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n. 1/2008 - © copyright

PAOLO JORI*

L’esercizio del potere sostitutivo dello Stato e delle regioni
nell’ordinamento costituzionale vigente

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SOMMARIO: 1. Il nuovo ruolo degli enti territoriali dopo la riforma del titolo V della Costituzione. – 2. L’evoluzione del sistema dei controlli in dipendenza del nuovo assetto costituzionale ed amministrativo dello Stato. – 3. I controlli sostitutivi: disciplina generale del potere sostitutivo dello Stato. – 4. I controlli sostitutivi dello Stato e delle regioni: analisi dei diversi istituti.                              

1.  Il nuovo ruolo degli enti territoriali dopo la riforma del titolo V della Costituzione

La riforma del titolo V della Costituzione, operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, eleva gli enti territoriali ad elementi costitutivi della Repubblica; la previsione contenuta nel primo comma dell’articolo 114 della Costituzione [1], la quale significatamene contiene un elencazione degli enti dal basso, può infatti essere interpretata come riconoscimento della pari dignità costituzionale tra gli enti medesimi.

La norma può anche essere intesa come concreta attuazione dell’art. 5 della Costituzione [2], il quale è inserito tra i principi fondamentali della Carta Costituzionale e pertanto, secondo alcuna dottrina, non è soggetto a revisione costituzionale.

In realtà, il principio di pari dignità costituzionale espresso dall’articolo 114 della Costituzione, non costituisce il necessario corollario della loro autonomia ma rappresenta una significativa novità del legislatore costituzionale del 2003.

La pari dignità deriva dal carattere esponenziale degli enti territoriali i quali,  attraverso gli organi eletti dalle comunità di riferimento, hanno il potere-dovere di promuovere, interpretare e perseguire gli interessi delle popolazioni di appartenenza; da ciò discende l’autonomia statutaria che è riconosciuta a tutti gli enti territoriali che costituiscono la Repubblica.

Tuttavia, l’art. 5 della Costituzione, afferma anche il carattere unitario dello Stato, poiché definisce la Repubblica unica ed indivisibile; la dignità costituzionale degli enti territoriali deriva quindi solo dal riconoscimento operato dalla Costituzione, la quale è pur sempre una legge fondamentale dello Stato; questo elemento evidenzia la differenza ontologica del nostro ordinamento costituzionale con quello degli Stati federali all’interno dei quali le singole entità statuali conservano il loro carattere originario.

Per quanto concerne il riconoscimento dell’autonomia statutaria, il testo unico sugli enti locali definisce il contenuto necessario degli statuti provinciali e comunali [3], mentre, per quanto concerne gli statuti delle regioni un analoga previsione è contenuta nell’articolo 123 della Costituzione [4].

Mediante gli statuti gli enti territoriali disciplinano la propria organizzazione ed il proprio funzionamento conformemente alle proprie peculiarità e vocazioni, in armonia con la Costituzione e,  per comuni province e città metropolitane, nell’ambito dei principi fissati decreto legislativo n. 267 del 2000.

Lo statuto degli enti locali costituisce, dunque, una fonte normativa del tutto peculiare che si colloca a metà strada tra la legge ed il regolamento [5]; infatti, se dal punto di vista formale lo statuto è una fonte di secondo grado, sia pure sopraordinata ai regolamenti degli enti locali, il suo contenuto richiama per certi aspetti quello della legge, poiché esso rappresenta lo strumento attraverso cui l’ente rivela la propria missione e lo spirito che anima la propria azione.

Con gli statuti le regioni possono disciplinare la propria forma di governo, mentre tale possibilità non è riconosciuta agli statuti degli enti territoriali minori [6]; inoltre, a differenza degli altri enti territoriali, le regioni possono disciplinare con legge il sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali [7], nei limiti dei principi fondamentali dello Stato che sono attualmente individuati dall’articolo 4 della legge n. 165 del 2004, il quale prevede: l’individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio, e che assicuri la tutela delle minoranze; la contestualità dell’elezione del Presidente della regione e della Giunta nelle ipotesi in cui il Presidente sia eletto a suffragio universale e diretto, o, in mancanza di elezione diretta del Presidente, la previsione di termini temporali tassativi, non superiori a 90 giorni, per l’elezione del Presidente e per la nomina o l’elezione dei componenti della Giunta.

La modalità di elencazione degli enti territoriali, contenuta nell’articolo 114 della Costituzione, evidenzia l’importanza assunta dagli enti più prossimi alla comunità degli amministrati e costituisce un estrinsecazione del principio di sussidiarietà verticale [8]; infatti l’esercizio delle funzioni viene attribuito a partire dall’ente più prossimo ai cittadini e gli enti maggiori subentrano solo quando ciò si rende necessario in dipendenza della natura e della dimensione degli interessi coinvolti.

Con la riforma del Titolo V l’ordinamento conserva la distinzione tra regioni ordinarie e regioni a statuto speciale; la differente disciplina tra le due categorie di regioni si manifesta anche nella diversa modalità di approvazione degli Statuti oltre, che nel differente grado di autonomia concessa; gli Statuti delle regioni speciali, la cui esistenza è giustificata dalla scelta di attribuire a tali regioni forme e condizioni particolari di autonomia, rimangono soggetti all’approvazione della legge costituzionale statale, mentre le regioni ordinarie diventano artefici uniche del loro atto fondamentale [9].

Le norme del Titolo V si estendono, peraltro, anche alle regioni speciali e alle province autonome, nelle ipotesi in cui esse contemplino forme di autonomia più ampie [10].

La riforma apre alla possibilità di attuare un regionalismo differenziato anche per le regioni ordinarie; ciò può verificarsi sa nelle materie di legislazione concorrente, sia in alcune materie oggetto di legislazione esclusiva statale [11]; tuttavia l’approvazione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia per le regioni ordinarie viene demandata alla volontà dello Stato.

Con la riforma del Titolo V, lo Stato conserva il carattere di ente avente fini generali, responsabile degli obblighi derivanti dalla partecipazione all’Unione europea e titolare del potere sostitutivo, nelle ipotesi previste dal 5 comma dell’art. 117 e dal secondo comma dell’art. 120 della Costituzione.

Le regioni assumono una competenza legislativa generale poiché ad esse è demandato l’esercizio della potestà legislativa residuale nelle materie non espressamente indicate dall’art. 117 Cost.; la dottrina e la giurisprudenza costituzionale hanno chiarito che tale potestà non coincide con l’esercizio di un potere legislativo pieno ed incondizionato, poiché è soggetta all’osservanza dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la cui determinazione è oggetto di competenza esclusiva dello Stato.

La previsione di un potere legislativo concorrente, che attribuisce alle regioni la capacità di legiferare nell’ambito dei principi fondamentali definiti dalle leggi dello Stato, causa l’insorgere di molteplici conflitti costituzionali; infatti la concreta individuazione dei principi fondamentali può facilmente costituire oggetto di contenzioso, specie nei casi in cui la legge non delimita con precisione il contenuto i tali principi.

