ed in corso di funzionamento, facendo riferimento verosimilmente alla disciplina delle società per azioni e delle società a responsabilità limitata.

Il riconoscimento dell’eventuale debito fuori bilancio della società di capitali è ammissibile solo e soltanto per fare fronte alla necessità di procedere alla sua ricapitalizzazione. Ciò accade, segnatamente, quando per fatti connessi alla gestione, il patrimonio sociale si attesta al di sotto del capitale minimo normativamente necessario, il quale è poi una variabile dipendente del tipo di società di capitali di volta in volta sub iudice.

In tali ipotesi, l’ente locale, sempre che non intenda attivare le procedure di messa in liquidazione della società, ovvero abbandonare la compagine sociale pluricomunale eventualmente formatasi, è tenuto al concorso alla ricapitalizzazione.

Ciò avviene normalmente mediante un complesso iter in cui sono coinvolti sia la società partecipata, sia l’ente locale partecipante. Esso si articola nelle fasi dell’adozione della deliberazione assembleare di riduzione di capitale, nella successiva deliberazione di aumento di capitale o di ricapitalizzazione e nella successiva deliberazione del consiglio dell’ente locale di sottoscrizione del relativo aumento, previo riconoscimento del relativo debito fuori bilancio.

L’ipotesi di cui all’art. 194, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è operante anche nel caso in cui due o piú enti locali abbiano trasformato una società di capitali multicomunale in un consorzio organizzato nella forma della società di capitali, in quanto assume preminenza, in questo caso, non tanto la forma consortile, quanto il modello giuridico finale mediante il quale una pluralità di enti locali si sono organizzati per rendere, previo convenzionamento, un servizio pubblico locale sovracomunale.

7. La quarta ipotesi di debito fuori bilancio.

La quarta ipotesi di debito fuori bilancio riconoscibile si configura in presenza di procedure espropriative o di occupazione d’urgenza funzionalmente connesse all’esecuzione di opere di pubblica utilità.

La fattispecie delineata dall’art. 194, comma 1, lett. d) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, stante il carattere meramente compilativo della relativa normativa, è stata strutturata sulla previgente disciplina in materia di espropriazione ed occupazione d’urgenza in dipendenza dell’esecuzione di opere di pubblica utilità.

Come noto, al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 le fattispecie dell’espropriazione e dell’occupazione d’urgenza per la realizzazione di opere di pubblica utilità erano normate dalla legge 25/6/1865 n. 2359, modificata in parte qua dalla legge 18/12/1879 n. 5188, dal R.D. 8/2/1923 n. 422 e dalla legge 20/3/1968 n. 391, dalla legge 22/10/1971 n. 865, dalla legge 28/1/1977 n. 10 in materia di determinazione della relativa indennità, dal D.P.R.24/7/1977 n. 616 in materia di trasferimento dei poteri espropriativi e di occupazione d’urgenza ai comuni, e dalla legge 3/1/1978 n. 1, che aveva finito col generalizzare il sistema di dichiarazione implicita di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza, rinviando il momento della dichiarazione dello stato di consistenza al momento della effettiva presa di possesso.

In materia di espropriazione e di rappresentazione contabile della posta relativa al pagamento dell’indennità di occupazione e di espropriazione è poi intervenuta la legge 11/2/1994 n. 109, modificata, per quel che qui interessa, dalla legge 18/11 1998 n. 415 e dalla legge 1/8/2002 n. 166 che, ancorando all’approvazione della progettazione definitiva la dichiarazione implicita di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza dell’opera, ne ha imposto la quantificazione a preventivo in tale momento, unitamente alla fissazione dei termini iniziali e finali del procedimento di espropriazione.

E’ noto che lo specifico regime di impugnazione dei provvedimenti di determinazione delle indennità espropriative e di occupazione d’urgenza mediante i ricorsi di opposizione alla stima, attivabile nel caso della sua mancata accettazione ai sensi dell’art. 19 della legge 22/10/1971 n. 865 conduceva a processi di cognizione innanzi alla Corte d’appello che sovente venivano definiti successivamente all’avvenuta realizzazione dell’opera, determinando sensibili incrementi di spesa rispetto alle originarie prospettazioni.

Attualmente l’intera fattispecie dell’espropriazione e della relativa occupazione d’urgenza è normata dal D.P.R. 8/6/2001 n. 327, che, peraltro, non ha risolto il problema della sopravvenienza di costi aggiuntivi in materia espropriativa rispetto agli appostamenti finanziarî contenuti nella progettazione definitiva ed esecutiva dell’opera pubblica.