Inoltre importanti e complesse materie come l’istruzione, la salute ed i beni culturali ed ambientali,  costituiscono oggetto sia di potestà legislativa esclusiva dello Stato che di legislazione concorrente delle regioni; ciò determina un  incertezza nella titolarità della competenza che è causa del frequente insorgere di conflitti costituzionali ed alimentala frammentazione e la sovrapposizione di norme giuridiche statali e regionali[12]; tale fenomeno contraddice il perseguimento del fine della semplificazione dell’ordinamento giuridico, che pure costituisce l’oggetto del periodico intervento del legislatore statale.

Dallo studio delle cause costituzionali si evince che in numerosi casi, i ricorsi presentano un carattere pretestuoso; infatti dalle motivazioni dei ricorsi costituzionali emerge che essi, spesso, sono preordinati alla mera difesa degli ambiti di competenza costituzionale che si assumono violati, più che fondati su questioni di merito aventi carattere sostanziale; si alimenta così una sorta di gelosia istituzionale tra i diversi enti costituzionali che coinvolge in larga misura la Corte Costituzionale chiamata a dirimere le controversie ed ostacola il perseguimento della certezza del diritto [13]

Con la riforma costituzionale le regioni acquistano anche la competenza regolamentare generale in ogni materia, con le seguenti eccezioni: la competenza regolamentare dello Stato nelle materie oggetto di legislazione statale esclusiva, salva la delega alle regioni e la potestà regolamentare di Comuni, Province e Città metropolitane in ordine alla disciplina della propria organizzazione e allo svolgimento delle loro funzioni.

Viene pertanto meno il principio del parallelismo delle funzioni che caratterizzava il nostro ordinamento prima della riforma del Titolo V, che consisteva nell’attribuire il potere regolamentare all’ente titolare del potere legislativo.

La competenza generale delle regioni ad emanare i regolamenti si rivela conforme alla loro natura di ente di programmazione; inoltre ben si accorda con la storica  vocazione regionale ad emanare le norme giuridiche nell’ambito dei principi fondamentali delle leggi, la quale è oggi confermata dal terzo comma del vigente art. 117 Cost che disciplina l’esercizio della potestà legislativa concorrente.

Con il nuovo Titolo V i Comuni diventano gli enti titolari delle funzioni amministrative, ad eccezione di quelle che, per assicurarne l’esercizio unitario, vengono attribuite agli enti maggiori sulla base di principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; la Costituzione distingue tra le funzioni proprie e quelle conferite con legge statale o regionali.

Si osserva comunque che, per il principio di sussidiarietà ed in virtù del dettato dell’art. 118 della Costituzione, la promulgazione di leggi di conferimento delle funzioni costituisce un vincolo per il legislatore statale e regionale, la cui osservanza viene peraltro riservata alla discrezionalità politica di tali enti. Il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che costituisce il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, definisce il comune  l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo; esso attua, per l'esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, forme sia di decentramento sia di cooperazione con gli altri comuni e con la provincia.

Tra le funzioni proprie dei comuni, il decreto legislativo sopra citato individua quelle che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, con particolare riguardo ai settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico [14].

La provincia viene definita come ente locale intermedio tra comune e regione, che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo; la provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base dei propri programmi, promuove e coordina le attività nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo.

La provincia assolve inoltre ad ulteriori importanti compiti di programmazione del territorio, nell’ambito delle quali provvede a raccogliere e coordinare le proposte dei comuni, ai fini della programmazione economica, territoriale ed ambientale della regione.

La provincia è altresì competente in ordine  alle funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardano vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale, con particolare riguardo ai seguenti ambiti di attività: la difesa del suolo, la tutela e la valorizzazione dell'ambiente e della prevenzione delle calamità; la tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; la valorizzazione dei beni culturali; la viabilità e i  trasporti; la protezione della flora e della fauna, dei parchi e delle riserve naturali;  la caccia e la pesca nelle acque interne; l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale e in materia di scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore; i servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale; i compiti attributi dalle leggi statali e regionali connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica; la raccolta ed elaborazione dei dati e l’assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali [15].

Considerato che i comuni presentano una notevole disomogeneità per ciò che concerne l’ampiezza demografica e del territorio e per le peculiarità economiche e sociali, l’esercizio delle funzioni della provincia può valorizzare le potenzialità presenti all’interno del proprio territorio e costituire un elemento fondamentale ai fini dello sviluppo socio economico degli enti e delle popolazioni in essa compresi.

La legge regionale indica i criteri e fissa le procedure per gli atti e gli strumenti della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale dei comuni e delle province, rilevanti ai fini dell'attuazione dei programmi regionali.

Per quanto concerne le città metropolitane, esse possono essere costituite nelle aree metropolitane indicate dalla legge dello Stato[16] ed acquistano le funzioni della provincia; la finalità è quella di pervenire alla creazione di ordinamenti differenziati che possano consentire uno sviluppo coerente ed equilibrato dell’intera area; pertanto la legge prevede che le città metropolitane siano caratterizzate dalla compartecipazione del comune capoluogo e degli altri comuni satelliti, uniti da rapporti di stretta integrazione con riguardo alle attività economiche e ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali e alle relazioni socio culturali.

La legge costituzionale n. 3 del 2001 ha previsto l’attuazione dell’autonomia finanziaria, di entrata e di spesa, di tutti gli enti territoriali di rilevanza costituzionale; il principio del federalismo fiscale è mitigato dalla previsione di un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, e dalla norma che istituisce la finanza straordinaria [17]; tali previsioni sono coerenti con il ruolo che la Costituzione assegna allo Stato di assicurare in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Il federalismo fiscale costituisce lo strumento necessario a garantire l’effettività dell’autonomia politica e funzionale degli enti territoriali; peraltro, l’esigenza dello Stato di assicurare il coordinamento della finanza pubblica ai fini del conseguimento degli impegni economici e finanziari assunti in sede comunitaria, costituisce uno dei principali motivi che ostacolano la piena attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

In materia finanziaria, allo stesso modo di quanto si registra nell’esercizio della competenza legislativa concorrente con le regioni, lo Stato si mostra riluttante a favorire  l’effettiva autonomia degli altri enti territoriali; tale condotta si pone in aperta contraddizione con  lo spirito e con le nuove norme del Titolo V della Costituzione, il quale, in virtù della sua collocazione apicale nella gerarchia delle fonti, vincola il legislatore statale all’attuazione di quanto in esso contenuto.   

2. L’evoluzione del sistema dei controlli in dipendenza del nuovo assetto costituzionale ed amministrativo dello Stato [18].

I controlli hanno carattere strumentale [19] rispetto all’esercizio della funzione amministrativa, in quanto servono ad indirizzarla al perseguimento dei fini che sono indicati dalla legge; pertanto la disciplina dei controlli deve essere adeguata e funzionale alle modalità di svolgimento delle potestà amministrative che si realizzano concretamente nell’ordinamento giuridico; per tale ragione un elemento che caratterizza i controlli amministrativi è la loro atipicità, poiché, come è stato autorevolmente osservato [20], essi utilizzano tutti i modelli procedimentali possibili.

Oggetto dei controlli possono essere gli organi, i singoli atti o comportamenti e le attività unitariamente considerate: i primi verificano che l’azione degli organi sia conforme alle norme giuridiche che  disciplinano il loro funzionamento in relazione alle competenze assegnate; pertanto la violazione delle regole di composizione o di funzionamento dell’organo viene generalmente sanzionata con l’invalidità degli atti o dei comportamenti adottati; inoltre quando il difetto non può essere sanato, la legge impone lo scioglimento dell’organo.

I controlli sugli organi sono esterni o intersoggettivi, quando vengono compiuti da un ente o un amministrazione diversa da quella soggetta al controllo; interni o interorganici quando vengono esercitati da organi appartenenti allo stesso centro d’imputazione giuridica.

Nel vigente ordinamento giuridico i controlli esterni sugli organi sono ammessi solo in via eccezionale, per la salvaguardia degli interessi pubblici generali, proprio perché possono determinare la sostituzione di organi elettivi e rappresentativi; in via di principio infatti ciascun ente territoriale è esponenziale degli interessi della propria comunità ed in virtù di tale rappresentanza agisce autonomamente nell’ambito delle competenze ad esso attribuite.

Il controllo esterno sugli organi della Regione è previsto dall’articolo 126 della Costituzione[21]; quello sugli organi dei Comuni, delle Province e degli altri Enti territoriali è invece  disciplinato dall’articolo 141 del Decreto legislativo n. 267 del 2000 che costituisce il Testo Unico sugli Enti locali [22].

Anche i controlli sugli atti si distinguono in esterni o interni a seconda delle relazioni intercorrenti tra l’Autorità competente e quella soggetta al controllo: entrambi possono avere ad oggetto la legittimità dell’atto cioè la sua conformità alle norme giuridiche, o il merito, che implica valutazioni relative all’opportunità ed alla convenienza amministrativa della sua emanazione; i controlli sugli atti sono inoltre preventivi se condizionano l’efficacia dell’atto; successivi se vengono espletati dopo che l’atto abbia prodotto i suoi effetti giuridici.

La disciplina dei controlli amministrativi è strettamente collegata all’assetto costituzionale ed amministrativo della Repubblica: la Costituzione prevedeva in origine un complesso sistema di controlli e demandava alla legge l’individuazione delle modalità di esercizio; i controlli di legittimità erano previsti per la generalità degli atti dello Stato e degli altri Enti territoriali e nella maggior parte dei casi avevano una forma preventiva, poiché condizionavano l’efficacia dell’atto; in particolare venivano disciplinati ed esercitati sia i controlli preventivi sugli atti amministrativi delle Regioni [23], i quali avevano ad oggetto la legittimità e nei casi tassativamente indicati il merito dei provvedimenti, sia i controlli sugli atti degli Enti locali [24].

L’affidamento della funzione di controllo ad organi esterni limitava però in modo significativo l’autonomia delle Regioni e degli Enti locali; inoltre la richiesta di riesame effettuata nell’esercizio dei controlli di merito influiva in modo rilevante sui processi volitivi degli organi competenti.

Tali controlli si ponevano in contrasto con il contenuto dell’articolo 5 della Costituzione, per la parte relativa ai principi di autonomia e di decentramento. 

A partire dagli anni novanta si è sviluppata la riforma dell’ordinamento amministrativo e costituzionale dello Stato; tale processo, ancora in atto, si è finora realizzato attraverso distinti e successivi provvedimenti legislativi  e mediante la riforma del titolo V della Costituzione.

La riforma amministrativa dello Stato ha notevolmente influito sull’evoluzione del sistema dei controlli contribuendo alla progressiva eliminazione delle fattispecie di controllo preventivo di legittimità e di merito sugli atti amministrativi: la legge n. 241 del 1990 in materia di procedimento amministrativo ha introdotto nel nostro ordinamento i principi di efficacia efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa, enucleandoli dal generale principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione previsto nel primo comma dell’articolo 97 della Costituzione; il decreto legislativo n. 29 del 1993 ha stabilito il criterio della separazione tra attività d’indirizzo politico e responsabilità amministrativa e gestionale [25], creando così le premesse per lo sviluppo dei controlli interni; successivamente è stato avviato il processo di privatizzazione del pubblico impiego [26], è stata riorganizzata la dirigenza [27] ed i principi generali della riforma amministrativa sono stati estesi agli Enti locali [28].  

L’attenzione dell’attività amministrativa si è così progressivamente spostata dalle procedure ai risultati, che vengono considerati sia sotto il profilo della valutazione delle performance delle amministrazioni, che per quanto concerne la customer satisfaction, ossia il soddisfacimento dei bisogni dei soggetti fruitori dei servizi pubblici.   

Parallelamente alle riforme amministrative si è sviluppato il processo di riforma costituzionale dell’ordinamento, che ha avuto inizio a seguito dell’entrata in vigore della legge ordinaria dello Stato n. 142 del 1990; essa ha rafforzato l’autonomia degli Enti locali e i loro rapporti con le comunità di riferimento, attraverso l’attribuzione di nuove competenze e soprattutto mediante il riconoscimento della potestà statutaria; sulla stessa via hanno proseguito la legge delega n. 59 del 1997  ed i relativi decreti legislativi di attuazione, che hanno ampliato i compiti e le funzioni degli Enti locali realizzando il c.d. federalismo amministrativo.

La novella del titolo V della Costituzione ha profondamente inciso sull’ordinamento costituzionale dello Stato determinando tra l’altro la generale eliminazione dei controlli esterni in via preventiva sugli atti; essa appare in relazione con il nuovo assetto dell’ordinamento, che si fonda sull’attribuzione della pari dignità giuridica ai diversi enti territoriali che costituiscono la Repubblica.

Così progressivamente sono stati abrogati i controlli preventivi intersoggettivi di legittimità e di merito sugli atti delle Regioni[29] e degli Enti locali[30]; per quanto riguarda lo Stato, i controlli preventivi di legittimità sugli atti sono stati fortemente limitati ed oggi sopravvivono solo in casi particolari [31].

L’eliminazione delle forme intersoggettive dei controlli preventivi di legittimità e di merito si è accompagnata con lo sviluppo di altre tipologie di controlli, che meglio si adattano al nuovo ordinamento giuridico dello Stato; esse comprendono sia i controlli esterni, che sopravvivono nelle fattispecie dei controlli successivi sulla gestione e dei controlli sostitutivi,  sia i controlli interni.

La legge n. 20 del 1994 contenente disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti disciplina l’esercizio dei controlli successivi sulla gestione economica e finanziaria di tutte le amministrazioni pubbliche; tali controlli si esplicano anche sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria. 

I controlli sulla gestione presentano modalità di esercizio differenti: per gli enti pubblici non territoriali la Corte può chiedere il riesame degli atti ritenuti non conformi alla legge; questa facoltà è preclusa per gli enti pubblici territoriali, nei quali le verifiche sulla gestione costituiscono solo oggetto della relazione che la Corte trasmette ogni anno al Parlamento e agli organi consiliari delle amministrazioni interessate.