Proprio per consentire il recupero al bilancio dell’ente locale del maggior costo di espropriazione e di occupazione d’urgenza, l’art. 194, comma 1, lett. d) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 consente il riconoscimento del debito fuori bilancio per la parte corrispondente alla maggior somma determinata in sede di definitivo giudizio sul suo ammontare.

La norma rende possibile, pertanto, il riconoscimento del relativo debito fuori bilancio, con l’accortezza che la sua operatività non è circoscritta alle sole opere pubbliche, ma anche alle opere di pubblica utilità.

La norma, per contro, non opera in caso di accessione invertita, ossia ogni qualvolta l’immissione in possesso dell’area e la relativa procedura espropriativa non siano avvenute nel rispetto della normativa di riferimento, perché attuate, ad esempio, sine titulo, oltre i termini indicati nel provvedimento di espropriazione, nell’assenza della fissazione dei termini espropriativi, ovvero in presenza di un provvedimento espropriativo o di occupazione d’urgenza oggetto di ricorso giurisdizionale solo successivamente annullato, ma non interessato dalla sospensione cautelare dei relativi effetti medio tempore.

In questo caso, la sentenza che accerta l’avvenuta accessione invertita contiene normalmente anche la condanna al risarcimento del danno che trova il proprio fondamento nell’illecito extracontrattuale commesso dalla pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c., con conseguente trasformazione del relativo debito di valore in debito di valuta e consequenziale attivazione delle procedure di riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

8. La quinta ipotesi di debito fuori bilancio.

La quinta ipotesi di debito fuori bilancio riconoscibile si configura in presenza di acquisizioni di beni e servizî avvenuti nell’espletamento di pubbliche funzioni e servizî di competenza, ma in violazione degli obblighi previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente locale.

Analizzando i termini della fattispecie delineata dall’art. 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 si evince che per essere in presenza di un debito fuori bilancio riconoscibile occorre che si verifichi la contestuale concomitanza di tre fattori.

In primo luogo, la completa assenza di un procedimento di erogazione di spesa, ovvero la presenza di un procedimento di spesa irregolarmente posto in essere, ossia attuato in violazione delle regole giuscontabili che presiedono alla correttezza dell’iter procedimentale che deve essere seguíto per assicurarne la rispondenza alla normativa.

In secondo luogo, dimostrare che, pur in assenza del prescritto procedimento di spesa, ovvero in presenza di una sua irregolare formalizzazione, l’ente locale ha comunque tratto accertati e dimostrati vantaggî, legislativamente identificati in specifiche utilità con conseguente arricchimento.

In terzo luogo, essere in presenza dell’esercizio di pubbliche funzioni o servizî di competenza dell’ente locale.

Quanto al primo elemento costitutivo della fattispecie, il debito fuori bilancio deve essersi concretizzato a séguito del mancato rispetto dell’assunzione del prescritto impegno contabile di spesa secondo quanto stabilito dal combinato disposto degli artt. 151, comma 4 e 191, comma 1, 2, 3 e 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, evenienza che condiziona il successivo perfezionarsi dell’impegno amministrativo di spesa nei termini previsti dall’art. 183, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Da quanto appena evidenziato discende che l’art. 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, per essere rettamente inteso, deve essere letto in combinato disposto con tali disposizioni legislative, evenienza che sola consente di addivenire ad una ricostruzione sistematica ed organica della fattispecie.

Ciò può essere meglio compreso osservando che l’ordinamento giuscontabile ha enucleato un vero e proprio procedimento di spesa che, presupposte le procedure ad evidenza pubblica per il rinvenimento del legittimo contraente con il quale astringere il rapporto negoziale, si snoda attraverso due momenti indefettibili: l’assunzione dell’impegno di spesa ai sensi dell’art. 183, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e la sua registrazione contabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 151, comma 4 e 191, comma 1.

Solo successivamente a tale momento, il funzionario competente ratione materiae può procedere all’ordinazione della prestazione, situazione che, a parte l’arcaicità del linguaggio legislativo utilizzato, può essere disaggregata a sua volta in una série di momenti congiuntamente elencabili: l’attestazione della copertura finanziaria, la registrazione dell’impegno contabile, la formazione dell’esecutività del provvedimento determinativo o deliberativo, la comunicazione dell’impegno di spesa contabilmente registrato, l’ordinazione della prestazione, l’avvertenza che nel titolo fiscalmente rilevante da emettere per richiedere il pagamento del prezzo deve essere indicato quanto contenuto nella comunicazione resagli ai sensi dell’art. 191, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Quanto appena evidenziato pone un primo problema di ordine giuridico, ossia se ai fini del rispetto del dato normativo sia effettivamente necessario il congiunto verificarsi di tutti gli elementi nei quali è disaggregabile la comunicazione al terzo interessato.

La risposta al problema può essere fornita osservando che se l’ordinazione della prestazione è il contenuto principale della comunicazione da indirizzare al terzo interessato, quest’ultima di per sé presuppone l’avvenuta assunzione dell’impegno di spesa, l’attestazione di copertura finanziaria e la sua consequenziale registrazione contabile.

Gli elementi della comunicazione del funzionario responsabile al terzo interessato, pertanto, si esauriscono in tre momenti, congiuntamente assorbenti: la partecipazione al terzo interessato dall’avvenuta assunzione dell’impegno di spesa, il conseguimento dell’esecutività del provvedimento per effetto dall’attestazione di copertura finanziaria, l’avvertenza che nella fattura a supporto della richiesta di pagamento del prezzo devono essere indicati gli estremi della comunicazione a lui indirizzata.

Ricostruita la fase della comunicazione al terzo interessato in questi termini, diviene evidente che l’ordinazione della prestazione al terzo interessato altro non è che una richiesta di adempimento della prestazione dedotta in obbligazione e che la mancata comunicazione al terzo interessato costituisce possibilità di legittima sospensione dell’adempimento della prestazione su di lui gravanti.

Il terzo interessato, peraltro, è facultizzato a sospendere o differire l’esecuzione delle prestazioni dedotte in obbligazione, ben potendo dare comunque luogo all’esecuzione del rapporto obbligatorio, domandando il pagamento del prezzo corrispettivo direttamente all’ente locale. In questo caso, l’adempimento dell’assetto prestazionale da parte del terzo interessato, in assenza della comunicazione di cui all’art. 191, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, costituisce momento di emergenza di un debito fuori bilancio riconoscibile ai sensi del successivo art. 194, comma 1, lett. e).

La situazione si pone in termini sostanzialmente analoghi per l’esecuzione di spese economali, per le quali, in considerazione dei dati strutturali del relativo procedimento per il quale vige il principio dell’anticipazione su fondi assegnati all’agente contabile, la comunicazione da effettuare al terzo interessato deve contenere il riferimento ai relativi regolamenti, all’impegno di spesa assunto, nonché agli estremi della sua imputazione al bilancio di esercizio ed al piano esecutivo di gestione.

La situazione si pone, per contro, in termini sostanzialmente differenti in presenza di lavori di somma urgenza, resisi necessarî a séguito di eventi eccezionali o comunque imprevedibili.

In quest’ipotesi, che ha ad oggetto i lavori di somma urgenza nell’accezione fornita dagli artt. 146 e 147 del D.P.R. 21/12/1999 n. 554 effettuati in situazione di scoperto finanziario, l’ordinamento consente il recupero alla contabilità dell’ente locale mediante il perfezionamento postumo del procedimento di spesa tramite l’adozione di un’apposita determinazione dirigenziale, alla quale segue l’assunzione dell’impegno contabile nei termini precedentemente visti e la relativa comunicazione al terzo interessato.

E’ di immediata evidenza che, in questo caso, il rapporto obbligatorio comunque perfezionatosi in presenza dell’ordinazione dell’esecuzione dell’opera di somma urgenza intercorre naturaliter fra il terzo esecutore e la pubblica amministrazione, sempre che la regolarizzazione della spesa sia effettuata ritualmente, ossia entro 30 giorni dall’avvenuta ordinazione delle prestazioni, e quindi dalla richiesta di adempimento delle prestazioni dedotte in obbligazione nei termini sopra evidenziati.

Qualora l’ordinazione delle opere di somma urgenza sia stata effettuata nel corso del mese di dicembre, peraltro, la regolarizzazione deve essere comunque effettuata garantendo il rispetto del principio della competenza finanziaria. E’ per questa ragione che l’art. 191, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 prevede che essa debba essere comunque perfezionata entro il 31 dicembre dell’esercizio finanziario di competenza, ossia entro il termine dell’esercizio finanziario nel quale è avvenuta l’ordinazione dei lavori di somma urgenza.

Quanto alla violazione del dato formale rappresentato dal combinato disposto degli artt. 194, comma 1, lett. e) e 191, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, è possibile evidenziare una serie di ipotesi.