I controlli sulla gestione sono comunque finalizzati a stimolare processi spontanei correttivi o di miglioramento di attività; essi pertanto appartengono al tipo dei controlli successivi di risultato, non hanno carattere repressivo e non comprimono l’autonomia dei singoli enti; inoltre, a differenza di quanto avviene per i controlli preventivi di legittimità, nell’esercizio dei controlli successivi la Corte dei Conti non è legittimata a sollevare questioni di legittimità costituzionale, ma solo conflitti di attribuzione. 

Per quanto riguarda i controlli interni [32], senza entrare nel merito delle singole tipologie, si può osservare che esse  presentano i seguenti caratteri comuni: sono organizzati ed espletati dalla stessa Pubblica amministrazione, intesa come soggetto giuridico, da cui promana l’attività amministrativa; assumono come riferimento principale l’attività svolta ed i risultati ottenuti[33], che devono essere  valutati con riferimento agli obiettivi e ai parametri individuati nella fase di programmazione; pertanto i singoli atti vengono considerati solo incidentalmente in quanto componenti dell’attività complessiva oggetto di valutazione; anche i controlli di regolarità amministrativa e contabile devono, di regola, essere esercitati in via successiva, per non condizionare l’efficacia dei singoli provvedimenti.

I controlli interni svolgono dunque una funzione essenzialmente collaborativa, poiché appaiono finalizzati ad attivare, in seno alle Pubbliche amministrazioni, spontanei processi di correzione e di miglioramento dell’attività amministrative e gestionali; essi appartengono al tipo dei controlli d’integrazione[34] poiché servono ad adattare l’azione dei pubblici soggetti agli obiettivi che si vogliono conseguire, attraverso correzioni o modifiche delle attività amministrative; si distinguono pertanto dai controlli di conformazione che hanno ad oggetto la verifica della rispondenza dell’atto alle prescrizioni stabilite dalle norme.   

La previsione dei controlli interni è dunque coerente con i processi di valorizzazione delle autonomie territoriali che sono stati recentemente recepiti con la riforma del titolo V della Costituzione; inoltre risponde alla ratio della massima valorizzazione del rendimento amministrativo, che è influenzato dall’entità del patrimonio conoscitivo disponibile, il quale all’interno dei singoli enti è presente in misura maggiore rispetto all’esterno [35].

Il legislatore ha anche previsto che i controlli interni debbano essere esercitati in forma integrata [36], purché siano osservati il principio dell’ affidamento dell’attività di valutazione dei dirigenti a strutture o soggetti diversi da quelle cui è demandato il controllo di gestione  ed il divieto di affidare le verifiche di regolarità amministrativa e contabile alle strutture addette al controllo di gestione, alla valutazione dei dirigenti ed al controllo strategico.

Tuttavia è vero che i controlli interni assolvono ad esigenze diverse; proprio per tale motivo il decreto legislativo n. 286 del 1999 ne individua con precisione gli ambiti di attività, anche demandandone la competenza ad organi distinti; in particolare la previsione del controllo strategico risulta collegata ai principi  del decreto legislativo n. 29 del 1993, in quanto esso assolve alla ratio del necessario collegamento tra l’attività d’indirizzo e programmazione propria degli organi politici e le competenze amministrative e di gestione attribuite alla dirigenza.

Il controllo di gestione appare preordinato alla realizzazione dei criteri di efficacia efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, che sono stati introdotti nel nostro ordinamento dalla legge n. 241 del 1990, la quale li ha enucleati dal principio costituzionale del buon andamento della Pubblica amministrazione.

Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è finalizzato ad assicurare l’osservanza del principio costituzionale di legalità dell’attività amministrativa ed il rispetto delle norme di contabilità pubblica.

La valutazione dei dirigenti s’inquadra nel generale processo di privatizzazione della dirigenza pubblica e di definizione organica dei compiti e delle responsabilità ad essa attribuiti ed integra l’esercizio di una tipica attività discrezionale, che si fonda sulla base dei risultati della gestione e dello sviluppo delle competenze assegnate; essa però presenta anche connotazioni di tipo repressivo, poiché può costituire il presupposto per l’individuazione delle fattispecie di responsabilità dirigenziali nelle ipotesi di risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione o del mancato conseguimento degli obiettivi assegnati.

Il controllo strategico e quello di gestione non hanno carattere repressivo: per tale motivo gli addetti a tali controlli sono esonerati dagli obblighi di denuncia alla Corte dei Conti di eventuali fattispecie di danni erariali; entrambi i procedimenti di controllo presuppongono inoltre l’esercizio di un attività sostanzialmente valutativa, anche se condotta sulla base di parametri predeterminati.

Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è invece finalizzato, all’adozione di misure di ripristino della legalità violata, e favorisce per tale via il responsabile esercizio delle prerogative di autotutela delle Pubbliche amministrazioni; di conseguenza, le illegittimità riscontrate devono essere denunciate alla Corte dei Conti, qualora integrino fattispecie di danno erariale.

3. I controlli sostitutivi: disciplina generale del potere sostitutivo dello Stato.

Il controllo sostitutivo assume nell’attuale ordinamento costituzionale una connotazione particolare in quanto consente la sostituzione intersoggettiva dello Stato o delle regioni nell’esercizio delle competenze proprie o conferite ad un altro ente territoriale.

L’esercizio del potere sostitutivo costituisce, comunque, una caratteristica degli ordinamenti che si collocano in un ottica di vicendevole e dialettica integrazione nei quali, nelle ipotesi in cui l’inadempimento di talune competenze condiziona l’esercizio delle attribuzioni di un altro soggetto, si crea un vuoto di potere che necessita di essere colmato.

La Costituzione disciplina espressamente, in due diverse disposizioni, l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato:

- l’articolo 117 comma quinto prevede che la partecipazione delle regioni all’attuazione ed all’esecuzione degli atti dell’Unione europea si svolga nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalle leggi dello Stato, che disciplina l’esercizio del potere sostitutivo nei casi        d’inadempienza;

- l’articolo 120 comma secondo dispone che il Governo possa sostituirsi, tra l’altro, ad organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria o nelle ipotesi di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica o quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica ed in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; la disposizione demanda alla legge dello Stato il compito di definire le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

L’analisi esegetica delle norme rivela che l’articolo 117 fa riferimento alla mancata esecuzione degli accordi internazionali e alle inadempienze che colpiscono la fase discendente del diritto comunitario, che concernono l’attuazione e l’esecuzione degli atti dell’Unione europea; destinatari della norma sono le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano; l’articolo 120 della Costituzione ha invece una portata più ampia in quanto, l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato, è esteso anche ad ipotesi ulteriori rispetto all’adeguamento al diritto comunitario o internazionale; inoltre destinatari della norma sono in questo caso non solo le regioni e le province autonome, ma tutti gli enti territoriali individuati dall’articolo 114 della Costituzione.

Entrambe le disposizioni demandano al legislatore statale ordinario la definizione delle modalità di esercizio dell’intervento sostitutivo; tuttavia solo l’articolo 120 individua nel Governo l’organo dello Stato titolare del potere sostitutivo; tale previsione costituisce un limite discrezionale alla discrezionalità del legislatore ordinario.