Cosí, in primo luogo, può accadere che venga richiesta l’esecuzione di prestazioni a contenuto obbligatorio in completa assenza di un valido provvedimento determinativo da parte del dirigente ai sensi dell’art. 107, comma 3, lett. c) e d) del D.lgs. 18/8/2000 n. 267, ovvero del combinato disposto degli artt. 107, comma 3, lett. c) e d) e 109, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e degli artt.8 e 11 del c.c.n.l. 31/3/1999 nel caso in cui l’ente locale sia sprovvisto di figure dirigenziali.

In quest’ipotesi, la prestazione resa dal terzo è la conseguenza di una vera e propria inerzia procedimentale da parte del dirigente o del responsabile della relativa posizione organizzativa, con la conseguenza che, in questo caso, si è nell’impossibilità di perfezionare un impegno contabile purchessia e, conseguentemente, di dare corpo ad un impegno amministrativo di spesa.

Ciò determina che, in base alle regole per la formazione del contratto secondo la disciplina civilistica, il rapporto obbligatorio si forma fra il dipendente pubblico ed il terzo, fino a quando non sia stato riconosciuto il relativo debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, come del resto è espressamente previsto dal precedente art. 191, comma 4, secondo il quale “il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile (…), tra il privato fornitore e l’amministratore finanziario o il dipendente che hanno consentito la fornitura”.

Come si è avuto modo di evidenziare di passaggio, peraltro, il terzo può sempre chiedere l’adempimento del pagamento del prezzo direttamente alla pubblica amministrazione. Quest’ultima, soprattutto quando con proprî atti formali o comportamenti concludenti si è appropriata delle utilità (o per meglio dire, dei beni della vita) che derivano dall’esecuzione delle prestazioni del terzo, può procedere al riconoscimento del debito fuori bilancio nei limiti del vantaggio conseguito, fermo restando che ad essa non possono essere comunque fatte gravare le conseguenze ulteriori ed altre rispetto al vantaggio ottenuto misurato in termini di utilità ed effettivo arricchimento.

Per contro, nel caso in cui l’ente locale non abbia tratto alcun tipo di utilità o di arricchimento per effetto dell’esecuzione delle prestazioni da parte del terzo, a quest’ultimo non resterà altro se non richiedere il pagamento del prezzo direttamente al dipendente, senza che questi possa eccepire alcunché.

In secondo luogo, può accadere che, adottata la relativa determinazione dirigenziale, conseguitane l’esecutività per avvenuta apposizione del visto di regolarità contabile, e quindi perfezionato il relativo impegno contabile di spesa, il dirigente od il dipendente a ciò preposto secondo i rispettivi regolamenti interni, ometta la comunicazione prevista dall’art. 191, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

In questo caso, nel quale si è sempre in presenza di omissioni procedimentali, manca il perfezionamento dell’impegno giuridico di spesa nei termini indicati dall’art. 183, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, concretizzando un’ipotesi che, nelle sue conseguenze, è del tutto simile, anche se meno grave, a quella evidenziata in precedenza.

In terzo luogo, può accadere che l’ordinazione della prestazione ad opera del dirigente o di altro dipendente dell’ente locale sia stata precedente al formarsi dell’impegno amministrativo di spesa comunque irregolarmente assunto, del quale l’ente locale viene a conoscenza postumamente in fase di liquidazione e di relativo riscontro contabile ai sensi dell’art. 184 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

In quarto luogo, può accadere che il contenuto economico dell’impegno di spesa inizialmente assunto in modo del tutto regolare si riveli successivamente insufficiente per fare fronte al corretto adempimento dell’obbligo di pagare il prezzo corrispettivo della prestazione comunque resa dal terzo interessato direttamente nei confronti della pubblica amministrazione.

In questo caso, che per le conseguenze è del tutto simile ai tre precedentemente illustrati, è di tutta evidenza che il procedimento di spesa per la parte residua verrebbe adottato in sanatoria, evenienza del tutto inammissibile, indipendentemente dai correttivi che possono essere posti in essere o dalle situazioni che nel frattempo possono essere maturate.

Il riferimento, com’è facilmente intuibile, è alla richiesta di note di accredito delle fatture che fossero nel frattempo state emesse dal terzo, ovvero alla liquidazione di spesa che fosse inopinatamente stata perfezionata al di fuori delle regole previste per la sua effettuazione.

La liquidazione della spesa nei termini previsti dall’art. 184 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, infatti, non è possibile se non fino a concorrenza dell’impegno di spesa inizialmente assunto, salvo il caso in cui la differenza di prezzo sia dovuta alla modificazione del regime fiscale della prestazione, come accade, ad esempio, nei casi in cui medio tempore sia stata modificata in aumento l’aliquota I.V.A..

Da quanto precede è evidente che l’irregolarità nella formazione del procedimento di spesa non nega, ma anzi afferma, perché la presuppone, la previa esistenza di un negozio giuridico, ovvero, piú propriamente, di un contratto. Ciò può essere argomentato in modo non semplice, ma duplice.

In primo luogo, da un punto di vista strettamente logico, l’ordinazione della prestazione nei confronti del terzo interessato di cui discetta l’art. 191, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, ossia la richiesta di adempimento nei suoi confronti, rispetto alla quale questi può eccepire l’inadempimento in assenza di valida comunicazione, presuppone in termini altrettanto stringenti l’esistenza di un rapporto obbligatorio di cui parte è sicuramente il terzo interessato. Se cosí non fosse, infatti, non si comprenderebbe il senso della manifestazione di volontà di sospensione dell’adempimento delle prestazioni dedotte in obbligazione da parte del terzo interessato.

In secondo luogo, l’evenienza è espressamente prevista dal combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art. 191 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, per il quale il rapporto obbligatorio comunque esistente intercede fra il terzo interessato ed il funzionario responsabile della violazione dei primi tre commi della norma de qua, evenienza compatibile con la disciplina di diritto comune in materia di formazione del contratto, giacché ai sensi dell’art. 1173 c.c., costituiscono fonti delle obbligazioni tutti i fatti o atti idonei a produrli in conformità all’ordinamento giuridico.

Ciò consente di concludere che l’art. 191, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, nel ritenere comunque esistente un rapporto obbligatorio di cui è parte il terzo interessato, e non direttamente l’ente locale, mira a garantire la tutela dell’affidamento del primo, almeno ogni qualvolta, in assenza della prevista comunicazione ed in presenza dell’adempimento delle relative prestazioni, vi sia stata acquisizione di beni e/o di servizî da parte dell’ente locale con consequenziale dimostrata ed accertata utilità ed arricchimento per l’ente locale.

Tutto ciò pone un delicato problema in ordine al significato da annettere ai due termini della congiunzione appena rappresentata, e precisamente al significato dei sintagmi “acquisizione di beni o servizî” e “accertata e dimostrata utilità per l’ente”.

In relazione al primo, ossia al significato connesso all’acquisizione di beni e/o di servizî, va osservato che l’alternativa è ristretta a due sole opzioni ermeneutiche ben precise, congiuntamente esaustive e disgiuntamente esclusive.

La prima fa riferimento all’acquisto di beni ovvero all’avvenuta somministrazione di servizî con effetti completamente traslativi e costitutivi del relativo diritto reale in capo alla pubblica amministrazione nel caso di fornitura di beni, ovvero dell’appropriazione dell’utilitas da parte della collettività di cui l’ente locale è esponenziale.

La seconda, per contro, fa riferimento al mero ricevimento del bene, ipotesi da scartare in quanto se si accedesse a tale tesi si dovrebbe ammettere che sull’ente locale o su chi per esso incomba l’obbligo giuridico di pagare il prezzo a fronte dell’assenza dell’acquisizione di alcunché.

Il concetto di acquisizione deve, pertanto, essere ristretto alla prima ipotesi prospettata, con l’avvertenza che in questo caso si delinea comunque l’apparente stranezza dell’avvenuta acquisizione di un bene della vita da parte della pubblica amministrazione a fronte della quale l’obbligo di pagare il prezzo incombe non su di essa, che da ciò ha tratto vantaggio, ma sul funzionario.

Il bene della vita, in questo modo, entra nella sfera giuridica dell’ente locale, con tutte le azioni relative previste dall’ordinamento giuridico, in quanto il rapporto obbligatorio coinvolge la pubblica amministrazione per la sua interezza, fatta eccezione solo per l’obbligo giuridico di pagare il prezzo della prestazione comunque acquisita nei termini appena elucidati.

Verificati il significato e la portata da annettere al concetto di acquisizione della prestazione da parte dell’ente locale, resta ora da chiarire quale sia la posizione di quest’ultimo in ordine alla possibilità di riconoscere il debito fuori bilancio eventualmente formatosi ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Ancóra una volta, l’estensione dell’ammontare del debito riconoscibile è desumibile dal combinato disposto degli artt. 191, comma 4 e 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Dall’interpretazione della normativa di riferimento è agevole ricavare che l’ordinamento esclude a priori che la somma riconoscibile comprenda voci eccedenti l’accertata e dimostrata utilità e l’arricchimento effettivo dell’ente. Questa e solo questa è la voce economica deducibile nel provvedimento di riconoscimento del debito fuori bilancio, con l’avvertenza che la somma non riconoscibile è da considerarsi a tutti gli effetti fuori dal bilancio dell’ente locale, talché di essa risponde verso il terzo interessato solo e soltanto il funzionario in proprio e con il proprio patrimonio.