L’esercizio del potere sostitutivo dello Stato è oggi disciplinato, in via generale dalla legge n. 131 del 2003 di attuazione della riforma costituzionale e dalla legge n. 11 del 2005 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”.

In particolare, l’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 è dedicato all’attuazione dell’articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo: la norma prevede l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente e su eventuale iniziativa degli enti territoriali,  del potere di assegnare all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti ritenuti dovuti o necessari.

Decorso inutilmente tale termine il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro competente, adotta i provvedimenti, anche normativi, necessari o nomina un apposito commissario; il procedimento contiene comunque disposizioni che garantiscono la partecipazione e l’autonomia degli enti sostituiti [37].

La legge prevede anche un procedimento di urgenza, nei casi in cui l’intervento sostitutivo dello Stato non sia ulteriormente procrastinabile e non si possa procedere alla fissazione di un termine per provvedere; in tali ipotesi, il Consiglio dei Ministri adotta direttamente gli atti necessari che vengono comunicati immediatamente alla Conferenza Stato - Regioni o alla Conferenza Stato Città ed Autonome Locali,  che hanno facoltà di chiedere il riesame dei provvedimenti emanati in sostituzione.  

L’attribuzione al Governo della titolarità del potere sostitutivo sulle regioni pone serie problematiche di equilibrio costituzionale poiché, inevitabilmente, l’organo esecutivo potrà sostituirsi all’attività di competenza degli organi legislativi regionali, le cui funzioni derivano direttamente dal corpo elettorale; tuttavia, si ritiene che, la previsione della fissazione di un termine alle regioni per provvedere e la partecipazione del Presidente della Regione al Consiglio dei Ministri, costituiscano garanzie sufficienti per un equilibrato esercizio dell’intervento sostitutivo.

L’esercizio del potere sostitutivo dello Stato è oggi disciplinato anche dalla legge 4 febbraio 2005 n. 11 la quale prevede[38], in relazione a quanto disposto dall’articolo 117 della Costituzione, l’adozione di atti normativi statali, nella specie regolamenti, finalizzati a porre rimedio all’inerzia delle regioni e delle province autonome nel dare attuazione alle norme comunitarie.

I regolamenti statali si applicano, quindi, solo nelle regioni e nelle province autonome in cui non sia vigente la normativa di attuazione del diritto comunitario; pertanto non possono costituire una fonte abrogativa del diritto regionale; essi sono sottoposti al preventivo esame della Conferenza Stato  Regioni ed entrano in vigore a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria.

Tali  regolamenti contengono, inoltre, l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni contenute e sono destinati a perdere efficacia dalla data di entrata in vigore delle norme emanate dalle regioni o dalle province autonome in attuazione del diritto comunitario.

La cedevolezza della normativa sostitutiva statale costituisce una significativa garanzia contro i rischi di una arbitraria alterazione del sistema delle fonti delineato dalla Costituzione.

4. I controlli sostitutivi dello Stato e delle regioni: analisi dei diversi istituti.

Il fondamento del potere sostitutivo dello Stato e delle regioni risiede nella struttura costituzionale assunta dallo Stato con la riforma del Titolo V; la novella costituzionale ha inciso, in modo innovativo, sia nella distribuzione delle competenze legislative e regolamentari dello Stato e delle regioni, sia con riguardo all’allocazione, dal basso, delle funzioni amministrative.

In tale contesto, la Corte Costituzionale ha osservato [39] che limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principî nelle materie di potestà concorrente, condurrebbe a svalutare oltremisura le istanze unitarie che derivano dai caratteri di unità e indivisibilità della Repubblica, le quali sono presenti anche in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale; proprio tali esigenze giustificano e rendono necessarie, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [40].

I principi di sussidiarietà e di adeguatezza non costituiscono solo un criterio ispiratore della distribuzione delle competenze amministrative tra gli enti territoriali che costituiscono la Repubblica, ma devono essere recepiti, secondo un accezione dinamica, anche come elemento di flessibilità idoneo a stemperare le regole che presiedono a tale distribuzione.

Seguendo tale ragionamento la Corte ha osservato che anche nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente la legge può attribuire allo Stato funzioni amministrative, superando così la tendenziale attribuzione delle funzioni amministrative ai comuni; se alla legge dello Stato viene consentita l’organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarietà, allo stesso modo il principio di sussidiarietà vale ad attenuare il riparto delle competenze legislative effettuato dall’articolo 117; secondo la Consulta, la disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze di carattere unitario, che non possono essere esposte al rischio della ineffettività [41].

Con la sentenza n. 43 del 2004 la Corte Costituzionale ha affrontato, per la prima volta in maniera organica, le problematiche connesse con l’esercizio del potere sostitutivo intersoggettivo in seguito alla riforma costituzionale del titolo V[42]; per la Corte i controlli sostitutivi concorrono a configurare e a limitare l'autonomia dell'ente nei cui confronti opera la sostituzione, e devono quindi trovare un fondamento esplicito o implicito nelle norme o nei principi costituzionali che tale autonomia prevedono e disciplinano.

Ai sensi dell’articolo 118 secondo comma, comuni province e città metropolitane sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite con legge statale e regionale; in tale contesto, non può che essere demandata al legislatore competente per materia, statale o regionale, l'eventuale previsione di eccezionali sostituzioni di un livello ad un altro di governo per il compimento di specifici atti o attività, considerati dalla legge necessari per il perseguimento degli interessi unitari coinvolti, e non compiuti tempestivamente dall'ente competente.

In mancanza, si determinerebbe l'assurda conseguenza che, per evitare che l'inerzia di uno degli enti competenti comprometta il soddisfacimento degli interessi unitari che richiedono il compimento di determinati atti o attività, il legislatore, statale o regionale, non avrebbe altro mezzo se non collocare la funzione ad un livello di governo più comprensivo, assicurandone "l'esercizio unitario" ai sensi del primo comma dell'articolo 118 della Costituzione: ciò costituirebbe un aperta contraddizione con l’osservanza del principio generale di sussidiarietà.

Il nuovo articolo 120 della Costituzione, secondo comma, deriva palesemente dalla preoccupazione di assicurare comunque, nell’attuale sistema istituzionale di ampio decentramento delle funzioni, la tutela di taluni interessi essenziali indicati espressamente dalla norma, anche al di là degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative [43].

Tale norma, non esaurisce tutte le possibilità di esercizio dei poteri sostitutivi: essa prevede solo un potere sostitutivo straordinario [44] del Governo, da esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli interessi esplicitamente indicati, e lascia impregiudicata l'ammissibilità e la disciplina di altre fattispecie di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o delle regioni o di altri enti territoriali.

La norma in esame non preclude dunque, in via di principio, la possibilità che la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza a disciplinare l'esercizio delle funzioni amministrative assegnate ai Comuni o agli altri enti indicati nell’articolo 114 della Costituzione, preveda anche, nelle ipotesi di inerzia o di inadempimento, da parte dell’ente, di atti o attività aventi carattere obbligatorio, l’esercizio di poteri sostitutivi della regione, al fine di salvaguardare gli interessi unitari che sarebbero inevitabilmente compromessi.

Tuttavia, poiché tali interventi sostitutivi costituiscono una eccezione rispetto al normale svolgimento delle attribuzioni dei Comuni o degli altri enti territoriali definite dalla legge, devono valere, nei loro confronti, condizioni e limiti non diversi da quelli elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni.

Le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi debbono essere previste e disciplinate dalla legge, che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali [45];

Inoltre, per la Consulta, la sostituzione può essere prevista esclusivamente per il compimento di atti o di attività "prive di discrezionalità nell'an, anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo" , la cui obbligatorietà sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l'intervento sostitutivo[46]: e ciò affinché essa non contraddica l'attribuzione della funzione amministrativa all'ente locale sostituito.

Il potere sostitutivo deve essere poi esercitato direttamente da un organo di governo della regione o comunque sulla base di una sua decisione, essendo idoneo ad incidere sull'autonomia, costituzionalmente rilevante, dell'ente sostituito [47]: la Corte ha  precisato che le scelte relative ai criteri ed ai modi degli interventi sostitutivi presentano un grado di politicità tale che la loro valutazione non può che spettare agli organi regionali di vertice, cui istituzionalmente competono le determinazioni di politica generale, delle quali essi assumono la responsabilità [48].

La legge deve comunque prevedere, per l’esercizio del potere sostitutivo, idonee garanzie procedimentali, in conformità al principio di leale collaborazione il quale è espressamente richiamato anche dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione a proposito del potere sostitutivo "straordinario" del Governo, ma opera più in generale nei rapporti fra enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita.

In osservanza di tale principio è necessario che l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento, e comunque possa poter intervenire nel procedimento preordinato all’attivazione del potere sostitutivo[49].

Per quanto concerne i soggetti passivi del potere sostitutivo straordinario, la Consulta ha escluso la legittimazione di enti ulteriori rispetto a quelli individuati dall’articolo 114 della Costituzione[50].

Per la Corte, la ragione insita nella necessità costituzionale di un rigido meccanismo cooperativo risiede, dunque, nella esigenza di consentire all'ente locale, all'esito di una puntuale contestazione o diffida da parte del competente organo regionale, di potere svolgere le funzioni che la Costituzione direttamente gli attribuisce; soltanto nel caso in cui detto ente persista nella inerzia o nell'inadempimento, può giustificarsi un esercizio in via sostitutiva delle relative funzioni da parte della Regione.

La medesima procedura di garanzia, caratterizzata dagli stessi limiti, non deve tuttavia essere obbligatoriamente prevista dalla normativa regionale, a pena di incostituzionalità, nella ipotesi in cui si consenta l'esercizio di poteri sostitutivi regionali nei confronti di enti sub-regionali sforniti di autonomia costituzionale, come appunto sono le Comunità montane dopo la riforma del Titolo V [51].

Ciò non significa che il potere sostitutivo diretto ad enti non dotati di autonomia costituzionalmente garantita possa essere esercitato senza alcuna garanzia per gli enti stessi.

Infatti l'esercizio di tale potere – inserendosi in un procedimento amministrativo in funzione di controllo sostitutivo – soggiace alle regole procedimentali eventualmente predeterminate di volta in volta dal legislatore, nonché al principio generale del giusto procedimento, che impone di per sé la garanzia del contraddittorio a tutela degli enti nei cui confronti il potere è esercitato [52].

Per quanto concerne l’applicabilità alle regioni a statuto speciale, del potere sostitutivo dello Stato disciplinato dall’articolo 120 della Costituzione e dalle relative norme di attuazione contenute nell’articolo 8 della legge n. 13 del 2003, la Corte Costituzionale ha osservato che l’esercizio di tale potere prescinde dai confini territoriali dei governi locali [53]; infatti esso è posto a tutela di fondamentali esigenze di eguaglianza, sicurezza e legalità, che potrebbero essere vanificate per effetto del mancato o illegittimo esercizio delle competenze attribuite agli enti territoriali dagli articoli 117 e 118 della Costituzione.

Per la Corte esiste un legame indissolubile fra il conferimento di una attribuzione e la previsione di un intervento sostitutivo diretto a garantire che la finalità cui essa è preordinata non sacrifichi l’unità e la coerenza dell’ordinamento.

La previsione del potere sostitutivo fa dunque sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze, poiché assicura, nelle ipotesi patologiche, un intervento di organi centrali dello Stato a tutela di interessi unitari; tale sistema non può essere disarticolato applicando alle regioni ad autonomia differenziata la “clausola di favore” contenuta nell’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 200, poiché il potere sostitutivo straordinario e gli altri meccanismi di garanzia sono da considerare elementi costitutivi ed immanenti dell’impianto derivante dal nuovo Titolo V.

Peraltro, proprio in virtù del legame indissolubile tra conferimento di attribuzione ed esercizio del potere sostitutivo, l’articolo 120 della Costituzione potrà essere applicato, nei confronti delle regioni speciali, solo nel momento in cui tali regioni potranno attrarre alla loro competenza anche le ulteriori funzioni previste dal Titolo V; ciò potrà avvenire solo con l’emanazione delle norme di attuazione degli statuti, su proposta delle commissioni paritetiche [54].

Prima di allora, il potere sostitutivo statale previsto dalla Costituzione non potrà  essere esercitato a danno delle regioni speciali;  nei loro confronti continueranno ad operare solo le specifiche tipologie di potere sostitutivo previste dagli statuti o dalle relative norme di attuazione.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, nell’ordinamento vigente esistono dunque due diverse tipologie di potere sostitutivo, ordinario e straordinario: il potere sostitutivo ordinario può essere attivato dallo Stato e dalle regioni solo con la legislazione di settore, la quale può anche essere quella già in vigore; esso trae il proprio fondamento dalla struttura istituzionale della Repubblica e dalla necessità di  assicurare la cura di interessi aventi carattere unitario superando il riparto costituzionale delle competenze.

In mancanza, la tutela di fini ed esigenze unitarie condurrebbe all’allocazione delle funzioni agli enti meno prossimi alla collettività, impedendo così la realizzazione del principio di sussidiarietà verticale.

L’esercizio del potere ordinario di sostituzione deve essere comunque effettuato con l’osservanza delle garanzie sostanziali e procedimentali elaborate dalla Corte Costituzionale, al fine di evitare l’ingiustificata limitazione delle autonomie degli enti territoriali.

Il compito delle regioni di individuare e salvaguardare gli interessi aventi carattere unitario e di allocare con legge le funzioni amministrative agli enti minori, costituisce una qualità ontologica che differenzia in modo marcato le prime dai secondi, e che più di ogni classificazione dottrinale avvicina l’ordinamento costituzionale italiano agli ordinamenti di matrice federalista.

Il potere sostitutivo straordinario può essere esercitato solo dallo Stato, nelle fattispecie espressamente previste dagli articoli 117 e 120 della Costituzione; esso ha carattere aggiuntivo e quindi non esclude l’esercizio del potere sostitutivo ordinario statale; anche l’esercizio del potere di sostituzione straordinario deve assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione; pertanto, può legittimamente esplicarsi solo con l’osservanza delle garanzie sostanziali e procedimentali elaborate dalla giurisprudenza costituzionale ed ora individuate dalla legge.  