Enunciato il principio, resta da analizzare il modo della ricostruzione degli elementi caratterizzanti la somma oggetto di possibile riconoscimento di debito fuori bilancio.

La comprensione dei termini della questione è possibile solo e soltanto inquadrandola nel complesso divenire del susseguirsi della normativa in subiecta materia.

Nella vigenza degli artt. 23 e 24 del D.L. 2/3/1989 n. 66 convertito con modificazioni nella legge 24/4/1989 n. 144 taluna giurisprudenza ammetteva l’azione di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione da parte del terzo interessato in via surrogatoria rispetto a quella che il funzionario avrebbe comunque potuto esperire una volta adempiuto all’obbligo di pagare il prezzo a quest’ultimo.

Questa tesi non era peraltro seguita dalla giurisprudenza dominante, la quale escludeva la possibilità di interporre efficacemente l’actio de in rem verso da parte del terzo interessato nei confronti dell’ente locale, stante il suo carattere di residualità previsto dall’art. 2042 c.c., osservando che quest’ultimo ha azione in via primaria proprio nei confronti del funzionario, con ciò non subendo pregiudizio in ordine alla tutela del proprio diritto soggettivo, con piena salvaguardia del valore costituzionale di cui all’art. 24, comma 1 Cost..

Proprio per fornire alla complessa vicenda una veste sistematica, l’art. 5 del D.Lgs. 15/9/1997 n. 342 ha consentito il riconoscimento dei debiti fuori bilancio nei termini ora previsti proprio dall’art. 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, rendendo possibile all’ente locale di valutare l’utilità e l’arricchimento conseguiti per assumerla postumamente nel bilancio proprio nei limiti dell’accertato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c..

In questo modo, alla radicale nullità del rapporto fra terzo interessato e pubblica amministrazione, evenienza peraltro ritenuta legittima dalle sentenze della Corte costituzionale 24/10/1995 n. 446 e 30/7/1997 n. 295, è stato sostituito il principio della sua validità ex lege, sia pure con limitazioni, come ha avuto modo di sostenere, ad esempio, la Corte di cassazione con la propria sentenza 22/4/2000 n. 5248.

La necessità dei requisiti appena evidenziati è una diretta conseguenza dei principî previsti dall’ordinamento in materia di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., il quale impone comunque che, nei rapporti giuridici caratterizzati dall’elemento della sinallagmaticità e quindi della corrispettività, una parte non possa lucrare un profitto a danno dell’altra, e che quindi debba essere sempre garantito il rispetto non solo economico ma anche in termini di causa giuridica dell’equilibrio fra prestazione e controprestazione.

Accanto all’elemento dell’arricchimento da parte dell’ente locale concretizzato per effetto dell’acquisizione di una pubblica fornitura o un pubblico servizio, peraltro, deve concorrere l’ulteriore elemento dell’utilità acquisita.

Quest’elemento, a ben vedere, vale non tanto in relazione per ciò che prevede, ma per ciò che esclude.

Ciò che si intende evidenziare, infatti, è che il debito fuori bilancio non è mai riconoscibile per la parte che non rappresenta utile per l’ente locale.

Il riferimento d’obbligo è alle conseguenze patrimoniali che sono connesse al tardivo pagamento del prezzo che, in presenza del mancato rispetto della normativa giuscontabile e della connessa disciplina civilistica, finisce con l’essere corrisposto al terzo con ritardo rispetto agli usi invalsi nella pratica commerciale o per effetto della formale intimazione mora del debitore ai sensi dell’art. 1219 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione tenendo conto degli effetti comunque connessi alla relativa rivalutazione del credito vantato.

In questo caso, è di immediata evidenza che il maggiore esborso corrisposto a titolo di rivalutazione del credito e dell’automatismo del formarsi degli interessi di mora concretizzano debito non riconoscibile ai sensi dell’art. 191, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, il cui ammontare resta a carico del dirigente o di altro dipendente comunque identificato ai sensi degli ordinamenti interni dell’ente locale che ad esso abbia dato luogo.

Quanto al significato da ascrivere all’utilità ed all’arricchimento accertati da parte dell’ente locale, la giurisprudenza è oggi concorde nel ritenere che il terzo debba essere ristorato da quest’ultima nei limiti del minor importo fra l’arricchimento conseguito dall’ente locale per effetto dell’avvenuta acquisizione della fornitura o del servizio e costo sopportato dal terzo per renderla, considerando anche gli oneri economici sostenuti per la remunerazione dei fattori della produzione, comprese le spese generali di impianto, ma con esclusione del profitto d’impresa.

Per contro non sono riconoscibili ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, come cennato di passaggio, gli oneri per interessi, per rivalutazione monetaria, per spese giudiziali ed in generale tutti gli esborsi per i quali è configurabile un nesso etiologico con il ritardato pagamento del dovuto al terzo. Questo, a ben vedere, è il contenuto del danno ingiusto non riconoscibile come debito fuori bilancio, il quale, in quanto tale, resta a carico del dipendente pubblico che ha concorso a cagionarlo.

Quanto appena evidenziato ha importanti ulteriori conseguenze in materia di tempestività nel procedere al riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Ciò, in buona sostanza, significa che l’inerzia in subiecta materia imputabile alla pubblica amministrazione dà sempre luogo a profili di danno per il quali è esclusa la riconoscibilità ai presenti fini, dal che si desume che il funzionario competente in subiecta materia ed il responsabile del servizio finanziario rispondono in proprio per omissionem commissa nel caso in cui o non procedano alla dichiarazione della sussistenza del debito, ovvero frappongano ostacoli al suo riconoscimento. Per le medesime ragioni, costituisce danno non riconoscibile il maggiore importo che deriva dalla mancata approvazione della deliberazione di riconoscimento da parte del consiglio comunale o provinciale.

Quanto al terzo elemento costitutivo del debito fuori bilancio, deve essere rammentato che gli enti locali territoriali sono oggi definiti in termini di esponenzialità delle relative collettività dagli artt. 13, comma 1 e 19, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, perché enti che gestiscono oltre alle funzioni proprie, attribuite e delegate, anche funzioni libere, che hanno specifica dignità ordinamentale anche in attuazione del principio di sussidiarietà verticale, e la cui rilevanza pubblicistica è mediata puramente e semplicemente dal fatto che l’ente locale intenda svolgerle nei limiti della proprie capacità di bilancio.

Resta, in conclusione, da verificare se il funzionario dell’ente che abbia adempiuto al pagamento del prezzo a fronte dell’acquisizione di un bene della vita da parte dell’ente locale abbia a sua volta azione nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2041 c.c. quanto meno nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento da essa concretizzati.

La risposta al quesito non può che essere positiva, almeno tutte le volte che l’ente locale abbia proceduto alla formale adozione del relativo provvedimento consiliare di riconoscimento del debito fuori bilancio. In questi casi, peraltro, l’ammontare economico della somma ottenibile non può eccedere l’entità del debito riconoscibile. Non sembra infatti ammissibile che una norma posta a presidio della corretta gestione della spesa pubblica possa condurre al depauperamento del funzionario dipendente dell’ente locale in presenza dell’arricchimento dell’ente stesso in termini di utilità acquisite, soprattutto quando l’organo della sua massima espressione partecipativa abbia ricondotto alla relativa contabilità il debito fuori bilancio formatosi, ovvero abbia comunque adottato atti significativi che consentono di evidenziare l’avvenuta acquisizione degli effetti delle prestazioni, come accade, ad esempio, nel caso dell’approvazione di una progettazione realizzata a fronte di un incarico professionale irregolarmente attribuito dal punto di vista contabile.

Certo l’actio de in rem verso esperibile dal funzionario nei confronti dell’ente locale non può essere comprensiva delle conseguenze sfavorevoli casualmente connesse al suo comportamento negligente.

Del resto, qualora il terzo interessato che abbia correttamente adempiuto le prestazioni dedotte in obbligazione in dipendenza di una scorretta o inesistente procedura di ordinazione di spesa richieda il pagamento del prezzo direttamente all’ente locale, ipotesi ritenuta pacificamente possibile dalla giurisprudenza, e su ciò si formi sentenza passata in autorità di cosa giudicata, l’ente locale deve porre a carico del proprio funzionario l’ammontare del danno comunque rifuso, con obbligo di segnalazione del relativo illecito amministrativo alla procura regionale della Corte dei conti per l’attivazione del relativo giudizio di responsabilità amministrativa.

9. Le recenti innovazioni legislative e la legge di riforma costituzionale 21/10/2001 n. 3.

La materia del riconoscimento dei debiti fuori bilancio è stata interessata dalla recente legge di riforma del titolo V della Costituzione attuata con la legge di riforma costituzionale 18/10/2001 n. 3.

La comprensione della sua incidenza in subiecta materia è possibile solo se posta in relazione con le modalità del finanziamento dei debiti fuori bilancio comunque riconosciuti.