Proprio perché circoscritto ad ipotesi tassativamente determinate, il potere sostitutivo straordinario dello Stato, a differenza del potere sostitutivo ordinario, può essere disciplinato dalla legge in via generale [55].

                Con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione, il potere sostitutivo previsto dall’articolo 117 della Costituzione è finalizzato a porre rimedio all’inerzia delle regioni e delle province autonome nel dare attuazione alle norme comunitarie; pertanto, esso non legittima la sostituzione di una legge regionale con un atto normativo statale; infatti, l’illegittimità di una legge regionale può essere dichiarata solo dalla Corte Costituzionale, in esito ad apposito procedimento; inoltre, nelle more della definizione del ricorso, la Corte può anche decidere di sospendere l’efficacia della norma oggetto di giudizio.

                Questa conclusione risulta avvalorata dal fatto che l’individuazione dei rimedi per ovviare alla illegittimità costituzionale delle leggi ha necessariamente carattere tassativo, in quanto trova la sua unica fonte nella Costituzione.

                Il potere sostitutivo straordinario previsto dall’articolo 120 ha portata più ampia, potendo lo Stato sostituirsi, oltre che alle regioni, anche agli altri enti territoriali indicati nell’articolo 114 della Costituzione.

                L’esercizio di tale potere consente, nelle ipotesi tassativamente elencate dalla norma costituzionale,  l’adozione in sostituzione di atti amministrativi statali il cui contenuto è in funzione dell’esigenza che in concreto lo Stato è tenuto ad assicurare; per tale motivo, il potere sostitutivo straordinario esercitato dallo Stato ai sensi dell’articolo 120, secondo comma della Costituzione, può assumere la forma di un provvedimento amministrativo o dell’intervento regolamentare.

 

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* Avvocato - Regione Lazio.

[1] Ai sensi dell’art. 114 Cost. primo comma, la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato

[2] Si riporta il testo dell’art. 5 Cost. “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.

[3] Lo statuto, nell'ambito dei principi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio. Lo statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell'ente, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico

[4] Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

[5] La legge rientra nel novero degli  atti politici, mediante i quali lo Stato, le regioni e le province autonome pervengono all’individuazione dell’interesse pubblico; il regolamento è atto sostanzialmente normativo, poiché contiene norme giuridiche generali ed astratte, ma formalmente amministrativo, in quanto è soggetto al regime giuridico dei provvedimenti, sia pure con alcune eccezioni; infatti, proprio perché contengono norme generali ed astratte i regolamenti non sono soggetti all’obbligo di motivazione previsto per gli altri atti amministrativi; inoltre i regolamenti non possono costituire oggetto di impugnativa diretta, se non nei casi in cui il loro contenuto si riveli direttamente lesivo di situazioni giuridiche di terzi.

[6] La forma di governo delle autonomie locali costituisce oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato, ed è attualmente disciplinata dal decreto legislativo n. 267 del 2000.

[7] Il primo comma dell’art. 122 della Costituzione dispone che il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonchè dei consiglieri regionali vengano disciplinati con legge della regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.

[8] Il princpio di sussidiarietà verticale è di derivazione comunitaria, essendo  stato introdotto formalmente per la prima volta dal Trattato di Maastricht.

[9] Alla luce della riforma del Titolo V che trasforma gli statuti delle regioni ordinarie in una fonte giuridica di esclusiva pertinenza regionale, la fattispecie costitutiva degli statuti speciali costituisce un elemento di criticità del sistema costituzionale italiano.

[10] L’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 prevede infatti che sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le nuove norme del Titolo V si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, per le parti in cui esse prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite.  

[11] Nelle materie di competenza esclusiva statale il regionalismo differenziato può essere concesso limitatamente alle nome generali sull’istruzione, alla tutela dell’ambiente dell’ecosistema e dei beni culturali e all’organizzazione della giustizia di pace.

[12] Le sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale di una legge statale o regionale determinano infatti dei vuoti normativi.

[13] La Corte Costituzionale ha definito tali fattispecie come rivelatrici di una concorrenza di competenze, piuttosto che di una competenza concorrente.

[14] Tali funzioni sono individuate nell’art. 13 del decreto legislativo n. 267 del 2000.

[15] L’elenco delle funzioni e dei compiti attribuite alle province è contenuto negli artt. 19 e ss. del decreto legislativo sopra citato.

[16] Le aree metropolitane sono indicate nell’articolo 22 primo comma del decreto legislativo n. 267 del 2000.

[17] La finanza straordinaria è prevista nel quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione.

[18] Questo paragrafo è tratto dall’articolo di Paolo Jori, L’evoluzione del sistema dei controlli in dipendenza del nuovo assetto costituzionale ed amministrativo dello Stato, con particolare riguardo ai caratteri generali dei controlli interni”, pubblicato in I Tribunali Amministrativi Regionali - Rassegna di Giurisprudenza e Dottrina Anno 2004 n. 12  e sulla rivista giuridica RAGIUSAN fascicolo n. 267/268 luglio/agosto 2006.

[19] Sul rapporto di accessività tra l’attività di controllo e quella amministrativa, S.Cassese, Trattato di diritto amministrativo, Milano, Giuffré 2003, pag. 1351.

[20] M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, Giuffré 1970, pag. 1300. 

[21] L’art. 126 della Costituzione prevede che lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta possa essere disposto con Decreto motivato del Presidente della Repubblica solo per ragioni di sicurezza nazionale o per il compimento di atti contrari alla Costituzione o di gravi violazioni di legge, sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica.

[22] Il Testo unico sugli Enti locali disciplina lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali nelle ipotesi di compimento di atti contrari alla Costituzione; gravi e persistenti violazioni di legge; gravi motivi di ordine pubblico; impossibilità dell’organo di funzionamento; mancata approvazione del bilancio.

[23] L’articolo 125 primo comma della Costituzione, ora abrogato dall’articolo 9 secondo comma della legge costituzionale n. 3 del 2001, prevedeva che il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione fosse esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica; la legge poteva inoltre in determinati casi ammettere il controllo di merito, al solo fine di promuovere con richiesta motivata il riesame delle deliberazioni da parte del Consiglio regionale.  

[24] L’articolo 130 della Costituzione, ora abrogato dalla norma sopra citata della legge di riforma costituzionale, attribuiva ad un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, l’esercizio del controllo di legittimità ed in casi determinati di merito sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali.

[25] Per effetto di questa distinzione di compiti e di responsabilità le relazioni tra gli organi politici ed i dirigenti s’inquadrano ora nell’ambito dei rapporti di direzione e non di gerarchia.

[26] Che ha determinato la sostanziale delegificazione della disciplina a vantaggio della contrattazione collettiva, e la devoluzione generale al giudice ordinario della materia del pubblico impiego.

[27] Attualmente la disciplina della dirigenza è contenuta nella Legge n. 145 del 15/7/2002.

[28] Si veda il Testo unico sugli Enti locali, adottato con il Decreto legislativo n. 267 del 2000.