Secondo l’art. 194, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, l’ente locale può provvedere al finanziamento dei debiti fuori bilancio riconosciuti mediante un apposito piano di rateizzazione di durata triennale nei termini convenuti con i creditori, lasciando impregiudicata la non accollabilità al bilancio dell’ente locale degli ulteriori importi che non corrispondano a comprovati arricchimenti ed utilità acquisite a proprio vantaggio.

Secondo l’art. 194, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 l’ente locale poteva fare ricorso alla stipulazione di mutui mediante i quali assicurare la relativa copertura finanziaria necessaria, dimostrando di non poter ricorrere a differenti forme di finanziamento.

Proprio su tale evenienza ha inciso l’art. 5, comma 6 della legge costituzionale 18/10/2001 n. 3, che ha modificato l’art. 119 Cost., la quale ha circoscritto la possibilità di ricorso all’indebitamento oneroso solo in relazione al finanziamento di spese in conto capitale, ossia solo per l’esecuzione di spese di investimento.

In stretta aderenza con tale normativa, l’art. 41, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448 ha circoscritto la possibilità di ricorso al credito solo per la copertura dei debiti fuori bilancio maturati anteriormente all’entrata in vigore della legge costituzionale 18/10/2001 n. 3.

Per effetto del combinato disposto delle due norme, il ricorso al credito è divenuto inammissibile per il finanziamento di debiti fuori bilancio il cui momento genetico si sia concretizzato dopo l’entrata in vigore della legge di riforma costituzionale 18/10/2001 n. 3. A questi fini, la maturazione del debito fuori bilancio è evenienza che prescinde dal momento dell’effettivo riconoscimento, dovendosi intendere con il primo il momento in cui il debito fuori bilancio è sorto in sé e per sé, ossia quando, secondo la disciplina civilistica, esso è divenuto definitivamente certo, liquido e concretamente esigibile nel suo ammontare.

Sempre in materia di debiti fuori bilancio il legislatore ha previsto che i relativi provvedimenti consiliari di riconoscimento debbano essere trasmessi alla sezione regionale della Corte dei conti ai sensi dell’art. 23, comma 5 della legge 27/12/2002 n. 289, affinché il giudice contabile possa valutare gli eventuali profili di danno erariale a carico di chi li ha cagionati.

Il giudice contabile, in questo modo, è effettivamente pósto nella condizione di poter verificare non solo la legittimità del riconoscimento del debito, ma anche la sua effettiva estensione, sindacandone l’ammontare. A séguito dell’eventuale attivazione del giudizio di responsabilità amministrativa conseguente alla trasmissione del provvedimento consiliare di avvenuto riconoscimento del debito fuori bilancio, acquisite le necessarie informazioni presso l’ente locale, il giudice contabile può porre a carico del funzionario che lo ha cagionato specifiche voci di spesa, determinando il quantum che eccede l’effettivo arricchimento dell’ente ottenuto per effetto dell’acquisizione dello specifico bene della vita connesso al rapporto obbligatorio patologicamente venuto ad esistenza. Ciò con l’avvertenza, si torna a ribadire, che delle conseguenze dannose etiologicamente connesse all’insorgenza di debiti fuori bilancio risponde in primis il funzionario che ad essi ha dato corpo, essendo i procedimenti di spesa attività di gestione ai sensi dell’art. 107, comma 3, lett. d) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Ai presenti fini, peraltro, non può essere ignorato il combinato disposto degli artt. 23, comma 53 della legge 23/12/2000 n. 388 e 29, comma 4 della legge 28/12/2001 n. 448, che, con una disciplina monstre di dubbia costituzionalità, consentono ai membri delle giunte dei comuni con popolazione non eccedente i 5.000 abitanti di effettuare attività di gestione previa adozione di apposita deliberazione del relativo organo collegiale.

Sempre a tali fini, non può essere ignorato l’art. 3 della legge 20/12/1996 n. 639, secondo il quale nel caso degli atti che rientrano nella competenza propria degli ufficî tecnici o amministrativi la responsabilità amministrativa non si estende ai titolari dagli organi politici che in buona fede li abbiano approvati o che ne abbiano comunque consentito o autorizzato l’esecuzione, con ciò lasciando intendere che, in caso contrario, si è in presenza di una tipica ipotesi di corresponsabilità, e quindi di coimputabilità delle conseguenze dannose per l’ente locale, in funzione del ruolo assunto da ciascuno degli attori dell’illecito.

 

(*) Segretario Generale e Direttore Generale del Comune di Muggiò – MI.


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