[29] Per quanto riguarda i controlli sugli atti amministrativi delle Regioni il decreto legislativo n. 479 del 1993 ha dapprima eliminato quelli relativi al merito; la legge n. 127 del 1997 ha limitato i controlli di legittimità agli atti costituenti l’adempimento degli obblighi dell’Unione europea ed ai regolamenti regionali, esclusi quelli attinenti all’autonomia amministrativa, finanziaria e contabile del Consiglio; la legge costituzionale n. 3 del 2001 ha sostituito il precedente articolo 125 della Costituzione eliminando in via definitiva ogni previsione concernente i controlli esterni di legittimità e di merito sugli atti amministrativi regionali

[30] La legge di riforma costituzionale ha abrogato l’articolo 130 della Costituzione, facendo venir meno la previsione costituzionale dei controlli preventivi esterni sugli atti degli Enti locali che oggi devono ritenersi, in virtù del nuovo ruolo giuridico attribuito a tali enti, definitivamente eliminati. 

[31] L’articolo 3 della  legge n. 20 del 1994 ha fortemente ridotto il numero degli atti statali soggetti al controllo preventivo di legittimità, che viene oggi limitato: ai provvedimenti emanati previa delibera del Consiglio dei Ministri; agli atti aventi una notevole incidenza sul bilancio; agli atti che la Corte dei Conti delibera di assoggettare al controllo per un periodo determinato, in relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevate in sede di controllo successivo; agli atti che il Presidente del Consiglio richiede di sottoporre volontariamente al controllo preventivo. 

[32]  La previsione dei controlli interni non rappresenta una novità dell’ordinamento giuridico, avendo essi sempre caratterizzato lo svolgimento dei rapporti interorganici di natura gerarchica; la prima disciplina organica di tali controlli è stata effettuata solo con il decreto legislativo n. 29 del 1993 e successivamente modificata dal decreto legislativo n. 286 del 1999.

[33] I controlli interni privilegiano dunque l’aspetto funzionale dell’attività amministrativa. 

[34] S. Cassese, op. cit. pag. 1386.

[35] In tal senso Caringella, op. cit. pag. 1652, il quale sostiene che il legislatore abbia inteso coniugare le garanzie di neutralità e di massimizzazione del patrimonio conoscitivo, prevedendo i controlli esterni e quelli interni.

[36] Articolo 1 comma 2 lettera d) del decreto legislativo n. 286 del 1999.

[37] Qualora lo Stato intervenga in sostituzione di una regione, alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa anche il Presidente della regione interessata; ove invece l’esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o Città metropolitane, il Commissario provvede sentito il Consiglio delle Autonomie Locali.

[38] Articolo 11 comma 8 della legge 4 febbraio 2005 n. 11.

[39] Sentenza della Corte Costituzionale n. 303 del 2003 

[40] La deroga alla ripartizione delle competenze al fine di garantire il soddisfacimento di esigenze di carattere unitario è codificata anche in altri ordinamenti a forte valenza pluralistica: basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause).

[41] Nella sentenza sopraccitata la Corte ha osservato che l’assunzione di una funzione amministrativa in via sussidiaria legittima l’intervento sollecitatorio diretto a vincere l’inerzia della regione; nella fattispecie di cui all’art. 120 della Costituzione invece, l’inerzia dell’ente territoriale è il presupposto che legittima la sostituzione statale nell’esercizio di una competenza che è e resta propria dell’ente sostituito.

[42] L’impianto della sentenza n. 43 del 2004 sull’esercizio dei poteri sostitutivi statali e regionali è stato confermato ed arricchito dalla successiva giurisprudenza costituzionale, ed in particolare dalle sentenze nn. 69-74 del 2004, n. 112 del 2004, e n. 173 del 2004.

[43] Per la Consulta, sentenza n. 43 del 2004, la Costituzione ha voluto dunque che, a prescindere dal riparto delle competenze amministrative, attuato dalle leggi statali e regionali nelle diverse materie, fosse sempre possibile un intervento sostitutivo del Governo per garantire tali interessi essenziali.

[44] Secondo la Corte, il carattere straordinario del potere sostitutivo dello Stato previsto dall’articolo 120 deriva dalla qualità dei presupposti necessari all’attivazione dell’intervento sostitutivo, i quali fanno espresso riferimento a situazioni di emergenza istituzionale di particolare gravità; inoltre la norma non esclude la possibilità di ulteriori e distinte ipotesi di potere sostitutivo.  

[45] Già prima della novella costituzionale del Titolo V la Corte, con  sentenza n. 338 del 1989, aveva indicato tale requisito.

[46] A tale proposito, si rinvia  alla sentenza della Corte Costituzionale n. 177 del 1988, la quale tratta anche della necessità che la legge determini le garanzie idonee affinché il potere sostitutivo possa essere esercitato nel rispetto del principio di leale collaborazione.

[47] In tal senso le sentenze n. 460 del 1989, n. 342 del 1994 e n. 313 del 2003.

[48]  Con sentenza n. 1123 del 2004 la Consulta ha precisato che il difensore civico non rientra tra gli organi di vertice della regione; infatti tale organo, indipendentemente da ogni qualificazione giuridica, è generalmente titolare di sole funzioni di tutela della legalità e della regolarità amministrativa, in larga misura assimilabili a quelle di controllo prima di competenza  dei  comitati regionali di controllo; esso è organo preposto alla vigilanza sull'operato dell'amministrazione regionale con limitati compiti di segnalazione di disfunzioni amministrative; pertanto, considerata la natura, non può ad esso essere legittimamente attribuita la responsabilità di misure sostitutive che incidono in modo diretto e gravoso sull'autonomia costituzionalmente garantita dei Comuni. Analoghe considerazioni sono state svolte con la sentenza n. 167 del 2005.

[49] Così la Corte Costituzionale, nelle sentenza n. 153 del 1986 e n. 416 del 1995 e nell’ordinanza n. 53 del 2003.

[50] Si veda sul punto, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 397 del 2006.

[51] Con le sentenze n. 456 del 2005 e n. 244 del 2005, la Corte Costituzionale aveva già escluso che alle Comunità montane potessero essere applicate le norme contenute nell’art. 114  e 117 comma secondo lettera p) della Costituzione; la qualificazione di tali enti è contenuta nell’articolo 27 comma 1 del decreto legislativo n. 267 del 2000.

[52] Nella sentenza sopraindicata la Corte ha riconosciuto che alle Comunità montane devono essere assicurate, sulla base dei suddetti principi, forme di partecipazione e consultazione nel corso del procedimento amministrativo così come definito dalla legge. L'eventuale violazione delle prescritte regole partecipative, ricorrendone i presupposti, potrà essere fatta valere innanzi ai competenti organi della giurisdizione amministrativa nelle forme di rito.

[53] Sentenza n. 236 del 2004.

[54] Si ricorda che  concreto trasferimento alle regioni speciali delle funzioni del Titolo V potrà avvenire solo in esito al procedimento descritto dall’articolo 11 della legge n. 131 del 2003.

[55] Attualmente il potere sostitutivo straordinario descritto dall’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, è disciplinato dall’articolo 8 della legge n. 131 del 2003; il potere sostitutivo straordinario previsto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, è regolato dall’articolo 11 legge n. 11 del 2005.


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